11530 NOTIZIE dall’Italia e dal mondo 31 dicembre 2014

20141230 10:17:00 guglielmoz

ITALIA. ROMA. GRAZIE RENZI..!… B. Pena quasi finita: “Sarò pronto per le urne” . / MISTERBIANCO. Al bingo si viene licenziati per mancanza di parentela. La sala e’ in vendita ma il nuovo proprietario licenzia 13 dei 20 dipendenti./ ROMA . Lavoro salariato, una questione sociale ieri e oggi Guido Baglioni è uno dei maggiori studiosi del lavoro e delle relazioni industriali in Italia. / Roma. Enti Inutili . Tagli mancati: Persino al Cnel ancora c’è chi spera in elezioni che ne facciano slittare l’estinzione. Enti inutili e resistenti della poltrona Tutte le tecniche di sopravvivenza . I casi delle società salvate in extremis da emendamenti in Parlamento. Sono ancora salvi quelli che Cottarelli aveva suggerito di chiudere subito.
VATICANO. Femen a San Pietro, attivista libera ma bandita dal Vaticano. Il blitz il giorno di Natale . In piazza ucraina aveva "preso" il Bambinello .
EUROPA
SPAGNA. Occupano università, 50 studenti finiscono in manette Madrid, la polizia ha sgomberato i locali ‘dopo una settimana di dialogo infruttuoso’./
TURCHIA/KURDISTAN.
«KOBANE RESISTE, ANKARA È CON L’ISIS». A Diyarbakir e Suruc c’è grande fermento. Le due città kurde a sud della Turchia non hanno mai interrotto le attività di sostegno a Kobane, la città kurda a nord della Siria/
EU. Borse europee in rialzo, a Milano Mediaset in evidenza. Lo spread tra il Btp e il Bund apre stabile a 181,9 punti. Piazza Affari apre in rialzo dello 0,38% a 20.908 punti.
AFRICA & MEDIO ORIENTE.
PALESTINA/ NAZIONI UNITE. Risoluzione palestinese domani al consiglio di sicurezza. Si tratta di un testo diverso, emendato in otto punti, rispetto alla bozza di risoluzione circolata al Palazzo di Vetro la scorsa settimana. / Tunisia, c’è ancora spazio per la democrazia? Le difficoltà della sinistra. / Il presidente tunisino uscente dopo la vittoria alle presidenziali del suo sfidante Essebsi aveva lanciato l’idea della creazione di un fronte democratico per impedire il “ritorno della dittatura”.
ASIA & PACIFICO -THAILANDIA. BANGKOK – invalidate elezioni politiche . Decisione della Corte costituzionale a causa blocco alcuni seggi. / AUSTRALIA. Volo Air Asia scomparso, capo ricerche: "Forse l’aereo è in fondo al mare" Airbus A320 della compagnia low cost viaggiava fra Indonesia e Singapore con 162 persone a bordo. Aereo scomparso, famiglia di 10 persone lo ha perso per disguido.
AMERICA CENTROMERIDIONALE . VENEZUELA. Colloquio governo-opposizione. "Quello in corso non è un negoziato né un patto, ma dibattito". / Argentina. Orango riconosciuto ‘soggetto non umano’. Sandra dovrebbe essere liberata dallo zoo di Buenos Aires. Orango Sandra e’ soggetto non umano, liberatela.
AMERICA SETTENTRIONALE .. USA. Brucia la classe media. La notizia è di quelle che, soprattutto vista da un paese come il nostro che non cresce da vent’anni, sorprendono positivamente. Risulta dunque che nel terzo trimestre del 2014 il Pil statunitense è aumentato del 5,0% su base annua. NYC- Nei soldi un prezzo per la solitudine. Si racconta che prima di diventare famosa Oprah Winfrey avesse una citazione attaccata allo specchio, una frase da lei attribuita a Jesse Jackson: «Se posso pensarlo, e se il mio cuore ci crede, significa che posso farlo».

ITALIA
ROMA. GRAZIE RENZI..!…B. Pena quasi finita: “Sarò pronto per le urne”.Manca poco al 15 febbraio 2015: ormai conta le ore Silvio Berlusconi pronto a riprendersi appieno la vita e il suo partito dopo essere stato azzoppato dal processo Mediaset. Il Cavaliere non vede l’ora di congedarsi dai pazienti di Cesano Boscone per tornare in sella (alleggerito dagli orpelli giudiziari) e riprendere le redini di un partito confuso e diviso da faide e fronde interne. Con Raffaele Fitto che non intende farsi mettere all’angolo con una candidatura in Puglia, e che ormai ha consolidato il suo ruolo di “spina nel fianco”. E con la Lega che tallona Forza Italia e accarezza l’idea di detronizzare Berlusconi per sostituirlo con Matteo Salvini alla guida del centrodestra. Innumerevoli, dunque, le matasse che il Cavaliere dovrà sbrogliare in vista della “vittoria” che vagheggia da tempo. Una vittoria politica ma soprattutto elettorale dato che secondo l’ex premier si andrà al voto in primavera (anche oggi il suo consigliere politico Giovanni Toti ha parlato di “scorcio di legislatura); e quindi bisogna preparare le truppe in vista di quell’appuntamento e mettere ordine nel partito.
MISTERBIANCO
AL BINGO SI VIENE LICENZIATI PER MANCANZA DI PARENTELA. LA SALA E’ IN VENDITA MA IL NUOVO PROPRIETARIO LICENZIA 13 DEI 20 DIPENDENTI. Se fosse un film, la storia dei tredici lavoratori licenziati dal Bingo Family di Misterbianco, potrebbe intitolarsi «I GIOCATI». Già, perché dopo dodici anni di servizio nella grande sala Bingo poco fuori Catania, ad essere «giocati», stavolta, sono stati loro. Licenziati alla vigilia di Natale e subito rimpiazzati con nuovo personale, più giovane e, soprattutto, portatore di sgravi e ghiotti incentivi. Insomma, un piccolo assaggio di quello che potrebbe avvenire, sistematicamente, col JOBS ACT DI RENZI. Ma andiamo con ordine.
LA STORIA DEL BINGO di Misterbianco inizia una dozzina di anni fa. Ad aprirlo è un barbiere della zona, Franco Molino, potentissimo e influente personaggio delle periferie ovest di Catania – Nesina e Montepò -dove gestisce anche delle ricevitorie e altre attività. A metà di quest’anno, apparentemente per ragioni economiche, Molino chiude il Bingo. A rilevarlo, attraverso un concordato preventivo, è un dentista catanese, Umberto Gulisano, che come primo atto caccia tredici dei venti ex dipendenti, ossia tutti quelli che – parrebbe – non sono imparentati con Molino: «Una decisione presa senza alcun giustificato motivo – ha spiegato il segretario generale della Filcams Cgil di Catania, Salvo Leonardi, nel corso di una protesta che si è tenuta sotto la sede della nuova società -. Abbiamo incontrato i nuovi amministratori insieme ai nostri legali ma non abbiamo ancora ricevuto una risposta seria». In realtà, Gulisano una risposta, per quanto laconica, l’avrebbe già data. «A casa mia si fa come dico io», ha dichiarato ai cronisti che sono riusciti a contattarlo prima che si barricasse dentro lo studio dentistico situato nella centralissima via D’Annunzio -sotto cui si è svolta la protesta dei lavoratori – per l’occasione presidiato da vigilantes armati.
Un muro, quello eretto da Gulisano, che il sindacato proverà ad abbattere già lunedì in prefettura dove le parti sono state convocate su richiesta della Cgil. Tanti i punti su cui i sindacalisti chiederanno chiarezza, a partire da alcuni «vasi comunicanti» che sembrano collegare la vecchia società di Molino a quella di Gulisano. Ma la prefettura non è l’unica sede su cui il sindacato gioca questa complicatissima partiti : «Auspichiamo – dice Claudio Longo della segreteria provinciale della Cgil – nel caso fosse necessario, che la magistratura compia verifiche e accertamenti per evitare che oltre alle anomalie riscontrate vi siano altre attività poco trasparenti.
ROMA
Lavoro salariato, una questione sociale ieri e oggi Guido Baglioni è uno dei maggiori studiosi del lavoro e delle relazioni industriali in Italia. Dopo avere speso la vita e la carriera accademica a occuparsi di questi temi, dedica il suo appassionato “canto del cigno” (come egli stesso lo intende) – ( Un racconto del lavoro salariato , Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 252, euro 21,00 – a narrare, dalla prospettiva ed esperienza di un sociologo cattolico, la storia del lavoro salariato dal secondo dopoguerra ad oggi. Fonte: rassegna
Il volume è un “racconto”, appunto, costruito attingendo anche ai ricordi personali, e riflette la curiosità ma anche l’apprensione con cui Baglioni s’interroga sul futuro del lavoro salariato, in una fase in cui non rappresenta più una questione centrale e tuttavia non può essere ancora del tutto accantonato. In particolare, come precisa all’inizio del libro, “si insiste soprattutto sui significati socio-culturali del lavoro salariato”, a cominciare dalle basi ideologiche che ne hanno sostenuto il percorso e segnato il destino. Il contesto di riferimento è soprattutto quello nazionale, ma è la realtà del Nord Italia che fa da sfondo alle riflessioni e ai ricordi, legati al mondo dell’industria e del lavoro agricolo, alle tradizioni produttive, ai mestieri e alle attività di sussistenza, alle condizioni di vita in quella parte del paese dai lontani anni ’50.
Il primo riferimento teorico è la dottrina sociale della Chiesa, di cui vengono ripercorsi i passaggi fondamentali, segnati “dalla continuità di ispirazione, come si trattasse di una collana seppur con perle non tutte uguali”. Le perle sono le encicliche di cui l’autore richiama i princìpi, dalla Rerum Novarum di Leone XIII, del 1891, alla Caritas in Veritate di Benedetto XVI, del 2009. Sette encicliche in sette pagine e quasi centoventi anni di storia attraverso cui si sviluppa la dottrina sociale della Chiesa e si trasforma il lavoro: dal lavoro operaio come condizione penosa e misera, che merita cura e assistenza dallo Stato, via via fino al lavoro che assume i tratti del rapporto cui si associano “obblighi di giustizia”, che consentano di innalzare le condizioni materiali di vita, ma anche di ridurre le ragioni del conflitto tra lavoratori e imprese, a cominciare dal ricorso allo sciopero (“moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato”: il Catechismo della Chiesa Cattolica , 1986). Desta un po’ di sorpresa che non sia citata l’enciclica interamente dedicata ai lavoratori – Laborem Excersens – in cui nel 1981 Giovanni Paolo II affermava “il principio della priorità del ‘lavoro’ nei confronti del ‘capitale’”, in quanto “chiave essenziale di tutta la questione sociale”.
Il libro è attraversato da una preoccupazione insistente: scongiurare l’antagonismo di ispirazione marxista sia nell’analisi del lavoro che nell’azione sindacale, e affermare la solidità dell’approccio negoziale, pluralista, delle “soluzioni pragmatiche e praticabili, diverse dall’approccio antagonistico”, che secondo Baglioni anche le scienze sociali prediligono – “Le scienze sociali (…) sconsigliano normalmente risposte antagonistiche” –. L’autore torna ripetutamente sulla netta distinzione tra “coloro che aspirano al miglioramento graduale della condizione dei lavoratori attraverso gli strumenti della contrattazione collettiva e della legge, senza mettere in discussione i fondamenti dell’economia capitalistica; e coloro che invece puntano alla modificazione di tali condizioni con l’utilizzo degli stessi strumenti e, insieme, con obiettivi che contemplano il superamento dell’economia capitalistica e, a volte, dello stesso assetto istituzionale della società”.
Le distanze tra le due posizioni vengono accentuate ben oltre la loro dimensione effettiva, omettendo che la concertazione e “il metodo geniale e duttile della contrattazione collettiva” sono ormai da tempo una pratica generalizzata dell’azione sindacale, con differenze marginali tra le grandi confederazioni, Cgil e Cisl. Del resto, l’obiettivo del riscatto della classe operaia è stato abbandonato da tempo, perfino prima che si decretasse la fine della classe operaia, e la cultura antagonista è diventata “più circoscritta e astratta”; ma riflettendo su alcuni fenomeni evidenzia del periodo recente, come il “ripiegamento del lavoro rispetto alle imprese e al capitale”, le difficoltà dell’azione sindacale, la riduzione tendenziale della tutela, viene da dolersi di questo abbandono precoce più che esserne rassicurati.
Il libro racconta con ricchezza di dettagli e di riferimenti le trasformazioni del lavoro attraverso due fasi distinte e concluse (la prima va dal dopoguerra agli anni ’80, la seconda dagli anni ’90 al 2007-2008), cui si aggiunge una fase ancora in corso, che coincide con la crisi che attraversiamo. Il racconto del lavoro salariato diventa il racconto del profondo cambiamento del lavoro, di cui Baglioni descrive ogni aspetto, che nel corso di sessant’anni perde progressivamente, con alcune accelerazioni, i tratti originari: si assottiglia in termini di tempo, si contrae in termini di spazio, si alleggerisce in termini di tutele e sicurezze, si sfuma in termini di contenuto professionale, perde identità. Il lavoro salariato non è più al centro della questione sociale: ora l’attenzione “è volta ai lavori irregolari, sottopagati, disagevoli”.
Eppure la condizione di precarietà di un numero elevato e crescente di persone dovrebbe suscitare maggiore interesse ed entrare a pieno titolo tra le questioni che sono diventate più rilevanti: la povertà diffusa, la disoccupazione di massa, l’immigrazione e l’emigrazione (che non sono un semplice fenomeno di mobilità territoriale), l’invecchiamento della popolazione, la salute e l’assistenza legate soprattutto all’aumento delle aspettative di vita. La risposta a tutte le questioni indicate sembra essere il welfare, che è perennemente sotto accusa per i livelli raggiunti dal debito pubblico e per le pressioni politiche a ridurre l’intervento dello Stato; ma alla base del welfare c’è il lavoro – che in Italia è largamente insufficiente – soprattutto il lavoro dipendente e stabile – proprio quello che si vuole cancellare – e una ripresa economica che ancora non si vede.
ROMA
ENTI INUTILI
TAGLI MANCATI: PERSINO AL CNEL ANCORA C’È CHI SPERA IN ELEZIONI CHE NE FACCIANO SLITTARE L’ESTINZIONE. ENTI INUTILI E RESISTENTI DELLA POLTRONA TUTTE LE TECNICHE DI SOPRAVVIVENZA . I CASI DELLE SOCIETÀ SALVATE IN EXTREMIS DA EMENDAMENTI IN PARLAMENTO. SONO ANCORA SALVI QUELLI CHE COTTARELLI AVEVA SUGGERITO DI CHIUDERE SUBITO. di Sergio Rizzo
RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE: IMPERATIVO CATEGORICO PER L’ANNO CHE VIENE.

RESISTE IL CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO, di cui un disegno di legge costituzionale ha previsto l’estinzione. E che il disfacimento sia prossimo è evidente non solo dalle dimissioni del presidente dell’Abi Antonio Patuelli e di altri consiglieri, con il risultato che sono rimasti a presidiare Villa Lubin in 45 su 64. Il governo ha deciso di investire il segretario generale Franco Massi, che aveva tagliato i costi e si opponeva al delirio delle consulenze, di un compito decisamente più fruttuoso: la spending review del ministero della Difesa. Mentre la legge di Stabilità ha del tutto azzerato la dotazione, fra le vibranti proteste del presidente Antonio Marzano. Qualche settimana fa, quando la scure stava per calare, ha addirittura scritto a Matteo Renzi chiedendo di avviare le procedure per il rinnovo delle cariche, come previsto, ha precisato, «dalla legge n. 936 del 1986».
MARZANO PERDERÀ L’INDENNITÀ, ma in cambio ritroverà il vitalizio da parlamentare. Intanto c’è ancora qualche milioncino da parte per pagare gli stipendi del personale. Nella segreta speranza che si vada a votare in primavera e la legge costituzionale possa saltare, regalando a tutti qualche scampolo di terapia intensiva.
E MAGARI C’È QUALCUNO CHE ANCORA SPERA NEGLI SPICCIOLI DEL MINISTERO DEL LAVORO.
Perché pochi sanno che al Cnel arrivavano quattrini anche da lì: destinazione una struttura interna chiamata «Onc». Presieduta fin dal primo vagito dall’ex sindacalista Cisl Giorgio Alessandrini, classe 1938, fra il 1999 e il 2014 ha avuto dal ministero 5,3 milioni di euro. A un ritmo medio di 250 mila euro l’anno. È il compenso per la realizzazione ogni dodici mesi di un rapporto sugli immigrati e il mercato del lavoro: rapporto pressoché identico a quello prodotto annualmente dallo stesso ministero del Lavoro.
MA RESISTONO ANCHE I 1.612 ENTI che l’ex ministro della Semplificazione Roberto Calderoli era arrivato a qualificare come «dannosi», promettendo di spazzarli via.
E invece lui al governo non c’è più mentre loro sono vivi e vegeti. Nessuno ha più sollevato il problema con la necessaria decisione. Vivi i difensori civici. Altrettanto i Tribunali delle acque, i Bacini imbriferi montani, gli Ato, come pure i 600 «enti strumentali» delle Regioni che nel frattempo sono pure aumentati di numero. Vivissimi i 138 enti parco regionali nonché la pletora dei consorzi di bonifica fra i quali se ne trovò uno, nelle colline livornesi, che aveva 16 dipendenti e 33 fra consiglieri e revisori.
PER NON PARLARE DEGLI ALTRI ENTI che si salvarono per il rotto della cuffia durante l’ultimo governo di Silvio Berlusconi grazie a un cavillo concesso loro: rifare in fretta in fretta lo statuto. Salvo l’Istituto agronomico per l’Oltremare. Salva la Cassa conguaglio per il Gpl (Gas di petrolio liquefatto). Salva la Fondazione Marconi. Salva l’Unione italiana Tiro a segno, del cui presidente Ernfried Obrist la Gazzetta dello sport pubblicò cinque anni fa la foto mentre posava accanto ad alcuni tiratori che indossavano la divisa storica delle SS, scatenando l’indignazione delle associazioni dei partigiani.
E SALVE, SOPRATTUTTO, LE SOCIETÀ CHE CARLO COTTARELLI aveva suggerito di chiudere subito. Un caso per tutti? Continua a esistere Arcus, creata dieci anni fa dall’ex ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani. Il governo Monti l’aveva chiusa, poi durante la discussione di un decreto del governo di Enrico Letta un emendamento della forzista Elena Centemero l’ha resuscitata, con l’assenso di destra e sinistra. Da allora, l’ex ambasciatore Ludovico Ortona la amministra indisturbato.
SOPRAVVIVE PURE L’ISTITUTO PER LO SVILUPPO AGROALIMENTARE, anch’esso decretato inutile da Monti e poi rianimato in Parlamento. Al pari dell’Istituto per il commercio estero, che poi se l’è cavata con la trasformazione in Agenzia. Anche se con un regalino incorporato: l’obbligo di ingoiare il personale di Buon Italia, società del ministero dell’Agricoltura finita (caso unico) in liquidazione. Sempre meglio, però, del funerale.
UN RISCHIO CORSO PURE DALL’ENTE NAZIONALE PER IL MICROCREDITO fondato da Mario Baccini che ne è presidente dalla fondazione, avvenuta nove anni fa quando era ministro. Monti aveva chiuso anche questo, ma il solito emendamento gli ha risparmiato la sepoltura. Per la felicità dell’onorevole Baccini, protagonista di un autentico capolavoro. Perché ha evitato non solo la soppressione della sua creatura, ma pure che le fossero tagliati i fondi pubblici: 1,8 milioni. Ciò grazie a un successivo emendamento alla legge di Stabilità di Monti. Autore, Mario Baccini.
RESTA UN RAMMARICO.
Che votando questi emendamenti i suoi colleghi parlamentari non abbiano mostrato analoga considerazione per un altro soggetto pubblico. Altrimenti, avrebbe resistito anche l’Agenzia per la regolamentazione del settore postale: nata a marzo, morta a novembre 2011. Una delle rarissime vittime dell’apparente lotta agli enti inutili.

VATICANO
SAN PIETRO.
FEMEN A SAN PIETRO, ATTIVISTA LIBERA MA BANDITA DAL VATICANO. IL BLITZ IL GIORNO DI NATALE . IN PIAZZA UCRAINA AVEVA "PRESO" IL BAMBINELLO .
IL PROMOTORE DI GIUSTIZIA VATICANO "ha disposto la remissione in libertà" per l’attivista delle Femen Iana Azhdanova dopo aver convalidato l’arresto ma le ha intimato "il divieto di accesso nello Stato della Città del Vaticano, nella basilica e negli altri luoghi extraterritoriali". Lo riferisce padre Federico Lombardi.
L’ATTIVISTA DELLE FEMEN NEL GIORNO DI NATALE aveva profanato il presepe in piazza San Pietro) ed era stata arrestata dalla Gendarmeria vaticana. "Il Promotore di Giustizia – riferisce il portavoce della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi – ha incontrato questa mattina la signora Iana Azhdanova. Ha convalidato l’arresto eseguito dalla Gendarmeria nel giorno di Natale per i reati che le erano stati contestati. Ha disposto la remissione in libertà, intimando il divieto di accesso nello Stato della Città del Vaticano, nella Basilica e negli altri luoghi extraterritoriali". Resta invece in attesa dell’interrogatorio del magistrato, e quindi in detenzione, Marcello Di Finizio, l’imprenditore friulano che il 21 dicembre scorso aveva cercato di salire, come aveva già fatto in passato altre quattro volte, la cupola della Basilica.
"RIGORE CONTRO GRAVE BLITZ"- "Il fatto è da considerare particolarmente grave per il luogo e le circostanze in cui è stato compiuto, offendendo intenzionalmente i sentimenti religiosi di innumerevoli persone", ha detto padre Federico Lombardi. "Né bisogna dimenticare – aggiunge padre Lombardi – che tre persone del gruppo "Femen" avevano già compiuto recentemente, il 14 novembre, atti osceni offensivi per la fede cristiana nella piazza di San Pietro". "E’ quindi giusto – sottolinea Lombardi – procedere con opportuno rigore nei confronti del ripetersi di atti che violano intenzionalmente, ripetutamente e gravemente il diritto dei fedeli al rispetto delle loro legittime convinzioni religiose".

EUROPA
SPAGNA
OCCUPANO UNIVERSITÀ, 50 STUDENTI FINISCONO IN MANETTE MADRID, LA POLIZIA HA SGOMBERATO I LOCALI ‘DOPO UNA SETTIMANA DI DIALOGO INFRUTTUOSO’
Oltre 50 giovani universitari, che avevano occupato una settimana fa il vice-rettorato dell’Università Complutense di Madrid, sono stati arrestati oggi dalla polizia, che ha sgomberato i locali. Secondo fonti dell’università citate dai media, la decisione di chiamare le forze dell’ordine è stata presa "dopo una settimana dialogo infruttuoso" con i giovani, che avevano occupato l’edificio degli studenti, e per "recuperare l’attività che si svolge quotidianamente a beneficio degli alunni"

MEDIO ORIENTE & AFRICA
PALESTINA/ NAZIONI UNITE
RISOLUZIONE PALESTINESE DOMANI AL CONSIGLIO DI SICUREZZA. Si tratta di un testo diverso, emendato in otto punti, rispetto alla bozza di risoluzione circolata al Palazzo di Vetro la scorsa settimana. Alcune delle modifiche precisano in modo più netto che solo la parte orientale di Gerusalemme, occupata e annessa da Israele, sarà la capitale dello Stato al quale i palestinesi aspirano.
Domani i palestinesi, attraverso la Giordania, presenteranno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il testo della risoluzione che chiede il ritiro entro il 2017 di Israele dai territori di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, che ha occupato nel 1967, dove sarà proclamato lo Stato di Palestina. Si tratta di un testo diverso, emendato in otto punti, rispetto alla bozza di risoluzione circolata al Palazzo di Vetro la scorsa settimana. Alcune delle modifiche precisano in modo più netto che solo la parte orientale di Gerusalemme, occupata e annessa da Israele, sarà la capitale dello Stato al quale i palestinesi aspirano. La risoluzione ha ottenuto svariati sostegni e i palestinesi possono chiedere un voto di approvazione al Consiglio di Sicurezza. Sanno però che gli Usa sono pronti ad usare il loro potere di veto per bloccarla. Diplomatici e analisti ritengono assai improbabile che il testo arrivi fino in fondo al CdS. Erekat però assicura che la votazione si svolgerà entro la fine dell’anno.
Una secca bocciatura dell’iniziativa dell’Olp all’Onu è giunta da uno dei leader e fondatori del movimento islamico Hamas. Mahmud Zahar ha definito “catastrofico” e “senza futuro” il testo della risoluzione che, a suo dire, non garantirebbe le aspirazioni minime del popolo palestinese e negherebbe il diritto al ritorno dei profughi nella loro terra d’origine. Il giudizio di Zahar è anche un riflesso del riacutizzarsi della tensione tra Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, e Hamas a seguito dell’offensiva militare israeliana contro Gaza della scorsa estate e del sostanziale fallimento dell’accordo di riconciliazione firmato ad aprile dalle due formazioni politiche. I leader di Fatah ieri hanno comunicato che il 31 dicembre intendono festeggiare il 50 anniversario della fondazione del movimento nella Striscia di Gaza controllata da Hamas. Non è chiaro se con l’approvazione degli islamisti. (Michele Giorgio)

EU
BORSE EUROPEE IN RIALZO, A MILANO MEDIASET IN EVIDENZA. LO SPREAD TRA IL BTP E IL BUND APRE STABILE A 181,9 PUNTI. PIAZZA AFFARI APRE IN RIALZO DELLO 0,38% A 20.908 PUNTI. AVVIO IN LUCE PER MEDIASET IN BORSA. IL TITOLO, DOPO IL RITORNO ALL’UTILE, GUADAGNA IL 3,2% A 4 EURO. IL GRUPPO HA INFATTI REGISTRATO NEL 2013 UN UTILE DI 8,9 MILIONI RISPETTO AL ROSSO DI 235 MILIONI DELL’ANNO PRECEDENTE CHE FU IN GRAN PARTE IMPUTABILE ALL’IMPATTO DELLE SVALUTAZIONI.
Tutte in rialzo l’apertura delle principali piazza europee. A Francoforte l’indice Dax avanza dello 0,31% a 9.367,53 punti. A Londra l’indice FTSE-100 segna +0,07% a 6.609,49 punti. A Parigi l’indice Cac 40 apre in rialzo dello 0,31% a 4.357,45 punti. In rialzo anche Madrid +0,32% con l’indice Ibex 35 a 10.022,30 punti.
Lo spread tra il Btp e il Bund apre stabile a 181,9 punti dai 181,5 della chiusura di ieri con un rendimento al 3,397%. Il differenziale tra il titolo tedesco a dieci anni e i Bonos spagnoli si posiziona a 174,9 punti con un tasso al 3,32%.
ASIA IN RIALZO, USA SPINGONO MERCATI – Borse di Asia e Pacifico in rialzo con tecnologici e finanziari. L’indice d’area guadagna oltre un punto. A sostenere i mercati sono le indicazioni di un ulteriore miglioramento dell’economia americana. In positivo anche i future sull’Europa. In Australia il governatore della banca centrale ha indicato che ci sono segnali di ripresa dell’economia interna. Atteso dagli Usa il dato sui beni durevoli dopo che la fiducia dei consumatori è salita al livello più alto degli ultimi sei anni.

TURCHIA/KURDISTAN
«KOBANE RESISTE, ANKARA È CON L’ISIS». A DIYARBAKIR E SURUC C’È GRANDE FERMENTO. LE DUE CITTÀ KURDE A SUD DELLA TURCHIA NON HANNO MAI INTERROTTO LE ATTIVITÀ DI SOSTEGNO A KOBANE, LA CITTÀ KURDA A NORD DELLA SIRIA: «OGNI GIORNO SIAMO COSTRETTI A CELEBRARE IL FUNERALE DI UN COMBATTENTE DI KOBANE – DICE AL MANIFESTO MURAD AKINCILAR, DIRETTORE DELL’ISTITUTO DI RICERCA SOCIALE E POLITICA DI DIYARBAKIR – MA LA SPERANZA È FORTE».
Tre mesi e mezzo di resistenza popolare hanno fatto di Kobane il simbolo della battaglia contro il fanatismo dell’Isis e gli interessi strategici dello Stato-nazione turco. La stampa mondiale ha concentrato occhi e orecchie sulla città e sul progetto di democrazia diretta di Rojava.
Dopo oltre cento giorni di combattimenti strada per strada, la fine dell’anno per le Unità di Difesa popolare maschili e femminili (Ypg e Ypj) significa speranza. Le notizie che giungono dalla città assediata dal 15 settembre dalle milizie di al-Baghdadi, una città che ha pianto centinaia di morti e ha assistito impotente alla fuga di oltre 100mila civili, raccontano dell’avanzata delle forze di difesa.
Negli ultimi giorni i kurdi hanno ottenuto altre vittorie: hanno lanciato una controffensiva sulla strategica collina di Mshta Nur con il sostegno dei Peshmerga iracheni, guadagnando un centinaio di preziosi metri a sud e est. A dare man forte, nel giorno di Santo Stefano, 31 raid della coalizione guidata dagli Stati uniti, seguiti ai 10 del giorno di Natale.
Un’avanzata lenta ma continua che ha permesso ai kurdi di Kobane di assumere il controllo del 60% del territorio, costringendo alla ritirata su più fronti i miliziani dell’Isis. Ad ottobre la caduta della città sembrava imminente, oggi non lo è: lo Stato Islamico si è arroccato a sud est, la linea del fronte si allontana dal centro cittadino e gli islamisti sono stati costretti a lasciare le stazioni di polizia e gli uffici governativi a nord e al centro. È venerdì i kurdi hanno ripreso il contrailo della sede del comune di Kobane dopo ore di scontri a fuoco.
«L’iniziativa è nelle mani delle Ypg e delle Ypj da almeno un mese ormai e ogni giorno riceviamo buone notizie – spiega al manifesto l’attivista kurda Burcu Cicek Sahinli da Suruc – La città è stata ripulita dalle gang dell’Isis, ogni giorno vengono riprese nuove postazioni: luoghi strategici come il Centro Culturale e alcune scuole sono tornati sotto il controllo kurdo. I miliziani dell’Isis scappano, non riescono a frenare l’offensiva di Ypg e Ypj: hanno giustiziato 100 dei loro combattenti che volevano abbandonare il campo di battaglia».
«Stanno ancora attaccando la città – continua Burcu – e gli scontri sono ancora duri, ma i kurdi sembrano sempre più vicini alla vittoria. Cinque famiglie rifugiate a Suruc sono tornate a vivere in città con i bambini piccoli». Oltre all’Isis, la resistenza kurda è costretta a combattere un altro nemico, la Turchia. Ankara tenta da tempo di spezzare i legami tra il Kurdistan del nord e Rojava, impedendo ai combattenti del Pkk – i primi ad entrare a Kobane in sostegno alla popolazione assediata – di portare uomini e armi. Non solo: più volte i profughi kurdi a Suruc, che da tre mesi e mezzo monitorano il confine con Kobane, raccontano di scambi ripetuti tra gendarmeria turca e miliziani dell’Isis. «La Turchia teme un Kurdistan unito e continua a sostenere apertamente lo Stato Islamico. Il 25 novembre c’è stato un nuovo caso di ‘solidarietà’: i terroristi dell’Isis hanno preso un villaggio kurdo dentro il territorio turco e sono stati autorizzati dall’esercito di Ankara a usare la comunità come base di appoggio per attacchi contro Ypg e Ypj. La scorsa settimana abbiamo visto i miliziani islamisti rubare auto in Turchia con i soldati turchi che avevano abbandonato le postazioni, lasciandoli fare».
Al sostegno militare che i kurdi imputano alla Turchia – il cui obiettivo è evitare una crescita della resistenza kurda e il possibile contagio dell’esperimento Rojava nel proprio territorio – si aggiunge il mancato supporto ai 230mila profughi di Kobane e Sinjar che hanno attraversato la frontiera per avere salva la vita. Accolti dai comuni kurdi turchi a sud in campi profughi gestiti dalle sole municipalità, con l’arrivo dell’inverno i rifugiati vivono in condizioni sempre più precarie.
«Dopo i due campi precedenti, a Suruc ne abbiamo aperto un terzo – conclude Burcu – Ma i bisogni sono ancora grandi, non tutti i campi hanno riscaldamento elettrico, mancano cibo e materiali per l’igiene personale. Le autorità turche peggiorano la situazione: feriti arrivati da Kobane sono stati arrestati, è stata detenuta anche una dottoressa volontaria. Poco importa: noi proseguiamo nelle nostre attività: abbiamo creato consigli giovanili e femminili, librerie e scuole in madre lingua kurda». Kobane resiste di qua e di là dalla frontiera. (di Chiara Cruciati)

TUNISIA
Tunisia, c’è ancora spazio per la democrazia? Le difficoltà della sinistra
Il presidente tunisino uscente dopo la vittoria alle presidenziali del suo sfidante Essebsi aveva lanciato l’idea della creazione di un fronte democratico per imperdire il “ritorno della dittatura”. Ieri, il noto blogger tunisino Yassine Ayari è stato arrestato nell’aeroporto della capitale al suo rientro da Parigi. Ayari è stato ammanettato, in esecuzione ad un mandato emesso dalla procura del tribunale militare, con l’accusa di avere divulgato informazioni che hanno messo a repentaglio la sicurezza nazionale. Nelle fasi del suo arresto, Ayari ha inviato sms a suoi sostenitori, denunciando d’essere il primo blogger ad essere arrestato nell’era Essebsi, il nuovo presidente della repubblica. Ayari, figlio di un ufficiale dell’Esercito assassinato dai salafiti nel 2011, è peraltro considerato un sostenitore del Cpr, il partito di Marzouki, per tre anni alleato di Ennahdha, formazione islamica che era al potere dopo la rivoluzione dei gelsomini. I dubbi che si possa aprire una fase di restrizione delle libertà democratiche in Tunisia, però, non sono così reconditi. In questo articolo di Patrizia Mancini, che da anni vive lì, un quadro piuttosto chiaro della situazione.
Il tasso di partecipazione è stato del 59,04% degli iscritti alle liste elettorali, con una significativa diminuzione di circa il 5% rispetto al primo turno (64%). Se poi si confronta il numero dei votanti alle legislative dello scorso ottobre con quanti hanno votato a questo secondo turno di presidenziali, si constatata una perdita totale di oltre 400.000 elettori. Occorre tener presente inoltre che per votare alle elezioni dell’Assemblea nazionale Costituente nel 2011 oltre 8 milioni di tunisini e tunisine si erano iscritti nelle apposite liste, mentre quest’anno soltanto poco più di 5 milioni hanno ritenuto opportuno farlo: altri 3 milioni di persone che hanno dimostrato di non aver alcun interesse alle tornate elettorali.
Questa massiccia e progressiva astensione, di cui nessun politico sembra preoccuparsi più di tanto, è allarmante per una democrazia nascente e, nel caso delle presidenziali, sembra sommare al disincanto e alle delusione dei giovani che sono stati protagonisti della rivoluzione (2)e che si sono visti scippare i loro obiettivi, altre motivazioni che si inquadrano nell’attuale gioco politico dei partiti all’indomani delle legislative. La coalizione fra partiti di sinistra e formazioni del nazionalismo arabo denominata Fronte Popolare, dopo due settimane di un dibattito che immaginiamo lacerante, è riuscita a esprimere una posizione ufficiale assurda che ha fatto infuriare alcuni simpatizzanti: innanzitutto fermare Marzouki, in alternativa scheda bianca o Essebsi.
Le ragioni dell’odio accecante nei confronti di Moncef Marzouki si iscrivono nel radicato convincimento del Fronte Popolare della responsabilità dell’ex governo a maggioranza islamista negli assassinii di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi. Ma anche, più pragmaticamente, nell’illusoria speranza di poter influire, con i suoi 15 deputati sulle politiche del futuro governo, se non addirittura occupare posti di responsabilità al suo interno e evitare la paventata alleanza di Nidaa Tounes e Ennahdha.
E’ plausibile che una parte di chi ha votato il leader del Fronte Popolare Hamma Hammami al 1° turno delle presidenziali non se la sia sentita di esprimersi a favore di Essebsi (il Ministro degli Interni all’epoca di Bourghiba che inaugurò la stagione della persecuzione della sinistra tunisina) e che perciò abbia votato scheda bianca.
Altri potrebbero non aver votato disgustati da una campagna elettorale in cui entrambi i contendenti non sono stati capaci di presentarsi come pacificatori o riunificatori di un paese che ancora non ha superato le divisioni di classe e regionali, uno dei motivi scatenanti la rivoluzione della dignità.
QUALCHE ECCEZIONE A SINISTRA
Dalla posizione autolesionista dei partiti della sinistra si sono smarcati diversi intellettuali della sinistra” diffusa” che hanno fatto girare un appello al voto per Moncef Marzouki, pur criticandone l’ operato nel triennio presidenziale:/http://nawaat.org/portail/2014/12/17/lappel-du-17-decembre-rassemblement-moderniste-autour-dun-homme-comme-un-air-de-deja-vu/: “Moncef Marzouki non è stato certamente un presidente irreprensibile, né l’uomo perfetto, non c’è bisogno di dire che non sarà nemmeno l’uomo provvidenziale. E senza dubbio sarà meglio così. Tuttavia, nonostante i molteplici errori politici compiuti durante il mandato presidenziale -errori di cui dovrà dare conto- e tenuto conto delle condizioni in cui si svolge questo scrutinio, ci sembra l’unica scelta possibile in grado di limitare il terremoto provocato da Nidaa Tounes, di impedire la ricomposizione di un sistema politico ed economico corrotto e ineguale che ci ha governato per più di 50 anni così come il ritorno della repressione”, così si sono espressi Choukri Hmed, Héla Yousfi e Ayachi Ammami, per citarne solo alcuni. L’attacco subito da parte di questo gruppo da parte dei “modernisti” di Nidaa Tounes ha raggiunti livelli francamente indecenti, degni dei bei tempi della dittatura.
UNA CAMPAGNA ELETTORALE INFUOCATA
Molto più che le legislative, le elezioni presidenziali hanno acceso le passioni dei tunisini e della tunisine perché si è trattato della prima elezione presidenziale veramente competitiva dopo gli anni del 99% a Ben Alì e perché si è trattato, come molti osservatori hanno evidenziato, dello scontro frontale fra due paure contrapposte: da un lato Essebsi che ha strumentalmente accusato Marzouki di essere l’incarnazione del “diavolo islamista” e il rappresentante dei terroristi, dall’altro, decisamente più comprensibile, il presidente uscente che ha evocato il ritorno in forze del passato regime. Essebsi è riuscito anche a insultare nei suoi discorsi le popolazioni del Sud (regioni che in maggioranza hanno votato Ennahdha e successivamente per Marzouki presidente) che non hanno tardato a scendere in piazza per protestare contro l’affronto subito.
Soltanto ora, mentre ancora sono vivi gli echi dei tumulti nella regione di Gabes, il presidente eletto e quello uscente cominciano a lanciare appelli alla calma e al rispetto del verdetto delle urne e si lanciano reciprocamente segnali di distensione.
NIDAA TOUNES EGEMONE IN TUTTE LE ISTITUZIONI
Con l’elezione di Beji Caid Essebsi alla presidenza della Repubblica il partito Nidaa Tounes ha oramai in mano le redini del paese. L’elezione di Moncef Marzouki alla presidenza avrebbe fornito un contro-potere estremamente necessario in un paese in cui, se non si può più parlare di rivoluzione, la democrazia è ancora fragile e necessita di un ulteriore consolidamento.
In parlamento Nidaa Tounes dispone della maggioranza relativa con 89 deputati e nei prossimi giorni potrebbero concretizzarsi alleanze sia con l’UPL e Afek sia con il “nemico Ennahdha”(3), il che ridurrebbe al lumicino una concreta opposizione al disegno liberista che, del resto, accomuna il partito islamico e il “modernista” Nidaa Tounes.
ESSEBSI stesso appare poco credibile come “guardiano della Costituzione” di fronte a eventuali richieste di modifica del testo da parte della “sua” maggioranza parlamentare”, per le quali occorrono i 2/3 dei voti del Parlamento.
Ricordiamo quanto ci aveva detto il costituzionalista Kais Saied in una recente intervista :Normalmente il centro del potere dovrebbe essere la Kasbah (nella grande piazza della Kasbah si trova la sede del governo n.d.a.), ma se Essebsi vince, il governo diventerà il governo del presidente della Repubblica e non del Primo Ministro. Ma non basta: occorre considerare che la composizione della futura Corte Costituzionale sarà nelle mani del partito dominante, dato che 1/3 deve essere nominato dal presidente della Repubblica, 1/3 dall’Assemblea del Popolo (…)e 1/3 dal Consiglio Superiore della Magistratura (anche per la formazione di quest’ultimo che dovrà avvenire entro 6 mesi dalle elezioni legislative, si può prevedere un’influenza del partito maggioritario). In una situazione in cui l’apparato del vecchio regime, lo Stato “profondo” non è stato smantellato, si tornerà al punto di partenza, cioè al partito unico.”
In questo senso non può certamente tranquillizzare la recente proposta di Nidaa Tounes per la formazione di commissioni parlamentari preposte ai cambiamenti costituzionali e alla revisione della legge sulla giustizia di transizione.
Chi sarà in grado di contrastare i prossimi attacchi alla poche conquiste della rivoluzione che sono la Costituzione e l’Istanza per la Verità e la Dignità che solo il 15 dicembre scorso ha cominciato i suoi lavori?
In assenza di una opposizione degna di questo nome, che avrebbe dovuto essere “naturalmente” incarnata dalla sinistra, il futuro della democrazia tunisina ci appare buio. (di patrizia mancini)

Note
1. una volta proclamati i risultati detti “preliminari”, il candidato uscito perdente dalle presidenziali ha tempo 20 giorni per presentare ricorso. Al termine di questo periodo vengono dichiarati i risultati definitivi.
2. Sulla situazione dei giovani tunisini si legga l’articolo di Thameur Mekki
3. Ennahdha, giunto secondo alle legislative del 23 ottobre scorso, paventa un ritorno alle persecuzioni nei suoi confronti e uno scenario all’egiziana, anche se meno cruento. Per questo motivo i suoi dirigenti sembrerebbero auspicare un’alleanza con Nidaa Tounes. Un tale compromesso potrebbe destabilizzare sia Nidaa Tounes, che al suo interno ha anche personaggi di centro-sinistra, sia la base di Ennahdha. Ricordiamo anche che il partito islamico non ha appoggiato ufficialmente Moncef Marzouki alle presidenziali, lasciando libera scelta ai propri elettori. Un altro segnale di compromesso con Essebsi?

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
Volo Air Asia scomparso, capo ricerche: "Forse l’aereo è in fondo al mare" Airbus A320 della compagnia low cost viaggiava fra Indonesia e Singapore con 162 persone a bordo. Aereo scomparso, famiglia di 10 persone lo ha perso per disguido. Air Asia, la ‘migliore’ low cost del mondo.
L’aereo dell’Air Asia partito dall’Indonesia per Singapore con 162 persone a bordo è probabilmente "in fondo al mare". Lo ha affermato oggi il capo dell’agenzia nazionale indonesiana di ricerca e soccorso. "Tenendo conto delle informazione in nostro possesso e della stima secondo la quale il luogo dello schianto sarebbe in mare, l’ipotesi è che l’aereo si trovi proprio in fondo al mare", ha detto in conferenza stampa Bambang Soelistyo. "Si tratta di un’ipotesi preliminare che potrà avere sviluppi con le valutazioni dei risultati delle ricerche", ha aggiunto.
Le autorità indonesiane hanno allargato il raggio delle ricerche. In superficie sono stati rinvenuti oggetti che però il vicepresidente indonesiano in persona, Jusuf Kalla, ha escluso possano provenire dall’aereo scomparso.
FIGLIA PILOTA SU SOCIAL, ‘PAPÀ TORNA’
La figlia del pilota indonesiano dell’aereo Air Asia ha scritto un commovente messaggio sui social media, "Papà torna, ho ancora bisogno di te. Ridatemi il mio papà, dobbiamo incontrarci", ha scritto la ragazza di 22 anni, identificata col nome di "Angela", sul social network Path. Il messaggio ha fatto oggi il giro dei social media in Indonesia e Malaysia.
28 DICEMBRE, NESSUNA TRACCIA DEL VOLO AIR ASIA QZ8501 – Continua l’anno nero dell’aviazione civile malese: un Airbus A320 della compagnia aerea low cost AirAsia è sparito dai radar nelle prime ore del mattino di domenica 28 dicembre con 162 persone a bordo mentre era in volo fra l’Indonesia a Singapore. Il centro di controllo aereo di Giacarta ha perso il contatto con il volo AirAsia fra Surabaya e Singapore alle 7:55 ora locale (l’1:55 in Italia): l’A320-200 trasportava sette membri d’equipaggio e 155 passeggeri, tra i quali 16 bambini e un neonato. Secondo la lista delle nazionalità pubblicata dalla compagnia aerea sulla propria pagina Facebook, a bordo non c’erano cittadini italiani.
Il PATRON DI AIR ASIA: IL MIO PEGGIOR INCUBO
Il volo QZ8501 aveva lasciato l’aeroporto internazionale Juanda di Surabaya, sull’isola indonesiana di Giava, alle 5:20 ora locale (le 23:20 in Italia) e doveva atterrare all’aeroporto Changi di Singapore alle 8:30 locali (le 2:30 italiane). Secondo la AirAsia il pilota dell’Airbus 320 aveva chiesto di "deviare" dal suo piano di volo a causa delle cattive condizioni del tempo. Ignatius Bambang Tiahjono, presidente dell’Airnav, l’autorità per l’aviazione civile indonesiana, ha detto che il volo QZ8501 è sparito dai radar, 40 minuti dopo il decollo, mentre era in fase di ascesa per evitare una nuvola minacciosa, in un tratto sopra l’oceano tra Borneo e Sumatra. Il responsabile ha spiegato che è scomparso 6 minuti dopo l’ultima comunicazione con il pilota. L’aereo – ha aggiunto – aveva comunicato di voler puntare a quota 11.500 metri, quasi 2 mila metri più in alto della normale altitudine di crociera.
LE RICERCHE, PER IL SOPRAGGIUNGERE DELLA NOTTE, SONO STATE SOSPESE: DEL VELIVOLONESSUNA TRACCIA.
E sono ore di angoscia per amici e parenti delle 162 persone a bordo del volo. In attesa di notizie sulla sorte dei loro congiunti i familiari sono stati accolti in una saletta a loro riservata nello scalo di Changi a Singapore. La AirAsia è considerata la regina delle low cost (SCHEDA), premiata negli ultimi 6 anni col riconoscimento di "migliore compagnia a basso costo al mondo", grazie alla qualità del suo servizio. Serve 21 paesi e nei suoi 13 anni di esistenza ha fatto volare 200 milioni di persone con lo slogan "Ora tutti possono volare".
Il 2014 resterà un anno nero per l’aviazione malese, con la perdita di due aerei della compagnia nazionale Malaysia Airlines. A questi si dovrà aggiungere probabilmente l’aereo della AirAsia scomparso oggi fra l’Indonesia e Singapore con 162 persone a bord.

THAILANDIA.
BANGKOK – invalidate elezioni politiche . Decisione della Corte costituzionale a causa blocco alcuni seggi. La Corte costituzionale della Thailandia ha invalidato stamani le elezioni legislative del 2 febbraio. I giudici della Corte, che hanno preso la decisione per 6 voti contro 3, si sono basati sul fatto che il voto non ha potuto essere tenuto in 28 circoscrizioni, a causa del blocco dei seggi da parte dei manifestanti dell’opposizione. Per mesi i partiti di opposizione avevano manifestato in piazza chiedendo la destituzione del premier Yinluck Shinawatra, considerata un burattino nelle mani del fratello, l’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra. Negli scontri erano morte 10 persone e 600 erano rimaste ferite. Le manifestazioni di piazza si sono ormai sgonfiate, ma l’offensiva contro il governo del partito Puea Thai è continuata sul piano giudiziario, con numerosi ricorsi contro le elezioni. Quello accolto oggi era stato presentato da un professore di diritto dell’Università di Bangkok. In precedenza un ricorso simile del Partito democratico, all’opposizione, era stato respinto dalla Corte costituzionale. La decisione di oggi rappresenta una vittoria per gli oppositori. Il governo Shinawatra, in assenza di un parlamento, è ora costretto a occuparsi solo degli affari correnti.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
VENEZUELA
Colloquio governo-opposizione. "Quello in corso non è un negoziato né un patto, ma dibattito"
E’ in programma per giovedì la riunione formale tra il governo e l’opposizione in Venezuela: lo ha reso noto nella notte il presidente, Nicolas Maduro. "La riunione ufficiale e pubblica" tra il governo e i rappresentanti dell’alleanza dell’opposizione Mud (Mesa de unidad democratica) dovrebbe svolgersi giovedì", ha precisato Maduro durante un programma radio, precisando che quello in corso con l’opposizione non è comunque "un negoziato, e neppure un patto: è un dibattito, un dialogo

ARGENTINA
ORANGO RICONOSCIUTO ‘SOGGETTO NON UMANO’. SANDRA DOVREBBE ESSERE LIBERATA DALLO ZOO DI BUENOS AIRES. ORANGO SANDRA E’ SOGGETTO NON UMANO, LIBERATELA.
Un tribunale della capitale argentina ha concesso l’habeas corpus a Sandra, un orango femmina dello zoo di Buenos Aires, considerando che si tratta di un "soggetto non umano", e non un oggetto, con sentimenti e capacità di prendere decisioni. Ora l’animale, che vive dietro le sbarre da 29 anni, potrebbe essere liberato ed inviato in Brasile La Camera di Cassazione ha accolto un ricorso di habeas corpus, che sancisce il diritto alla libertà individuale, presentato dall’Associazione di Funzionari e Avvocati per i Diritti degli Animali (Afada) e che era stata respinta precedentemente da parte di tribunali di rango inferiore. La richiesta specificava che Sandra può essere considerato un "soggetto non umano", giacché sebbene non appartenga alla specie umana mantiene legami affettivi, percepisce il tempo, impara, comunica ed è capace di trasmettere quanto ha appreso e dunque il fatto che sia imprigionata costituisce una violazione dei suoi diritti.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
BRUCIA LA CLASSE MEDIA
LA NOTIZIA È DI QUELLE CHE, SOPRATTUTTO VISTA DA UN PAESE COME IL NOSTRO CHE NON CRESCE DA VENT’ANNI, SORPRENDONO POSITIVAMENTE. RISULTA DUNQUE CHE NEL TERZO TRIMESTRE DEL 2014 IL PIL STATUNITENSE È AUMENTATO DEL 5,0% SU BASE ANNUA.
Peraltro la notizia va inserita in un quadro temporale più vasto; così per l’intero 2014 l’economia crescerà “solo” intorno al 2,5% (tra l’altro, nel primo trimestre c’era stato un andamento del Pil fortemente negativo, mentre esso dovrebbe aumentare del 2,6% nel quarto trimestre) e sempre intorno al 2,5% è la previsione di sviluppo per l’anno prossimo.
Pur ridimensionate, tali cifre appaiono comunque molto migliori di quelle della zona euro, per la quale l’attesa, secondo la Bce, è di un aumento del Pil dello 0,8% per il 2014 e dell’1,2% per il 2015. La celebrata economia tedesca dovrebbe registrare una crescita di poco superiore all’1,0% nel 2014 e intorno all’1,0% nel 2015, per non parlare della strutturale stagnazione italiana.
Come mai queste differenze? Le ragioni sono più d’una. Intanto, per scontare i loro presunti peccati, gli europei si sono autoinflitti una politica di stretta austerità, che sta dando i suoi frutti avvelenati, grazie anche ad una classe dirigente largamente al disotto dei compiti. Invece gli Stati uniti portano avanti una strategia sostanzialmente espansiva sia sul fronte dell’economia reale che di quella monetaria. Il deficit pubblico è stato tenuto per anni ad un livello elevato per spingere la ripresa, mentre la politica monetaria e creditizia è stata molto accomodante.
I consumi e gli investimenti appaiono in aumento anche in relazione al calo dei prezzi dei carburanti (le imprese Usa pagano l’energia un terzo circa dei concorrenti europei), grazie anche al selvaggio sfruttamento dello shale oil; pesa anche il miglioramento delle prospettive del mercato del lavoro, ciò che induce all’ottimismo i consumatori.
Va ancora considerato che una linea di politica economica costante perseguita da vari governi Usa è quella di scaricare i loro problemi sugli altri paesi, o, comunque, di non tenere conto degli interessi neanche dei loro alleati. Così abbiamo a suo tempo registrato come il sistema finanziario statunitense abbia ceduto all’Europa circa la metà dei titoli subprime a suo tempo prodotti, contagiandola, o come oggi l’establishment del paese aggravi la situa­zione del nostro continente scaricando interamente su di esso le conseguenze delle manovre in Ucraina. E ricordiamo solo di passaggio gli spregiudicati interventi sul dollaro (The dollar is my money and your problem).
Nel quadro della crescita dell’economia appare interessante concentrare l’attenzione sulle dinamiche del lavoro. A prima vista appare persino spettacolare la riduzione dei livelli di disoccupazione. Siamo a fine novembre ad un numero di senza lavoro pari al 5,8%.
Ma dietro l’aumento dell’occupazione si nascondono dei fatti meno positivi. Intanto non sono presi in conto gli occupati a tempo parziale che vorrebbero invece lavorare a tempo pieno e poi le persone scoraggiate che non cercano più lavoro perché disperano di trovarlo. A questo bisogna aggiungere il fatto che negli Usa ci sono circa 7 milioni di persone in galera o con qualche restrizione alla libertà di movimento e che non possono quindi lavorare.
C’è poi una tendenza di fondo all’aumento dei posti di lavoro nelle fasce molto basse del mercato ed in quelle molto alte, mentre si riducono quelli di livello medio; così tra il 2007 e il 2012 il numero dei manager del comparto industriale è aumentato di 387.000 unità, mentre quello degli impiegati è diminuito di circa 2 milioni.
La tendenza alla scomparsa della classe media appare particolarmente avanzata nel paese, grazie in particolare ai frutti non governati dei processi di automazione.
Ricordiamo, parallelamente, la crescita nelle disuguaglianze di ricchezza e di reddito, già elevate prima della crisi.
Per altro verso, al forte aumento degli occupati solo da pochi mesi corrisponde anche quello dei salari, che continuano ad essere molto più bassi di quelli tedeschi e che comunque aumentano pochissimo più dell’inflazione. Ricordiamo inoltre che oggi nel paese 400 persone da sole posseggono una ricchezza totale maggiore di quella dei 180 milioni di cittadini più poveri. I frutti della ripresa vanno così in maniera sproporzionata ad una ristretta cerchia di persone.
Il governo non appare in grado né di avviare delle politiche economiche in grado di combattere almeno in parte il fenomeno delle diseguaglianze e di gestire i processi di automazione, né di tenere testa a Wall Street, che sta rialzando prepotentemente la testa dopo la crisi, con gravi rischi per il paese. Così il futuro non appare brillante come può sembrare a prima vista. Del resto il 2014 sarà ricordato come l’anno in cui il Pil cinese avrà superato quello statunitense ( Vincenzo Comito)
USA
NEI SOLDI UN PREZZO PER LA SOLITUDINE
SI RACCONTA CHE PRIMA DI DIVENTARE FAMOSA OPRAH WINFREY AVESSE UNA CITAZIONE ATTACCATA ALLO SPECCHIO, UNA FRASE DA LEI ATTRIBUITA A JESSE JACKSON: «SE POSSO PENSARLO, E SE IL MIO CUORE CI CREDE, SIGNIFICA CHE POSSO FARLO».
A cosa pensasse il reverendo Jackson è storia nota. Pensava di correre per la Casa Bianca e dovette crederci con tutto il cuore, ma non riuscì mai nell’intento malgrado abbia partecipato per ben due volte alle primarie del partito democratico. Il suo fallimento è stato però compensato dal successo della conduttrice televisiva. Il jet privato di Oprah, il suo patrimonio miliardario, l’impero d’immagine che questa donna del Mississippi ha costruito con la sola forza della personalità, dimostrano che il principio di concepire un obiettivo e crederci fino in fondo è valido. Valido nella misura in cui può essere valido per un americano, ovvio. Il che è come dire: valido come può esserlo un sogno o una bella favola. In effetti, è anche qualcosa di più.
Nella versione ovviamente agiografica e poco attendibile che Oprah dà della sua infanzia, in principio c’era una bambina dalla pelle nerissima e così povera che nessuno dei suoi vestiti era comprato in un negozio. Per animali domestici aveva un paio di scarafaggi alloggiati in un barattolo. Illuminata dalla lugubre luce di inizi tanto infelici e scoraggianti, la storia di Oprah non è più soltanto la bella favola. Mattatrice indiscussa della televisione. Ambasciatrice della lettura presso il grande pubblico. La donna che dà del tu a chiunque, Presidente incluso, è la dimostrazione che ascendere dalla stalle alle stelle è ancora possibile.
La parabola straordinaria di Oprah è inoltre un dito puntato contro le persone che usano i prodotti scadenti che lei reclamizza ma che mai si sognerebbe di acquistare. Fa sentire in colpa le persone che non possono chiamare «amico» John Travolta. Quale opinione potrà mai avere di sé la persona che non possiede nemmeno una casa, quando Oprah, la bambina che giocava con gli scarafaggi, ne ha addirittura nove? Insomma, l’esistenza di Oprah non soltanto dimostra che il sogno americano esiste; priva di ogni scusante coloro che non ci hanno creduto, che non ce l’hanno fatta. L’assunto che restare un perdente è dovuto soprattutto a una mancanza di fiducia in sé stessi, a una scarsa determinazione nel conquista della propria felicità, è da sempre un tratto distintivo del pensiero americano, se non il tratto per eccellenza, quello dal quale tutti gli altri discendono.
Per quanto possa apparire falsa o retorica agli occhi di noi europei, questa convinzione ha costituito il punto di forza della nazione, una risorsa morale cui attingere nei momenti decisivi. Non per nulla l’espressione «Sogno Americano» divenne popolare durante la Grande Depressione, a partire dal 1931, grazie allo storico James Truslow Adams che la usò non lesinando sull’enfasi, in un libro dal titolo che era tutto un programma, Epic of America. Peccato però che da qualche decennio a questa parte il mito evidenzi crepe importanti. I Frantumi dell’America, vincitore del National Book Award per la saggistica (Mondadori, traduzione di Silvia Rota Sperti, pp. 489, euro 25,00), racconta questo declino ormai trentennale intrecciando i percorsi di varie persone.
Alcune di esse non sono che brevi ritratti, medaglioni di celebrità, quali appunto Oprah Winfrey, stelle che fanno da fondale a cinque storie più oscure o perlomeno non illuminate dai riflettori. Il figlio imprenditore di un coltivatore di tabacco caduto in disgrazia. La figlia di un eroinomane afroa­mericano cresciuta nella desolazione della Rust Belt deindustrializzata. Un collaboratore di John Biden che smarrisce presto i suoi begli ideali. Il ricco fonda­tore di Pay­Pal. Per finire, non una persona ma un luogo della Florida: Tampa, centro nodale di una furiosa speculazione immobiliare e di quanto scaturì dal quel furore ovvero il fenomeno del Tea Party.
È un arazzo del disfacimento quello ordito da George Packer, firma di punta del «New Yorker» che nel 2005 aveva dato alle stampe The Assassins’ Gate, inchiesta ad ampio spettro sulla disastrosa occupazione dell’Iraq da parte dall’amministrazione Bush. Per certi versi questo nuovo libro può definirsi un prequel, una risalita alle origini del declino. Packar premette che nessuno può individuare con certezza il momento iniziale, perché «come ogni grande cambiamento, anche questo iniziò innumerevoli volte, in innumerevoli modi, finché a un certo punto il paese — sempre lo stesso paese — varcò una determinata soglia storica e diventò irrimediabilmente diverso». A questa considerazione dell’autore va aggiunto che l’eventualità di una grave crisi, di una minaccia catastrofica se non apocalittica è sempre stata parte integrante del racconto nazionale. La potremmo definire la forza oscura di cui il paese ha bisogno per dimostrare a se stesso di cosa è capace, quale avversità è pronto ad affrontare per la realizzazione e la difesa del suo Sogno. Del resto, non fosse per l’abisso delle stalle, che senso avrebbe la scalata alle stelle?
Molte di queste minacce sono state soprattutto immaginarie, spettri da sbandierare in nome dell’unità nazionale, ma non sono mancati i momenti di autentica drammaticità. Tra questi il più funesto del Novecento è stato certamente la Grande Depressione ed è proprio un testo fondamentale di quell’epoca che Packer ha scelto quale modello narrativo per il suo racconto: U.S.A. di John Dos Passos. Da quella trilogia scritta nei difficili ’30 I frantumi dell’America mutuano il continuo alternare di campi lunghi e sguardi ravvicinati, l’incessante sovrapposizione di piani e tempi diversi, il frenetico e apparentemente scoordinato susseguirsi di frammenti di storie, frammenti che a tratti diventano semplici frasi, immagini icastiche nelle quali si intravede un ordito di qualche tipo, un livello sotterraneo dal quale è possibile estrarre un filo rosso.
Nel mezzo del suo viaggio, Packer mostra in termini inequivocabili che all’origine del dissesto americano ci sono i soldi facili e la conseguente e vorticosa sparizione di ogni idealismo politico. Lo fa attraverso le parole di Jeff Connaughton, consigliere dell’amministrazione Clinton vendutosi alle ragioni del lobbismo. E non senza profitto: «Quando piovvero vantaggi su Wall Street così come su Washington, quando diventò possibile fare milioni di dollari sul bottino aziendale — io ne sono un esempio vivente, nessuno ha mai sentito parlare di me eppure sono uscito da Washington con milioni di dollari in tasca -, quando il prezzo di certi comportamenti diminuì, quando cominciarono a erodersi e a scomparire le norme che se non altro frenavano le persone dall’essere sfrontate nel loro modo di guadagnare, la cultura cambiò».
È quella che Connaughton chiama la «teoria universale», teoria che dovrebbe spiegare cosa è diventato il denaro nella vita americana a partire dagli anni ’80: il segno di un’intera epoca, di un declino. Allo sgretolarsi delle regole che facevano funzionare le vecchie istituzioni, la nazione di un tempo è andata in frantumi, lasciando un vuoto riempito dal capitale organizzato, «la forza di default della vita americana». Il mito vuole che crolli di tale specie non portino soltanto disastri. I disastri rinnovano. Non si dice forse che bisogna vivere i momenti di crisi come occasioni da cogliere al volo?
L’America è il paese della libertà e pertanto Packer non manca di osser­vare che l’occasione offerta dal crollo è stata per l’appunto «una libertà che non si era mai vista prima»; ma in un mondo troppo libero, nel gioco tipicamente americano del vincere o perdere, «i vincitori vincono come non mai, levandosi in alto come enormi dirigibili, mentre i perdenti precipitano a lungo prima di toccare terra, e a volte non la toccano mai». Il vero prezzo da pagare non è tuttavia il fallimento in sé bensì la solitudine nella quale ognuno gioca le proprie carte. E poco importa allora che la partenza sia uno scalino di privilegio o uno scarafaggio chiuso in un barattolo. Nell’era della libertà sfrenata soprattutto una cosa va tenuta a mente: che nessuno si preoccuperà mai di te all’infuori di te. (Tommaso Pincio)

(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

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