11539 1. NOTIZIE dall’Italia e dal mondo 8 gennaio 2014.

20150109 14:48:00 guglielmoz

«LIBERTÉ, ÉGALITÉ, FRATERNITÉ»
JE SUIS CHARLIE. L’INTOLLERABILE INTEGRALISMO DELLE FURIE ISLAMISTE E DEI PALADINI DELL’OCCIDENTE. A CIASCUNO I SUOI FANATICI DA DEBELLARE. LA NOSTRA IDEA DI CIVILTÀ ESCLUDE LO SCONTRO DI CIVILTÀ
Il giudizio della stampa di tutto il mondo è quasi unanime: la mattanza parigina rappresenta un attacco alla libertà, colpita in una delle sue espressioni più classiche ed esplicite, la satira contro il potere, la morale, i dogmi di tutte le religioni
ITALIA – ITALIA/GRECIA. Naufragio del traghetto, i controlli ci sono ma non vengono rispettati. La denuncia di Usb e Pame. Indagati comandane e armatore. / 2015 Diario minimo. Promemoria per l’anno che verrà./ Tra le carte sparse di casa ho trovato annotazioni e appunti, note di cronaca e politica, aforismi, detti, frammenti, citazioni, pensieri. E altro 5. / ROMA. Crisi, aumenta l’area del . disagio sociale. Oltre 9 milioni quelli che "non ce la fanno". I dati di Unimpresa. ”Cresce di quasi mezzo milione il numero degli italiani che non ce la fa./
ONU/MONDO – Atene, Kobane, Tunisi … / Al di là dell’esito che avranno.
EUROPA – FRANCIA. «Liberté, egalité, fraternité» e il loro doppio. Je suis Charlie. L’intollerabile integralismo delle furie islamiste e dei paladini dell’Occidente. A ciascuno i suoi fanatici da debellare. o le prossime elezioni in Grecia, è chiaro che queste segnano un passaggio storico molto significativo per quanto riguarda la politica in Europa. / GRECIA. L’economista di Tsipras: «Solo tante menzogne sulla ripresa greca». / FRANCIA Sindaco di destra nega la sepoltura a una bimba Rom perché la famiglia non paga le tasse. Il sindaco di Champlan, un paese a sud di Parigi, ha negato la sepoltura ad una bimba rom. Motivo? /
AFRICA & MEDIO ORIENTE – LIBIA. Il petrolio lìbico al centro della guerra. Se la comunità internazionale non farà nulla, la Libia finirà per dividersi in tanti piccoli stati ostili alla democrazia, pericolosi per i paesi confinanti e per gli occidentali", avverte Aboubacari Daou, un esperto di scienze politiche che ha vissuto per dieci anni a Tripoli. / TUNISIA. Comincia l’era Essebsi. Dopo aver vinto il ballottaggio delle presidenziali con il 55,7 per cento dei voti, il 31 dicembre Béji Caid Essebsi, 88 anni, del partito laico Nidaa Tounes, si è insediato come presidente.
ASIA & PACIFICO – GIAPPONE. Rimorso senza scuse. Mancano otto mesi alle celebrazioni del 700 anniversario della fine della seconda guerra mondiale, ma il discorso che il primo ministro Shinzò Abe terrà il 15 agosto fa già discutere. / CINA. Troppo vicino a Pyongyang. Il 5 dicembre la Cina ha protestato ufficialmente con il regime di Pyongyang per la morte di quattro cinesi uccisi da un disertore nordcoreano.
AMERICA CENTROMERIDIONALE – VENEZUELA. Maduro gioca la carta cinese.
AMERICA SETTENTRIONALE – USA. La morte di Mario Cuomo . Il nuovo anno si apre con una triste notizia: la morte di Mario Cuomo, il primo governatore italoamericano dello stato di New York. Alle giovani generazione probabilmente non dirà nulla, un nome come tanti, ma per chi ha qualche capello grigio e un impegno politico in gioventù, Cuomo rappresentò l’America dalla faccia pulita, il politico americano che poteva parlare senza suscitare violente manifestazioni di piazza in ogni parte del mondo al grido di "Usa Go Home".

ITALIA/GRECIA
NAUFRAGIO DEL TRAGHETTO, I CONTROLLI CI SONO MA NON VENGONO RISPETTATI. LA DENUNCIA DI USB E PAME. INDAGATI COMANDANE E ARMATORE
Naufragio colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Sono queste le ipotesi di reato scattate per il comandante della Norman Atlantic, Argilio Giacomazzi, e l’armatore della nave, Carlo Visentini. Sono tre le procure pugliesi che indagano sul naufragio del traghetto in avaria al largo delle coste albanesi. Il bilancio non ancora definitivo dopo oltre un giorno di difficili soccorsi nel mare in tempesta, è di 10 vittime, ma c’e’ incertezza sui possibili dispersi. Intanto la nave è stata posta sotto sequestro e la magistratura italiana, insieme a quella albanese, sta decidendo dove rimorchiarla. ( di fabio sebastiani)
Dopo l’arrivo in tre province pugliesi dei naufraghi e dei corpi delle prime vittime, ad attivarsi sono state le procure di Bari, Brindisi e Lecce. La Norman Atlantic batte bandiera nazionale e quindi la competenza dell’inchiesta sarà italiana anche se il naufragio è avvenuto fuori delle acque territoriali.
La procura di Bari, che ha ascoltato i primi testimoni, ha posto al centro degli accertamenti l’individuazione della causa dell’incendio, le modalità della gestione dell’emergenza a bordo, e, soprattutto la regolarità e adeguatezza delle dotazioni di sicurezza della nave. Problemi al riguardo, e in particolare sulla efficienza delle porte tagliafuoco, erano stati segnalati dall’organizzazione internazionale Paris Mou che aveva ispezionato la nave dieci giorni fa a Patrasso, in Grecia rilevando ben sei anomalie.
Come al solito, al di là del caso specifico, sul quale Confitarma è pronta a giurare sulla regolarità, emergono le assurdità di un sistema di trasporto che, pur in presenza di numerosi controlli, continua a mostrare evidenti falle, e tutte a discapito della sicurezza sia dei passeggeri sia dei lavoratori marittimi. Secondo un calcolo comparso in questi giorni sui giornali, su 100 ispezioni solo nel 3,65% dei casi le navi vengono obbligate a fermarsi. Nel caso dei convogli italiani, poi il tasso è ancora più basso. Su 373 ispezioni sono state riscontrate 213 anomalie ma solo l’1,61% è stato rispedito in cantiere. Fermare una nave è complicato. E gli interessi in ballo sono di proporzioni considerevoli.
Sullo stato dell’arte della sicurezza in mare nel traffico commerciale e passeggeri è intervenuto anche il sindacato. In un comunicato congiunto Usb/Pame, una delle sigle del sindacalismo di base in Grecia, viene denunciato come “la ricerca del profitto, da parte degli armatori, è incompatibile con la sicurezza in mare, è incompatibile con le misure necessarie per proteggere la vita in mare. E’ evidente, che i naufragi, gli incendi, etc, sono causati dalle gravi omissioni sulla sicurezza della navigabilità che producono gravi conseguenze per passeggeri e equipaggi.
Usb e Pame si chiedono quali sono le vere cause dell’incendio, se i mezzi antincendio erano efficienti, se erano presenti le paratie antincendio della nave e perché non è stato possibile contrastare l’incendio dall’inizio.
In secondo luogo, “dato che qualsiasi ritardo in caso di incendio comporta enormi rischi per la vita delle persone a bordo, perché, anche se l’incendio è scoppiato circa alle 4:00 di Domenica 28 dicembre, sono stati portati sulle scialuppe solo 150 passeggeri? Lasciando a bordo un gran numero di passeggeri pur essendo in una zona (al largo di Corfù), dove, nonostante le specifiche condizioni meteorologiche avverse (senza esagerazioni), sarebbero potute intervenire con tempestività, nelle operazioni di salvataggio, velieri, navi da guerra, rimorchiatori e elicotteri off-shore?”
Inoltre, se la nave è stata riconvertita in un traghetto, “è giustificata la presenza di un numero così grande di passeggeri e veicoli? La struttura della nave era adeguata? Gli strumenti di salvataggio erano sufficienti? E hanno funzionato?”
In quarto luogo, cosa c’è dietro le ispezioni della nave, come sono state affrontate le osservazioni fatte durante l’ispezione del 19 dicembre 2014 dall’Autorità Portuale di Patrasso? Osservazioni che erano molto gravi per quanto riguarda la navigabilità della «NORMAN ATLANTIC» e che sono disponibili sul sistema "EQUASIS" www.equasis.org) . Usb e Pame chiedono infine che vengano effettuati controlli sistematici sulle navi passeggeri “per verificare il rispetto degli standard di tutela della vita in mare”.
Per il Codacons, ora è compito dei magistrati "verificare se chi ha permesso alla Norman Atlantic di operare abbia in qualche modo contribuito a determinare il naufragio, e se la sicurezza dei viaggiatori sia stata messa a rischio da eventuali omissioni o negligenze".
Polemiche anche sul lato dei soccorsi. "Recentemente il ministero dell’Interno – ricorda il Conapo, sindacato autonomo dei vigili del fuoco – ha adottato un piano di tagli con riduzione degli organici di tutte le sedi nautiche dei vigili del fuoco, di dismissione senza sostituzione di unità navali antincendio di grosse dimensioni, e sette nuclei sommozzatori, tra cui proprio quello di Brindisi, sono a rischio definitiva
2015
DIARIO MINIMO. PROMEMORIA PER L’ANNO CHE VERRÀ.
TRA LE CARTE SPARSE DI CASA HO TROVATO ANNOTAZIONI E APPUNTI, NOTE DI CRONACA E POLITICA, AFORISMI, DETTI, FRAMMENTI, CITAZIONI, PENSIERI. E altro. Riporto, rispettando disordine e casualità degli accostamenti che – talvolta – risultano illuminanti. “Tutti i pensieri intelligenti sono già stati pensati, occorre solo tentare di ripensarli”. di Angelo Cannatà
* RENZI. “ENRICO STAI SERENO”. “LEGGERE COME ‘ULTIME NOTIZIE’, UNA PAGINA DI MACHIAVELLI” (Maccari).
* NINO DI MATTEO. INDAGA SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA E TOTÒ RIINA VUOLE UCCIDERLO. Lo Stato lo sottopone a indagine disciplinare. È innocente e proprio per questo solo, in pericolo. Flaiano: “Oggi sentenza del processo. Dobbiamo tentare in tutti i modi di renderci colpevoli, o almeno di apparire colpevoli. Perché, a lungo andare, la nostra innocenza non potrà che attirarci i rigori della legge. Ci si chiederà improvvisamente di dimostrarla, per esempio, la nostra innocenza. E questo è quasi impossibile. Qualcuno ci riesce; e allora è perduto.” (Dal “Diario Notturno”). Nota: Giorgio Bocca aveva appena letto Flaiano, quando parlò della solitudine del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
* “A PALERMO IL PROCURATORE LO VOI SFUGGE A UN ATTENTATO RIVOLTO CONTRO UN’ALTRA PERSONA.”
* WITTGENSTEIN. “REPORTAGE MAFIA”. LE FAMIGLIE MAFIOSE SICILIANE, UCCIDENDO FALCONE E BORSELLINO, INVIARONO UN MESSAGGIO ALLE FAMIGLIE ROMANE. L’hanno fatto nel loro linguaggio, il solo che sappiano usare. D’altronde: “La proposizione mostra il suo senso”, il linguaggio è involuto ma essenziale, rapido, incisivo, un’esplosione di significati. Qual è il messaggio inviato a Roma? “Se la domanda può porsi può avere anche risposta.” Ma il punto è: la domanda può porsi? Si può ragionare su tracce, conversazioni, dialoghi? Si può decodificare il testo e il contesto? “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere.” E’ il nuovo dogma della stabilità. Ne deriva: la distruzione completa di ogni parola, segno (e disegno) intercettato in ogni luogo, con ogni mezzo.
* LA NOMINA DI FRANCO LO VOI A PROCURATORE DI PALERMO CHIUDE VIOLENTEMENTE UNA STAGIONE CHE AVEVA GARANTITO RISULTATI ECCEZIONALI NELLA LOTTA ALLA MAFIA. “Non si parla più di normalizzazione. Ci viene il sospetto che sia un fatto compiuto.”
* “LA MIA AMBIZIONE È DIRE IN DIECI FRASI QUELLO CHE UN ALTRO DICE, O NON DICE, IN UN LIBRO.”
* GIANNI ALEMANNO. NON HO AGITO PER FAVORIRE BUZZI E CARMINATI: “NON C’È NULLA DI CUI DEBBA PENTIRMI”. Nega. “Io ho fatto questo, dice la mia memoria. Io non posso aver fatto questo, dice il mio orgoglio e rimane irremovibile. Alla fine, la memoria si arrende.” (Nietzsche).
* E’ FINITA L’EPOCA DEI CONFLITTI IDEOLOGICI. MAFIA CAPITALE. “FOTTI, NON PAROLE.”
* “I magistrati parlano troppo”, dice Napolitano. Soprattutto, indagano sui legami mafia-politica, gli affaristi, i ricchi imprenditori. Molto meglio quei bei magistrati di una volta, giusti, inflessibili, soprattutto equi. Non colpivano una sola classe: “proibivano al ricco come al povero di dormire sotto i ponti, di elemosinare nelle strade e di rubare pane.” Quando si dice il senso della giustizia.
* “FU NEL 1959, DOPO UNA CONFERENZA (…) ERAVAMO IN UN LOCALE PUBBLICO PIENO DI FUMO. Chiesi ingenuamente: ‘Signor Bloch, Lei è ateo, non è vero?’ Mi fulminò: ‘Sono ateo per amor di Dio’.”
* FANATISMO RELIGIOSO. L’ISIS UCCIDE CON FEROCIA INAUDITA. “La democrazia ha bisogno di Dio. Falso!” E comunque: perché l’Onnipotente consente il male? Aristotele ci aveva avvertiti: “Dio è troppo perfetto per pensare ad altro che a se stesso.” In verità: “L’impotenza di Dio è infinita”.
* MARIA ELENA BOSCHI. HA CHIESTO DI NON ESSERE GIUDICATA PER LE “FORME”, MA PER LE “RIFORME”. Giusto. Poi, al momento dei fatti, la riforma costituzionale l’ha scritta Verdini, e lei continua ad ostentare (non solo su Chi), sorrisi e forme: “Ci sono persone che non hanno bisogno di nessuno che le confuti: si confutano da sole.” (Nietzsche).
* BEPPE GRILLO. HA COMMESSO ERRORI, È VERO. E tuttavia: ha svecchiato la politica italiana, riempito il Parlamento di giovani, messo in discussione Napolitano, costretto i partiti a inseguirlo su temi decisivi: abolizione del Senato e delle Province, riduzione dei Parlamentari, lotta alla corruzione… E’ diventato il nemico dell’ancien règime. La casta lo odia. Maccari: “Se scoprono che sei onesto, sei fottuto.” Tuttavia. La società civile gli dà ancora fiducia. Urge smetterla con decapitazioni e giacobinismo. Qualcuno ricordi a Grillo che Robespierre è stato ghigliottinato.
* BERLUSCONI FINITO? In realtà il patto del Nazzareno tiene e condiziona l’elezione del Presidente della Repubblica. “Chi fu in Loggia. Bene alloggia” (Maccari).
* CAMUSSO E FASSINA: “IL JOBS ACT DÀ COMPLETA LIBERTÀ DI LICENZIAMENTO ALLE IMPRESE, RENZI SEGUE LA TROIKA.” Confindustria: la legge aiuta i lavoratori. “A un tale che ne strizzava sugo e semi chiese un limone un dì: perché mi spremi? Non vedi fu risposto che t’aiuto a diventare un limone spremuto?”
* “LEI, VENT’ANNI, FIGLIA DI CONTADINI, DISOCCUPATA. LUI, VENTITRÉ, FIGLIO DI DUE OPERAI IN CASSA INTEGRAZIONE, DISOCCUPATO. Si amavano. Li hanno trovati morti abbracciati, suicidi col gas di scappamento dell’automobile.” Montale: “Ho spento il lume e ho atteso il sonno. / E sulla passerella già comincia / la sfilata dei morti / che ho conosciuto in vita. / (…) / Abbiamo fatto del nostro meglio per peggiorare il mondo.”
* PAPA BERGOGLIO. CORAGGIOSI I 15 PUNTI. La Curia romana mugugna e invoca l’Altissimo, parla “in nome del Signore”. “Dio è l’unico essere che, per regnare, non ha nemmeno bisogno di esistere.”
* “CON LA SCUSA DI MAFIA CAPITALE LASCIANO I SENZATETTO AL GELO.” “Non possiamo usare le strutture di Buzzi.” “Pare/ non debba dirsi Italia ma/ lo sfascio./ E’ un fatto che si allunga, urge studiarlo/ finché si esiste, dopo sarà tardi.”
* SCALFARI. SCRIVE UN TESTO DAL TITOLO: “LA COERENZA È MERCE RARA…”. Poi indica tra gli esempi: “Non amiamo i giudici e i loro tribunali.” Giusto. Tranne il fatto che Magistratura e Giudici e Procura e Tribunale di Palermo sono stati oggetto – su Repubblica – di critiche pesanti e la trattativa Stato-mafia, di cui abbondano prove, è definita “la cosiddetta trattativa”. Non va bene, “per la contraddizione che nol consente”.
ROMA
Crisi, aumenta l’area del disagio sociale. Oltre 9 milioni quelli che "non ce la fanno". I dati di Unimpresa. ”Cresce di quasi mezzo milione il numero degli italiani che non ce la fa. Complessivamente, adesso superano quota 9 milioni le persone in difficoltà in Italia: ai ‘semplici’ disoccupati vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi.
Molti di più, comunque, di quanto dice "informalmente" il Governo che per bocca del ministro Martina parla di 6 milioni di poveri. (Autore: fabrizio salvatori)
Un’enorme ‘area di disagio: ai 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (677mila persone) sia quelli a orario pieno (1,74 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (813mila), i collaboratori (375mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,5 milioni). Questo gruppo di persone occupate – ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute – ammonta complessivamente a 6,2 milioni di unità”. Il totale dell’area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, oggi comprende dunque 9,21 milioni di persone.
”Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Di qui l’estendersi del bacino dei "deboli". Il dato sui 9,21 milioni di persone è relativo al terzo trimestre del 2014 e complessivamente risulta in aumento del 5,3% rispetto al terzo trimestre del 2013, quando l’asticella si era fermata a 8,74 milioni di unità: in un anno quindi 466mila persone sono entrate nell’area di disagio sociale”, continua Unimpresa. ”Nel terzo trimestre dello scorso anno i disoccupati erano in totale 2,84 milioni: 1,48 milioni di ex occupati, 596mila ex inattivi e 763mila in cerca di prima occupazione. A settembre 2014 i disoccupati risultano in aumento del 5,8% rispetto all’anno precedente (+166mila persone). In calo gli inattivi: -19mila unità (-3,2%) da 596mila a 577mila. In aumento di 51mila unità gli ex occupati da 1,48 milioni a 1,53 milioni (+3,4%). Salgono anche le persone in cerca di prima occupazione, in aumento di 134mila unità da 763mila a 897mila (+17,6%)”, aggiunge Unimpresa.
”In forte aumento anche il dato degli occupati in difficoltà: erano 5,9 milioni a settembre 2013 e sono risultati 6,2 milioni a settembre scorso. Una crescita dell’area di difficoltà che rappresenta un’ulteriore spia della grave situazione in cui versa l’economia italiana: anche le forme meno stabili di impiego e quelle retribuite meno pagano il conto della recessione, complice anche uno spostamento delle persone dalla fascia degli occupati deboli a quella dei disoccupati. I contratti a temine part time sono aumentati di 60mila unità da 617mila a 677mila (+9,7%), i contratti a termine full time sono cresciuti di 92mila unità da 1,65 milioni a 1,74 milioni (+5,6%).
Salgono anche i contratti di collaborazione (+18mila unità) da 357mila a 375mila (+5,0%). Risultano in aumento anche i contratti a tempo indeterminato part time (+4,.%) da 2,49 milioni a 2,59 milioni (+99mila) e gli autonomi part time (+4,0%) da 782mila a 813mila (+31mila)”, prosegue la nota.

ONU/MONDO – ATENE, KOBANE, TUNISI … AL DI LÀ DELL’ESITO CHE AVRANNO LE PROSSIME ELEZIONI IN GRECIA, È CHIARO CHE QUESTE SEGNANO UN PASSAGGIO STORICO MOLTO SIGNIFICATIVO PER QUANTO RIGUARDA LA POLITICA IN EUROPA. (di Francesco Piobbichi) Per la prima volta, si apre la possibilità di andare al Governo per una formazione che si pone in netta contrarietà alle ricette liberiste. La grande coalizione liberista dell’austerity che governa l’Europa, rischia la sua prima vera sconfitta, non per opera della destra populista ma per una forza che proviene dalla sinistra radicale e che si presenta con un programma incompatibile con la linea della Merkel. A questo va aggiunto che forze aderenti alla sinistra europea sono prime nei sondaggi anche in Irlanda e in Spagna. Dopo decenni di egemonia liberista in Europa si apre una nuova fase nella quale avremo modo di verificare le nostre proposte. In questa fase, oltre che sostenere Syriza e la sua lotta in una nuova forma di internazionalismo solidale, abbiamo tutti quanti un compito importante: non solo rompere le ricette liberiste nazione per nazione, ma descrivere un orizzonte possibile al di fuori di queste, su un piano intercontinentale. Così come la vicenda greca ci mostra come sia possibile sul piano nazionale riaprire il dibattito sul recupero della sovranità e della democrazia, oggi svuotata dall’autoritarismo liberista, sul piano politico ci indica un terreno sul quale riflettere una volta per tutte: come la rivolta sociale di piazza alla Troika e le pratiche di mutualismo solidale, siano servite per far crescere sul piano politico generale, un movimento politico dotato di un programma credibile. La Sinistra Europea propone nel suo programma le stesse ricette di Syriza: una conferenza continentale sul debito, un new deal continentale basato sullo stop alle privatizzazioni ed ai licenziamenti, il rilancio degli investimenti pubblici e del welfare, un ruolo differente della BCE che funzionerebbe come polmone finanziario per le politiche pubbliche e la riduzione delle spese militari. Noi non sappiamo di preciso come andranno a finire le elezioni in Grecia e che effetto avranno in Europa, ma prendiamo atto che sul piano politico generale si sta affermando una dialettica tra il basso e l’alto e che la lotta popolare contro i ricchi e gli speculatori è un’alternativa concreta alla guerra tra poveri. Siamo sicuri però che sul piano continentale sia semplicemente l’Europa il luogo in cui collocare le nostre proposte? Penso che uno dei problemi maggiori che la sinistra in Europa ha avuto -e ancora dimostra di avere- sia il suo carattere euro centrista. Un elemento questo che è bene scrollarsi di dosso quanto prima. In questi anni di lavoro sul tema dei migranti, da Nardò a Lampedusa, ho avuto modo di indagare e riflettere sulle cause delle migrazioni e sulla loro composizione sociale, su un elemento in particolare mi pare fondamentale riflettere insieme: il tasso di disoccupazione dei paesi della sponda sud del mediterraneo rispetto al fattore anagrafico. Un aspetto questo che ci annuncia che nei prossimi anni una enorme fetta della popolazione giovanile si ritroverà disoccupata nel proprio paese di origine. Questo dato di disoccupazione strutturale crescente, aggravato dalle migrazioni provocate da guerre permanenti, è all’origine di uno dei fenomeni migratori più grandi che l’umanità abbia mai conosciuto dal dopoguerra ad oggi. L’Europa liberista dopo aver saccheggiato interi continenti, si appresta ora ad affrontare questo fenomeno epocale semplicemente offrendo ai paesi della sponda sud del mediterraneo strumenti tecnici e militari per bloccarlo, fregandosene delle stragi che questo fenomeno sta provocando. Ad oggi non esiste uno spazio pubblico sufficiente per aggredire politicamente una discussione in questo senso e di questa portata, mi auguro però che il prossimo forum sociale di Tunisi possa diventarlo. Nonostante questa assenza, occorre avere il coraggio di provare a porre la questione politica, cercando di definire un pensiero sul mediterraneo in grado di aggredire non semplicemente il ruolo svolto dalla BCE in Europa, ma anche il ruolo svolto in questo spazio geopolitico dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, e più in generale, il perverso rapporto che in questi anni si è sviluppato tra processi liberisti e cooperazione economica/militare che spesso sono all’origine dei fattori destabilizzanti per quest’area geopolitica. Le premesse per elaborare una programma comune della sinistra antiliberista, attuabile sia dai governi nazionali che in uno spazio intercontinentale tra la sponda nord e quella del sud del Mediterraneo esistono tutte, come esiste una soggettività sociale che sarebbe sensibile a queste proposte composta da milioni di disoccupati. Così come in Europa stiamo lavorando contro il liberismo ed il populismo, altrettanto dovremo fare allora nello spazio mediterraneo, cercando di costruire un’alternativa sociale e politica a liberismo e fondamentalismo. In questi mesi il popolo curdo ci ha insegnato non solo come si combatte ma anche come si può pensare in grande, mentre negli scorsi anni quello greco ci ha dimostrato nelle piazze che cosa sia la dignità e la resistenza contro l’occupazione liberista. Atene e Kobane non sono collegate dal mare, ma alla fine sono più vicine di quanto pensiamo. (fonte: controlacrisi.org)

EUROPA
FRANCIA
«LIBERTÉ, ÉGALITÉ, FRATERNITÉ» E IL LORO DOPPIO. JE SUIS CHARLIE. L’INTOLLERABILE INTEGRALISMO DELLE FURIE ISLAMISTE E DEI PALADINI DELL’OCCIDENTE. A CIASCUNO I SUOI FANATICI DA DEBELLARE. LA NOSTRA IDEA DI CIVILTÀ ESCLUDE LO SCONTRO DI CIVILTÀ
Il giudizio della stampa di tutto il mondo è quasi unanime: la mattanza parigina rappresenta un attacco alla libertà, colpita in una delle sue espressioni più classiche ed esplicite, la satira contro il potere, la morale, i dogmi di tutte le religioni. ( Marco Bascetta, 8.1.2015 )
Giusto, non c’è da eccepire. Nondimeno sulle bandiere della Rivoluzione francese stavano scritte tre parole: Liberté, egalité, fraternité. Converrà allora esaminare l’orrenda esecuzione di massa nella reda-zione di Charlie Hebdo e le sue prevedibili conseguenze alla luce di ciascuna di queste parole.
Cominciamo dalla prima, Liberté. L’islam politico (e il rapporto stretto tra Islam e politica è dato dalla sua stessa genesi storica fuori da qualsiasi contesto statuale preesistente) è indubbiamente nemico della libertà. Non c’è bisogno di guardare alle sue espressioni più estreme, come il califfato di Al-Baghdadi, per constatarlo. O all’opulento oscurantismo saudita. Basta già rivolgere lo sguardo alla Turchia parlamentare e semi europea di Erdogan per mettersi sull’avviso. Quando parliamo di Islam l’attrito tra laicità e religione, tra diritti individuali e norme comunitarie è garantito. Anche se non è necessariamente destinato a sfociare in atti di estrema violenza o in condizioni di soffocante oppressione. Resta il fatto che un miliardo e mezzo di persone, con diversi gradi di ortodossia e convinzione, professano questa religione. Se non si coltiva l’idea folle di risolvere il problema alla maniera dei crociati, o quella, non meno strampalata, di segmentare il pianeta in compartimenti stagni, questo attrito deve essere fronteggiato con gli strumenti dell’intelligenza politica e lo sviluppo delle lotte democratiche nei paesi islamici e in Europa.
Non mancano, però, tra quanti in questi giorni celebrano i giornalisti di Charlie come martiri della libertà, numerosi paladini della superiorità occidentale che, tra furori proibizionisti, campagne omofobe, tolleranza zero e anatemi contro la «società permissiva», intrattengono un rapporto a dir poco problematico con la libertà. Immagino che alle matite anarchiche di Charlie non sarebbe affatto piaciuto diventare un simbolo per questa gente.
NON SONO SOLO GLI ISLAMISTI A NON AVERE ANCORA DIGERITO LA RIVOLUZIONE FRANCESE.
Il secondo bersaglio degli attentatori di Parigi è egalité. Nessun presunto detentore di verità assolute può contemplare l’idea di eguaglianza, se non nel senso di una conversione più o meno forzata. Del resto, i regimi islamici poggiano su principi fortemente gerarchici e, dopo il tramonto del nazionalismo arabo, sull’indiscusso potere dell’autorità religiosa.
Tuttavia, i guardiani dell’Occidente su questo punto preferiscono tacere, poiché sostanzialmente condividono, a loro modo, il punto di vista degli avversari.
I più espliciti, citando Oriana Fallaci, si dichiarano appartenere a una «civiltà superiore» e dunque in diritto di discriminare non solo chiunque provenga da un diverso ambito culturale, ma anche il dissenso al proprio interno nel momento in cui superi confini che vanno sempre più restringendosi. All’eguaglianza dei diritti oppongono filtri, barriere e condizioni. L’integrità dei principi di questi patrioti dell’Occidente non ammette contaminazioni né evoluzione alcuna. Infine, égalité metterebbe in questione le gerarchie, le stratificazioni sociali e il sistema di privilegi cui sono affezionati. Dunque, se gli uomini del califfato, ben convinti a loro volta di rappresentare una «civiltà superiore», le sparano addosso, tanto meglio. Fraternité, la più desueta e cristiana delle tre parole, è con tutta evidenza spazzata via da quel taglio netto tra «fedeli» e «infedeli» che guida la mano degli assassini. Fraternità potrà darsi solo quando l’intero pianeta avrà fatto dell’Islam il suo credo. Non è l’antidoto alla guerra, ma il suo risultato. Fatto sta che anche in questo caso i cristianissimi difensori della civiltà occidentale preferiscono astenersi da commenti. Un siffatto principio impedirebbe infatti di considerare i migranti come pura e semplice minaccia, imponendo una qualche forma di intervento solidaristico nei confronti di chi fugge dalla fame e dalla guerra.
Fraternitè è però anche un principio che pretende di distinguere tra i singoli e le loro comunità, tra gli individui e i loro contesti culturali. Il principio cristiano della «centralità della persona», se non se ne vuole fare solo una bandierina per le crociate contro l’aborto o l’eutanasia, dovrebbe significare appunto questo. Poche espressioni sono prive di senso quanto la «fratellanza dei popoli», che in genere corrisponde agli interessi dei loro governanti e alle loro tregue armate. Questa distinzione tra individui e comunità è esattamente ciò che i sacerdoti dell’individualismo occidentale paradossalmente rifiutano, ragionando per gruppi etnici e tradizioni culturali. Ci siamo «Noi» e «Loro», gli «islamici» e i «civilizzati». Il quadro dello «scontro tra civiltà» è completo. E la vittoria dell’integralismo e dell’ intolleranza anche. Lo schema della guerra santa può essere insidiosamente laicizzato.
CHARLIE HEBDO è stato davvero ucciso dai suoi assassini ma si accinge ad essere sepolto da chi, strumentalmente, ne fa lo stendardo dei propri pregiudizi.
Così, dalle ceneri della Fraternité universalistica ne sorge un’altra, nazionale, identitaria, «bianca», se non quanto al colore della pelle certo quanto alla mentalità.
Quella dell’ «unità nazionale», dei «valori condivisi», quella che chiede di stringersi tutti contro il nemico esterno, quella allucinata che — nutrita da una ormai vasta letteratura, dalla pionieristica Fallaci al polemista tedesco Thilo Sarrazin (La Germania si autodistrugge), al francese Eric Zemmour (Il suicidio francese), perfetta l’assonanza tra i due titoli, fino alla fantapolitica di Houellebecq — pensa davvero che un giorno l’Europa possa trasformarsi in un Califfato. Ipotesi cui nemmeno Al-Baghdadi, ragionevolmente dedito a destabilizzare i «regimi arabi moderati», crede minimamente.
Se dovessimo marciare insieme a Marine Le Pen e Matteo Salvini, per non parlare dei fascisti tedeschi di Pegida, in difesa di una idea comune di «civiltà», allora il «Noi» finirebbe per assomigliare sempre di più a quello perseguito dai miliziani della guerra santa.
A ciascuno i suoi integralisti da debellare. Il Califfato non giungerà a governarci, ma la vita quotidiana rischia di diventare molto infelice.

PARIGI
FERMIAMO LA BARBARIE
UN ATTACCO TERRORISTA HA INSANGUINATO LA REDAZIONE DI CHARLIE HEBDO NEL PIENO CENTRO DI PARIGI. UN MASSACRO DI RARA VIOLENZA, IN CUI GLI ASSALITORI HANNO SPARATO A BRUCIAPELO. Prendendo di mira questo settimanale, hanno voluto imbavagliare una certa idea di libertà. Oggi tutti quelli che hanno applaudito Charlie Hebdo si uniscono a quelli che l’hanno criticato per difendere uno dei beni più preziosi della nostra repubblica: la libertà d’espressione.
Siamo arrabbiati, perché oggi l’intolleranza e il fanatismo hanno imbracciato le armi per distruggere le vite di uomini e donne. Siamo arrabbiati perché queste esecuzioni sono un crimine contro la repubblica e le sue fondamenta, un crimine di cui dobbiamo prendere atto collettivamente. Questa tragedia deve avvicinarci gli uni agli altri e ricordarci che dobbiamo combattere ogni giorno contro tutte le forme di intolleranza. Questo crimine ci obbliga a superare le divergenze e riaffermare insieme ciò che ci lega. Non lasciamo che questi barbari uccidano la nostra fratellanza. La Francia è un paese libero che non accetterà mai la prepotenza delle armi, che affronterà le sue differenze senza uscire dai limiti della democrazia e troverà la forza di credere nelle sue istituzioni e nei suoi cittadini, per rifiutare il fanatismo e la stigmatizzazione dei suoi cittadini musulmani. Perché in un momento come questo qualunque generalizzazione precipiterebbe la società in un coma mortale.
La Francia non è solo in guerra contro il terrorismo. I francesi, tutti i francesi, devono impegnarsi nella resistenza contro le ideologie che alimentano il fanatismo religioso. Perché quando parlano le armi la democrazia tace. Haidari Nassurdine è l’ex imam di Marsiglia e faparte del Conseil represéntatifdes associations noires (Cran).

FRANCIA
PARIGI. SINDACO DI DESTRA NEGA LA SEPOLTURA A UNA BIMBA ROM PERCHÉ LA FAMIGLIA NON PAGA LE TASSE, IL SINDACO DI CHAMPLAN, UN PAESE A SUD DI PARIGI, HA NEGATO LA SEPOLTURA AD UNA BIMBA ROM. MOTIVO?
La sua famiglia non pagava le tasse. La vicenda ha fatto subito il giro del Paese, provocando un’ondata di indignazione, che ha costretto il primo cittadino del piccolo comune, Christian Leclerc, a ritrattare. La piccola, in ogni caso, verrà seppellita oggi in cimitero poco lontano. (Autore: fabrizio salvatori)
Maria Francesca, nata il 14 ottobre 2014, viveva con la sua famiglia in un campo nomadi nella cittadina del dipartimento di Essonne, vicino all’aeroporto di Orly. La notte di Natale si è sentita male ed è stata portata in ospedale, dove poi è morta.
La sua famiglia ha richiesto alla municipalità di Champlan l’autorizzazione a seppellire la bambina ma il sindaco, di destra, secondo i funzionari delle pompe funebri ha rifiutato "senza dare alcuna spiegazione". La notizia ha scatenato rapidamente un coro di proteste: il primo ministro Manuel Valls ha definito il rifiuto "una ferita alla sua memoria, una ferita a quello che è la Francia". Di "inumana umiliazione" ha parlato il segretario di Stato alla Famiglia Laurence Rossignol. Per gli attivisti locali, la decisione del sindaco è stata "razzista e xenofoba".
La vicenda si è risolta perché il sindaco di Wissous, a circa sette chilometri da Champlan, si è offerto di seppellire la bambina nel cimitero del suo comune, "per semplici ragioni umanitarie", ha sottolineato Richard Trinquier, dell’Ump, definendo "incomprensibile" la decisione del suo collega.
Da parte sua il sindaco di Champlan, che in un primo momento aveva motivato la sua decisione di non seppellire la bambina rom con la "carenza di posti", affermando che la priorità viene data a chi paga le tasse locali, oggi ha parlato di "montatura", assicurando di non aver mai negato l’inumazione e affermando che si è trattato piuttosto di "malinteso" con i funzionari del comune.
Il caso ripropone il tema delle precarie condizioni in cui vivono i rom in Francia. Secondo l’associazione del dipartimento di Essonne che si occupa si assistere le famiglie romene e rom, i genitori di Maria Francesca si erano trasferiti in Francia da almeno otto anni, hanno altri due bambini di 5 e 9 anni che vanno a scuola a Champlan, e vivono in un campo nomadi irregolare con una trentina di famiglie, un’ottantina di persone in tutto, senz’acqua, elettricità e raccolta dei rifiuti.

GERMANIA/GRECIA
L’INGERENZA DI BERLINO IN GRECIA
IN EUROPA LA DEMOCRAZIA HA ANCORA UN VALORE? QUESTA DOMANDA PUÒ SEMBRARE ASSURDA: LE ELEZIONI LIBERE E SEGRETE SONO UN DIRITTO FONDAMENTALE GARANTITO IN TUTTA L’UNIONE. Ma ora i cittadini greci rischiano di eleggere un esecutivo che non va a genio ai leader tedeschi, e su di loro piovono minacce. (Harald Schumann, Der Tagesspiegel, Germania)
Ralph Brinkhaus, vicecapogruppo della Cdu, ha definito "incresciose" le elezioni anticipate, perché faranno "perdere altro tempo". Carsten Schneider della Spd ha chiesto che la Grecia continui a seguire la "politica di riforme" perché altrimenti sarà "presto insolvente". E il ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schäuble ha avvertito: "Se la Grecia imboccherà un’altra strada, le cose si complicheranno".
Il governo di Angela Merkel userà qualunque mezzo per convincere i greci a non votare il partito di sinistra Syriza, che vorrebbe rinegoziare i termini del prestito della troika (Unione europea, Fmi e Bce). Quella della Germania non è solo un’ingerenza sfacciata: è anche un segno di arroganza e ignoranza. I greci hanno ottimi motivi per chiedere di cambiare il modo in cui è stata gestita la crisi. Il programma imposto al loro paese dall’Unione europea è fallito su tutta la linea. I tagli alla spesa pubblica e l’aumento delle tasse sono stati sproporzionati. L’economia greca si è contratta di un quarto e rispetto al 2010 il debito pubblico è passato dal 127 al 170 per cento del pil. Perfino il Fondo monetario interazionale ha ammesso che questa politica è stata un errore. A questo si è aggiunta una catastrofe sociale e sanitaria. La disoccupazione colpisce un quarto della popolazione attiva e tre milioni di persone non hanno più accesso al sistema sanitario. È cinico chiedere ai greci di "seguire la politica di riforme" senza offrire niente in cambio. I governi della zona euro, soprattutto quello tedesco, dovrebbero assumersi le loro responsabilità.
Sono state le banche tedesche a concedere miliardi di euro di prestiti all’irresponsabile governo di Atene, per poi essere indennizzate con le garanzie degli altri paesi europei. Sono stati i produttori di armi e le imprese edili tedesche e francesi a ottenere con la corruzione gli assurdi contratti che hanno trascinato la Grecia nel baratro. Sarebbe più che giusto alleviare il debito greco. Syriza vuole ridare ai poveri l’accesso all’assistenza sanitaria e all’energia elettrica. Questo costerebbe due miliardi di euro all’anno, appena il dieci per cento degli interessi che il paese dovrà pagare quest’anno sul debito. Negoziare una soluzione del genere non dovrebbe essere
BERLINO.
CONTRO ILPEGIDA
IL 5 GENNAIO UN CORTEO DI I8MILA PERSONE HA SFILATO PER LE STRADE DI DRESDA PER PROTESTARE CONTRO L’ISLAMIZZAZIONE DELL’OCCIDENTE. Si trattava, spiega Die Tageszeitung, di sostenitori del Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes (Pegida), un movimento che da ottobre organizza ogni settimana delle proteste contro la politica sull’immigrazione della Germania e dell’Unione europea. Ma nella stessa giornata, continua il quotidiano, ci sono stati cortei contro il Pegida in al-tre città tedesche, tra cui Colonia, dove c’è stata la manifestazione più imponente, Münster, Stoccarda, Berlino e Amburgo. "Finalmente migliaia di democratici hanno deciso di opporsi agli xenofobi

UCRAINA
TIMIDI PROGRESSI. Mentre sul terreno la tregua tiene ancora, fatta eccezione per qualche scaramuccia, si intensificano le iniziative diplomatiche per risolvere il conflitto. Come scrive Gazeta, "il 5 gennaio a Berlino si è tenuto un incontro tra funzionari di Francia, Germania, Russia e Ucraina in vista di un possibile summit tra i leader dei quattro paesi il 15 gennaio in Kazakistan. Il presidente francese Francois Hollande si è detto favorevole ad annullare le sanzioni contro la Russia se Mosca farà passi avanti verso una soluzione del conflitto". Intanto a Kiev il parlamento ha votato un drastico piano di austerità, voluto dal Fondo monetario internazionale, "senza nemmeno leggere il testo completo del provvedimento", scrive il sito ucraino Insider. Rimane molto tesa la situazione nel Donbass, dove i vertici dei separatisti stanno estromettendo i comandanti favorevoli a una ripresa delle operazioni militari. Il 1 gennaio il comandante Aleksandr Bednov, detto Batman, è stato ucciso in un’imboscata insieme ai quattro uomini della sua scorta. Secondo le autorità della Repubblica popolare, Batman avrebbe opposto resistenza a un tentativo di arresto. Il sito Colonel Cassad, vicino all’ala radicale dei separatisti, ritiene invece che l’omicidio sia opera "del Cremlino, che ha avviato un’operazione contro chi non si sottomette ai leader insediati da Putin" nel Donbass.

CROAZIA
UN BALLOTTAGGIO DECISO.
L’11 gennaio i croati torneranno alle urne per il ballottaggio delle elezioni presidenziali. Il primo turno si è svolto il 28 dicembre e ha avuto un risultato inatteso: Ivo Josipovic, candidato del Partito socialdemocratico e presidente uscente, ha superato di poco Kolinda Grabar-Kitarovic, la candidata del Partito cristianodemocratico (Hdz). Grabar-Kitarovic ha ottenuto la maggioranza in quasi tutto il paese, con l’eccezione della capitale Zagabria e dell’Istria. L’affluenza è stata inferiore al 50 per cento. Secondo il settimanale Globus, "a differenza di quello che è successo in passato, in queste elezioni Hdz ha usato tutto il suo potenziale retorico e logistico per sostenere il suo candidato, e ora Grabar-Kitarovic ha buone possibilità di vincere. La sua vittoria avrebbe conseguenze profonde. Innanzitutto, porrebbe subito la questione delle elezioni parlamentari anticipate. In secondo luogo, potrebbe stravolgere la situazione nel Partito socialdemocratico: Josipovic si era sospeso durante il mandato presidenziale, e una sua ricomparsa metterebbe in discussione l’attuale leadership di Zoran Milanovic".

TURCHIA
II 6 gennaio un poliziotto è morto in un attentato suicida commesso da una donna in un commissariato di Istanbul. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo di estrema sinistra, il Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (Dhkp-C). Il 5 gennaio il parlamento ha negato l’autorizzazione a procedere contro quattro ex ministri accusati di corruzione.

SVEZIA
II 27 dicembre il primo ministro socialdemocratico Stefan Lòfven ha raggiunto un accordo con l’opposizione di centrodestra per evitare le elezioni anticipate.

RUSSIA
NAVALNIJ AI DOMICILIARI. Il 30 dicembre il tribunale di Mosca ha condannato il blogger Aleksej Navalnij (nella foto) e il fratello Oleg a tre anni e mezzo di prigione per riciclaggio di denaro e frode ai danni di un’azienda russa sussidiaria del colosso francese Yves Rocher. Per Aleksej la pena verrà applicata con la condizionale. Il blogger, tra i principali oppositori di Vladimir Putin e candidato a sindaco di Mosca nel 2013, era già agli arresti domiciliari dal febbraio del 2014. La sentenza, come scrive il sito Meduza, "è stata inaspettatamente emessa alla vigilia di capodanno, e non il 15 gennaio come era previsto. Molti dei sostenitori del blogger erano in vacanza e quelli rimasti nella capitale in larga parte non hanno preso parte alle proteste subito convocate contro la condanna per evitare il rischio di passare le feste dietro le sbarre, visto che la manifestazione non era autorizzata. Nonostante tutto, circa cinquemila persone sono scese in piazza a Mosca" per I sostenere Navalnij.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
PALESTINA
II 2 gennaio il governo ha presentato la richiesta di adesione alla Corte penale internazionale (la domanda è stata accettata dall’Onu). Israele ha reagito sospendendo il trasferimento di 108 milioni di euro all’Autorità palestinese.
PALESTINA
DA RAMALLAH AMIRA HASS BUFERA D’INVERNO. PER PIÙ DI UNA SETTIMANA LE PREVISIONI DEL TEMPO HANNO ANNUNCIATO L’ARRIVO DI UNA TEMPESTA DI NEVE IL 7 GENNAIO. Negli ultimi due giorni tutti gli altri eventi sono stati quasi ignorati: le elezioni israeliane, gli scandali di corruzione e la richiesta di adesione della Palestina alla Corte penale inter-nazionale.
Mercoledì mattina, invece della neve, il vento ha portato granelli di sabbia gialla. Quando sono uscita di casa ho notato che solo i negozi di alimentari, alcuni caffè e le edicole erano aperti. La polizia era ovunque e le strade erano praticamente deserte. Gli spazza-neve erano parcheggiati davanti alla sede del comune. Così ho deciso di andare a trovare alcuni amici. Il figlio dodicenne mi ha accolta con un "ti voglio bene" che mi ha fatto sciogliere come la neve. Mi ha chiesto di restare con loro durante la tempesta. La neve ha cominciato a cadere proprio quando stavo per tornare a casa. Nel giro di dieci minuti le strade erano coperte da un manto bianco. Ho guidato attraverso una nube bianca, ma sono rimasta bloccata a cinque chilometri da casa, insieme ad altri che avevano disobbedito all’ordine della polizia di non uscire in macchina dopo le dieci di mattina. Miracolosamente sono riuscita a tornare indietro, dai miei amici. I telegiornali raccontano di centinaia di persone rimaste intrappolate nella neve. Sono i lavoratori del settore privato che non hanno potuto prendersi un giorno di pausa, ma anche quelli come me che hanno sottovalutato l’allarme.

SIRIA.LIBANO.
ACCESSO LIMITATO. Dall’inizio della guerra in Siria, il Libano ha accolto più di un milione di siriani in fuga dai combattimenti, ma ora cerca di limitare l’afflusso dei profughi. Dal 5 gennaio i siriani devono richiedere il visto per attraversare il confine, cosa che non era mai successa nella storia dei due paesi. L’ambasciatore siriano in Libano ha definito la misura "inaccettabile", scrive il Daily Star. La Turchia invece ha cominciato a emettere carte d’identità per i profughi siriani che vivono fuori dai campi, in modo che possano avere accesso ai servizi sociali. La situazione nei campi profughi è resa ancora più difficile dall’inverno rigido.

LIBIA
Il petrolio lìbico al centro della guerra. I combattimenti tra le forze rivali libiche si concentrano nelle zone di produzione ed esportazione del greggio, coinvolgendo gli impianti e le navi straniere ( di Faten Hayed, El Watan, Algeria
SE LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE NON FARÀ NULLA, LA LIBIA FINIRÀ PER DIVIDERSI IN TANTI PICCOLI STATI OSTILI ALLA DEMOCRAZIA, PERICOLOSI PER I PAESI CONFINANTI E PER GLI OCCIDENTALI", AVVERTE ABOUBACARI DAOU, UN ESPERTO DI SCIENZE POLITICHE CHE HA VISSUTO PER DIECI ANNI A TRIPOLI. "Non si tratta più di salvare i libici dalla dittatura, ma di ricostruire lo stato e far funzionare un sistema rimasto bloccato dopo la caduta di Muammar Gheddafì. Inoltre i recenti attacchi agli impianti petroliferi costeranno cari al paese". Il 25 dicembre un razzo lanciato dai miliziani della coalizione islamista Alba libica su una cisterna del terminal petrolifero di Sidra ha causato un enorme incendio che si è diffuso ad altri serbatoi. Per spegnerlo ci sono voluti nove giorni.
La situazione è molto confusa in questo
paese ricco di petrolio. Ci sono due governi e due parlamenti rivali: uno appoggiato dalla potente coalizione di milizie islamiste Alba libica, l’altro riconosciuto dalla comunità internazionale. Nell’agosto del 2014 Alba libica ha ottenuto il controllo della ca-pitale Tripoli e ora cerca di estendere la sua influenza sulle zone petrolifere del paese. Secondo i dati della National OIL corporation, la produzione di petrolio è scesa da 8oomila a 30omila barili al giorno.
PRIMA IL DISARMO
Il 30 dicembre a Tobruk, davanti all’hotel dove si riunisce il parlamento riconosciuto dalla comunità internazionale, è esplosa un’autobomba. Secondo il deputato Farradj Hachem, l’attentato è stato compiuto da un kamikaze e ha ferito tre parlamentari e altre otto persone. Le forze filogovernative (tra cui quelle del generale Khalifa Haftar) e le milizie islamiste si sono scontrate anche a Misurata, a Bengasi e a Derna, la città controllata dal gruppo estremista islamico Ansar al sharia, dove il 4 gennaio è stata bombardata una petroliera greca.
La confusione che regna in Libia si avvicina sempre di più al caos totale, e finora le minacce delle Nazioni Unite di mettere sotto accusa i comandanti delle milizie per crimini di guerra non hanno avuto effetto. Bernardino Leon, l’inviato dell’Orni in Libia, ha contattato le fazioni coinvolte nei combattimenti per riprendere i negoziati, ma il 5 gennaio i colloqui sono saltati senza che sia stata fissata una nuova data. In ogni caso, sostiene Aboubacari Daou, "l’accordo non sarà rispettato: prima di cominciare le trattative, è necessario e urgente disarmare i gruppi, e coinvolgere la comunità internazionale in tutte le fasi delle trattative".
Durante una visita in Ciad il ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian ha dichiarato che bisogna impedire la nascita di un rifugio per i terroristi in Libia (parole che hanno fatto nascere ipotesi su un possi-bile intervento militare francese nel paese). Accanto agli sforzi dell’Orni e del G5 del Sahel – il gruppo formato da Ciad, Mali, Niger, Burkina Faso e Mauritania – la vicina Algeria si è impegnata ad "assistere le forze sociali che hanno dato la loro disponibilità a una soluzione politica". Specificando, però, che i libici "sono gli unici che possono definire le basi e i limiti di una soluzione politica, senza ingerenze straniere".
NOTA
♦ 16 maggio 2014 II generale ribelle Khalifa Haftar attacca le milizie islamiste nell’est.
♦ 25 giugno Elezioni legislative.
♦ 23 agosto Tripoli è conquistata dalla coalizii ne islamista Alba libica. Per ragioni di sicurezz il nuovo parlamento si riunisce a Tobruk, dove s’insedia il governo di Abdallah al Thani, rico¬nosciuto dalla comunità internazionale.
♦ 2 settembre II vecchio parlamento non si scioglie, ma nomina un governo parallelo.
♦ 18 ottobre II governo Al Thani approva le operazioni militari condotte da Haftar.
♦ 6 novembre La corte suprema invalida le elezioni del 25 giugno.
♦ Secondo Libya body count, nel 2014 le vi( lenze in Libia hanno causato 2.825 morti.

TUNISIA
Comincia l’era Essebsi
Dopo aver vinto il ballottaggio delle presidenziali con il 55,7 per cento dei voti, il 31 dicembre Béji Caid Essebsi, 88 anni, del partito laico Nidaa Tounes, si è insediato come presidente. Il 5 gennaio Essebsi ha affidato l’incarico di formare il governo a un esponente del suo partito, Habib Essid, che è stato ministro dell’interno sia sotto il regime di Ben Ali sia dopo la rivoluzione. Secondo Radio France International, Essid è stato scelto perché ha già lavorato in passato con gli islamisti di Ennahda, la seconda forza politica del paese

BURUNDI
OFFENSIVA NEL NORDOVEST
Nell’anno delle elezioni legislative e presidenziali sale la tensione in Burundi. Il 4 gennaio tre militanti del Cndd-Fdd, il partito al potere, sono stati uccisi a Gisuru. Pochi giorni prima, vicino a Cibitoke l’esercito aveva fermato un’offensiva lanciata da un gruppo armato proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo. Secondo i militari, in cinque giorni di combatti-menti sono morti un centinaio di ribelli, scrive Jeune Afrique. Nel 2014 questa zona era già stata colpita da vari attacchi, ri-vendicati da una fazione dissi-dente delle Forze nazionali di liberazione (partito d’opposizione formato da ex ribelli hutu.

YEMEN
AUTOBOMBA NELLA CAPITALE. Il 7 gennaio almeno 37 persone sono morte nel centro di Sanaa, quando un’autobomba è esplosa vicino all’accademia di polizia. Si pensa che l’attacco sia opera di Al Qaeda, scrive Middle EastEye. Pochi giorni prima al-tre 33 persone erano morte in un attentato nella città di Ibb.

GAMBIA
II 30 dicembre è stato respinto un attacco contro il palazzo presidenziale di Banjul. Nei giorni seguenti due persone coinvolte nel tentato golpe sono state arrestate negli Stati Uniti.

NIGERIA
II 4 gennaio il gruppo Boko haram ha assunto il controllo di una base militare vicino a Baga, nel nordest del paese.

ASIA & PACIFICO
GIAPPONE
RIMORSO SENZA SCUSE. MANCANO OTTO MESI ALLE CELEBRAZIONI DEL 700 ANNIVERSARIO DELLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, MA IL DISCORSO CHE IL PRIMO MINISTRO SHINZÒ ABE TERRÀ IL 15 AGOSTO FA GIÀ DISCUTERE. Nella prima conferenza stampa dell’anno, il 1 gennaio, Abe ha rivelato che intende esprimere "profondo rimorso" per le atrocità commesse dalle truppe giapponesi durante il conflitto, ma "guardando avanti". Non sembra ci sarà una nuova dichiarazione ufficiale di scuse. Il tema è molto sensibile dato che i rapporti di Tokyo con Cina e Corea del Sud sono ancora influenzati dall’eredità di quella guerra, scrive il Japan Times.

CINA
Troppo vicino a Pyongyang
Il 5 dicembre la Cina ha protestato ufficialmente con il regime di Pyongyang per la morte di quattro cinesi uccisi da un disertore nordcoreano. L’episodio è avvenuto a fine dicembre a Helong, vicino al fiume Tumen che divide Cina e Corea del Nord, ma è stato reso noto solo all’inizio di gennaio dalla stampa sudcoreana. Il silenzio da parte dei mezzi d’informazione cinesi non è stato apprezzato. Lo Huanqiu Shibao ha invitato la stampa a non lasciarsi condizionare dal fatto che Pechino e Pyongyang hanno rapporti stretti

BANGLADESH
L’OFFENSIVA DI KHALEDA ZIA. Un anno dopo le elezioni boicottate dal Partito nazionalista del Bangladesh di Khaleda Zia, i sostenitori dell’opposizione sono tornati in piazza contro il voto che ritengono sia stato truccato dalla Lega Awami, il partito al potere. Dopo che negli scontri con la polizia e con i sostenitori dell’Awami quattro manifestanti sono morti, Zia ha invitato i suoi a bloccare il paese. La polizia, che la tiene confinata nel suo ufficio, ha arrestato il suo vice

INDIA
Gli sfollati del Kashmir
Negli ultimi giorni diecimila persone nello stato del Jammu e Kashmir sono sfollate a causa dell’intensificarsi degli scontri tra i militari indiani e pachistani lungo la linea di controllo, il confine che divide in due la regione, scrive Al Jazeera. Ad agosto il primo ministro indiano Narendra Modi aveva interrotto i colloqui di pace, e da ottobre gli scontri a fuoco tra i due eserciti sono aumentati. Lo stato indiano, nato dalla separazione del 1947 tra India e Pakistan, è in attesa della formazione di un governo di coalizione dopo che alle elezioni di dicembre non è emerso un vincitore. Il partito nazionalista indù Bharatiya janata di Modi ha ottenuto un risultato inatteso nello stato, che è a maggioranza musulmana.
INDIA
II 2 gennaio due poliziotti accusati di aver rapito e stuprato una ragazza sono stati sospesi. Due giorni dopo cinque uomini accusati di aver detenuto per un mese e stuprato ripetutamente una turista giapponese sono stati arrestati a Calcutta.

PAKISTAN
II 6 gennaio il parlamento ha approvato la creazione di tribunali militari per processare gli autori di reati di terrorismo. Il 3 gennaio 31 presunti taliban sono morti nei raid aerei condotti dall’aviazione pachistana nel distretto tribale di Khyber, nel nordovest del paese.

SRI LANKA
I TAMIL SENZA PRESIDENTE.
"Nei cinque anni dopo la fine della guerra civile tra l’esercito e i separatisti dell’Ltte (Tigri di liberazione del tamil Eelam) il presidente Mahinda Rajapaksa ha portato nel nord del paese a maggioranza tamil strade, collegamenti ferroviari e linee elettriche migliori. Ma non ha dato alla popolazione l’attesa riconciliazione postbellica che avrebbe potuto garantirgli i voti dei tamil", scriveva The Hindu alla vigilia delle elezioni dell’8 gennaio. "Al contrario, gli abitanti della Provincia settentrionale devono convivere con una pesante presenza militare, con gli espropri terrieri da parte dell’esercito, con la mancanza di opportunità di guadagnarsi da vivere e rivitalizzare l’economia nella regione dilaniata dagli ultimi nove mesi di guerra". Per il governatore della Provincia settentrionale, C.V. Wigneswaran, "un voto contro il regime di Rajapaksa è un voto per la democrazia". Nel 2010 Rajapaksa, in carica dal 2005, riuscì a far passare un emendamento per togliere il limite di due mandati presidenziali, assicurandosi la possibilità di essere eletto una terza volta. Nemmeno il suo sfidante, Maithripala Sirisena, ex ministro della sanità e fino a poco tempo fa suo compagno di partito, convince la minoranza tamil, nonostante sia appoggiato dall’Alleanza nazionale tamil, il partito che li rappresenta. Probabilmente, quindi, Sirisena avrà i 700mila voti della Provincia
settentrionale solo in quanto alternativa a Rajapaksa. I risultati sono attesi per il 9 gennaio.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
VENEZUELA
Maduro gioca la carta cinese.
Il 6 gennaio il presidente del Venezuela Nicolas Maduro è arrivato a Pechino nella speranza di trovare un nuovo sostegno finanziario per il suo paese, colpito dal crollo del prezzo del petrolio, con un’economia in recessione e un’inflazione che ha superato il 60 per cento. La Cina è un alleato strategico di Caracas, il suo principale investitore e il secondo importatore di greggio venezuelano dopo gli Stati Uniti. "Un portavoce del ministro degli esteri cinese", scrive Tal Cual, "ha ribadito che la cooperazione con il Venezuela è matura e che Pechino è solidale con i paesi esportatori di petrolio in difficoltà”.

BRASILE
Seconda prova per Rousseff . Il 1 gennaio a Brasilia si è svolta la cerimonia per l’insediamento della presidente Dilma Rousseff (nella foto), del Partito dei lavoratori (Pt), che ha cominciato il suo secondo mandato alla guida del Brasile. Non sarà un periodo facile, considerate le difficoltà economiche del paese e lo scandalo di corruzione che ha colpito l’azienda petrolifera statale Pe-trobras. Nel suo discorso Rousseff ha ribadito le promesse fatte in campagna elettorale, sottolineando che l’istruzione sarà la priorità del governo, scrive O Globo. La presidente, però, "non ha ammesso la responsabilità dell’esecutivo nello
scandalo Petrobras". Rispetto al discorso del 2011, Rousseff ha cambiato tono: "Questa volta ha assunto il ruolo di comandante in capo di un governo sotto attacco", scrive la Folha de Sào Paulo. Sull’economia, "la presidente ha detto che gli aggiustamenti previsti dal governo non graveranno sulla popolazione. Un’affermazione contraria al senso comune".

HAITI
II 29 dicembre il presidente Michel Martelly ha prorogato il mandato del parlamento oltre la scadenza del 12 gennaio. Pochi giorni prima aveva nominato un nuovo premier, Evans Paul. Negli ultimi mesi migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere le elezioni. Nicaragua I lavori di costruzione del nuovo canale interoceanico sono cominciati il 22 dicembre.

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI
II 5 gennaio è cominciato il processo contro Djokhar Tsarnaev, responsabile dell’attentato alla maratona di Boston il 15 aprile 2013.
STATI UNITI
Poliziotti fuori servizio. Il 4 gennaio migliaia di poliziotti hanno partecipato al funerale di Wenjian Liu e Rafael Ramos, gli agenti uccisi il 20 dicembre a New York da Ismaaiyl Brinsley, un nero di 28 anni. Durante la cerimonia gli agenti hanno contestato il sindaco Bill de Biasio, accusato di non aver preso le difese della polizia. Il New York Times spiega che nelle ultime settimane il numero delle multe e degli arresti si è ridotto drasticamente, segno che molti poliziotti non stanno facendo il loro lavoro. "Un ricatto al sindaco e che danneggia tutta la città".
USA
LA MORTE DI MARIO CUOMO . IL NUOVO ANNO SI APRE CON UNA TRISTE NOTIZIA: LA MORTE DI MARIO CUOMO, IL PRIMO GOVERNATORE ITALOAMERICANO DELLO STATO DI NEW YORK. ALLE GIOVANI GENERAZIONE PROBABILMENTE NON DIRÀ NULLA, UN NOME COME TANTI, MA PER CHI HA QUALCHE CAPELLO GRIGIO E UN IMPEGNO POLITICO IN GIOVENTÙ, CUOMO RAPPRESENTÒ L’AMERICA DALLA FACCIA PULITA, IL POLITICO AMERICANO CHE POTEVA PARLARE SENZA SUSCITARE VIOLENTE MANIFESTAZIONI DI PIAZZA IN OGNI PARTE DEL MONDO AL GRIDO DI "USA GO HOME". (di Antonello Cannarozzo)
Era nato nel 1932 a New York da una famiglia della provincia di Salerno, divenuto avvocato di fama, politico per vocazione, fu per tre volte governatore e per tre volte gli fu offerta dai democratici la candidatura alla presidenza del Paese, ma, misteriosamente, non accettò mai, pur avendo il favore della maggioranza degli elettori americani, al di là degli schieramenti ideologici.
Un vero mistero che nessuno è mai riuscito a svelare, anche se, chi lo conosceva bene, sapeva che era un uomo onesto prima di tutto con la propria coscienza e, in cuor suo, non avrebbe potuto accettare i tanti compromessi che quella carica gli avrebbe imposto.
L’apice del suo successo politico fu sicuramente il discorso che tenne nel 1984 alla Convenzione democratica a San Francisco; una difesa vigorosa del liberalismo e un attacco senza precedenti contro l’allora presidente, Ronald Reagan.
Celebre fu la frase:"Una città splendente è forse tutto ciò che il presidente vede dal portico della Casa Bianca e dalla veranda del suo ranch, dove tutti sembrano fare bene", disse. "Ma, signor Presidente, lei dovrebbe sapere che questa nazione è un racconto di due città e non solo una metropoli splendente su una collina".
A chi gli chiedeva per che cosa volesse essere ricordato della sua vita rispose: “Una delle cose semplici che volevo realizzare era diventare governatore. Voglio essere il lavoratore più serio che ci sia mai stato. E voglio, quando sarà finita, che la gente dica: ‘Ecco, era una persona onesta’”.
Di quest’uomo, indirettamente ho una testimonianza, ormai seppellita dal tempo. Era il 1985 o forse il 1986, quando il mio giornale, mi mandò a fare un’intervista a Matilde Raffa, italo americana di origini siciliane, in visita in Italia. La donna, assai simpatica, non aveva alcun incarico politico, né meriti scientifici era però la moglie dell’allora astro nascente della politica americana, Mario Cuomo, da poco più di un anno il primo governatore dello Stato di New York e, secondo molti, nuovo leader dei liberal statunitensi.
Tanto era bastato perché da buoni provinciali come eravamo e siamo, accogliemmo in Italia la signora come se fosse già la first lady del presidente Usa, tanto da avere incontri con l’allora capo di stato, Sandro Pertini e, a seguire, da tutti i leader del tempo: nessuno voleva mancare a tale incontro.
Il giorno della mia intervista fu assai burrascoso.
Ero andato in un grande albergo romano dove la signora avrebbe tenuto un discorso sulla pace e, subito dopo, doveva recarsi in una scuola americana per incontrarne gli studenti. Il mio compito sarebbe stato di infilarmi tra questi due eventi, cosa assolutamente non facile.
La folla di cronisti, fuori e dentro l’albergo era enorme, insieme ai numerosi curiosi. In questa calca raggiunsi non senza fatica l’ufficio stampa, già contattato dal giornale, che mi concesse di incontrare la signora per soli 10 minuti, in una stanza insieme a tutto il suo staff, una decina di persone in tutto.
La Matilde Raffa era molto affabile e mi raccontò le sue origini italiane e quelle del marito, originario di Nocera Inferiore, in provincia di Salerno, la storia dei suoi cinque figli e di quanto il marito avesse un avvenire nel baseball, purtroppo interrotto da un infortunio durante una partita.
Era così coinvolgente che per un attimo mi sembrava di conoscere la famiglia Cuomo da sempre, ma mentre stavamo per entrare nel vivo dell’intervista, allo scadere dei dieci minuti esatti, lo staff della signora mi interruppe e a mala pena riuscii a salutarla. Fuori c’erano politici, altri giornalisti e tanti curiosi che nel frattempo erano aumentati. Ricordo che un vecchio cronista uscendo dalla calca di gente mi disse: "Vedi giovane collega, impara: questa donna ufficialmente non è nessuno, non ha alcun potere, ma potrebbe averlo, (si parlava del marito come prossimo inquilino della Casa Bianca. ndr) e allora meglio prepararsi". Ma erano altri tempi, un’altra Italia, oggi sarebbe peggio.
NYC
UN’ALTRA VITTORIA PER I GAY
Il 5 gennaio in molti municipi della Florida si sono celebrati i primi matrimoni tra persone dello stesso sesso dopo che un tribunale di Miami ha eliminato un divieto in vigore dal 2008. Sei anni fa il 62 per cento degli elettori aveva votato a favore del divieto ai matrimoni gay. A luglio del 2014 un giudice distrettuale ha dichiarato incostituzionale il provvedimento. "La Florida è il 360 stato a legalizzare queste unioni", scrive il Miami Herald. Secondo le stime dell’università della California, oggi il 70 per cento della popolazione statunitense vive in stati dove gli omosessuali possono sposarsi
STATI UNITI
Aumenti salariali
Il 1 gennaio sono scattati au-menti del salario minimo federale in venti stati e nel District of Columbia. Riguarderanno 3,1 milioni di dipendenti pubblici. Attualmente il salario minimo federale è di 7,25 dollari all’ora. Gli aumenti, approvati a livello statale, andranno da pochi centesimi, come in Florida, a 1,25 dollari come in Arkansas. Il Washington Post spiega che finora 29 stati hanno approvato un aumento del salario minimo. Il presidente Barack Obama ha chiesto di portare il minimo federale a 10,10 dollari all’ora, ma la proposta è ferma al congresso. Secondo la Casa Bianca,
se fosse approvata ne beneficerebbero circa 29 milioni di lavoratori.

(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

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