18 09 22 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ ESTERO ALTRE COMUNICAZIONI

1 – Se la sinistra fosse bella
2 – Schirò (pd): estendere gli accordi bilaterali di sicurezza sociale ai dipendenti pubblici 3 – a dieci anni dalla grande crisi 14 settembre 2018. Crack Lehman: «Abbiamo salvato le banche per salvare l’America3 –

3 – A dieci anni della grande crisi.

4 – Il Pd, la sinistra e la responsabilità dinanzi al rischio dell’irrilevanza politica. Di Alfiero Grandi.

1 – SE LA SINISTRA FOSSE BELLA
Siamo in un’epoca che si dice essere post ideologica. I populisti e i sovranismi avrebbero preso il posto delle ideologie e della storia che ha dato luogo alla formazione di quello che ancora oggi si chiamano destra e sinistra. In realtà, come avete più volte letto su Left, noi sosteniamo che i populismi e i sovranismi sono sempre ideologie e politiche di destra. La destra e la sinistra, gli opposti contrari, come se fossero le due polarità che può avere la carica elettrica, e il centro a porsi come mediazione, come la scelta per chi pensa di non scegliere. Destra e sinistra derivano il loro nome dalla posizione che assunsero i gruppi politici nell’assemblea degli Stati Generali del maggio 1789 in Francia quando i radicali presero il posto a sinistra del presidente. La cosa poi si ripropose dopo la Rivoluzione francese nell’Assemblea nazionale dove le componenti più rivoluzionarie sedevano a sinistra e a destra erano le componenti conservatrici e monarchiche.
La differenza di fondo tra destra e sinistra è la differente concezione della realtà degli esseri umani. Da questo evidentemente poi discende una differente politica che ne è l’ovvia conseguenza. La politica in altre parole non è amministrazione ma è pensiero sulla realtà umana che si fa azione. Allora se un partito di destra pensa che l’essere umano nasca come creta da plasmare tenderà a stabilire che la scuola
debba fare “educazione” perché è necessario formare un’identità che altrimenti non ci sarebbe. Una forza politica di sinistra invece pensa (dovrebbe pensare) che l’essere umano nasca con una propria identità che va accompagnata e stimolata nella sua crescita, nel senso di dare strumenti con cui l’individuo possa confermare e sviluppare la propria identità. La prima forza politica penserà che essendo il bambino tavoletta di cera e quindi sostanzialmente materia inanimata o nella migliore delle ipotesi uno strano animale, sia permesso e consigliato usare la costrizione e la violenza per educarlo. Se poi egli diventerà violento a sua volta questo non farà altro che confermare la natura originariamente violenta dell’essere umano.
La seconda forza politica potrebbe invece pensare che il bambino ha un’identità dalla nascita e quell’identità si deve sviluppare nel rapporto con gli altri.
Altri che gli confermeranno la sua certezza dell’esistenza degli altri e dell’idea del rapporto con gli altri. Gliela confermeranno con un rapporto che è gioco d’amore e di realizzazione senza alcun fine materiale. Egli certamente non diventerà violento anche se forse diventerà un ingenuo che non comprenderà il perché alcuni esseri umani sono violenti con gli altri.
La sinistra purtroppo non ha idee chiare su ciò che la distingue, o la dovrebbe distinguere, dalla destra.
E quando questa differenza c’è non si ha nessuna idea del perché, o si hanno idee molto deboli, facilmente attaccabili. È utile pensare a due parole che si legano da sempre alle vicende politiche della destra e della sinistra. Sono le parole libertà e uaglianza. Entrambi gli schieramenti dicono che la politica ha lo scopo di realizzare le condizioni per la libertà. La differenza sta nel concetto di uguaglianza e nel significato che viene di conseguenza attribuito alla parola libertà. Per la destra, la libertà è un valore assoluto, non discutibile. L’unico limite è razionale, per cui la libertà di ognuno finisce dove inizia quella dell’altro. È un limite razionale imposto dalla legge. Per la destra, se non ci fosse la legge varrebbe la legge del più forte. Non esiste un concetto quindi di libertà giusta o sbagliata ma un concetto di libertà assoluta, senza limiti. I limiti si pongono solo per convenienza razionale nell’azione fisica che non dovrebbe travalicare il confine del benessere fisico degli altri. Ma non c’è alcun limite alla libertà di esercitare altro tipo di costrizione e violenza verso gli altri.
Per la sinistra, invece, il concetto cardine è l’uguaglianza. Questa però viene intesa essenzialmente come uguaglianza nella soddisfazione dei bisogni e nell’affermazione dei diritti, siano essi civili o umani. Non è stato mai pensato e ipotizzato a sinistra che essa uguaglianza sia invece una caratteristica legata alla nascita, come teorizzato da Fagioli in Istinto di morte e conoscenza. Non è una questione di “uguali condizioni di partenza” perché questa idea può nascondere l’idea del bambino come tavoletta di cera. È un’idea di pensiero umano che si forma per tutti con la stessa dinamica. Alla nascita cioè il Dna scompare, non ha più nessuna importanza per la realizzazione dell’essere umano che è nato.
La cosa che potrebbe essere bella da proporre ad una sinistra nuova è l’idea che la libertà sia figlia dell’uguaglianza. Senza la rivendicazione dell’uguaglianza originaria non ci può essere libertà.
L’uguaglianza non può essere però pensata solo come uguaglianza dei bisogni, ossia uguaglianza materiale. Deve essere uguaglianza delle esigenze, ossia di quella realtà non-fisica che è caratteristica di ogni essere umano, sia esso ricco o povero, nero o bianco, alto o basso, donna o uomo, bambino o adulto. La vita umana ha un inizio e una fine. Accettarne la fine significa accettarne l’origine materiale del suo inizio. Accettarne l’inizio significa liberarsi di ogni idea di razza e di superiorità di nascita o di stirpe. La libertà che ne deriva è una libertà che non ha bisogno di definirsi come ciò che finisce dove inizia la libertà altrui. È più semplicemente un pensiero e una realizzazione di proprie possibilità, ognuno nel suo modo unico e particolare, che ha rapporto con gli altri esseri umani e quindi non ha nessuna possibilità di essere violenta. È una libertà piena perché non c’è necessità di obblighi morali.
Così come non c’è bisogno di stabilire per legge che la terra gira intorno al sole non c’è bisogno di stabilire per legge l’uguaglianza.
È una realtà. Pensarlo è la realtà. Pensare che non sia vero è delirio e non è libertà. Perché la libertà è prima di tutto libertà del pensiero, fantasia, che ha rapporto con la realtà umana. La destra ha solo un’idea di essere umano come realtà materiale. Questo la rende stupida e violenta. Se la sinistra fosse bella avrebbe un’idea di esseri umani che nascono uguali e si realizzano diversi e liberi. Purtroppo la sinistra è spesso brutta… Dimentica se stessa e le lotte di liberazione ne hanno fatto la storia. E allora diventa stupida e rischia di perdere se stessa e diventare anch’essa destra. La frase di Fagioli «La libertà è l’obbligo di essere manifesto per la sinistra bella che verrà. ( da Left di Matteo Fago )

2 – SCHIRÒ (PD): ESTENDERE GLI ACCORDI BILATERALI DI SICUREZZA SOCIALE AI DIPENDENTI PUBBLICI . In una recente interrogazione ai Ministeri del Lavoro e degli Affari Esteri da me presentata e sottoscritta dai colleghi Ungaro, Carè e La Marca, abbiamo rilevato che la soppressione dell’Inpdap e la conseguente attribuzione delle relative funzioni all’Inps rende necessario uniformare i criteri di accesso degli assicurati alle prestazioni in regime internazionale, includendo nel campo di applicazione soggettivo anche i dipendenti pubblici e i liberi professionisti.
L’estensione a tali soggetti dell’applicabilità delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale è una pressante e annosa rivendicazione delle nostre collettività residenti all’estero. Infatti a causa di tale grave e incomprensibile disparità di trattamento con gli altri lavoratori e alla inazione delle autorità competenti, i dipendenti pubblici e i liberi professionisti italiani i quali sono emigrati o emigrano nei Paesi extracomunitari sono stati e sono esclusi da ogni forma di tutela previdenziale convenzionale e non possono utilizzare i contributi versati in Italia sia per ottenere una prestazione italiana sia una prestazione estera in regime di convenzione. Tuttavia dal gennaio 2012 l’INPDAP non esiste più, ma tutte le sue funzioni e competenze sono state trasferite all’INPS e le tutele previdenziali dell’Inps si applicano anche ai lavoratori subordinati del settore pubblico, attraverso una speciale gestione che fa capo all’INPS (ex INPDAP) .
Nell’interrogazione chiediamo quindi ai Ministeri competenti se, visto che il combinato disposto delle previsioni delle convenzioni bilaterali e delle norme di soppressione dell’Inpdap ora lo consente, non ritengano giuridicamente giusto e opportuno dare disposizioni alle autorità competenti della gestione e applicazione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale affinché anche i dipendenti pubblici e i liberi professionisti siano considerati rientranti nel campo di applicazione di tali accordi senza dover ricorrere alla modifica di ogni singola convenzione.
On. Angela Schirò
Camera dei Deputati

3 – A DIECI ANNI DALLA GRANDE CRISI 14 settembre 2018. Crack Lehman: «Abbiamo salvato le banche per salvare l’America»
In una situazione da allarme rosso si arriva al fine settimana. Tutti i maggiori banchieri di Wall Street sono convocati alla sede della Federal Reserve di New York al cospetto del segretario al Tesoro Henry Paulson per trovare una soluzione. Non solo per Lehman Brothers ma anche per un altro colosso finito nei guai per colpa dei subprime: Merrill Lynch. Ma se per quest’ultima una soluzione si trova grazie all’intervento di Bank of America, per Lehman non ci sono compratori
Ai primi di settembre del 2008, quando ancora Lehman Brothers è in piedi, la prima piazza finanziaria mondiale, Wall Street, si è già abbondantemente leccate le ferite di una crisi, quella dei mutui subprime, che ha messo in crisi istituzioni fino a quel momento considerate più che solide. A marzo la banca di investimento Bear Sterns è riuscita a evitare la bancarotta solo grazie al salvataggio di Jp Morgan con la garanzia della Fed. A luglio, per la prima volta dal 1929, si sono viste le code dei correntisti davanti allo sportello della californiana IndyMac Bank.
La situazione precipita tra la fine di agosto e i primi di settembre. Il governo americano mette in atto un clamoroso salvataggio delle agenzie Fannie Mae e Freddie Mac che da sole garantiscono metà dei 12mila miliardi di dollari di mutui in circolazione. Ma la mossa non riesce a calmare gli investitori. Sul mercato si crea un clima di diffusa sfiducia dettata dall’incertezza sul reale stato di salute di controparti finanziarie diventate improvvisamente colossi dai piedi d’argilla.
LEHMAN BROTHERS, STORIA DI UN SOGNO FINITO IN UN CRACK
Il grande business dei mutui subprime, e tutto il gigantesco corollario fatto di derivati, cartolarizzazioni e complessi prodotti dell’ingegneria finanziaria, si rivela per quello che è: un gigantesco castello di carte. Che inizia a crollare un pezzo alla volta. E chi più di altri ci ha lucrato è il primo ad essere oggetto di speculazioni finanziarie. Tra questi c’è la quarta banca d’investimento degli Stati Uniti: Lehman Brothers.
L’istituto già nel secondo trimestre 2008 ha registrato svalutazioni «monstre» sui titoli illiquidi a bilancio con un impatto pesante sui conti zavorrati da un rosso da 2,7 miliardi di dollari. Ma si ipotizza che sia solo la punta dell’iceberg. Alcuni analisti stimano che nel bilancio delle banca ci sia qualcosa come 65 miliardi di dollari di titoli illiquidi. Per una banca che, ai suoi massimi storici, è arrivata a capitalizzarne 45, sono numeri colossali.
Per tutta l’estate si parla di ristrutturazioni, maxi-cessioni e trattative con possibili compratori. Il nome che circola è quello della Korea Development Bank che però il 9 settembre si sfila provocando il collasso (-45%) del titolo Lehman in Borsa. Il giorno successivo la banca pubblica i peggiori conti della sua storia: nel terzo trimestre il rosso è pari a 3,9 miliardi di dollari. Il doppio di quanto atteso dal mercato. La capitalizzazione della società, che a inizio 2008 viaggiava intorno ai 35 miliardi di dollari, sprofonda a 2,5.

visto che anche l’ultimo possibile cavaliere bianco, la britannica Barclays, si sfila. Non ci sono alternative al “Chapter 11”. Lunedì 15 i mercati riaprono con la quarta banca d’investimento in stato di insolvenza e si scatena il panico.
Le conseguenze dell’effetto domino sui mercati globali sono devastanti. Pochi giorni dopo la Fed è costretta mettere sul piatto 85 miliardi di dollari per nazionalizzare il colosso assicurativo AIG che rischia di implodere sotto il peso dei miliardi di cds venduti agli investitori in tutto il mondo. Ormai nessuno si fida più di nessuno. I tassi interbancari schizzano a livelli record in tutto il mondo. È l’inizio della peggior crisi finanziaria che il mondo ricordi dai tempi del crack del 1929. Una crisi le cui ripercussioni si faranno sentire immediatamente sull’economia reale con la recessione globale del 2009 e la crisi dell’euro del 2010-2012.
Un baratro da cui l’economia mondiale riuscirà a uscire solo con interventi straordinari da parte degli Stati (nazionalizzazioni di banche e piani di risanamento dei bilanci bancari) e delle banche centrali (tassi zero e Quantitative easing).

4 – ALFIERO GRANDI. IL PD, LA SINISTRA E LA RESPONSABILITÀ DINANZI AL RISCHIO DELL’IRRILEVANZA POLITICA.. ALFIERO GRANDI. IL PD, LA SINISTRA E LA RESPONSABILITÀ DINANZI AL RISCHIO DELL’IRRILEVANZA POLITICA. CONTINUA UN TORMENTONE – PURTROPPO INCONCLUDENTE – sulla sinistra, di cui fa parte a pieno titolo la recente posizione di Veltroni che in sostanza propone di tornare alle (sue) origini, cioè – guarda caso – alla radice della crisi del Pd. Ritenere di affrontare la crisi pienamente politica, perfino di significato, del Pd senza andare alla radice dei problemi è un’illusione che non può che peggiorare la crisi già in atto, già sufficientemente grave. Nella versione migliore il Pd delle origini avrebbe dovuto garantire al governo di centrosinistra (in particolare a Prodi) un’autonomia politica dalle tensioni tra i partiti che avevano dato vita all’Ulivo. Nella versione peggiore avrebbe dovuto garantire una vera e propria autosufficienza (la vocazione maggioritaria) che infatti appena teorizzata, proprio da Veltroni all’epoca segretario del Pd, fece precipitare all’inizio del 2008 la crisi del secondo governo Prodi, non appena gli alleati minori capirono che per loro non poteva esserci futuro, al di là delle alleanze di volta in volta strumentali. Per questo è poco credibile che proprio chi ha dato origine a questa deriva del Pd possa risolvere la crisi attuale, visto che non c’è nel ragionamento la condizione indispensabile di un ripensamento politico, ma solo una critica a chi è venuto dopo, Renzi in particolare, quasi si trattasse solo di mettere sotto accusa le sue esagerazioni, degenerazioni, i suoi errori. Questi ci sono certamente per carità, ma non spiegano tutto.

L’interesse per quanto accade nel Pd è inevitabile

L’interesse per quanto accade nel PD è inevitabile anche da parte di chi non ne ha condiviso la scelta originale, né tantomeno ne ha mai fatto parte. Per la semplice ragione che, essendo tuttora il Pd la forza maggiore che potrebbe fare parte (tutto? in parte?) di uno schieramento di sinistra, è del tutto evidente che anche chi ne sta fuori non può non interessarsi all’esito della sua crisi. I vuoti in politica non esistono se non per consentire ad altri di riempirli e l’esperienza dimostra che finora nessuno a sinistra è riuscito a beneficiare dell’arretramento elettorale del Pd. Purtroppo si rischia l’irrilevanza contemporanea di tutti. In sostanza ha ragione chi sottolinea, come Franco Monaco, che la crisi del PD non è iniziata con Renzi, con i voti perduti, con la sconfitta al referendum ma da quando sono state accese speranze poi disattese e presi impegni non rispettati. Questo non a caso, ma per la subalterna accettazione dei parametri dominanti, altrimenti detto pensiero unico. Il salto di qualità di Renzi sta nella tronfia spudoratezza di pensare di non dovere nemmeno tentare di rispettare gli impegni presi in precedenza e di poter costruire un vero e proprio sistema di potere personale, occupando il Pd con i propri e fedeli sodali. Senza fare i conti con la crisi del PD, chiarendo che il renzismo ne è solo la fase suprema, non si andrà lontano. Cacciari ha ragione, Renzi si è dimesso non è stato dimissionato e per questo sembra in grado ora di fare il Ghino di Tacco, bloccando l’imbocco di nuove strade, cioè una vera e propria svolta politica. Questo porta il Pd alla paralisi, all’incapacità di scegliere. Non solo il Pd non ha mai fatto una seria analisi delle gravi sconfitte subite, ma non sembra in grado di andare oltre l’attesa della crisi dell’attuale maggioranza, confermando così in realtà la gravità della sua crisi. Per correggere è indispensabile capire cosa è accaduto. Altre volte in passato, dopo una sconfitta, a sinistra c’è stata una fase di impasse, durata anche a lungo, ma mai c’è stata contemporaneamente la necessità di reagire alla sconfitta e insieme di cambiare radicalmente orizzonte politico, come impone la situazione attuale.

La situazione attuale impone scelte radicali

Giorgetti ha detto sprezzante che oggi non c’è opposizione e che quindi la maggioranza gialloverde si fa l’opposizione da sola (si riferiva a Fico). Questa affermazione non va sottovalutata. Questa volta riprendersi dalle sconfitte e imboccare una svolta politica di fondo vanno insieme. La radicalità delle scelte è imposta dalla situazione attuale, di cui l’esito elettorale del 4 marzo è un passaggio chiave. L’allontanamento degli elettori dal Pd, senza peraltro fermarsi su altri soggetti della sinistra, non è stato determinato da questioni di poco conto ma da una critica di fondo, quasi una ribellione. Per questo occorre mettere in discussione la subalternità al pensiero unico dominante, fino a rendere chiaro che le differenze in campo sono politiche, non tecniche, mettendo fine al periodo infausto in cui ha prevalso l’idea che destra e sinistra fossero ormai superate, che è in realtà una storica posizione della destra che non vuole cambiare. La sinistra ha senso e forza se è alternativa alla destra, all’azione delle classi dominanti italiane, legate a quelle dominanti nella globalizzazione. Avere insistito lungamente che lo stato nazionale è superato, senza essere in grado di proporre un’alternativa di governo dei processi, che il mercato è tutto e il pubblico deve semplicemente ritrarsi dall’economia, ha solo sguarnito l’azione della sinistra e lasciato campo libero alla reazione nazionalista, al sovranismo, ai dazi, alle chiusure verso l’esterno che oggi hanno un ruolo mai visto prima, paradossalmente a danno delle stesse classi dominanti che hanno voluto una globalizzazione senza regole. Ha ragione chi oggi sottolinea che potremmo ricadere nella crisi perché non sono stati presi i provvedimenti di regolazione indispensabili, come avvenne dopo la crisi del 1929. Perfino i bit coin operano del tutto senza regole.

La sconfitta al referendum del 4 dicembre 2016 punto di partenza per la correzione di rotta

La correzione politica deve partire dal referendum del 4 dicembre 2016. Senza una correzione di fondo del giudizio, sia pure ex post, resterà un solco profondo con quella parte maggioritaria del paese che ha detto No e per fortuna in questa c’è una parte importante del mondo della sinistra e liberale. Già nel 2011 la sinistra e il Pd furono incapaci di intestarsi i risultati referendari, mentre lo fece Grillo visto che altri non li rivendicavano; eppure anche il Pd aveva contribuito a quella vittoria, che – va ricordato – è stata l’avvio della crisi del governo Berlusconi, cioè di una maggioranza parlamentare con margini mai visti prima. Purtroppo vi fu incapacità di capire le potenzialità di un movimento referendario che aveva mobilitato due milioni di persone. Nel 2016 il governo del Pd è stato addirittura lo sconfitto e quindi la situazione è oggi molto più grave del 2011. Nel 2011 il Pd non fu capace di gestire il suo ruolo nella vittoria mentre dopo il 4 dicembre 2016 è stato incapace di fare i conti con una gravissima sconfitta. Renzi ha brandito la rottamazione e tentato lo stravolgimento della Costituzione, suggerito dai poteri forti che vogliono chiudere il capitolo storico delle costituzioni antifasciste in Europa, a partire da quella italiana. Il risultato della gestione di Renzi è che la rottamazione la gestiscono altri, più credibili nel cavalcare l’ondata nuovista. Inoltre Renzi ha pensato bene di individuare in Salvini l’avversario più adatto e lo ha usato come spauracchio convinto che così gli elettori avrebbero votato per lui. Con il bel risultato che oggi Salvini è diventato un serio problema politico e democratico anche grazie a Renzi. Del resto era già accaduto con Berlusconi, più volte nella polvere eppure resuscitato da avversari compiacenti quanto miopi, compreso Renzi con il patto del nazareno. In sostanza la rincorsa a destra del Pd ha finito con il contribuire alla ripresa della destra.

La sinistra: riguadagnando credibilità sul terreno costituzionale potrebbe contrastare la deriva populista

Riguadagnando credibilità sul terreno costituzionale tutta la sinistra potrebbe contrastare con la forza necessaria la deriva presidenzialista, autoritaria e accentratrice che è nell’aria e su cui esiste il pericolo che si avventuri anche la maggioranza giallo-verde. La posta in gioco è la qualità della democrazia italiana. Democrazia non è un voto, tanto meno un plebiscito ogni 5 anni, ma una dialettica viva, piena e partecipata, non escludente, e le elezioni servono a definire i rapporti di forza tra i competitori politici. Costituzione e democrazia viva sono le due premesse da cui partire, di cui è parte integrante una legge elettorale che consenta ai parlamentari di tornare ad essere veramente i rappresentanti dei cittadini che li debbono potere scegliere, altrimenti il parlamento non uscirà dalla attuale crisi di credibilità e cambierà in peggio la qualità della democrazia. Del resto non a caso ci sono apprendisti stregoni che vaticinano il superamento del ruolo del parlamento. Inseguendo inutilmente l’onda antipolitica il Pd ha menato vanto di avere tolto alla vita di partiti finanziamenti pubblici indispensabili per la loro attività, il risultato oggi è che la vita politica è menomata pesantemente e alla ricerca spasmodica di finanziatori e purtroppo sappiamo come va a finire. In sostanza anziché contrastare la deriva antipolitica il Pd renziano ha tentato di cavalcarla con I risultati che conosciamo.

Per uscire da questa stretta occorre farsi aiutare dalle organizzazioni sociali ancora in grado di farlo. Se la sinistra dovesse sparire come soggetto reale il problema non sarebbe solo del versante politico. Proprio dal versante sociale potrebbe venire un contributo importante sia di argomenti per troppo tempo trascurati, maltrattati e anche peggio. Penso al lavoro, ai diritti, all’articolo 18 ferita non sanata e non è l’unica. Potrebbe venire dalla capacità di farsi aiutare, di recuperare gli errori, un contributo nel ricostruire un tessuto che è fatto di idee, di passione, di volontà di realizzazione.

Senza costruire campagne di iniziative che aiutino a ricostituire una comunità di idee, di persone coinvolte, formate in battaglie comuni non si andrà lontano. Spesso a sinistra, non solo nel Pd, ci sono commenti a quanto accade, alle posizioni altrui, ma il ruolo di direzione politica non può ridursi a esprimere opinioni più o meno di sinistra ma occorre organizzare campagne politiche, lotte con l’obiettivo di arrivare a risultati riconoscibili, solo così si creano le esperienze complesse che formano dirigenti riconosciuti, creano legami duraturi, fiducia. Un giornalista analizza e commenta, se è bravo con intelligenza e autonomia, un dirigente politico deve avere l’ambizione di cambiare la situazione reale.

Non è convincente l’opinione per cui la sinistra debba semplificare i messaggi

Non trovo convincente l’opinione che per rilanciare la sinistra occorre iniziare dai temi più semplici. È necessario – ad esempio – sfidare Salvini sul suo terreno: I migranti, la sicurezza, offrendo una chiara alternativa, senza timori, certo per farlo occorre fare i conti con le derive securitarie in cui si è caratterizzato da ultimo Minniti. Va in sostanza chiarito che la linea da seguire non sarà più quella dei governi Renzi e Gentiloni, non si tratta di rivendicare precedenti meriti ma di cambiare radicalmente strategia, altrimenti è inutile iniziare. Qualcuno sembra iniziare a rendersene conto, ad esempio Orfini ha parlato esplicitamente di scioglimento del Pd, segno che ne avverte la crisi profonda. Andrebbero colte le occasioni, ad esempio che la linea Salvini di subappaltare ai libici il lavoro sporco, cercando di nascondere la verità dei morti, dei soprusi, dei lager è in crisi perché la Libia non è sicura in quanto tale non solo nei porti. Inoltre la magistratura si sta occupando del rispetto della Costituzione e delle leggi e andrebbe sostenuta con vigore non perché mette sotto accusa Salvini ma in quanto ha il compito di fare rispettare le leggi, come ha ricordato Mattarella, senza riconoscere santuari intoccabili. Del resto in Polonia e Ungheria l’autonomia delle rispettive magistrature è stato il primo obiettivo che governi autoritari di destra hanno cercato di mettere sotto tutela, attaccandone l’autonomia, con lo stile analogo ai regimi autoritari precedenti.

L’ascesa di Salvini è resistibile, ma occorre volerlo fare. Occorre farlo partendo dai punti di fondo. Bisogna porsi esplicitamente il problema di una svolta rispetto alle scelte sbagliate fatte dopo il 4 marzo, quando si è preferito favorire un accordo tra M5S e Lega, rinunciando a tentare un accordo con I 5 Stelle. Il Pd ha sbagliato, deve correggere la scelta di favorire la maggioranza Lega-M5S. Fu un grave errore a cui occorre rimediare, intervenendo all’interno della maggioranza, appoggiando quando è possibile, senza inutili pregiudizi settari, criticando anche aspramente quando è necessario ma facendolo da sinistra per mettere sotto tiro gli sbandamenti, le giravolte dei 5 stelle. La critica non può essere indifferenziata, deve essere da sinistra, altrimenti suonerà strumentale. La critica da destra ai 5 stelle è una vera idiozia ed è figlia di una posizione politica che può solo sperare che la maggioranza giallo-verde esploda da sola, posizione come minimo subalterna, per non dire rinunciataria.

La sinistra ora è divisa, malmessa e priva di campagne e obiettivi. Rivive se si batte per la rifondazione della democrazia

Allo stato dei fatti la sinistra in Italia è divisa, malmessa, non persegue campagne ed obiettivi con il coraggio e la determinazione necessari, a volte neppure ci pensa e la parte che ci pensa è troppo debole per fare da sola. Quindi forme di convergenza sono necessarie, altrimenti I tentativi saranno troppo deboli, poco credibili, ininfluenti. Le convergenze saranno possibili però solo se ci saranno ripensamenti di fondo, ad esempio se il Pd imboccherà una strada nuova e coraggiosa, alternativa, altrimenti non si andrà lontano, ma se questo non avvenisse non vi sarebbe un vantaggio per alcuna componente della sinistra ma solo la conferma di una debolezza della sinistra (tutta) che continua e forse peggiorerà ulteriormente.

La sinistra ritroverà se stessa se si metterà nell’ottica di una rifondazione della democrazia italiana facendola vivere e cercando di essere protagonisti di questa rivitalizzazione e in questo ambito può esserci il suo rinnovamento. I temi non mancano: dal lavoro alla ripresa economica, ormai esangue, all’Europa che sarà un tema di fondo tra pochi mesi, in vista delle elezioni e che ha bisogno di innovazioni di fondo se vuole salvarsi . Occorre un progetto di Europa che faccia uscire dalla conservazione che prevale ancora oggi e dalla reazione nazionalista e sovranista che è un rimedio peggiore del male che dice di volere curare. Assetto istituzionale, regole e politiche debbono costituire un tutto unico che faccia tornare protagonista la sinistra nelle prossime elezioni europee. Costruire le proposte e uno schieramento convergente che le sorregga non sarà facile ma bisogna provarci. Non si tratta di fare liste unitarie ad ogni costo ma di presentare liste con punti in comune per un futuro raccordo politico di iniziative che abbiano la precondizione di non buttare via i voti e quindi di raggiungere almeno il 4 % che è la soglia minima per entrare nel parlamento europeo. Naturalmente l’appuntamento delle europee non basta, se uno schieramento non è in grado di chiedere le elezioni vuol dire che è incapace di porsi come alternativa politica, ma per evocarle deve quanto meno avere una proposta con cui presentarsi al paese e qui si torna al nodo iniziale, occorre tentare il confronto e il dialogo anche con il M5S, sapendo che comunque non sarà semplice ma è una scelta necessaria per superare l’equivoco dell’attuale maggioranza, se possibile non da destra.

Non è immaginabile fare forzature di natura organizzativa, occorre fare scelte politiche. Se non ci sarà accordo su tutto almeno potranno esserci dei punti comuni e su questa base un disegno comune di possibili alleanze capaci di gestire le diversità senza farle diventare dirompenti. Del resto come si fa a pensare di stabilire un’alleanza tra la sinistra, con tutti i suoi problemi, e un Pd tuttora non derenzizzato e incapace di fare i conti con se stesso, con i suoi errori. In questa fase sarebbe incomprensibile ai più e quindi cerchiamo tutti di fare scelte comprensibili, ambiziose e realistiche insieme, senza scambiare le proprie crisi per la realtà che pretende scelte ben più radicali.

Il Pd deve dimostrarsi capace di recuperare una posizione di sinistra, facendo i conti con il passato altrimenti non andrà lontano. Le altre soggettività della sinistra debbono a loro volta comprendere che la posta in gioco va oltre i destini dei singoli gruppi. Non c’è ragione per essere ottimisti ma un percorso coraggioso e innovativo è anche l’unico modo per non portare sulle spalle la responsabilità dell’irrilevanza della sinistra in Italia (tutta).

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