11703 In risposta ad alcune critiche relative all’articolo sulla Presidente Boldrini

20150506 12:02:00 guglielmoz

In risposta ad alcune critiche relative all’articolo sulla Presidente Boldrini e la sua interpretazione del Regolamento della Camera, pubblicato il 4 maggio sulla nostra rivista.
In merito all’articolo sull’applicazione e interpretazione del Regolamento della Camera da parte della Presidente Boldrini sono pervenute delle critiche rispetto alle quali è doveroso svolgere alcune osservazioni.

In primo luogo, preme sottolineare che in siffatta materia si può sempre profilare, come pare emergere dalle critiche ricevute, una confusione tra un piano interpretativo orientato in senso prettamente politico-partitico e un piano che può pure considerarsi politico (d’altronde non mancano giuristi che sostengono che ogni attività di interpretazione di norme, allorquando coinvolge l’area del bilanciamento dei valori e si risolve in una scelta tra possibili diverse interpretazioni del medesimo enunciato normativo, finisce per essere sempre politica) ma che segnatamente attiene all’interpretazione del Regolamento della Camera, in congiunzione peraltro con le norme rilevanti che la Costituzione detta a riguardo della disciplina elettorale.

Onde evitare malintesi, va precisato il fatto che l’articolo, come d’altra parte era evidente, non sposava affatto la tesi, sostenuta in particolar modo dalle opposizioni e dal M5S, in ordine all’art. 72 della Costituzione. A riprova di ciò sta il passo, nell’articolo pubblicato, in cui si afferma che la Boldrini ha perfettamente ragione quando dice che l’art. 72 della Costituzione non prevede ciò che taluni vogliono fargli dire. In buona sostanza, si voleva far dire all’art. 72 che la procedura ordinaria di approvazione dei disegni di legge in materia elettorale esclude che la fiducia possa esser posta dal Governo. Ma ciò non è detto nell’art. 72 né può esser detto altrove nella Costituzione, perché, come si ricordava nell’articolo, questa non disciplina affatto la questione della fiducia sui disegni di legge. E poiché la Costituzione nel suo insieme di questo argomento non parla, è evidente che neppure l’art. 72 è interpretabile come è stato sostenuto (siamo, in altri termini, in presenza di due interpretazioni delle disposizioni in gioco, regolamentari e costituzionali, altrettanto scorrette; anche quella usata dai grillini con riguardo all’art. 72 della Costituzione).

Sgombrato il campo da questo aspetto, la critica principale mossa alle argomentazioni contenute nell’articolo pare correlata al fatto che il testo in discussione del nuovo art. 116 del Regolamento includerebbe espressamente la materia elettorale tra quelle su cui la fiducia non può esser posta. Ciò significherebbe, pertanto, che l’attuale testo del Regolamento della Camera, letto insieme al futuro testo regolamentare (che però non è ancora entrato in vigore, va ribadito ancora una volta) consentirebbe di mettere la fiducia.

In questa prospettiva bisogna allora riaffrontare due punti, che tuttavia erano già stati sollevati nell’articolo:

a) nel campo dell’interpretazione delle regole, stando quindi al diritto, non è possibile interpretare le regole di oggi per decidere un caso attualmente in discussione sulla base di testi che non sono approvati; del resto, le procedure di approvazione di testi normativi servono esattamente a distinguere tra ciò che deve essere considerato e ciò che deve essere escluso oggi ai fini di una decisione, quale che sia l’organo giudicante e l’ampiezza della sua latitudine decisoria; quando un giorno, come è stato pure scritto, quel testo regolamentare sarà approvato, allora si potrà pure dire ciò che la Presidente Boldrini ha detto, ma ciò in via di interpretazione storica del Regolamento; oggi, invece, siamo di fronte a un caso da decidere, non da guardare in retrospettiva;
b) nondimeno, si potrebbe ribattere che l’interpretazione della Presidente Boldrini è adeguatrice allo spirito del tempo; tuttavia, anche se l’interpretazione adeguatrice è potenzialmente possibile, questa resta esclusa allorché urta con il significato che le regole in gioco hanno sul piano dell’interpretazione letterale e sistematica; in altre parole, se l’interpretazione testuale e sistematica conduce a un risultato antitetico rispetto al risultato che potrebbe produrre l’interpretazione adeguatrice, i propugnatori di quest’ultima, soprattutto là dove si tratti dei decisori, non dovrebbero alterare le regole vigenti oggi anticipando l’entrata in vigore di regole non approvate, bensì applicare le regole di oggi e proporne la loro riforma attraverso le procedure previste dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari;
c) che le cose stiano in questi termini è confermato peraltro dal fatto che gli stessi enunciati regolamentari devono avere una funzione di garanzia, trattandosi di disposizioni che attuano la Costituzione e che devono pertanto tendere a garantire, a tutela di tutti e in special modo delle minoranze, il corretto svolgimento dei lavori; ove fosse diversamente, e cioè fossimo in presenza di un quadro alterabile a piacimento in via di interpretazione, da un lato ci troveremmo di fronte a una modalità di espletamento dei lavori che comprime, incostituzionalmente, i diritti delle minoranze politiche e parlamentari e, dall’altro, la Camera finirebbe per precipitare nell’anarchia (quindi, non ci si può rifugiare sempre dietro all’argomento relativo all’inciviltà delle opposizioni quando questa non solo già la si conosce a menadito ma la si evoca pure mediante interpretazioni ingiustificate dei regolamenti; d’altronde, i diritti delle opposizioni si rispettano comunque a prescindere dal loro grado di civiltà e, peraltro, le opposizioni non vengono aiutate a “civilizzarsi”, anzi si contribuisce alla loro “regressione”, se si finisce per lederne costantemente i diritti nei momenti decisivi);
d) oltretutto, lo stesso argomento della Presidente Boldrini può essere dialetticamente rovesciato: se si ha bisogno di esplicitare nei futuri regolamenti una cosa non del tutto chiara, ciò vuol dire comunque che il Regolamento della Camera già oggi contiene ciò che vogliamo che dica anche in futuro e che abbiamo bisogno solo di una maggiore chiarezza e pulizia del testo;

e) se le cose stessero come si legge dai commenti, saremmo allora allora in presenza di una contraddizione difficilmente componibile: perché se il Regolamento della Camera è così chiaro nel sostenere che la fiducia può esser posta e non è un problema della Presidente Boldrini, allora quest’ultima si è dovuta pronunciare e ha dovuto richiamare persino un testo non in vigore ma solo in discussione per chiarire una cosa già chiara? La questione non doveva essere risolta de plano? Attenzione peraltro al fatto che è la stessa Presidente Boldrini a sostenere nella sua lettera a Repubblica che la sua era un’interpretazione del Regolamento della Camera, fondata non direttamente sull’enunciato normativo ma sul precedente del pronunciamento Jotti (e perciò è la stessa Presidente Boldrini a smentire i suoi stessi sostenitori che hanno criticato l’articolo). In effetti, a parere di chi scrive il problema doveva essere risolto de plano e la Presidente Boldrini non doveva pronunciarsi, se non per limitarsi a dire (al contrario) che la fiducia non poteva essere posta, giacché il Regolamento della Camera è assolutamente chiaro nello stabilire ciò che si può o non si può fare in proposito. Tanto per fare un esempio, è stato già rimarcato nell’articolo che l’art. 49 parla espressamente di voto segreto obbligatorio (su cui non può sussistere richiesta di fiducia) in un solo caso, mentre l’art. 116, comma 4 (oggi in vigore e quindi il testo da prendere a riferimento per la decisione del caso concreto di oggi) richiama una pluralità di casi di voto segreto (con ciò parificando il voto segreto c.d. obbligatorio e quello non obbligatorio) su cui non è possibile porre la questione di fiducia. Non sarebbe stato più semplice allora scrivere nell’art. 116, comma 4, che il voto segreto obbligatorio su cui la fiducia non è ammissibile è solo quello sulle persone? Cosa ci voleva a redigere così la disposizione, visto che il caso di voto segreto obbligatorio è solamente uno? Se ciò non è stato fatto, evidentemente, è perché si voleva evitare che la fiducia potesse esser posta unicamente sul voto segreto obbligatorio e quindi si voleva che essa non fosse posta per niente in simile materia, indipendentemente dal carattere obbligatorio o meno del voto segreto. Detta ancora diversamente, i regolamenti parlamentari sono formulati di necessità in modo abbastanza chiaro in considerazione della funzione di garanzia che sono chiamati ad assolvere, ma sfortunatamente diventano incerti, quasi per mistero della fede, quando politicamente il Governo, tanto nel caso del Governo Renzi oggi quanto nel caso del Governo Andreotti nel 1990, ha bisogno di un supporto per evitare norme sgradite o per non rischiare una crisi politica indesiderata (come se poi una crisi fosse sempre un evento indesiderabile e non fosse, invece, una modalità anch’essa di funzionamento dei meccanismi politici e ordinamentali, anche se possiamo riconoscere che una crisi sia sempre sgradita a chi è chiamato a dimettersi dovendo rinunciare a un ruolo di primo piano).

Per concludere a proposito dell’utilizzo di testi non in vigore, verrebbe da riprendere sul piano filosofico una frase di Rilke secondo cui: "il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima che accada". Naturalmente, filosofia e diritto vanno insieme, ma non sempre ciò che è valido in filosofia è trasponibile tout court nel campo delle regole e della loro applicazione e, in ogni caso, potremmo soggiungere che se il futuro entra in noi prima che accada, allora esso è già presente e, pertanto, anche il rovesciamento dialettico, sopra accennato, della posizione della Presidente Boldrini è perfettamente possibile.
Ciò posto, occorre aggiungere un aspetto rilevante che non è stato inserito nell’articolo per motivi di semplificazione della questione. In verità, è forse persino improprio il linguaggio usato, allorché si discute di voto obbligatorio o non obbligatorio. Se si passa a vedere insieme gli artt. 49 e 116 del Regolamento della Camera, ci si accorge che la questione è un po’ più complessa. Per come sono redatte le disposizioni, si dovrebbe parlare piuttosto di voto automatico e di voto (che diventa) obbligatorio. In termini di meccanismo, il voto segreto è automatico (e dunque obbligatorio per la Presidenza della Camera, che non ha spazio discrezionale alcuno di decisione al riguardo) quando si deve votare sulle persone e la fiducia non può esser messa. Negli altri casi, il voto segreto non è automatico perché deve esserne fatta richiesta, ma nel momento in cui detta richiesta è avanzata allora diventa obbligatorio per la Presidenza della Camera (che non può procedere diversamente rispetto a quanto richiesto), la quale a rigore di testi normativi non ha alcuno spazio discrezionale nel valutare se ammetterlo.

Questo è il meccanismo prefigurato dall’art. 49. Poiché l’art. 116, comma 4, del Regolamento non opera alcuna distinzione testuale in termini di modalità di votazione tra voto obbligatorio e non obbligatorio (per essere più semplici) e tra voto automatico e non automatico, obbligatorio e non obbligatorio (per essere più complessi, ma nell’articolo pubblicato non ce n’era bisogno proprio perché il punto è che l’art. 116 non distingue in merito tra tutte queste modalità, limitandosi a un richiamo onnicomprensivo all’art. 49), ne segue, con ogni evidenza, che l’art. 116 non consente che il Governo ponga la fiducia in materia elettorale quando è fatta richiesta di voto segreto.

Diversamente, si finisce per riportare surrettiziamente e contro il regolamento della Camera la materia elettorale a una modalità palese di votazione. Il testo dell’art. 49 è incline a tutelare la segretezza del voto in questo caso, attraverso la modalità della richiesta di voto segreto, trattandosi di materia estremamente rilevante su cui deve essere garantita la libertà di voto del parlamentare così da evitare l’introduzione surrettizia di vincoli di mandato.

Sicché l’interpretazione della Presidente Boldrini è scorretta anche dal punto di vista dell’interpretazione teleologica delle disposizioni regolamentari, perché le norme tendono a garantire la libertà di voto del parlamentare in simile materia. Qui lo spazio di discrezione sul modus procedendi è lasciato non alla Presidenza ma ai parlamentari. La Presidenza non doveva far altro che attenersi alle richieste dei parlamentari, non avendo spazio decisionale alcuno sotto il profilo discrezionale e avendo peraltro l’obbligo di tutelare le prerogative parlamentari da richieste improprie del Governo.

Ci si potrebbe di conseguenza spingere ancora più in là (ma per ora ci si limita solamente a porre il problema all’attenzione) e dire che, tramite questo comportamento volto ad assecondare il Governo, la Presidenza ha contribuito a una violazione dell’art. 67 della Costituzione, là dove tale disposizione costituzionale afferma che i parlamentari esercitano le proprie funzioni senza vincolo di mandato, stante il fatto che agendo in questo modo si è tentato di inserire surrettiziamente un simile vincolo. Per carità, si può essere politicamente contrari al divieto di vincolo di mandato, ma anche qui vale il discorso di prima, cioè chi decide applica le regole oggi vigenti e non le altera surrettiziamente, avendo peraltro il coraggio di proporre esplicitamente la loro riforma (peraltro, è stato proprio il M5S, se non erriamo, a proporre, in maniera assolutamente non condivisibile, l’abolizione del divieto di vincolo di mandato; qui vogliamo forse anticipare l’entrata in vigore di una proposta del genere? Per essere invece più seri, perché non guardiamo una buona volta al modo in cui in Germania si è elaborato il c.d. contratto di coalizione SPD-CDU per la formazione dell’ultimo Governo Merkel e al modo in cui la SPD ha coinvolto i propri iscritti e i propri parlamentari dettagliando prima le proposte che sarebbero state avanzate poi una volta al Governo e non, come da noi, scrivendo programmi privi di contenuto sostanziale e poi cercando di obbligare i parlamentari a votare proposte mai votate da nessuno, o finanche contrarie almeno in termini di principio al programma su cui si era stati eletti, e assimilabili alle disposizioni impartite nelle caserme dai “caporali di giornata”).

Infine, per tornare al problema politico centrale, sia pure in un commento riguardante disposizioni normative, e concernente il rapporto tra le opposizioni e la Presidente della Camera, verrebbe da suggerire la rilettura, beninteso contestualizzata all’oggi e alla situazione odierna della Camera dei Deputati, di una nota contenuta nei Quaderni di Antonio Gramsci intitolata “Passaggio dal sapere, al comprendere, al sentire e viceversa, dal sentire al comprendere, al sapere” là dove Gramsci afferma: “L’elemento popolare «sente» ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale «sa» ma non sempre comprende e specialmente «sente»”.
G Z Karl

 

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