5037 Marulanda è morto il 26 marzo

20080526 14:22:00 redazione-IT

Tito Pulsinelli – www.selvas.org

Pedro Antonio Marín, conosciuto meglio come Manuel Marulanda è morto il 26 marzo nella zona montagnosa del sud colombiano. Il numero uno della guerriglia latinoamericana più antica "è morto tra le braccia della sua compagna, protetto dalla sua guardia personale, al culmine di una breve malattia. L’abbiamo seppellito con tutti gli onori".
Un video trasmesso da Telesur ha messo fine ad una scia di illazioni, voci e speculazioni che erano filtrate fino a raggiungere i mezzi di comunicazione colombiani. Il leggendario Tirofijo è morto in quella selva in cui da contadino aveva cominciato a forgiare una guerriglia attiva da mezzo secolo.

E’ morto di malattia, stroncato da un infarto. Il ministro della difesa Santos reclama una autopsia, ma non ha ancora restituito ai suoi famigliari la salma di Raul Reyes.
Non è morto in combatimento come si cercava di insinuare. E’ morto dopo una vita di battaglie nel clima inospitale della selva, come un guerriero che si misurava tutti i giorni con un esercito forte di 280mila soldati.

Uribe e Santos cantano vittoria e gridano ai quattro venti che la FARC è sull’orlo di un precipizio. Possono respirare tranquilli, è una boccata di ossigeno che tiene lontano l’incubo della "parapolitica" che ha portato in carcere -o inquisiti- una buona parte della dirigenza del partito di Uribe.
Non c’è dubbio che non è il miglior momento della FARC -non è la prima volta- e il bilancio negativo somma l’eliminazione di vari dirigenti di alto rango. La morte di Marulanda sorprende meno di quella di Reyes in Ecuador, di Ivan Ríos o la defezione di Karina.
Il governo colombiano ha ribadito a chiare lettere che l’unica porta che lascia aperta è quella della resa, e l’unica offerta è l’aministia per chi getta le armi.

Il quadro di una guerriglia sull’orlo della disintegrazione appare come una forzatura propagandistica, perchè si tratta di una formazione politico-militare collaudata, con una lunga storia e un radicamento territoriale solido. Se non fosse così, sarebbe inspiegabile e incomprensibile quel 5% del bilancio che Uribe e Santos riservano alle forze armate.
E’ il più alto del continente, superiore persino a quello del Brasile, con cui pareggia gli uomini in uniforme.

Che succederà nei prossimi mesi? Purtroppo poco dipende dalla personalità politica e dall’orientamento di Alfonso Cano, il nuovo numero uno della FARC. Quel che si può dire con certezza è che appartiene ad un’altra generazione di combattenti, tutto il resto è prematuro.
La liberazione degli ostaggi è più a rischio, la soluzione pacifica del conflitto più lontana che mai.

Il trionfalismo e l’oltranzismo di Uribe produrrà una recrudescenza della guerra civile.
Il trionfalismo non sembra molto attendibile perchè lo scenario che permane è quello di un equilibrio strategico tra due forze contrapposte, su di un territorio frammentato in cui esiste un dualismo di potere. Almeno due poteri militari, e due economiae: quella legale e quella dei narcos.

Nè l’una nè l’altra può distruggere l’avversario con i soli mezzi militari. Recentemente, una ha fatto passi concreti in vista del dialogo, l’altra è visceralmente opposta ed ha usato ogni mezzo per contrastarlo. E’ convinta di sbaragliare l’avversario storico con la forza delle armi e i soldi di Washington.
Nel mezzo c’è la popolazione, i civili, i contadini, gli indigeni, cioè il serbatoio che ha alimentato finora le schiere dei profughi. Sono 4 milioni.

 

 

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EmiNews 2008

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