11713 Claudio Sorrentino (Cgil): Le strade della “nuova schiavitù”

20150508 09:07:00 redazione-IT

[b]di Claudio Sorrentino *[/b]
Anche i nostri figli, che emigrano per trovare un futuro che il nostro paese da molto tempo ormai non è più in grado di offrirgli, incrociano sempre più spesso, nel loro percorso di crescita, le strade della schiavitù.
Lo apprendiamo dal Corriere della Sera di ieri e credo molti, al pari di noi, sono rimasti basiti perché non avremmo immaginato che nel “nuovo mondo”, nel mondo che spesso prendiamo ad esempio per indicare comunità in cui i principi del vivere civile sembravano essere un passo più avanti che da noi, accadessero tali cose.
Certo, nessuno vuole generalizzare e lungi da noi affermare che per situazioni che potrebbero essere “sporadiche” si tenda a criminalizzare un popolo.

Però, il luogo nel quale questo fenomeno si è manifestato non è certamente un luogo nascosto dalla visibilità delle persone e dello “Stato” ed anche il numero delle persone interessate è così alto che veramente non pensiamo che quanto succede possa passare inosservato.
E’ la nuova schiavitù? E’ la legge dell’uomo forte contro l’uomo debole?

La storia dei due secoli passati è piena di esempi di sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma, nel tentativo di interpretarne le analogie e le differenze ed in questo senso contestualizzandole, quello che veramente nel passato passava inosservato per i pochi mezzi di comunicazione ma anche per la poca attenzione che i governi, usciti dal conflitto mondiale, prestavano a questa questione oggi, nel 2015, è insopportabile.

Le analogie tra la vecchia emigrazione e la nuova vanno ricercate sicuramente lungo l’asse delle “aspettative” delle singole persone che migrano; trovare un lavoro, immaginarsi un futuro migliore, provare ad utilizzare al meglio la professionalità di cui spesso si è portatori, realizzarsi in sintesi.

Le differenze, invece, vanno anche ricercate in una caduta di interesse che il nostro paese, in particolare negli ultimi 15 anni, ha mostrato rispetto alle emigrazioni in particolare.

Potrebbe sembrare un paradosso ma, crediamo che quello che accade ha molto a che vedere con quale attenzione il governo ha trattato le questioni che riguardano le rappresentanze della comunità italiana all’estero.

Sempre in tema di analogie e differenze, le comunità emigrate, in particolare quelle emigrate nel periodo post-bellico, hanno avuto modo di essere aiutate da tanti soggetti, appartenenti alla sfera sociale, che hanno trovato nei paesi in cui si sono trasferite. Pensiamo alla Filef, alla Caritas, ai Patronati e a tante altre che in modo assolutamente gratuito sono state a loro disposizione.

Negli ultimi anni, i tagli alla rappresentanza diplomatica prima, i tagli al bilancio del Ministero degli Esteri per le attività in favore delle comunità emigrate, i tagli ai Patronati, le scelte fatte in tema di soggetti della rappresentanza (Comites e Cgie) e tanti altri tagli, tra i quali spiccano quelli per la lingua e la cultura, hanno determinato difficoltà nell’aiutare i processi di nuova emigrazione.

Sicuramente i nostri figli emigrano in modo molto diverso da come lo facevano gli italiani 50 anni fa. Una volta si emigrava in seguito ad un input di tipo familiare o amicale, nel senso che si veniva richiamati da qualcuno che lo aveva già fatto e che informava sulle occasioni di lavoro possibili.

Oggi, i ragazzi emigrano come singoli individui, spesso senza sapere cosa troveranno o, ancora più spesso, avendolo immaginato attraverso la consultazione dei network.
Forse sarebbe il caso di ripensare alle rappresentanze degli italiani nel mondo. Forse sarebbe più utile che nei tanti paesi in cui sono sparsi gli italiani, siano presenti, in modo totalmente volontario, altri connazionali che possano aiutare i giovani ad integrasi prima e meglio nella società di accoglienza ed anche, relativamente al fenomeno che ha dato spunto a questa riflessione, vigilare.

Dice un vecchio proverbio che chi si guarda le proprie cose non è chiamato ladro. E i nostri figli che lasciano il nostro paese, sono cose alle quali teniamo molto.
Proprio ieri, come Cgil, abbiamo avuto modo di affermare che, a conclusione del rinnovo delle rappresentanze all’estero, i Comites, in presenza di un risultato “scarso” nei numeri e nella partecipazione ma anche sul piano del riconoscimento, le forze politiche ed il Governo hanno il dovere di aprire un confronto con tutti i soggetti che appartengono a questa sfera di interessi per discutere e rendere poi operativo un nuovo sistema di rappresentanza che veda protagonisti primi tra essi quelli che sono emigrati, nel passato ma soprattutto quelli che emigrano oggi e lo faranno ancora di più domani.

Chi ha il dovere di farlo, ci rifletta perché è solo in questo modo che si possono evitare cose come quelle che sono accadute o, meglio, stanno accadendo, in paesi importanti come l’Australia.

* Cgil -Area delle Politiche Europee ed Internazionali, responsabile Italiani nel mondo

 

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