18 10 13 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ALTRE COMUNICAZIONI.

1 – UN CRIMINALE RIBALTAMENTO DELLA REALTÀ. Ordine, sicurezza, bavaglio al dissenso. Proibito favorire l’integrazione, proibito solidarizzare.
2 – NUMERI ALLA MANO I dati sono un ottimo modo per analizzare fenomeni, raccontare storie e valutare pratiche politiche.
3 – Parlamentari pd estero: grazie, presidente Mattarella. Il governo non sprechi la forza degli italiani all’estero
4 – SCHIRÒ (PD): IL MISTERO BUFFO DEL REDDITO DI CITTADINANZA NELLE INTERPRETAZIONI DI DI MAIO
governo giallo-verde, ha anticipato che il reddito di cittadinanza, se mai vedrà la luce, sarà erogato probabilmente tramite la tessera sanitaria e toccherà non solo agli italiani residenti ma anche a “tutti gli stranieri residenti da oltre 10 anni in Italia”.
5 – Così il Brasile rischia di consegnarsi alla dittatura. Percentuali maggiori di quelle registrate da tutti i sondaggi.
6 – IN BRASILE È TEMPO DI «ORGANIZZARE LA SPERANZA» Intervista. Il dirigente del movimento senza terra Ernesto Puhl: «bivio drammatico tra civiltà e barbarie. Ma Haddad può ancora farcela.
7 – L’ON. La Marca incontra a Roma il vice presidente del comites Messico e presidente della fondazione “amici d’Italia” di Guadalajara.
8 – La Marca (pd) interviene nella commissione esteri della camera sui problemi di più forte interesse delle comunità italiane.
9 – Riflessioni sull’insuccesso della Fincantieri nella gara d’appalto per la costruzione di nove fregate per la Royal Australian Navy.

1 – UN CRIMINALE RIBALTAMENTO DELLA REALTÀ. ORDINE, SICUREZZA, BAVAGLIO AL DISSENSO. PROIBITO FAVORIRE L’INTEGRAZIONE, PROIBITO SOLIDARIZZARE.
Così è l’Italia ai tempi del governo giallonero dove le forze dell’ordine a Roma intervengono per eseguire lo sgombero di una pensionata che non era in grado di pagare l’aumento di affitto.
Ma a Bari osservano da lontano l’assalto squadrista di CasaPound a pacifici manifestanti antirazzisti. L’Italia ai tempi di Salvini e Di Maio è il Paese che si è inventato il reato di solidarietà per bloccare un’esperienza di integrazione felice come quella realizzata dal sindaco Mimmo Lucano a Riace. Così accade che un ministro indagato per sequestro di persona plauda per l’arresto di un sindaco colpevole di aver trasformato un paesino spopolato e architettonicamente malmesso in una cittadina operosa, restaurata, pulita, in grado di dar lavoro a immigrati e non. La realtà capovolta. Mentre la Lega che ha frodato soldi degli italiani è al governo, Mimmo Lucano è accusato di aver favorito l’immigrazione clandestina non avendo un centesimo, anzi avendo lavorato con successo per far ripartire la depressa economia locale. Per questo è stato attaccato dalla ’ndrangheta e dai fascisti che nei suoi confronti hanno messo in moto una orchestrata macchina del fango. Invece di mettere la lotta alla mafia al primo punto del proprio programma, il ministro Salvini rende i beni sequestrati dalla mafia acquistabili all’asta da privati e dà la caccia ai migranti con il decreto sicurezza.
E ora, per lui ciliegina sulla torta, porta a termine l’operazione anti Riace, iniziata dal suo predecessore Minniti. Ovvero da quel centrosinistra che, quando era al governo, avrebbe potuto cambiare la legge Bossi-Fini, ma si è guardato bene dal farlo. (Facendo poi naufragare anche lo Ius soli e la riforma della giustizia penale). L’operazione di criminalizzazione delle Ong, gli accordi con la Libia, la cancellazione del secondo grado di appello per i richiedenti asilo portano la firma del ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd). Salvini è andato ancora oltre con questo decreto sicurezza-immigrazione che abroga la protezione umanitaria e addirittura pretenderebbe di revocare la cittadinanza in
base a soli sospetti o a condanne in primo grado. L’abbiamo scritto e lo ripetiamo, è un provvedimento ingiusto, incostituzionale e disumano. Ed è fuori da ogni realtà mettere Mimmo Lucano in stato di arresto e disporre per la compagna Tesfahun Lemlem il divieto di dimora, dopo aver cercato di mettere in ginocchio la sua buona amministrazione bloccando i fondi pubblici che utilizzava non solo per fare assistenza ma per ricostruire, restaurare, creare lavoro. Per questo il 6 ottobre saremo a Riace in suo sostegno. Sabato è una giornata importante non solo per dire no al razzismo e alla xenofobia oggi al governo in Italia. Ma anche per dire no a un governo che continua a umiliare le competenze e il lavoro proponendo l’elemosina del reddito di cittadinanza condizionato invece di combattere la disoccupazione, un governo che come quello precedente nega il valore della formazione, della conoscenza, delle competenze, preferendo sfruttare il volontariato, promuovendo occasioni di lavoro gratuito (che altro è il reddito di cittadinanza, ribattezzato da più parti reddito di sudditanza?). Il governo giallonero annuncia di aver abolito la povertà, quando in realtà ha criminalizzato i poveri negando il diritto all’abitazione, inasprendo il Daspo urbano (inaugurato da Minniti), imbrigliando la lotta sociale. Un reddito universale come quello che molti Paesi europei hanno attivato sarebbe stato una misura equa, per cominciare. Invece il governo premia i più ricchi con la fiat tax e regala qualche briciola a chi non ce la fa con spregio di quei giovani, che non avendo alternativa studiano e cercano di costruirsi un futuro dovendo intanto appoggiarsi al divano di casa. La realtà alla rovescia: un ministro che non ha mai lavorato davvero se la prende con quelli che a suo dire sarebbero bamboccioni. Concedendo l’elemosina per soddisfare i bisogni primari e negando le loro esigenze di realizzazione personale, sociale e professionale. Gli archeologi, gli storici dell’arte, i musicisti, gli attori e i professionisti della cultura che scendono in piazza a Roma il 6 ottobre hanno investito moltissimo nella propria formazione, hanno talento, capacità. Left è con loro. E una battaglia decisiva, che riguarda tutti.
2 – NUMERI ALLA MANO I dati sono un ottimo modo per analizzare fenomeni, raccontare storie e valutare pratiche politiche. Con Numeri alla mano facciamo proprio questo. Una newsletter settimanale di brevi notizie, con link per approfondire.
PARLAMENTO
– 78%, DELL’AULA FAVOREVOLE Il disegno di legge sulle class action è stato approvato alla camera da una larga maggioranza. Il provvedimento, a prima firma Salafia (M5s), ha avuto zero voti contrari. Tutti favorevoli tranne per le astensioni di Forza Italia, Fratelli d’Italia e due componenti del Misto. Anche Partito democratico e Liberi e uguali hanno votato a favore. Ora il testo passerà al senato. Scopri l’esito della votazione
– LEGGE APPROVATA EREDITATA DAL GOVERNO GENTILONI Finisce il proprio iter uno degli ultimi provvedimenti che il governo Conte ha ereditato dal precedente esecutivo. Si tratta della ratifica congiunta di due trattati internazionali, a prima firma dell’ex ministro degli esteri Angelino Alfano. Largo il fronte del SI, con il 99,2% dei senatori favorevoli. Guarda l’iter dell’atto
– 17mo CAMBIO DI GRUPPO ALLA CAMERA. Vittorio Sgarbi ha lasciato Forza Italia per aderire al gruppo Misto. Ufficialmente alla camera si tratta del 17° cambio gruppo, ma politicamente è solo il terzo. Gli altri 2 hanno visto il passaggio dell’ormai ex deputato Mura dai 5stelle al Misto e quello di Enrico Costa a Forza Italia. Gli altri 14 cambi sono stati più una formalità, dopo la concessione della deroga per la formazione del gruppo parlamentare agli eletti con Leu. Vedi i cambi di gruppo alla camera
– 83,15% , DI VOTI RIBELLI. La fuoriuscita di Sgarbi da Forza Italia era prevedibile analizzando i suoi voti in parlamento. Su 368 votazioni elettroniche a cui ha partecipato, in ben 306 occasioni (l’83% dei casi) non ha seguito la linea di Forza Italia. Nel 97% dei voti in questione si è astenuto.
– 7 su 7, gruppo al senato pubblicano il proprio rendiconto. Anche Forza Italia ha provveduto a rispettare gli obblighi di rendicontazione imposti dal regolamento di Palazzo Madama. Dopo 2 settimane di monitoraggio i gruppi inadempienti hanno finalmente pubblicato le informazioni mancanti. Naviga i siti dei gruppi al senato.

3 – PARLAMENTARI PD ESTERO: GRAZIE, PRESIDENTE MATTARELLA. IL GOVERNO NON SPRECHI LA FORZA DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO.
«C’è nel mondo una grande richiesta d’Italia. L’immagine che del nostro Paese si ha all’estero è migliore – decisamente migliore – di quella che qui, in Patria, talvolta ci rappresentiamo». È uno dei passaggi più significativi del messaggio che il Presidente Mattarella ha affidato alla nuova trasmissione Italia con voi di RAI Italia, aggiungendo: «Voi italiani nel mondo, figli di emigrati o all’estero per motivi di lavoro o di studio, rappresentate autenticamente gli avamposti, i punti avanzati dell’amicizia tra l’Italia e gli altri Paesi. In Italia siamo fieri di voi».

Siamo infinitamente grati al Presidente Mattarella per queste parole di apprezzamento e di riconoscimento, che fanno giustizia, per altro, di ben altre affermazioni di autorevoli esponenti politici e ministri in carica. Sarebbe il caso di riflettere, tuttavia, su quale sia il modo per preservare all’estero una buona immagine dell’Italia e su quale concreto apporto possa essere richiesto agli italiani nel mondo per fare in modo che il credito che essi hanno nelle società di residenza diventi sempre di più una leva fondamentale di presenza dell’Italia nel contesto globale.

La buona immagine all’estero dell’Italia non è piovuta dal cielo, ma è il frutto di una conduzione politico-istituzionale fondata sul rispetto delle regole internazionali, su rapporti costruttivi e leali con i nostri partner storici, sul volto equilibrato, operoso e riformatore che la classe dirigente ha saputo offrire di sé dopo parentesi anche imbarazzanti, sul sostegno al dinamismo delle aziende portatrici del Made in Italy, vero biglietto da visita di un Paese coraggioso e creativo. Tutto il contrario di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi dopo i primi mesi di vita del nuovo governo. Lo diciamo non per polemica preconcetta, ma con un sentimento di preoccupazione vera, sperando che vi siano indispensabili e urgenti correzioni di rotta.

L’altro aspetto riguarda le politiche di spinta all’internazionalizzazione del Sistema Italia, che stanno gradualmente affondando nelle sabbie mobili di un pantano assistenzialistico nel quale la semplice regola del produrre per risanare lo Stato e aprire spazi di lavoro non trova alcuna eco. In questo modo si spreca la grande occasione di milioni di persone che vivono all’estero e che non chiedono altro che incrociare positivamente occasioni e progetti per aiutare l’Italia ad affermarsi.
Grazie, dunque, Presidente, ma ogni giorno di più ci convinciamo che ci sia molto da fare e da cambiare per corrispondere positivamente alle sue nobili indicazioni.
I Parlamentari PD Estero: Garavini, Giacobbe, Carè, La Marca, Schirò, Ungaro

4 – SCHIRÒ (PD): IL MISTERO BUFFO DEL REDDITO DI CITTADINANZA NELLE INTERPRETAZIONI DI DI MAIO
governo giallo-verde, ha anticipato che il reddito di cittadinanza, se mai vedrà la luce, sarà erogato probabilmente tramite la tessera sanitaria e toccherà non solo agli italiani residenti ma anche a “tutti gli stranieri residenti da oltre 10 anni in Italia”.
Poiché si tratta dell’ennesima giravolta, dopo che lo stesso Di Maio aveva annunciato che gli stranieri ne sarebbero stati esclusi, non è azzardato pensare che le cose potranno ancora cambiare. Comunque, proviamo a ragionare su quest’ultima versione.
Il fatto di estenderlo a tutti i residenti da almeno 10 anni serve certamente a superare le difficoltà di ordine costituzionale ed europeo derivanti dalla discriminazione di alcune categorie di persone, in particolare gli stranieri cittadini di stati comunitari e gli stranieri con regolare permesso di soggiorno, tanto più se sono cittadini di paesi che hanno accordi di sicurezza sociale con l’Italia.
Ma se un italiano residente all’estero perdesse il lavoro e rientrasse in Italia e avesse bisogno di ricorrervi? Cosa succede? Prevale il criterio della cittadinanza, anche se posseduta all’estero, o scatta il taglione dei dieci anni di residenza?
E non è l’unico interrogativo. Che cosa accadrà in termini di reciprocità con quei paesi che ai cittadini italiani assicurano, come la Germania, analoghe prestazioni dopo cinque anni, quando vedranno ricambiati i loro cittadini con criteri sostanzialmente ineguali? E che senso ha continuare a fare accordi di sicurezza sociale con paesi disposti a riconoscere situazioni di vantaggio agli italiani quando i loro connazionali si vedranno trattati in questo modo?
Insomma, l’impressione è sempre di più quella di essere nelle mani di una banda di mandolinisti dilettanti che, per ogni corda che toccano, non emettono una sola nota intonata.
Siamo in attesa, comunque, della prossima uscita. Vediamo dove andremo a parare.
On. Angela Schirò Camera dei Deputati, Piazza Campo Marzio, 42, 00186 ROMA, Tel. 06 6760 3193

5 – COSÌ IL BRASILE RISCHIA DI CONSEGNARSI ALLA DITTATURA. Percentuali maggiori di quelle registrate da tutti i sondaggi. Ma in linea con lo scenario che tutti ormai immaginavano e che i voti veri hanno confermato. Adesso iniziano le trattative. Ci sono altri 10 milioni di voti in ballo. Haddad ha già detto che “aprirà a ogni alleanza, nessuna esclusa”.
Bolsonaro ha molto da festeggiare. Snche due suoi figli sono stati eletti al Congresso: uno dei due è diventato anche il deputato eletto con più voti nella storia del Paese, mentre l’altro ha comodamente conquistato un posto al Senato. Bolsonaro avrebbe voluto chiudere la partita subito. Ma ha un’autostrada davanti. Vede già il traguardo. Se verrà eletto sarà il primo ex militare a tornare alla guida del Brasile 30 anni dopo la fine della dittatura. Ma anche il primo esponente di quella vastissima platea delle Chiese Evangeliche di Daniele Mastrogiacomo
– La gente è andata a votare in massa. L’astensione è stata del 22 per cento, registrata soprattutto negli Stati del nord ovest, più isolati e poveri. Rassegnazione e disillusione. Ma il voto elettronico ha consentito di conoscere i risultati tre ore dopo la chiusura dei seggi. I primi dati ufficiali, resi noti poco dopo le 19 di ieri, apparivano clamorosi. Jair Bolsonaro spiccava in testa con il 49,02 per cento. Era a un passo dalla vittoria netta al primo turno. Una percentuale che si è ridotta con il tempo e l’afflusso dei voti che arrivavano soprattutto dagli Stati del nord est, basi elettorali del Pt. Alla fine si è assestato attorno al 47 per cento, mentre Haddad recuperava consensi piazzandosi sul 27 per cento.
– Jair Bolsonaro ha vinto. Ma non ha superato la soglia del 50 per cento dei voti. Se la dovrà vedere al ballottaggio con il candidato del Pt, Fernando Haddad, il leader che ha sostituito Lula nella corsa alla presidenza del Brasile. L’uomo forte del paese, l’ex capitano dell’Esercito, esponente della destra estrema, raggiunge comunque percentuali che nessuno si sarebbe aspettato solo qualche mese fa. Gli elettori lo hanno premiato con il 47, 60 per cento dei voti, oltre 43 milioni di consenso sui 147 iscritti nei registri elettorali. Il suo diretto avversario lo insegue a 20 punti percentuali di distanza (27,97).
– Si confronteranno ancora una volta nella sfida finale il prossimo 28 ottobre. Non sarà facile per l’ex ministro dell’Educazione nei governi Lula e Rousseff e docente di Scienze Politiche all’università di San Paolo. Il successo di Bolsonaro lo costringerà a nuove alleanze con gli altri candidati: Ciro Gomes, del PDT che ha raccolto 12,50 e Geraldo Ackmin, del PSDB, che si è fermato al 4,97.
– Haddad propone unione forze democratiche per battere Bolsonaro al ballottaggio Il secondo turno delle elezioni presidenziali rappresenta “una opportunità inestimabile” di “unire le forze democratiche” del Brasile per una sfida elettorale nella quale sono “in gioco i nostri valori”. Con questo appello a favore di un “progetto amplio e profondamente democratico”, Fernando Haddad ha reagito oggi ai risultati del primo turno delle elezioni, in base ai quali il candidato del Partito dei Lavoratori (Pt) affronterà Jair Bolsonaro (estrema destra) nel ballottaggio del 28 ottobre. In una breve dichiarazione ai suoi militanti in un albergo di San Paolo, Haddad – che ha ottenuto il 28% dei voti, contro il 46% di Bolsonaro – ha ringraziato l’ex presidente Lula da Silva per il suo appoggio e ha detto che si è già messo in contatto con altri candidati della sinistra e del centrosinistra – il laburista Ciro Gome, l’ambientalista Marina Silva e Guilherme Boulous (estrema sinistra)- per preparare la campagna per il ballottaggio. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/bolsonaro-brasile-destra-ottiene-quasi-50-per-cento-ballottaggio-28-ottobre-9c96bbfb-fba3-4a39-86ff-ce2455b7b302.html

6 – IN BRASILE È TEMPO DI «ORGANIZZARE LA SPERANZA» Intervista. Il dirigente del movimento senza terra Ernesto Puhl: «bivio drammatico tra civiltà e barbarie. Ma Haddad può ancora farcela» di Claudia Fanti

Rio de Janeiro, sostenitori di Fernando Haddad con la «L» di Lula e lo smartphone con la scritta «Noi siamo la dimensione dei nostri sogni.
Haddad non è più solo Lula. Haddad è il Brasile democratico, e non solo. Haddad non è la sinistra – che è un’altra cosa -, ma è un argine all’offensiva del capitale, che non ha frontiere, contro la classe lavoratrice, che invece l’estrema destra vorrebbe rinchiudere entro confini sempre più angusti. Haddad è, insomma, una risposta democratica a ogni spinta neofascista, anche in Italia, dove Salvini ha reagito al risultato del primo turno delle elezioni brasiliane come c’era da attendersi: «Il vento sta cambiando ovunque. Non capisco alcuni giornalisti italiani che danno del “razzista-nazista-xenofobo” a chiunque solo perché chiede più ordine e sicurezza per i cittadini».

Bolsonaro è l’espressione tragicomica dell’onda ultraconservatrice che pensa di risolvere tutto mettendo a ferro e fuoco il paese
Sul pericolo rappresentato da Bolsonaro dopo il voto di domenica e sulle prospettive per il paese abbiamo interrogato Ernesto Puhl, dirigente di quel Movimento dei senza terra che, nei suoi oltre 30 anni di lotta, è riuscito a trasformare un esercito di esclusi in un soggetto politico forte, cosciente e combattivo.

Come valuti i risultati del primo turno?
Sono risultati che sorprendono e fanno paura. La società brasiliana si trova di fronte a uno storico bivio – civiltà o barbarie, rilancio della democrazia o ritorno della dittatura -, come non era mai successo dalla ri-democratizzazione del paese. Nel clima di estrema polarizzazione che si respira nella società, l’estrema destra di Jair Bolsonaro ha portato avanti la propria narrazione attraverso le reti sociali, scatenando da lì la sua campagna d’odio a base di fake news. E per questa via è riuscita ad assicurarsi una forte presenza all’interno del Congresso, ottenendo il sostegno delle lobby dei latifondisti, degli evangelici e dell’industria delle armi. La sinistra è stata molto più presente per le strade, tentando di dare visibilità al proprio progetto di paese, ma, pur avendo ottenuto il maggior gruppo parlamentare alla Camera dei deputati, non è riuscita a frenare l’onda fascista nel Sud e nel Centro-Ovest.

Come è possibile che Bolsonaro sia percepito dalla popolazione come un candidato anti-sistema?
Bolsonaro è l’espressione tragicomica dell’onda ultraconservatrice presente nella società brasiliana, quella che pensa di risolvere i problemi del paese mettendolo a ferro e fuoco. Si presenta come il paladino dei buoni costumi e della famiglia tradizionale, come il candidato estraneo alla cricca dei politici corrotti. In realtà è una figura senza contenuti (nei suoi 27 anni di vita parlamentare è riuscito a far approvare appena due progetti), uscita dalle caverne di un passato che sembrava superato. Una marionetta manovrata dalla destra imperialista per servire gli interessi del grande capitale.

La crescita dell’estrema destra è iniziata già durante l’amministrazione di Dilma Rousseff. Sono stati commessi errori che hanno favorito questo fenomeno?
È a partire dalle manifestazioni di protesta del 2015 contro Dilma Rousseff – un effetto della recessione dovuta alla crisi economica internazionale – che ha iniziato a imporsi, dietro la bandiera della lotta alla corruzione, un discorso fortemente conservatore, moralista, antidemocratico e anti-popolare, lanciato dall’élite brasiliana e accolto dalla classe media. Il fatto è che, occupando lo spazio istituzionale, il Pt si è dimenticato di alcune sue bandiere storiche, a cominciare dal compito di formare i militanti, di organizzare la classe lavoratrice, di operare cambiamenti strutturali: la riforma politica, la riforma agraria, la riforma urbana, quella dei mezzi di comunicazione, quella della giustizia.
Ma non è per i suoi limiti che si è scatenata la campagna d’odio contro il Pt, bensì per i suoi successi: per il fatto di aver costruito il più grande programma di politiche sociali mai registrato nella storia del Brasile.

Perché, allora, anche tra i settori popolari ha fatto breccia il discorso di Bolsonaro?
I governi del Pt hanno puntato sulle politiche pubbliche, sulla crescita dei livelli di consumo e sullo sviluppo del mercato interno, sulla base di un modello di conciliazione di classe che ha portato grandi vantaggi anche al settore finanziario, a quello dell’agroindustria e a quello delle infrastrutture. Nel portare avanti questo progetto, però, il Pt ha rinunciato alla lotta di classe, trascurando la formazione politica, ideologica e culturale della popolazione brasiliana. Con conseguente de-ideologizzazione della società. Fan della dittatura militare e delle fake news, al primo turno Jair Bolsonaro ha preso il 46%

Se Haddad riuscisse nell’impresa di capovolgere il risultato del primo turno, quanti margini avrebbe per governare?
La priorità è ora vincere il ballottaggio per scardinare l’offensiva del capitale contro la classe lavoratrice, bloccando il tentativo, in atto ovunque nel mondo, di scaricare sui lavoratori i costi della crisi internazionale.
Haddad può ancora farcela, ma quale governo potrebbe nascere con un Congresso tanto reazionario?
La sfida è quella di costruire la governabilità sulla base di una concezione di democrazia partecipativa, in maniera che il popolo si senta parte di un progetto che ha contribuito a elaborare. Bisogna combattere le espressioni conservatrici e fasciste all’interno della società ristabilendo lo Stato democratico di diritto, recuperando la sovranità sulle risorse naturali e sulle fonti energetiche. E questo è possibile farlo solo mobilitando il popolo in difesa del progetto democratico popolare.

Qual è in tutto ciò il ruolo dei movimenti sociali?
Nella resistenza contro quest’onda neofascista i movimenti popolari, i settori più progressisti delle chiese, i sindacati sono chiamati a dare una risposta all’altezza della sfida che il paese si trova ad affrontare, organizzando la società e facendo formazione. Se non dialoghiamo con il popolo nei quartieri, per le strade e nelle reti sociali, uscendo dalla bolla in cui raggiungiamo solo chi è già convinto, non riusciremo a sconfiggere il fascismo e a disputare l’egemonia nella società.

Perché chi è che sta occupando lo spazio delle periferie?
Sono gli evangelici. È la Rede Globo, che arriva tutti i giorni nelle case della popolazione. Noi di sinistra abbiamo bisogno di riprenderci questo spazio che abbiamo abbandonato. Secondo le parole del poeta Pedro Tierra, dobbiamo,
«ORGANIZZARE LA SPERANZA, GUIDARE LA TEMPESTA, ROMPERE I MURI DELLA NOTTE

7 – L’ON. LA MARCA INCONTRA A ROMA IL VICE PRESIDENTE DEL COMITES MESSICO E PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE “AMICI D’ITALIA” DI GUADALAJARA.
L’On. Francesca La Marca ha ricevuto a Roma il Dr. Dino Poli, Vice Presidente del COMITES Messico e Presidente della Fondazione “Amici d’Italia” di Guadalajara.
Il Presidente Poli ha illustrato gli scopi della Fondazione da lui creata 12 anni fa, consistenti nella promozione dell’immagine dell’Italia, nella diffusione della lingua e della cultura di origine e nel dialogo tra gli italiani presenti nell’area metropolitana di Guadalajara.
Tra le più significative attività svolte, i corsi di lingua italiana organizzati gratuitamente nelle scuole locali, che si giovano anche del servizio di certificazione realizzato con l’Università per stranieri di Siena, la partecipazione con il padiglione “Italia” alla fiera del libro che si svolge nella città messicana, tra le più importanti dell’America Latina, il programma radiofonico “Finestra italiana”, che sarà presto affiancato da un analogo programma televisivo.
Nel corso dell’incontro, una particolare attenzione è stata rivolta allo stato dell’insegnamento della lingua e della cultura italiana in Messico e alle possibilità di sviluppare ulteriormente i livelli raggiunti nelle maggiori località.
Il Presidente Poli, nel corso del cordiale colloquio, ha auspicato una maggiore apertura delle istituzioni italiane verso il tessuto associativo, composto in genere da soggetti che rendono gratuitamente e con entusiasmo un servizio all’Italia e agli italiani.
L’On. La Marca, a sua volta, si è felicitata per i risultati raggiunti dalla Fondazione e ha ringraziato l’interlocutore per il contributo che fornisce all’intera comunità italo-messicana e agli italiani di Guadalajara, un servizio tanto più apprezzabile in quanto prestato sulla base di esclusivo volontariato e benevolenza.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.
Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

8 – LA MARCA (PD) INTERVIENE NELLA COMMISSIONE ESTERI DELLA CAMERA SUI PROBLEMI DI PIÙ FORTE INTERESSE DELLE COMUNITÀ ITALIANE. In occasione dell’audizione dell’Ambasciatrice Elisabetta Belloni, Segretaria generale della Farnesina, sullo stato della spesa e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa svolta dal ministero degli Affari esteri, avvenuta presso la commissione Esteri della Camera, l’On. Francesca La Marca è intervenuta sollevando alcune questioni di maggiore sensibilità per gli italiani all’estero.
La parlamentare, dopo avere espresso alcune riserve sulla chiusura delle sedi all’estero avvenuta alcuni anni fa, in considerazione anche del confronto con altri Paesi europei, come la Francia e la Germania, che investono di più pur avendo una diaspora molto inferiore a quella italiana, ha chiesto di bloccare la vendita degli immobili che il MAECI persegue, con particolare riferimento alle situazioni di Toronto, Zurigo e Lucerna.

Ha esortato, inoltre, a non regredire nella prossima legge di bilancio nei finanziamenti da indirizzare ai COMITES, contributi reintegrati solo da un anno, anche per consentire a questi organismi di base di assicurare un sostegno adeguato ai protagonisti della nuova emigrazione.
La Marca ha poi sollecitato la continuità nelle assunzioni del personale di ruolo, dopo il primo passo compiuto lo scorso anno, dopo che in un decennio l’organico a disposizione è diminuito di un terzo, trovando un’eco positiva nelle parole di replica della segretaria della Farnesina.
La parlamentare, infine, ha auspicato un maggiore sostegno finanziario e di attrezzature ai consoli onorari, oggetto da anni del suo impegno parlamentare, che rendono un servizio molto utile per decongestionare i consolati maggiori e assicurano un dialogo di prossimità con comunità disperse in ampie aree territoriali.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.
Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

9 – Riflessioni sull’insuccesso della Fincantieri nella gara d’appalto per la costruzione di nove fregate per la Royal Australian Navy. Abbiamo ricevuto l’articolo che segue con la richiesta di diffusione.
http://ilglobo.com.au/news/40576/riflessioni-sullinsuccesso-della-fincantieri-nella-gara-dappalto-per-la-costruzione-di-nove-fregate-per-la-royal-australian-navy/#
Riflessioni sull’insuccesso della Fincantieri nella gara d’appalto per la costruzione di nove fregate per la Royal Australian Navy. By Damiano Damiani
La delusione della Fincantieri per non essersi aggiudicata la gara di appalto del valore di 23,5 miliardi di euro per la costruzione di nove fregate per la Royal Australian Navy è comprensibile e, data l’assoluta competività dell’offerta presentata dal gigante navalmeccanico italiano, solleva domande sui rapporti dell’Australia con l’Italia.
Nel sito del ministero degli Esteri australiano, alla voce ‘rapporti con l’Italia’, si legge testualmente: «As two highly developed and complementary G20 economies with robust international engagement and enduring people-to-people ties, Australia and Italy share a warm relationship with much scope for expansion. […] Italy and Australia cooperate on security issues, such as terrorism, and help build security capacity in countries like Iraq and Afghanistan. Australia and Italy are among relatively few countries with the know-how and ambitions to collaborate in the world’s key astrophysics and space projects, such as the Square Kilometre Array (the world’s biggest radio telescope)».
Questa lusinghiera descrizione dei rapporti tra i due Paesi è scarsamente corroborata dai fatti. Ciò non vuol dire che non esistano esempi di cooperazione nei campi menzionati nella nota sopracitata, ma sono minimamente significativi se paragonati a quelli esistenti fra Australia e Germania (estesamente articolati nella “Berlin-Canberra Declaration of Intent on a Strategic Partnership” siglata nel 2012) e fra Australia e Francia (anch’essi oggetto di un esteso accordo, il “Joint Statement of Enhanced Strategic Partnership between Australia and France” stipulato nel 2017).
In base a tali accordi, l’azienda francese Naval Group si è già assicurata la commessa per la costruzione della nuova flotta di sottomarini della Marina australiana e la tedesca Luerssen è in trattative avanzate per realizzare motovedette per il pattugliamento costiero.
Per non parlare dell’ampiezza dei rapporti che legano l’Australia al Regno Unito formulati nel cosiddetto “Aukmin – Joint Action Plan” e intensificati nel luglio scorso in vista dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.
La partecipazione della Fincantieri alla suddetta gara di appalto, per quanto – come detto – altamente competitiva, partiva pertanto svantaggiata rispetto alla sua principale avversaria, la britannica Bae Systems.
Lo confermano le iniziative intraprese dalla Fincantieri per compensare lo svantaggio, come l’apertura di un ufficio di rappresentanza a Canberra, l’impegno a realizzare un centro di manutenzione per navi da crociera di cui l’Australia è sprovvista e la stipula di un accordo preventivo con i sindacati australiani di settore che gli stessi sindacati avevano definito una “pietra miliare” e tale da rivitalizzare l’industria manifatturiera del Paese, dotandolo di una “capacità sovrana” nel campo delle costruzioni navali. Nell’intesa erano stati trattati aspetti come l’uso della tecnologia, l’applicazione delle moderne pratiche di shipbuilding e l’investimento in una forza lavoro altamente qualificata, temi rispetto ai quali i firmatari si erano impegnati ad avere un “approccio cooperativo”.

Ciò nondimeno, alla fine ha prevalso l’offerta di Bae Systems che è la seconda più grande impresa di difesa del mondo e alla quale fanno capo due imprese sussidiarie: la Bae Systems Inc., che opera negli Stati Uniti, e la Bae Systems Australia. In effetti, è la Bae Systems Australia che ha ufficialmente partecipato alla gara di appalto, un aspetto, anche questo, che ha giocato a sfavore della Fincantieri.
La prospettiva che Bae Systems fosse favorita era stata indirettamente riconosciuta dal segretario generale della Difesa italiana, il generale Carlo Magrassi, che, lo scorso marzo – tre mesi prima dell’aggiudicazione della gara, durante un incontro con una delegazione di dirigenti di aziende australiane impegnate nel settore della difesa – aveva cercato di “sdrammatizzare” la contesa dichiarando che Fincantieri e Bae Systems avrebbero potuto lavorare assieme alla costruzione delle nove fregate. A conferma di ciò, il generale aveva menzionato che il governo italiano e quello britannico erano in trattative per la costruzione di un “Airbus del mare” tramite la collaborazione dei loro due colossi navalmeccanici.
«Quindi il nostro messaggio è questo… – aveva affermato il generale Magrassi –: L’Italia è più che lieta di cooperare con il Regno Unito». Invece di portare acqua al mulino della Fincantieri, tali dichiarazioni hanno avuto l’effetto opposto nonostante la Fincantieri sia subito corsa ai ripari chiarendo che non esistevano colloqui con Bae Systems e reiterando che le due compagnie erano in diretta concorrenza. Chiarimento che è stato ribadito anche da un portovoce di Bae Systems.
Che il governo britannico abbia svolto un ruolo determinante nell’esito della gara di appalto è confermato dalle dichiarazioni del primo ministro Theresa May all’indomani dell’annuncio della vittoria da parte di Bae Systems.
“La portata e la natura di questo contratto – ha detto la signora May – collocano il Regno Unito all’avanguardia della progettazione e ingegneria marittima e dimostrano l’efficacia della stretta collaborazione tra l’industria e il governo di questo Paese. Abbiamo sempre sostenuto che con l’uscita dalla Ue avremmo avuto l’opportunità di sviluppare più stretti rapporti con i nostri alleati come l’Australia. La conquista di questo contratto è un perfetto esempio di come il governo stia esattamente realizzando questo proposito”.

È realistico immaginare che se la Fincantieri avesse gareggiato ad armi pari con Bae Systems con tutta probabilità si sarebbe aggiudicata la commessa.

Le fregate di classe FREMM (Fregate europee multi-missione) della Fincantieri, infatti, anche se di recente progettazione, sono già ampiamente collaudate nel ruolo specifico di lotta antisommergibili. La Fincantieri, come grande costruttore di navi militari e commerciali, offriva le maggiori opportunità per l’industria australiana, grazie all’accesso alla sua catena globale di forniture.
Inoltre, la capacità degli hangar delle fregate di classe FREMM, che possono alloggiare due elicotteri antisommergibili Seahawk, era una delle grandi attrattive dell’offerta italiana. L’offerta della britannica BAE Systems, il Type 26 Global Combat Ship era il design più innovativo ma anche l’opzione meno provata, dato che ancora non è stata completata neanche un’unità. La sua performance è basata su proiezioni che, in quanto tali, non garantivano un’assoluta certezza. Era pertanto l’opzione più rischiosa e anche di più lunga attuazione. Si prevede, infatti, che occorrerà una decina di anni prima che l’Australia possa dotarsi delle nuove fregate, ammesso e non concesso che non subentrino problemi tecnici durante la lunga fase di costruzione.
Esistono altre considerazioni di carattere politico generale, oltre alla mancanza di una visione strategica nei rapporti con l’Australia cui consegue una scarsa produzione di accordi bilaterali e di momenti d’incontro bilaterale. I prossimi mesi saranno decisivi per capire non solo l’orientamento del governo italiano in rapporto al futuro dei trattati sul libero scambio ma anche sul futuro dell’Unione europea.

In ambito extra-Ue, infatti, l’Australia ha già un interlocutore privilegiato in Europa: il Regno Unito.
Se l’Unione europea dovesse subire un rallentamento sia nella costruzione di un’area di libero scambio con l’Australia che nel rafforzamento della propria area d’influenza nell’Asia-Pacifico, le conseguenze potrebbero essere negative anche per altri Paesi Ue.
Le difficoltà nei rapporti con la Cina, in sostanza, potrebbero rappresentare una grande opportunità di cui si avvarrebbero esclusivamente Stati Uniti e Regno Unito.

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