5215 DPF: Intervento in Aula dell’On. Franco Narducci , 8 luglio 2008

20080708 12:03:00 redazione-IT

Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013

Signor Presidente, Onorevoli colleghi,
Il Documento di programmazione economica e finanziaria che stiamo discutendo esplicita con concretezza la strategia di politica economica e di finanza pubblica che il Governo intende attuare nel triennio 2009-2011. Io ritengo che si debba discutere sulla semplificazione introdotta dal Governo ai fini della programmazione economica, poiché i problemi del Paese richiedono risposte urgenti e conoscere già oggi molte delle norme che comporranno la legge Finanziaria è sicuramente rilevante, ma ritengo anche che la potestà e il rispetto del Parlamento debbano essere difese e preservati.

Con altrettanta chiarezza sottolineo l’inadeguatezza della politica economica tratteggiata nel DPEF per far fronte ai problemi del Paese.

Così com’è, la manovra del Governo anziché infondere coraggio ai cittadini e rilanciare i consumi, indebolisce ulteriormente i ceti medi, o quel che ne rimane, con misure apparentemente popolari ma fortemente demagogiche come la “Socialcard” per gli anziani, la Robin Tax o la banca del Sud. Ma io mi chiedo, e il popolo italiano si dovrebbe chiedere, è possibile che non vi siano modalità meno umilianti per affrontare le difficoltà dei cittadini economicamente più deboli? Possibile che si debba qualificare con questo strumento chi è povero ed ha bisogno dell’elemosina? Signor Presidente, professionalmente mi sono occupato ai massimi livelli di sicurezza sociale sia in Svizzera che in Germania e devo rimarcare che in quei paesi i problemi dell’impoverimento che colpisce gli anziani e altre fasce di popolazione vengono affrontati con strumenti più dignitosi, come per altro abbiamo sempre fatto in Italia. Pochi giorni fa i pensionati hanno ricevuto la quattordicesima introdotta dal Governo Prodi, versata anche ai cittadini italiani residenti all’estero che ne hanno diritto. Ed è una bella differenza, onorevoli colleghi; mentre nella passata legislatura molto è stato fatto per dare qualità e intensità alle relazioni tra la Madrepatria e la vasta comunità di cittadini italiani e di origine italiana che vive all’estero, relazioni da cui dipendono aspetti fondamentali per la bilancia commerciale e dei pagamenti, come il turismo di ritorno, le rimesse dirette e gli investimenti, il mercato diretto e indiretto di beni e servizi italiani all’estero, l’emigrazione tecnologica e altri aspetti, con questa manovra di finanza pubblica il Governo Berlusconi procede ad uno smantellamento sistematico di quanto il Governo Prodi aveva fatto per gli italiani residenti all’estero.

Si taglia pesantemente sul bilancio del Ministero degli affari esteri, un settore estremamente sensibile alla luce del drastico ridimensionamento subito nell’ultimo decennio e da cui dipendono i servizi per le nostre comunità all’estero e per le imprese italiane operanti all’estero nel quadro dell’internazionalizzazione. Si taglia sull’assistenza agli indigenti, persone ultra settantenni che a questo paese hanno dato non solo incrollabili prove d’affetto ma tantissimo con le loro rimesse finanziarie. Si taglia sulla promozione della nostra lingua e sulla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, esattamente il contrario di quanto fanno i Paesi europei che competono con il nostro sui mercati mondiali. Si abolisce la parte restante dell’ICI sulla prima casa ma si nega, con una evidente violazione dei diritti costituzionali, la detassazione ai cittadini italiani emigrati che hanno avuto forse il torto di investire i loro risparmi in Italia convivendo con il pensiero del rientro. E’ veramente difficile immaginare come si potranno gestire senza forti contraccolpi i tagli pesantissimi al bilancio del MAE che comprende anche la maggior parte delle risorse destinate agli italiani residenti all’estero, che – non sottovalutiamolo – solamente con il flusso finanziario rappresentato dalle pensioni pagate dall’estero agli ex emigrati convogliano oltre 4 miliardi di euro annui verso l’Italia.

La vera emergenza è la crisi del potere di acquisto delle retribuzioni. E di questo è testimonianza il calo degli acquisti ormai agli occhi di tutti anche in presenza dei saldi di fine stagione. La crescita dell’inflazione e l’aumento vertiginoso dei costi dell’energia impongono provvedimenti urgenti per venire incontro ai salari e far ripartire l’economia del nostro Paese. Certamente ognuno deve fare la sua parte, istituzioni e cittadini, ed è l’aspetto continuamente sostenuto dal Governo Prodi per rilanciare il nostro sistema paese. Ma in questo mese in cui le aziende iniziano ad avvalersi delle misure varate da Prodi, non si parla più della riduzione del cuneo fiscale, del taglio dell’IRES o della revisione degli studi di settore. Di questi temi non si parla più, a ragion veduta: sono spariti!

Certamente la strategia migliore non può essere l’inasprimento fiscale che si intravede e che porterà la pressione fiscale, nel 2009, dal 42,6 per cento al 43 per cento. E questo dopo le lusinghiere promesse elettorali sull’abbattimento della pressione fiscale che hanno fatto leva sulle aspettative dei contribuenti. E la famosa Robin Tax ? Non spingerà i destinatari della stessa a trasferire l’onere della tassa sui prezzi finali facendola ricadere inevitabilmente sul consumatore? Considerando le condizioni di economia ingessata a causa della insufficiente concorrenza che governa i nostri mercati c’è veramente da temere per i consumatori italiani. E i ripensamenti di queste ultime ore sulla Robin Tax, veri o presunti che siano, sembrano confermare il pessimismo sulla suddetta norma.

La manovra colpisce tutto: comprime la spesa corrente, agisce sulle percentuali cancellando ad esempio insegnanti e personale non docente, per poi inevitabilmente rischiare di esplodere nel medio periodo. Si vedono solo tagli che non lasciano spazi a respiri di prospettiva.

Che dire poi del taglio di 170 milioni di euro l’anno alla voce cooperazione che relega il nostro Paese agli ultimi posti della classifica dei paesi donatori e allontana definitivamente l’Italia dagli impegni assunti con la UE di stanziare per il 2010 lo 0,51 per cento del Pil mentre aumentano le spese per le missioni militari di 90 milioni di Euro. Mi preme ricordare che le nostre missioni di pace si sostengono a partire dallo sviluppo e dal dialogo che la cooperazione permette avvicinando le società civili dei paesi ricchi e dei paesi poveri. Una prospettiva – quest’ultima – valida non solo sul piano internazionale ma anche su scala interna, e rispetto alla quale non convincono affatto le generiche affermazioni di principio sulle quali si basa la programmazione del federalismo fiscale nel nostro paese, molte delle quali costituiscono delle vere contraddizioni in termini.

Il Governo deve prima di ogni cosa chiarire che tipo di federalismo intende attuare nel nostro paese. I sistemi federali più autentici e performanti hanno il vantaggio di avvicinare le scelte pubbliche alle reali preferenze della gente, privilegiando il punto di vista delle collettività locali piuttosto che quello delle maggioranze nazionali: in tale senso generano un plus di democrazia che sarebbe altamente auspicabile nel nostro paese. Va rammentato però che tali sistemi si basano inevitabilmente su una forte autonomia di entrata e di spesa da parte dei governi locali e regionali e su un limitato intervento perequativo da parte dello stato centrale, finalizzato perlopiù a garantire un plafond “minimo” (sovente scadente ed inadeguato) di servizi pubblici su tutto il territorio.

Quindi parlare a un tempo di federalismo fiscale e di livelli alti di perequazione, come fa il ministro dell’economia, significa semplicemente non attuare alcun programma federale e spargere fumo negli occhi dei cittadini. Non è un caso che i sistemi federali funzionino meglio nelle nazioni ove non esistono grossi divari economici a livello territoriale, ma non è questo il caso dell’Italia!

Ciò che temo è dunque l’esatto contrario! Ossia che dietro le eclatanti promesse di un federalismo “mansueto” si celi una prima forma di destrutturazione dei livelli di solidarietà nel nostro paese che si evolverà, finanziaria dopo finanziaria, in un sempre più ridotto intervento perequativo da parte dello stato centrale e in un sempre più marcato abbandono dei cittadini delle regioni più povere al loro destino di indigenza.

Vorrei anche rammentare che il federalismo è una “scelta costosa” e non uno strumento per inseguire paventati quanto inesistenti risparmi di bilancio: l’economia insegna che i servizi pubblici costano di meno quando vengono prodotti su larga scala (ossia tendenzialmente centralizzati) e non certo quando vengono differenziati regione per regione, comune per comune. Inoltre la moltiplicazione dei centri di potere e degli organi politici e tecnici a livello locale genera spesa pubblica, ossia stipendi, consulenze, gettoni da distribuire ai vari componenti: un bel passo indietro rispetto ai propositi di contenimento della spesa tanto invocati dal ministro.

Da sempre sono un acceso fautore della riforma federale: ma il federalismo è una scelta di democrazia rispetto alla quale occorre una attenta e condivisa discussione sui benefici attesi ma anche sugli inevitabili costi. Di tutto ciò nel DPEF non ne vedo neanche la premessa.

 

 

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EmiNews 2008

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