11581 NOTIZIE dall’Italia e dal mondo febbraio 2015

20150202 21:37:00 guglielmoz

ITALIA – SERGIO MATTARELLA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, QUARTA VOTAZIONE. Sergio Mattarella è il dodicesimo Presidente della Repubblica. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha proclamato Sergio Mattarella nuovo presidente della Repubblica e in aula è scattato un lunghissimo applauso. / ROMA Elezione Mattarella: "Diabolico Renzi, hai fregato proprio tutti". Matteo Renzi ha stabilito i nuovi standard universali nel concetto di alleanze politiche a geometria variabile.
EUROPA – KIEV, PARIGI, ATENE: tre segnali sul ripensamento che l’Europa non può ignorare – Alexis Tsipras non ha mai smesso di sottolineare che la vittoria di Syriza rappresenta una grande possibilità per l’Europa. / GRECIA. Alexis Tsipras trova accordo con Greci Indipendenti. Il leader ha giurato nelle mani del Presidente Papoulias. / GOVERNO TSIPRAS, LA MISSIONE È STORICA. Domenica sera, nel concludere il breve discorso di trionfo pronunciato dinanzi alla facciata neoclassica (e tedesca) dell’Università di Atene, il presidente di Syriza ha annunciato il ritorno nel cielo della Grecia del "sole della giustizia". / SPAGNA. Podemos vince la prova di forza della piazza centinaia di migliaia contro il governo
AFRICA & MEDIO ORIENTE – ISRAELE Medio oriente, Israele vara nuovi insediamenti in Cisgiordania e taglia la luce ai palestinesi . Dopo un periodo di stasi, Israele riprende l’offensiva degli insediamenti in Cisgiordania e, dall’altra parte, come misura di ritorsione contro l’Anp, taglia le forniture di energia elettrica ai palestinesi sempre in Cisgiordania. / LIBANO-ISRAELE-SIRIA. Sale la tensione sul Golan. /
ASIA & PACIFICO – GIAPPONE. Impreparati al peggio ./ INDIA. LA VISITA DI OBAMA E L’OMBRA DI PECHINO. Il presidente statunitense e il premier indiano hanno rinnovato un’intesa che servirà a NEW DELHI per rafforzare la sua posizione nella regione. Ma che non piace alla CINA . / Kobane . Bandiera curda sventola al posto del vessillo dell’Isis. Curdi controllano il 90% della città./
AMERICA CENTROMERIDIONALE – ARGENTINA . Smantellare i servizi segreti. Il 26 gennaio la presidente argentina Cristina Fernández ha annunciato che presenterà un progetto di legge per smantellare la Secretaría de inteligencia. / Messico. Un altro giornalista ucciso. /
AMERICA SETTENTRIONALE – USA . Malumori repubblicani. /

ITALIA
SERGIO MATTARELLA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, QUARTA VOTAZIONE. Sergio Mattarella è il dodicesimo Presidente della Repubblica. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha proclamato Sergio Mattarella nuovo presidente della Repubblica e in aula è scattato un lunghissimo applauso. Sì di Angelino Alfano, Forza Italia vota scheda bianca
Ecco il risultato della votazione:
– Presenti e votanti, 995 – Quorum, 505 – Hanno ricevuto voti:
– MATTARELLA, 665
– Imposimato, 127 – Feltri, 46 – Rodotà, 17 – Bonino, 2 – Martino, 2 – Napolitano, 2 – Prodi, 2.
Voti dispersi, 14, 105 schede bianche. 13 schede nulle.. Sì di Angelino Alfano, Forza Italia vota scheda bianca.
DICHIARAZIONE DI : “Napolitano, Mattarella saldo riferimento per riforme. L’elezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica rappresenta "sicuramente un punto saldo di riferimento molto alto per le riforme anche della Costituzione, in coerenza con la Carta". Così l’ex presidente Giorgio Napolitano, all’uscita dell’Aula della Camera.”

ROMA
ELEZIONE MATTARELLA: "DIABOLICO RENZI, HAI FREGATO PROPRIO TUTTI". MATTEO RENZI HA STABILITO I NUOVI STANDARD UNIVERSALI NEL CONCETTO DI ALLEANZE POLITICHE A GEOMETRIA VARIABILE.
Che il nostro premier fosse un tantino spregiudicato nel porre in atto i suoi propositi lo si era capito da quel ormai famoso "stai sereno Enrico" passato alla storia politica nostrana, e non solo, come l’equivalente di emerita "sola o fregatura" ma che questa intraprendenza fosse anche sostenuta da un ingegno degno di ammirazione, probabilmente pochi, compreso il sottoscritto, lo avevano capito.
Certo esiste un background culturale, mi riferisco all’esser partorito in una Toscana terra di menti sopraffine che hanno fatto la storia non solo italica ma mondiale, che poteva anche indurre in qualche sospetto, tuttavia non è detto che tutti i toscani siano delle menti sopraffine, probabilmente anche nella terra di Leonardo Da Vinci, Galileo Galilei e via dicendo, qualche citrullo ci sarà pure. Almeno credo.
Ecco Matteo Renzi, per la sua spavalderia, per il suo twittante presenzialismo, per il suo sparacchiare promesse con superficialità, per l’atteggiarsi con una mimica e gestualità che hanno fatto le fortune di Crozza, dava più l’impressione di un "bamboccio" che trovatosi quasi per caso o per spinte "fortunate" a recitare un ruolo di protagonista politico, ne abusasse con assoluto infantilismo.
Lo stesso messaggio spot che è diventato il suo vessillo, ovvero "il rottamatore", appariva del tutto velleitario se solo si rapportava ai vecchi marpioni con lo stomaco foderato di peli che affollano la politica italiana. E invece no, cari signori e caro Angelino Alfano, che bruciacchiato come tutti gli altri sgomenti che si guardano attorno come se fosse passato l’uragano Katrina, si consola con un patetico "si crede Machiavelli, sembra più un Pierino". Questo premier , caro tromabato Angelino, è un signor Machiavelli, è l’incarnazione del nobile fiorentino padre culturale della massima "il fine giustifica i mezzi" , e per capirlo basta fare un breve escursus della sua storia politica recente.
Dopo la batosta alle primarie del PD che vide Pierluigi Bersani trionfare, Matteo capisce che, da buon democristiano, muovendosi all’interno della macchina elettorale degli iscritti al PD, un autentico monolite dal colore rossastro, le sue probabilità di emergere sono asintoticamente tendenti allo zero. Allora che fa? Fa leva sull’ atavico e mai sopito complesso di inferiorità dei vecchi compagni comunisti sul tema della democrazia interna, per spingere la Direzione del PD e lo stesso Bersani a riformulare le regole sulle elezioni primarie. Ovvero non più aperte soltanto agli iscritti, come avviene in tutte le democrazie più avanzate per ovvi motivi, ma aperte semplicemente a tutti coloro che intendevano versare un obolo per partecipare, insomma una autentica "cretinata".
Pierluigi, che non è toscano, ci casca come un tordo e Renzi con un suffragio di voti pescati al centro e a destra, berluschini compresi, trionfa e diventa segretario del PD. Bravo Renzi!
Diventato segretario del PD, spinge come un forsennato sul governo "interim" di Enrico Letta per metterlo alla gogna. Non passava dì che Renzino, mentre lo incoraggiava, con doppiezza non stigmatizzasse l’inerzia e l’inconcludenza di quel governo, in questa azione dissacratoria assolutamente sostenuto ed incoraggiato dal presidente Giorgio Napolitano. E così si arriva a quel "stai sereno Enrico " che anticipava la pugnalata alle spalle con relativo sfratto. Ancora oggi il buon Enrico si aggira smarrito senza aver ben capito che gli è capitato.
Diventato premier Renzi flirta con Silvio Berlusconi, eletto a padre costitutivo delle riforme istituzionali malgrado il suo standard di pregiudicato e di bloccato dalla legge Severino, mettendo in crisi Forza Italia al punto che a forza di risse interne tra Fitto, Brunetta, Santanché e compagnia bella, il partito scivola al di sotto delle percentuali attribuite alla Lega di Salvini. Contemporaneamente governa con l’alleanza di Angelino Alfano per portare avanti le sue riforme, dandogli una visibilità nel governo assolutamente sproporzionata alla ipotetica consistenza politica, mettendo così in crisi la minoranza di sinistra del PD, già plumbea per dover digerire, obtorto collo, il patto del Nazareno con Silvio.
Sinstra del PD che affine alle posizioni di SEL, viene relegata al ruolo di mera ratificatrice delle sue decisioni. Strepiti e lamenti si levano dai vari Fassina ,D’Attorre, Civati, Mineo, ma poi tutti chinano la testa e sottoscrivono. Perché sia chiaro che Renzi, a chi non sta democraticamente il linea con le sue decisioni, indica la porta .
Sul fronte M5S Renzi, che aveva premeditato una vendetta dopo lo streaming con Grillo, ruba, per ora tuttavia più a parole che nei fatti, l’ardore del "rinnovamento" con un efficentismo e cronologico attivismo che mette in evidenza l’assoluta inconsistenza ed impalpabilità dell’azione politica dei pentastellati, chiusi in se stessi in attesa del famoso, o famigerato, plebiscito che dovrebbe incoronarli come unici dententori, puri e casti, del governo del paese. Quello che sta succedendo è sotto gli occhi di tutti, semplicemente il M5S si sta sfaldando, perdendo pezzi ad ogni pié sospinto.
Rimaneva quindi come unico problema interno quello di ricompattare il partito in vista della elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Quello che molti davano come concordato con Silvio nel patto del Nazareno e che sempre Matteo Renzi aveva dichiarato doveva essere espressione di un accordo condiviso con tutte le parti in gioco. Bene, detto fatto, il nome lo propone lui all’unanimità: quello di Sergio Mattarella, manda a ramengo Silvio Berlusconi e Angelino Alfano e se lo elegge con una maggioranza di voti che sfiora quella qualificata dei 2/3 al quarto scrutinio (proprio come lui aveva previsto ) Soddisfatti i suoi antagonisti interni del PD che inneggiano al ritorno a sinistra del PD, soddisfatto Nichi Vendola che già vagheggia future alleanze neri come la pece i destrorsi che non sanno più a che santo votarsi.
Adesso ditemi che uno così non è un giocatore "diabolico" e che il suo metodo delle alleanze ad assoluta geometria variabile, secondo le circostanze che lo impongono, non sia già pronto per la creazione del "Partito Unico" , che svuota di voti destra, sinistra e centro per rifondare la Balena Bianca, ovvero la Democrazia Cristiana vers. 3.0. Agli altri le briciole e "fuori dai maroni".
Diabolico Renzi, li hai fregati proprio tutti. Anche gli italiani? (di paolo domenica 1 febbraio 2015
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EUROPA
KIEV, PARIGI, ATENE: TRE SEGNALI SUL RIPENSAMENTO CHE L’EUROPA NON PUÒ IGNORARE – ALEXIS TSIPRAS NON HA MAI SMESSO DI SOTTOLINEARE CHE LA VITTORIA DI SYRIZA RAPPRESENTA UNA GRANDE POSSIBILITÀ PER L’EUROPA. “Abbiamo smesso di aver paura”, ha ripetuto ieri sera dal palco mentre la piazza si riempiva e l’entusiasmo saliva nell’aria con la forza di una esplosione di luce all’aurora. E’ vero, il voto di Atene rappresenta una grande occasione di ripensamento rispetto alle politiche di austerità. In Grecia la povertà è palpabile. Il tunnel qui non è mai finito davvero. Ed è questo, paradossalmente, l’asso nella manica del paese. L’uscita dall’euro non li può uccidere per una seconda volta.
Quindi la parola ora è al Vecchio continente, si sta avvicinando ad un punto di non ritorno. E i segnali per prendere consapevolezza ci sono tutti. E sono tutti segnali che mostrano in modo evidente il profilo della nuova strada. Lo dimostra l’Ucraina con la follia di un nazionalismo di stampo nazista che si presta ai giochi geopolitici degli Usa; lo dimostra quanto accaduto a Parigi nella redazione di Charlie Hebdo, che ci parla di una contraddizione non risolvibile nel segno della repressione e della costruzione di altri muri; lo dimostra, infine, il voto Greco che segna il limite delle politiche di austerità. L’Europa non può farsi strumento di niente e di nessuno né degli Usa, né della finanza speculativa, né della politica di chiusura della Germania. Il centro della sua esistenza è la politica e non il dominio di una parte sulle altre. E il primo atto è la riconquista di una autonomia e capacità di giudizio che sembrano davvero essere stati smarriti. Usa e Germania ci stanno portando alla rovina semplicemente per il fatto che guardano ai loro interessi singoli, in un mondo, quello europeo, che è il più connesso e interdipendente.
E se i governi degli altri paesi stanno interpretando la politica in modo miserabile e senza alcun contenuto reale da mettere nel piatto, la responsabilità di questa grande opera di ricostruzione è in capo alle classi popolari. Oggi esulta Syriza ad Atene e domani toccherà a Podemos a Madrid. L’onda non si arresta così facilmente. Il processo è ormai innescato. Si tratta di due esperienze che hanno saputo legare la critica all’austerità al bisogno di ricambio nella classe dirigente nella direzione di una visione nuova e convincente. Da questo punto di vista i partiti della sinistra italiana sono avvertiti. Non servono scimmiottamenti ma processi reali di cambiamento.
Gli altri due nodi della crisi europea quello della ribellione nei ghetti della crisi europea, come le banlieu, che rischiano di essere strumentalizzate dall’islam jihadista, e la tragedia in Ucraina nessuno può realmente pensare di affrontarli nella chiave della repressione e dell’intervento militare. Nessuno dei popoli europei può essere chiamato a una “guerra santa”. E nemmeno a spendersi in un conflitto in difesa di uno stato nazista, come quello Ucraino, peraltro così fortemente indebitato e quindi strumentalizzato. Un giorno la Germania dovrà spiegare perché mentre copre d’oro Kiev alla Grecia rifiuta anche le briciole. Misteri di un’Europa che sta finendo in un baratro facendo finta di andare a un pranzo di gala. (| Autore: fabio sebastiani)

GRECIA
UNA NUOVA ERA PER ATENE. Per la prima volta nella storia greca un partito davvero di sinistra avrà la possibilità di governare. Per diverse generazioni di militanti è la realizzazione di
Quella di Syriza è una vittoria epocale. Per la prima volta nella storia della Grecia moderna un partito davvero di sinistra vince le elezioni, prende il potere e avrà la possibilità di governare. Per generazioni di militanti di sinistra greci è la realizzazione di anni di desideri frustrati.
Su una questione d’importanza storica come quella del debito, la scelta del popolo greco è stata unica in Europa e per molti versi straordinaria. Perché questo accadesse, infatti, è stato necessario abbattere le divisioni tra i partiti e le barriere ideologiche, e superare le in-comprensioni tra persone di una stessa famiglia.
Questo processo è stato determinato dal peso di una crisi economica senza precedenti, che ha frantumato i partiti tradizionali,
ha tolto credibilità ai loro leader e ha creato le condizioni per il trionfo di Alexis Tsipras. Le conseguenze della vittoria di Syriza non posso-no ancora essere valutate con precisione. Ma quello che si può dire con certezza è che l’elezione di Tsipras scuote le fondamenta della politica greca.
Il suo partito è considerato il fulcro della protesta contro il sistema economico, non solo quello nazionale ma anche quello che domina in Europa. Per questo ha suscitato grande interesse nei mezzi d’informazione europei e mondiali.
L’affermazione di Tsipras determinerà profondi cambiamenti nel sistema politico greco, tanto più se il nuovo governo riuscirà a raggiungere un accordo con i leader europei sulla ristrutturazione del debito. In questo caso il suo prestigio diventerebbe inattaccabile e nessun partito o leader potrebbe ignorarlo o sottoporlo a nuove richieste e condizioni.
Inoltre non bisogna dimenticare che Tsipras ha solo quarantanni ed è uno dei più giovani primi ministri in Europa. Questo potrebbe spingere altri giovani a impegnarsi in politica. Il nuovo
premier ha già lanciato un appello ai giovani ricercatori greci perché tornino a lavorare nel loro paese. Ma l’aspetto più importante del risultato elettorale è che la spinta al rinnovamento do-minerà la vita politica della Grecia. Senza dub-bio stiamo entrando in una nuova epoca. Resta da vedere se sarà un’epoca di prosperità per il paese e i suoi cittadini

GRECIA
Alexis Tsipras trova accordo con Greci Indipendenti. Il leader ha giurato nelle mani del Presidente Papoulias. Accordo al primo colpo. Almeno secondo quanto riferito da Panos Kammenos, il leader del partito Greci Indipendenti, la destra di Anel, al termine del colloquio con Alexis Tsipras, fresco trionfatore delle elezioni politiche. "Il partito Greci Indipendenti sosterrà il governo che sarà formato dal presidente incaricato Tsipras. Da questo momento il Paese ha un nuovo governo" ha dichiarato Kammenos. Non ci sarà invece il sostegno di To Potàmi, che "non parteciperà al governo Syriza né gli darà il suo appoggio esterno dal momento che esso sarà formato con il partito Greci Indipendenti" ha detto Stavros Theodorakis, leader della formazione di centro-sinistra.
Il leader di Syriza, Alexis Tsipras, ha giurato poco fa nelle mani del presidente della Repubblica ellenica Karolos Papoulias che gli ha conferito l’incarico di formare il nuovo governo dopo la vittoria di ieri alle elezioni politiche. Come preannunciato, Tsipras ha fatto un giuramento solo politico e non religioso. Con la quasi totalità dei voti scrutinati, il partito di sinistra radicale Syriza ha ottenuto il 36,34% e 149 seggi, mentre Nea Dimokratia (ND, centro-destra) il 27,81% e 76 seggi. Al terzo posto si è piazzato il partito di estrema destra Chrysi Avghì (Alba Dorata) con il 6,28% e 17 seggi. Seguono nell’ordine To Potàmi (Il Fiume, centro-sinistra) con il 6,05% con 17 seggi, il Partito Comunista di Grecia con il 5,47% e 15 seggi, Greci Indipendenti (Anel) con il 4,75% e 13 seggi e il Pasok (socialista) con il 4,68% e 13 seggi.
GRECIA
GOVERNO TSIPRAS, LA MISSIONE È STORICA
Domenica sera, nel concludere il breve discorso di trionfo pronunciato dinanzi alla facciata neoclassica (e tedesca) dell’Università di Atene, il presidente di Syriza ha annunciato il ritorno nel cielo della Grecia del "sole della giustizia". Il riferimento è dotto: inizia così, infatti ("Sole intellegibile della giustizia"), il brano più noto del Dignum est ( Axion esti , 1959) del premio Nobel Odisseas Elitis, musicato da Mikis Theodorakis in una popolare canzone. La formula, in Elitis come in Tsipras, è propria del lessico liturgico, e sussume la definizione patristica del fulgore di Cristo per trasporla sul piano della storia del popolo greco, delle sue sofferenze lungo il Novecento, della pervicace eternità del suo spirito e del suo valore.
Non stupisca il riferimento "religioso" nel premier che ha per primo ha rifiutato il giuramento dinanzi all’arcivescovo di Atene (suscitando peraltro lo sdegno del predecessore Samaràs, che ha incredibilmente disertato la cerimonia del passaggio delle consegne): in un Paese sfiancato da anni di politiche ingiuste, si chiede al nuovo governo una nuova alba (non dorata), nella piena consapevolezza che i Greci possono contribuire alla marcia dell’Europa con un "socialismo misurato, armonico, che combini dolcemente la massa e il singolo, la necessità e la libertà, uno stato davvero liberale e un sistema economico socialista elastico e adatto al genio imprenditoriale della stirpe": così scriveva nel gennaio di 70 anni fa, mentre la II guerra mondiale non era ancora finita, il grande scrittore Ghiorgos Theotokàs, che sognava la piena integrazione dell’elemento ellenico in un’Europa finalmente unita.
L’investitura conferita a Tsipras dal popolo greco ha dunque la caratura di una missione storica, le aspettative sono enormi. Syriza ha trionfato in tutti i collegi, con l’eccezione delle sole zone tradizionalmente più conservatrici del Paese, ovvero alcune province di confine di Tracia e Macedonia (Serres, Kastorià, Drama, e le zone dell’Evros più soggette all’immigrazione clandestina), l’isola più militarizzata dell’Egeo (Chio), e il corpaccione del Peloponneso (l’Arcadia, la Messenia e soprattutto la Laconia, l’unica circoscrizione in cui i neonazisti oltrepassano il 10%). In tutto il resto della Grecia il trionfo è stato indiscutibile, con punte ben oltre il 40% nelle roccaforti del Pireo, di Creta, Corfù, Zante, ma soprattutto con l’insperato recupero di distacchi che ancora alle politiche del 2012 parevano incolmabili: a nord Kavala e Flòrina, al centro Karditsa, la Tessaglia e la Focide, a est Prèveza e l’Acarnania, e poi il Dodecaneso (per non parlare di casi pazzeschi come la piccola circoscrizione settentrionale di Ròdopi, dove Syriza è passato dal 20 al 49%): queste rimonte erano state solo avviate alle Europee del 2014, e comunque non nelle proporzioni odierne.
Il guadagno complessivo in termini assoluti è stato di 600mila unità rispetto al voto di tre anni fa, addirittura di 700mila rispetto alle europee dell’anno scorso (e ovviamente non estendiamo il confronto alle politiche del 2009, perché quella – prima della crisi – era proprio un’altra era geologica). Non c’è dubbio che, a fronte di una sostanziale tenuta di Nea Dimokratía (che è andata addirittura molto meglio rispetto alle Europee), Tsipras abbia ricavato buona parte dei voti nuovi, e decisivi per la sua vittoria, dalla scomparsa dell’esitante Sinistra Democratica (Dimar, passata dal 6,26 allo 0,49%), a lungo alleata con i partiti di governo, e dal tracollo del Partito socialista (dal 12,2 al 4,7%), aggravato peraltro dalla scissione, alla vigilia del voto, dello sfortunato partitino di Ghiorgos Papandreou, il quale peraltro non ha superato la soglia del 3%.
Ma dinanzi a un terremoto politico di queste proporzioni, le spiegazioni tecniche sono insufficienti: l’incredulità dei militanti dinanzi al risultato sta nell’aver portato a sinistra intere regioni tradizionalmente ancorate alla reazione, nell’aver frenato in tutto il Paese lo slancio dei neonazisti, nell’aver concentrato ogni aurora di speranza in un unico progetto politico credibile, quello di Syriza. È come se d’un tratto, dopo anni di trojka , quella ittopàthia , quella sindrome della sconfitta che ha segnato in tutto il Dopoguerra i massimi intellettuali greci (la cosiddetta "generazione della sconfitta", appunto, quella del filo spinato, delle deportazioni, delle torture), fosse svanita dinanzi al realizzarsi di una vittoria che si traduce in un vocabolario semplice ma fermo, e che ambisce a dare un senso profondo alla metapolítefsi ("cambio di regime"; ma nel termine c’è ovviamente anche polis ) iniziata nel 1974 e troppo spesso tradita. "Che te ne fai della vittoria? A che serve? E per quanto?" chiedeva angosciosamente un vecchio nell’inquietante Sala di riunioni di Ghiannis Ritsos (1979-81). Sarà dalle risposte che si giudicherà il governo Tsipras: per ora, il solo passo di aver convocato persone incensurate, non corrotte né compromesse con precedenti governi (senza dire del coraggio di dare la Sanità in mano a un non vedente, peraltro competentissimo, come Kurublìs), ha del rivoluzionario: è il più grande rinnovamento di classe dirigente da 40 anni a questa parte, in un Paese fin qui ingessato e corrotto come pochi in Europa. E il fatto stesso che prima ancora di giurare i sottosegretari competenti abbiano già annunciato lo stop alle privatizzazioni di porti e aeroporti, fa capire che la strada è tracciata. Ma per comunicare in modo credibile tutto questo serviranno le parole dei poeti e quelle del cuore: se Tsipras invoca continuamente il "verdetto" (in greco etymigoría , "dire il vero") del voto popolare, ora spetterà a lui rendere al vocabolario della politica quella sincerità smarrita in troppi anni di narrazioni ipocrite. "Sii molto prudente con le parole / proprio come lo sei quando porti in spalla un ferito grave" (Aris Alexandru, Zona morta , 1959).( Fonte: sbilanciamoci | Autore: Filippomaria Pontani)

SPAGNA
Podemos vince la prova di forza della piazza centinaia di migliaia contro il governo
LA sinistra radicale spagnola è scesa in piazza per gridare che "il cambiamento è possibile": diverse centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Madrid sotto le bandiere di Podemos, il movimento anti-austerity che potrebbe dare un’altra scossa al panorama politico europeo, vincendo le elezioni in programma a fine anno, sulla scia del successo di Syriza in Grecia.
Il corteo – formato da militanti e cittadini arrivati da tutta la Spagna – è partito in tarda mattinata dalla centrale Plaza Cibeles per poi convergere a Puerta del Sol, tra striscioni repubblicani e greci e slogan come "politici, la gente si sta svegliando", o "finirà il tempo del Psoe", fino al più curioso "tic toc", per scandire il conto alla rovescia che potrebbe portare Podemos alla guida del Paese, come rivelano gli ultimi sondaggi, al termine di un decisivo anno elettorale: le comunali e le regionali il prossimo 24 maggio e sopratutto le politiche a novembre.
In piazza c’era lo stato maggiore del partito nato dal movimento degli Indignados (che dal 2011 protestano contro il governo di fronte alla grave crisi economica) e che ha ottenuto un primo grande successo alle ultime europee, con un sorprendente 8%. Su tutti, il suo leader carismatico, Pablo Iglesias: "Oggi sogniamo di far diventare il nostro sogno realtà nel 2015, che sarà l’anno del cambiamento in cui sconfiggeremo il Partito Popolare alle elezioni", ha scandito alla folla il 36enne con un passato da sindacalista, evocando l’esempio di Alexis Tsipras, leader della sinistra greca che ha appena ottenuto la premiership nel suo Paese, annunciando la fine delle politiche di austerità imposte da Bruxelles. Una "truffa", secondo Iglesias, che ha aggiunto: "la sovranità non è a Davos", tra coloro che "viaggiano in jet", ma tra i "senza tetto, i malati, i truffati e tutti coloro che hanno subito le conseguenze più devastanti di questa crisi".( Autore: fabrizio salvatori)

MEDIO ORIENTE & AFRICA
ISRAELE
Medio oriente, Israele vara nuovi insediamenti in Cisgiordania e taglia la luce ai palestinesi
Dopo un periodo di stasi, Israele riprende l’offensiva degli insediamenti in Cisgiordania e, dall’altra parte, come misura di ritorsione contro l’Anp, taglia le forniture di energia elettrica ai palestinesi sempre in Cisgiordania. Tel Aviv prevede la costruzione di 450 nuove case, piu’ della meta’ delle quali oltre la Barriera di separazione. La mossa ha subito riacceso lo scontro con i palestinesi che hanno condannato la scelta, ma anche con la comunita’ internazionale, in particolare gli Usa. Ma anche in Israele – alle prese due giorni fa con la fiammata di guerra sul Golan dopo la risposta degli Hezbollah agli attacchi israeliani di metà gennaio- l’annuncio della riproposizione degli appalti, resa nota dall’ong ‘Peace Now’, ha suscitato le proteste dell’opposizione al governo Netanyahu e al suo ministro dell’edilizia, il nazionalista religioso Uri Ariel. Reazioni negative anche dall’Europa. Secondo la portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera Ue, gli insediamenti minano ulteriormente “la fattibilita’ della soluzione dei due Stati". Gli insediamenti "sono illegali secondo il diritto internazionale e costituiscono un ostacolo per la pace", ha proseguito la portavoce in un comunicato.
Gli appalti riguardano gli insediamenti cisgiordani di Kiryat Araba (102 alloggi), Adam (114), Elkana (156), Alfei Menashe (78). Includono anche Maale Adumim (nella zona E1, gia’ fortemente contestata da Usa, Europa e palestinesi) ed Emmanuel, dove saranno pero’ costruiti un albergo ed uffici vari. Ma anche nel rione ebraico di Ghilo a Gerusalemme est – ha aggiunto Peace Now – sono in fase iniziale di progettazione altri 93 alloggi. Da Ramallah il negoziatore capo dell’Olp Saeb Erekat ha condannato la decisione ed ha esortato la comunita’ internazionale a riconoscere lo stato di Palestina come risposta all’annuncio di Israele. Poi ha chiesto che siano ”banditi tutti i prodotti di colonie e istituzioni legati direttamente o indirettamente all’occupazione israeliana e alle politiche di apartheid”. Per Peace Now si tratta di una mossa pre-elettorale ”in vista delle politiche del 17 marzo. Dopo aver imbarazzato l’amministrazione Obama con l’invito al Congresso, Netanyahu dà adesso – ha motivato l’ong – un altro schiaffo in faccia agli americani e mostra che Israele non ha rispetto verso il suo più stretto alleato”. Infine l’accusa a Netanyahu e ad Ariel ”di cercare ogni minuto per mettere in campo fatti compiuti e prevenire una soluzione diplomatica”. Anche Michael Oren, ex ambasciatore israeliano negli Usa ed ora candidato per il nuovo partito ‘Kulanu’, si e’ espresso contro le nuove case che non servono ”alle relazioni di Israele con l’America e al sostegno internazionale”. Dello stesso avviso Zahava Gal-On, presidente del partito di sinistra ‘Meretz’ che ha attaccato ”il governo estremista di Netanyahu e Bennett”, il leader del partito nazionalista religioso ‘Focolare ebraico’ di cui fa parte Uri Ariel. (Autore: fabrizio salvatori)

LIBANO-ISRAELE-SIRIA
Sale la tensione sul Golan
I miliziani dell’organizzazione libanese Hezbollah hanno attaccato un convoglio militare israeliano, il 28 gennaio, nelle Fattorie di Shebaa, una zona del sud del Libano occupata da Israele, uccidendo due soldati. Israele ha sparato colpi d’artiglieria contro obiettivi in territorio libanese, uccidendo un soldato spagnolo della missione Unifil. Secondo il Daily Star Hezbollah si è vendicato dell’attacco israeliano del 18 gennaio, che aveva causato la morte di sei miliziani sciiti e di un generale iraniano. Il 26 gennaio i curdi delle Unità di protezione popolare hanno annunciato di aver cacciato i jihadisti dello Stato islamico da Kobane, nel nord della Siria. Washington ha confermato che i curdi controllano il 90 per cento della città.

EGITTO
ANNIVERSARIO NEL SANGUE.
"jj quarto anniversario della rivoluzione finisce nel sangue", titola Al Shorouk. Il 24 e il 25 gennaio 23 persone sono morte e altre 97 sono rimaste ferite negli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti. Tra le vittime l’attivista di sinistra Shaimaa al Sabbagh, 32 anni, colpita dai proiettili sparati dalle forze di sicurezza contro un corteo pacifico nel centro del Cairo. Seguendo la linea del governo, il quotidiano Al Ahram attribuisce la responsabilità delle violenze ai Fratelli musulmani (l’organizzazione messa al bando nel 2013) e si congratula con lo stato per aver "smantellato i piani terroristici dell’organizzazione". Dopo gli scontri sono state arrestate 516 persone, in gran parte sostenitori dei Fratelli musulmani. Al Sisi aveva promesso un’amnistia per i giornalisti e per gli attivisti in carcere per reati minori ma, a parte liberare Alaa e Gamal Mubarak, i figli dell’ex dittatore, il presidente non ha mantenuto la parola. Anzi, il 27 gennaio la corte di cassazione ha confermato la condanna a tre anni di carcere per gli attivisti del movimento giovanile 6 aprile Ahmed Maher e Mohamed Adel, e il blogger Ahmed

LIBIA
L’HOTEL ASSEDIATO
Il 27 gennaio un gruppo di uomini armati che dicevano di appartenere al gruppo Stato islamico ha preso d’assalto l’hotel Corinthia a Tripoli uccidendo nove persone, tra cui cinque stranieri. Nell’hotel si riunisce il governo (non riconosciuto dalla comunità internazionale) di Omar al Hassi, scrive Libya Herald.

MALI
II 28 gennaio a Tabankort almeno nove persone sono morte in un attentato contro le postazioni dei ribelli tuareg.

NIGERIA
L’esercito ha respinto un attacco di Boko haram a Maiduguri il 26 gennaio.

SUDAFRICA
II 19 gennaio un commerciante straniero di Soweto ha ucciso un ragazzo accusato di furto. L’episodio ha scatenato una serie di violenze contro gli stranieri delle township.

ZAMBIA
Edgar Lungu, il candidato del partito al potere, ha vinto le presidenziali del 20 gennaio con il 48,33 per cento dei voti.

RDC
UNA VITTORIA PER LA PIAZZA
Il 25 gennaio il parlamento di Kinshasa ha adottato una nuova legge elettorale, scrive Jeune Afrique. L’ultima versione non contiene un articolo duramente contestato dall’opposizione, che legava lo svolgimento delle ele-zioni del 2016 a un nuovo censi-mento. L’idea di un possibile prolungamento del mandato del presidente Joseph Kabila aveva scatenato violente proteste, con almeno 12 morti

YIEMEN
IL ROMPICAPO YEMENITA
DOPO LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE E DEL GOVERNO, A SANAA SI APRE UN VUOTO DI POTERE. RISOLVERE LA CRISI NELLO YEMEN SARÀ UNA PRIORITÀ DEL NUOVO RE DELL’ARABIA SAUDITA
on la morte del sovrano saudita Abdullah, il 23 gennaio, la crisi nello Yemen è diventata una priorità per il suo successore Saiman. La notizia della morte di re Abdullah è arrivata poco dopo quella della dimissioni del presidente yemenita Abd Rabbo Mansur Hadi, un grave intoppo per Stati Uniti e Arabia Saudita, una piccola vittoria per l’Iran e un regalo per Al Qaeda.
La situazione a Sanaa è ancora confusa, ma è chiaro che i ribelli houthi, originari del nord, hanno avuto la meglio. Gli houthi, che professano lo zaydismo (una variante dell’islam sciita), hanno praticamente de-posto il governo filostatunitense di Hadi recitando slogan come: "Morte all’America, morte a Israele, maledetti gli ebrei, vittoria all’islam". Il leader dei ribelli è Abdel Malek al Houthi, 33 anni, che il 20 gennaio ha tenuto un discorso trionfante in cui prometteva la fine della corruzione e delle violenze. La caduta del governo di Hadi, che negli ultimi due anni ha appoggiato aperta-mente gli attacchi con i droni contro le postazioni di Al Qaeda nella penisola araba (Aqpa) nello Yemen, ha fatto emergere la milizia houthi come la prima forza di un paese poverissimo ma molto importante dal punto di vista strategico perché controlla lo stretto Bab al Mandeb, che collega Africa e Asia.
Dal 2011 l’Iran fornisce armi, soldi e addestramento agli houthi. Per questo i diplomatici di Teheran hanno accolto con soddisfazione il loro successo. Gli zayditi, però, non sono né pedine dell’Iran né degli stretti alleati: sono una forza indipendente. Agli occhi di alcuni religiosi iraniani lo zaydismo è una forma mascherata di islam sunnita. Gli houthi hanno ricevuto anche aiuto dall’ex presidente sunnita dello Yemen Ali Abdullah Saleh, il predecessore di Hadi, che nel 2012 aveva dovuto abbandonare il potere in seguito alla primavera araba. Non si conoscono ancora i veri obiettivi degli houthi. All’inizio della loro ribellione, nel 2004, chiedevano maggiore autonomia per la provincia di Saada, il territorio da cui provengono. Oggi alcuni temono che gli houthi vogliano restaurare l’imamato zaydita che governò lo Yemen del nord fino alla rivoluzione del 1962.
LA TENTAZIONE DEL SUD
Paradossalmente l’affermazione degli houthi avvantaggia Al Qaeda nella penisola araba, perché alimenta le divisioni tra sunniti e sciiti e permette al gruppo terroristico di presentarsi come difensore di questi ultimi. L’Aqpa ha recentemente rivendicato gli attacchi del 7 gennaio a Parigi contro il settimanale Charlie Hebdo.
Riyadh ha speso più di quattro miliardi di dollari per sostenere Hadi e il suo governo. Altri miliardi sono arrivati dagli altri stati del Consiglio di cooperazione del Golfo. Al momento tutti gli aiuti sono sospesi. Secondo alcune fonti, i sauditi stanno incoraggiando le tribù sunnite a opporre resistenza agli houthi. La prossima tappa del crollo del paese potrebbe essere la scissione del sud. Gli yemeniti delle regioni meridionali, in gran pane sunniti, non hanno mai accettato del nano l’unione con il nord (decisa nel 1990). Il movimento per l’indipendenza ha ripreso vigore dopo le rivolte del 2011. Nel 1994 i sauditi appoggiarono la ribellione del sud contro Saleh, fornendo ai combattenti armi e soldi. Oggi Riyadh potrebbe ancora una volta guardare con favore a una scissione, agirti ( di Bruce Riedel, Al Monitor, Stati Uniti)
NOTA.
22 gennaio 2015 II presidente yemenita Abd Rabbo Mansur Hadi e il governo guidato da Khaled Bahah si dimettono per le pressioni degli houthi, che assediano la capitale. 24 gennaio Manifestazioni contro gli houthi in varie parti del paese.
27 gennaio Gli houthi liberano Ahmed Awad bin Mubarak, ex capo di gabinetto di Hadi. Il suo rapimento aveva innescato le violenze che hanno portato alle dimissioni del governo.

ASIA & PACIFICO
COREA DEL NORD
Nella sua prima visita ufficiale all’estero, a maggio Kim Jongun andrà a Mosca per celebrare i 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

GIAPPONE
IMPREPARATI AL PEGGIO
"Tokyo sapeva da mesi che il gruppo Stato islamico aveva in ostaggio due giapponesi, ma è apparsa impreparata quando il 20 gennaio i jihadisti hanno fissato una scadenza per il pagamento di un riscatto e quattro giorni dopo hanno ucciso uno dei due". Il Japan Times cita dei funzionari del governo nipponico coinvolti nella crisi che ha tenuto il paese con il fiato sospeso nelle ultime settimane. Secondo le fonti del quotidiano, prima di partire per il viaggio di una settimana in Medio Oriente il 17 gennaio, il primo ministro Shinzó Abe aveva convocato i suoi consiglieri sulla sicurezza, ma durante la riunione non si era parlato degli ostaggi. Era prevedibile che il discorso di Abe al Cairo, in cui il premier ha promesso 200 milioni di dollari per aiutare i paesi della coalizione impegnata a combattere lo Stato islamico, avrebbe messo a rischio la vita degli ostaggi. Due giorni dopo, infatti, il gruppo ha risposto ad Abe chiedendo proprio un riscatto di 200 milioni di dollari. Solo allora Tokyo si è mossa per attivare tutti i canali di comunicazione sul campo. Secondo l’Asahi Shimbun, il governo starebbe pensando a una legge che permetta alle forze di autodifesa (un esercito a tutti gli effetti ma con limiti d’azione) di partecipare a opera-zioni di polizia all’estero, incluso il salvataggio di cittadini giapponesi, a patto di avere il consenso dei paesi interessati.

FILIPPINE
PACE A RISCHIO A MINDANAO
o scontro a fuoco tra le forze speciali della polizia e i ribelli separatisti, avvenuto il 25 gennaio sull’isola di Mindanao, nel sud dell’arcipelago, rischia di bloccare il percorso di pace intrapreso un anno fa dal governo di Manila e dal Fronte islamico di liberazione moro (Film). Nel raid, avvenuto in un villaggio controllato dal Film, la polizia ha perso quasi cinquanta uomini. Sembra che gli agenti stesse-ro cercando alcuni esponenti dei Combattenti islamici per la libertà di Bangsamoro, una fa-zione del Film che si oppone al cessate il fuoco firmato nel marzo del 2014. Il congresso filippino sta vagliando una proposta di legge, parte dell’accordo tra governo e ribelli musulmani, che dovrebbe gettare le basi per la creazione del Bangsamoro, un’entità politica autonoma sull’isola di Mindanao. Dopo gli scontri, però, la discussione in parlamento è stata sospesa, scri-ve il Philippine Star.

BIRMANIA
II 28 gennaio, in seguito alle proteste degli studenti contro la riforma dell’istruzione, il governo ha accettato di aprire un tavolo di dialogo per modificare la nuova legge.

THAILANDIA
La fine dei Shinawatra
Il 23 gennaio il parlamento tailandese ha votato la messa in stato d’accusa dell’ex prima ministra Yingluck Shinawatra Destituita pochi giorni prima del golpe militare dello scorso maggio, Shinawatra è accusata di abuso e corruzione per il programma di sussidi ai coltivatori di riso promosso dal suo governo. Secondo l’accusa, il programma è costato alle casse pubbliche miliardi di dollari e avrebbe garantito a Shinawatra e al suo partito i voti degli abitanti delle aree rurali. L’assemblea, creata dai militari al potere, ha approvato la messa in stato d’accusa con 190 voti a favore
su 220. Shinawatra è bandita dall’attività politica per i prossimi cinque anni e rischia fino a dieci anni carcere. La vicenda mette fine al movimento politi-co creato nel 2001 dal fratello di Shinawatra, Thaksin, scrive Asia Sentinel. Il fatto che i sostenitori di Shinawatra non abbiano protestato indica la capacità dei militari di sedare l’opposizione

CINA
UN PAESE SQILIBRATO
governo cinese ha ordinato alle autorità locali un giro di vite contro le organizzazioni illegali che portano all’estero i campioni di sangue delle donne incinte per determinare il sesso del feto. Le misure annunciate dalla Commissione per la salute e la pianificazione familiare puntano a colpire un’attività che alimenta gli aborti selettivi minando gli sforzi per colmare il divario di genere. Nel 2014, scrive Caixin, ogni 100 femmine sono nati 115 maschi. Nel 2004 il rapporto tra maschi e femmine in Cina ha raggiunto il picco di 121, mentre la media indicata dalle Nazioni Unite è compresa tra 103 e 107. Lo squilibrio è una conseguenza dell’introduzione nel 1979 della legge sul figlio unico, i cui effetti per contenere la crescita della popolazione si sono mescolati alla preferenza per i figli maschi di tradizione contadina. Già nel 2002 il governo aveva vietato ai medici di rivelare il sesso del nascituro. Lo squilibrio sta diventando un problema sociale. Nelle zone rurali ci sono molti "villaggi degli scapoli" e sono sempre più diffusi i matrimoni con ragazze vietnamite e cambogiane vittime del traffico di esseri umani.

INDIA
LA VISITA DI OBAMA E L’OMBRA DI PECHINO.. IL PRESIDENTE STATUNITENSE E IL PREMIER INDIANO HANNO RINNOVATO UN’INTESA CHE SERVIRÀ A NEW DELHI PER RAFFORZARE LA SUA POSIZIONE NELLA REGIONE. MA CHE NON PIACE ALLA CINA
Quando il presidente statunitense Barack Obama e il primo ministro indiano Narendra Modi si sono incontrati a New Delhi, sui colloqui aleggiava l’ombra della Cina, che ha rapporti complicati con i due paesi. Rafforzando i legami con l’India, Obama punta ad aumentare l’influenza degli Stati Uniti sui paesi che confinano con la Cina. E la democrazia più grande del mondo è una partner particolarmente attraente per gli Stati Uniti, impegnati a coltivare un solido contrappeso regionale alla Cina comunista. Apparentemente New Delhi e Pechino sono alleate, e a settembre del 2014 Modi ha accolto calorosamente il presidente cinese Xi Jinping in visita nella capitale in-diana. L’India, però, è preoccupata per le manovre cinesi nella regione – in particolare nell’oceano Indiano e sul confine himalayano – e vede nel miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti uno strumento fondamentale per rafforzare la sua posizione difensiva.
"Dal punto divista dell’India, si sta giocando una partita triangolare", commenta Ashley Tellis, esperto di Asia meridionale presso il Carnegie endowment for international peace di Washington. Modi pretende "tutti i benefici derivanti dal presentarsi come uno stretto collaboratore degli Stati Uniti", compreso l’accesso alla tecnologia, alle competenze e alla cooperazione militare americana, afferma Tellis. Il viaggio di Obama in India (dal 25 al 27 gennaio) ha suggellato l’impegno di Washington e New Delhi per rafforzare una relazione segnata da tensione e sospetti. Obama è il primo presidente statunitense ad aver visitato l’India due volte e il primo ad aver presenziato come ospite d’onore alla parata annuale della festa della Repubblica indiana. Il 26 gennaio Obama e Modi sedevano fianco a fianco mentre davanti a loro sfilavano i carri armati e i lanciarazzi e nel cielo sfrecciavano gli aerei da combattimento. Obama ha poi incontrato una delegazione di uomini d’affari statunitensi e indiani per rafforzare la cooperazione economica tr due paesi.
Il suo viaggio non è passato inosservato in Cina. La portavoce del ministero de esteri, Hua Chunying, ha osservato che 1 relazioni tra Stati Uniti e India "potrebbe promuovere la fiducia reciproca e la cooperazione nella regione". L’agenzia stampa governativa Xinhua, tuttavia, h liquidato la visita di Obama definendo "più simbolica che pragmatica, tenuto conto delle vecchie fratture tra i due giganti, grandi almeno quanto la distanza geografica che li separa". Gli articoli sui mezzi d’informazione di Pechino sono spesso usati per criticare o sollevare dubbi sulle mosse diplomatiche di altri paesi.
EQUILIBRI REGIONALI
Durante la sua visita a Pechino, a novembre del 2014, Obama aveva trovato un con senso inatteso su molti temi, compreso 1 accordo ambizioso sul taglio delle emissioni di gas serra che, nelle speranze della Casa Bianca, dovrebbe spingere paesi come l’India a prendere impegni simili. Washington però teme le mosse di Pechino su questioni come le dispute territoriali nella regione, la pirateria informatica e la manipolazione monetaria. New Delhi, invece, teme soprattutto che Pechino cerchi di guadagnare una maggiore influenza nell’oceano Indiano, storicamente controllato dall’India. Le navi cisterna che si spostano attraverso quel tratto di mare so-no di fondamentale importanza per l’approvvigionamento petrolifero di New Delhi: qualsiasi rallentamento nel traffico potrebbe paralizzare l’economia del paese. L’India, inoltre, è preoccupata per le truppe cinesi sull’Himalaya che regolarmente sconfinano. Per Rahul Bedi, un analista indiano del Jane’s information group, l’obbiettivo di New Delhi nei prossimi vent’anni è sviluppare una capacità militare che le consenta di tenere testa a Pechino. "E per farlo", spiega Bedi, "ha bisogno dell’aiuto degli Stati Uniti". Obama e Modi hanno deciso di estendere un patto di difesa decennale che favorirà una maggiore cooperazione militare e marittima. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che durante la guerra fredda l’India fu uno dei principali sostenitori del non al-lineamento. Secondo gli esperti, non si potrà spingere troppo oltre nel suo tentati-vo di allearsi con gli Stati Uniti per contra-stare la Cina, ( Julie Pace, The Irrawaddy, Thailandia)

KOBANE
Da questa mattina la bandiera dei curdi sventola sulla collina che domina Kobane, la città curdo-siriana a ridosso della frontiera turca liberata dopo quattro mesi d’assedio da parte delle milizie jihadiste dello Stato islamico.
La notizia della liberazione di Kobane è stata data dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, basato a Londra. L’Ong segnala sporadici combattimenti in due sobborghi, dove c’è una residua presenza dei jihadisti. Gli attivisti hanno pubblicano su Twitter alcune foto della bandiera curda sulla collina di Kobane. In una di queste immagini, pubblicata da Askanew, si vede un combattente curdo issare la bandiera gialla con una stella rossa delle unità a difesa del popolo curdo (Ypg) che prende il posto di quella nera del califfato islamico, simbolo di mesi di assedio da parte degli islamisti. La notizia della liberazione di Kobane sta rimbalzando su tutti i siti in lingua araba e curda.
I combattenti curdi, guidati da Mahmoud Barkhadan, sono avanzati sin nei sobborghi di Kani Erban e Maqtalah. Le forze anti-Isis hanno conquistato il "90%" di Kobane, precisa l’Osservatorio, mentre i miliziani residui dell’Isis – tra i quali ci sarebbero molti minorenni – si sono asserragliati in due aree nella periferia orientale. Da metà settembre a oggi, si stima vi siano stati oltre 1.600 morti nei combattimenti. Circa l’80% dei raid della Coalizione si sono concentrati proprio sull’area di Kobane.
KOBANE
KOBANE È FINALMENTE LIBERA
Kobane è libera. La vittoria dei curdi potrebbe segnare una svolta nella lotta contro il gruppo Stato islamico. Dopo quattro mesi di assedio costato migliaia di morti, innumerevoli feriti e la completa distruzione della città, i curdi hanno scacciato i jihadisti e gli hanno strappato l’aura di invincibilità che li aveva accompagnati finora. È vero che questo successo non sarebbe stato possibile senza il supporto aereo della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Ma la liberazione di Kobane dimostra che nella lotta contro lo Stato islamico sul terreno è giusto puntare sui curdi, che sono combattenti disciplinati ed efficienti.
A Kobane i curdi di Siria non si sono battuti solo per se stessi, hanno anche svolto il lavoro sporco per conto dell’occidente, pagando un altissimo tributo di sangue. È dunque giusto e ragionevole che ora ricevano finalmente gli aiuti che meritano. La ricostruzione di Kobane costerà milioni di euro. Ma i curdi hanno bisogno anche di rifornimenti alimentari, di medicinali e di armi per potersi difendere da nuovi attacchi da parte dello Stato islamico, che tutti si attendono. E, quando si parlerà del futuro della Siria, dovranno sedere anche loro al tavolo delle trattative.
Ma prima di tutto deve finire l’embargo che la Turchia ha decretato contro le enclave curde della Siria per motivi puramente ideologici. È ora di obbligare Ankara ad aprire dei corridoi per consentire l’arrivo degli aiuti. È il minimo che possiamo fare per i valorosi combattenti di Kobane ( Frank Nordhausen, Berliner Zeitung, Germania)

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
ARGENTINA
SMANTELLARE I SERVIZI SEGRETI
Il 26 gennaio la presidente argentina Cristina Fernández ha annunciato che presenterà un progetto di legge per smantellare la Secretaría de inteligencia, i servizi segreti nazionali. L’annuncio è arrivato a una settimana dalla morte del procuratore Alberto Nisman, che indagava sull’attentato del 1994 contro la sede dell’Asociación mutuai israelita Argentina a Buenos Aires. "La presidente ha spiegato che la riforma dell’intelligence è una questione che la democrazia deve affrontare dal 1983", scrive Página 12. Secondo l’op-posizione, con la riforma il kirchnerismo estenderà il suo controllo sull’intelligence. "Fernández ha approfittato della crisi per rafforzare il suo potere", commenta La Nación.

MESSICO
UN ALTRO GIORNALISTA UCCISO
Il 26 gennaio le autorità messicane hanno annunciato di aver ritrovato il corpo sfigurato del giornalista José Moisés Sànchez Cerezo, sequestrato il 2 gennaio nella sua abitazione a Medellin Bravo, nello stato orientale di Veracruz. Sànchez Cerezo lavorava per il settimanale locale La Union, dove si occupava di corruzione e criminalità organizzata. Il procuratore dello stato ha chiesto la destituzione del sindaco di Medellin Bravo, Omar Cruz Reyes, accusato di essere il mandante morale dell’omicidio. SinEmbargo ricorda che Veracruz è diventato lo stato più pericoloso del paese per i reporter.

BRASILE
Il Brasile è alle prese con la siccità
ALCUNI GRANDI STATI DEL PAESE STANNO ATTRAVERSANDO LA PIÙ GRAVE CRISI IDRICA DEGLI ULTIMI CENT’ANNI. LA CARENZA D’ACQUA RISCHIA DI RIDURRE IN MODO DRASTICO LA FORNITURA DI ENERGIA Un quinto della popolazione brasiliana sta subendo gli effetti della siccità. Uno studio condotto da O Globo, sulla base delle informazioni dei comitati per i bacini idrografici e dei governi statali, rivela che almeno 45,8 milioni di persone vivono in regioni dove il livello delle riserve idriche è inferiore alla norma e la quantità di precipitazioni è al di sotto delle medie storiche. Negli stati del nordest e del sudest la carenza d’acqua ha già provocato una riduzione dell’irrigazione nelle campagne e un’interruzione della navigazione fluviale. Se si pro-lungasse, potrebbe compromettere la produzione di energia idroelettrica e l’attività industriale. Nel 2014 la siccità ha costretto 1.265 comuni di tredici stati sudorientali e nordorientali a decretare lo stato d’emergenza. Oggi più di novecento comuni sono nella stessa condizione. La procedura per-mette ai gestori pubblici di ricorrere alle ri-sorse federali per garantire le attività di soccorso e i servizi d’emergenza. Ma i co-muni alle prese con la siccità potrebbero essere di più del numero ufficiale, perché non tutti hanno dichiarato lo stato d’emergenza. Per esempio nello stato di Sào Paulo, dove almeno 64 comuni devono affrontare problemi legati alla mancanza d’acqua, solo tre hanno ottenuto il riconoscimento dello stato d’emergenza da parte della Secretaria nacional de protecào e defesa civil.
DANNI PER L’ECONOMIA
Nello stato di Cearà, dove la siccità sta colpendosi milioni di persone, 176 comuni su 184 hanno dichiarato lo stato d’emergenza. Gli stati del nordest convivono con gli effetti della crisi dal 2012. Secondo il comitato per i bacini idrografici del rio Sào Francisco, 19 milioni di persone hanno subito gli effetti della scarsità d’acqua nelle aree attraversate dal fiume negli stati di Pernambuco, Bahia, Sergipe, Alagoas e nel nord di Minas Gerais. Nel sudest del paese la situazione si è aggravata soprattutto a gennaio. L’inizio dell’estate non ha portato le piogge necessarie per riempire i bacini, e ora le grandi città rischiano il razionamento d’acqua, governo di Rio de Janeiro nega che ci sia pericolo di un razionamento, ma il volume morto del bacino di Paraibuna, fonte di approvvigionamento per l’area metropolitana, è stato adoperato per la prima volta dal la creazione della riserva negli anni settanta. E il sistema Paraopeba, che rifornisce 1 regione metropolitana di Belo Horizont potrebbe esaurire le riserve nei prossimi tre mesi. Al confine con lo stato di Espirito San to il problema riguarda il rio Doce: nel comune di Governador Valadares la portata del fiume è dieci volte inferiore ai livelli raggiunti di solito in questo periodo dell’anno A Sào Paulo il sistema Cantareira, il più grande dello stato, potrebbe restare senza acqua a luglio.
Per José Galizia Tundisi, coordinatore del gruppo di studio sulle risorse idriche dell’Accademia brasiliana delle scienze, i governi devono riconoscere la gravità della situazione e organizzare campagne di sensibilizzazione per ridurre il consumo d’acqua. La siccità può scatenare una reazione a catena e penalizzare l’economia: "Colpisce la produzione energetica, il settore alimentare e le industrie che impiegano molta acqua", spiega Tundisi. "Questa situazione ha conseguenze sulla salute delle persone, perché quando l’acqua è poca la sua qualità si altera", aggiunge.
Secondo il meteorologo Luiz Carlos Baldicero Molion, ci vorranno almeno sei anni prima che il sudest del Brasile torni a un regime di piogge superiore alle medie storiche. La sua tesi si basa sull’analisi delle piogge cadute a Sào Paulo dal 1888. Lo stato ha avuto almeno altri tre cicli di siccità durati otto o nove anni: "Nel sudest ci sono stati periodi di siccità grave all’inizio degli anni trenta, nel 1959 e nel 1976. Considerando che le piogge sono scese sotto la media dal 2012, possiamo presumere che il fenomeno durerà fino al 2020 o al 2021". ( di Tiago Dantas, O Globo)

VENEZUELA
II 23 gennaio il governo di Caracas ha negato agli ex presidenti della Colombia e del Cile, Andrés Pastrana e Sebastiàn Pinera), l’autorizzazione a visitare in carcere il leader dell’opposizione Leopoldo Lopez.

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI
II 27 gennaio un tribunale del Texas ha bloccato l’esecuzione della pena di morte nei confronti di Garcia White, condannato per aver ucciso due adolescenti a Houston nel 1989. L’ex agente della Cia Jeffrey A. Sterling è stato condannato per spionaggio. Aveva fornito documenti al New York Times
USA
MALUMORI REPUBBLICANI
Nel Partito repubblicano una minoranza spinge per adottare posizioni più pragmatiche su temi come l’aborto, l’immigrazione e i matrimoni gay. Il 22 gennaio una ventina di deputati ha costretto i vertici repubblicani ad accantonare un disegno di legge reazionario sull’aborto e a sostituirlo con un testo più moderato, scrive il Washington Post. La settimana prima alcuni deputati si erano rifiutati di votare una proposta molto intransigente sull’immigrazione. Sono sempre di più i repubblicani con-vinti che il partito si stia dedicando troppo a questioni ideo-logiche e poco a costruire un programma credibile in vista delle elezioni del 2016. "Questi fatti", conclude il quotidiano, "dimostrano anche che i leader fanno fatica a mantenere il controllo del partito".
STATI UNITI
ASPETTANDO LA CORTE
A metà gennaio la corte suprema ha cominciato a esaminare la questione dei matrimoni omosessuali. "I giudici dovrebbero pronunciarsi entro la fine dell’estate", scrive Time. "Molto probabilmente affermeranno che i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono costituzionali, determinando una delle trasformazioni politiche più rapide e radicali della storia degli Stati Uniti". Solo ventanni fa le autorità statali potevano incarcerare gli omosessuali, e dal 1996 una legge gli permette di non riconoscere i matrimoni gay contratti in altri stati. Ultima-mente, dopo la legalizzazione in molti stati, erano aumentate le pressioni sulla corte suprema per chiedere un intervento definitivo sulla questione.
USA
NUOVO FRONTE PETROLIFERO
Il 27 gennaio il dipartimento dell’interno degli Stati Uniti ha reso noti i dettagli di un piano che autorizzerà le aziende petrolifere a perforare nuove por-zioni di fondali marini nell’oceano Atlantico. È una buona notizia per l’industria del gas e del petrolio che da anni chiede di poter trivellare quelle zone, dove secondo le stime ci sarebbero 3,3 miliardi di barili di petrolio. Secondo gli ambientalisti, la decisione esporrà le coste di Virginia, Georgia, North e South Carolina al rischio di disastri ambientali simili a quello che ha colpito il golfo del Messico nel 2010. Il piano prevede anche l’apertura di nuovi impianti nel golfo del Messico e il divieto di perforazione nei mari di Beaufort e Chukchi, nell’oceano Artico. "Il piano", scrive il New York Times, "rientra nella discussa strategia di Barack Obama sull’energia. Dall’inizio del suo mandato il presidente cerca di trovare un equilibrio tra difesa dell’ambiente ed efficienza energetica

(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

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