6313 2009, Per uscire dalla crisi

20090101 15:16:00 redazione-IT

di Rodolfo Ricci

Il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica Napolitano costituisce un elemento di riflessione importante per la chiarezza del linguaggio usato e per le indicazioni di uscita dalla crisi epocale in cui siamo finiti grazie all’applicazione pedissequa del pensiero unico neoliberista in Italia e nel resto del mondo.

Tantopiù importante, in un clima di grande confusione e di rumore mediatico che esce dal mondo della politica, ove da una parte (il governo e le forze di maggioranza) si tende e minimizzare cause ed effetti della crisi e dall’altra (opposizione) si assiste alla silente accettazione e riproposizione del confronto politico secondo l’agenda imposta continuamente e scientificamente dal leader Berlusconi:

riforme, presidenzialismo, giustizia, ecc., evitando di prendere di petto i nodi della questione italiana; siamo uno dei paesi OCSE con la maggiore sperequazione sociale, con i maggiori tassi di crescita della povertà, con un sistema di tutele e protezione sociale e del lavoro del tutto insufficiente, con il maggior debito pubblico, con il più grande differenziale tra diverse aree del paese (nord-sud), con la più ampia rete mondiale di criminalità organizzata che contende allo Stato il controllo di regioni e territori e che inquina la politica e il mondo dell’impresa; con il più alto tasso di evasione fiscale e di lavoro nero a livello europeo, con la parallela minore tassazione della rendita, con la strutturale disattenzione al mondo della scuola, della cultura, della ricerca.

Con un mondo dell’impresa, della finanza, della politica, della pubblica amministrazione fortemente compenetrato da interne logiche clientelari e di mutuo soccorso che non hanno nulla a che fare con modernità, con equilibrio e neanche con la presunta logica del potenziamento del “libero mercato”, della competizione sulla “qualità” e sul “merito”, e sugli altri orpelli linguistici che hanno affermato la loro egemonia nell’ultimo trentennio e che oggi manifestano, dentro la crisi, il loro carattere fondamentalmente ideologico e la loro finalità di inquinamento culturale e politico in Italia come altrove.

In più continuiamo ad essere l’unico paese al mondo con una così alta concentrazione dei media e quindi di un alto potenziale di dis-orientamento delle persone nonché delle presunte classi dirigenti.

L’Italia è entrata nella crisi epocale con queste credenziali già da tempo acquisite. E’ importante tenerlo presente perché ciò costituisce la base da cui si parte per ogni progetto di ricostruzione nazionale e perché l’evidenza della crisi – che sarà abbagliante nei prossimi mesi – ha già chiarito, a chi vuole intendere, che questo equilibrio precario costruito sulla infinita e patologica capacità di tolleranza degli italiani, ormai non regge più.

Il dimezzamento netto della ricchezza finanziaria nazionale (- 50% della capitalizzazione in Borsa), seppure non riguardi la cosiddetta “economia reale”, non può non indurre degli effetti a catena di cui l’ammontare di un milione di nuovi disoccupati antro dicembre 2008 costituisce solo l’incipit. A ciò si somma il quasi dimezzamento delle capitalizzazioni delle altre borse continentali e mondiali che a loro volta influisce fortemente su un’economia orientata all’export come la nostra.

Dentro questo quadro, è chiaro che anche le briciole che cadevano dai tavoli più imbanditi cominciano ad essere a rischio e con ciò quell’elemento tipico del belpaese che veniva definito eufemisticamente come “l’arte di arrangiarsi”.
L’impalcatura italiana, al di là delle penose iniezioni di ottimismo del leader (che allo stesso tempo si dichiara stranamente pronto ad abbandonare rapidamente il paese se qualcuno renderà pubbliche alcune specifiche intercettazioni telefoniche, preannuncio di una fuga o cosa ? ), sta pericolosamente ondeggiando.

Il discorso di Napolitano col suo richiamo al realismo e ad un “linguaggio di verità”, costituiscono l’unico forte e positivo elemento di chiarezza istituzionale che prende atto della vasta mobilitazione autunnale che ha unito studenti e lavoratori sotto lo slogan “noi la vostra crisi non la paghiamo”.

Infatti il problema è tutto qui: chi deve pagare gli effetti della crisi ? Coloro che nel corso degli ultimi 30 anni si sono visti dimezzare il potere di acquisto di salari e trasferimenti, o coloro che negli ultimi 30 anni hanno visto raddoppiare, triplicare, quadruplicare i propri utili, o redditi finanziari o speculativi ?
Qualcuno dirà che anche questi ultimi sono stati aggrediti dagli affetti della crisi. Sì, certo, in parte è così, ma nel frattempo, nei lunghi decenni di bisbocce, quei guadagni si sono trasformati in beni, in standard elevati di vita, in utili rendite per il futuro.

“Scordammoce ‘u passato, semmo ‘e Napule paesà”, non sembra possa costituire un programma realistico per contrastare la crisi e per uscirne. Anche perché, come detto, le briciole cominciano a scarseggiare.

L’unità nazionale, questo bene costituzionale su cui si fondano gli stati liberaldemocratici, è un bene se c’è già in partenza, in quanto equilibrio sociale universale. Se invece non c’è ed è da conquistare, non può essere richiamato come soluzione miracolosa in tempi di crisi.

L’unità nazionale è casomai una conseguenza dell’equilibrio sociale. E nessuna unità nazionale fatta esclusivamente sul piano politico – sul tipo delle tipo grandi alleanze- può sostituirla.

L’unità nazionale non può essere fatta a spese di qualcuno che ha già dato e pagato. L’unità nazionale si rifonda su basi di giustizia sociale innanzitutto, cioè con una sana ridistribuzione dei redditi e delle ricchezze nazionali.
E siccome, come dice Napolitano, il mondo è uno e si deve governare come unico mondo a disposizione, c’è anche un problema di “unità internazionale” nel cui ambito vige la medesima legge che dovremo tenere ben presente nel tempo a venire.

Fuori di questa, le prospettive sono davvero nere. E non solo per la classe media o bassa. Raccontava qualche anno fa un importante finanziere tedesco la cui firma ricorreva sulle banconote della Budesrepublik Deutschland, che preferiva, per sé e per i suoi figli, la quotidiana passeggiata per strada piuttosto che vivere confinato nella sua villa circondata di filo spinato.

Vale la pena investire su libere camminate, all’aria pura. Sulla sobrietà.

 
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EmiNews 2009

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