11343 44 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 2 Oct 2014

20141003 15:07:00 red-emi

ITALIA – Sblocca Italia: le promesse (non mantenute) ò Dopo roboanti annunci alla fine il Decreto “sblocca Italia” è arrivato
EUROPA – BELGIO / JIHADISTI ALLA SBARRA Il 29 settembre si è aperto ad Anversa il processo contro 46 militanti del gruppo jihadista Sharia4Belgium
AFRICA & MEDIO ORIENTE – YEMEN . A partire dalla seconda settimana di settembre, lo Yemen ha visto inasprirsi il confronto tra la minoranza Houthi e l’Esercito di Sana’a. /
ASIA & PACIFICO – Giappone . Tutti morti sul monte ONTAKE?
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Elezioni in America Latina, il Brasile è un boccone ghiotto In Ottobre si svolgono in America Latina tre importanti sfide elettorali. In Brasile (il 5), Bolivia (il 12),
AMERICA SETTENTRIONALE – NYC. HARVEY: capire la politica monetaria degli stati uniti . All’indomani della crisi finanziaria.

ITALIA
ROMA
SBLOCCA ITALIA: LE PROMESSE (NON MANTENUTE) Ò DOPO ROBOANTI ANNUNCI ALLA FINE IL DECRETO “SBLOCCA ITALIA” È ARRIVATO . Nessuna svolta riformista tanto declamata dal Presidente Renzi, ma “passodopopasso” si prosegue ed aiuta lo sblocco di cantieri inutili, il consumo di territorio e paesaggio, ad indebolire le Soprintendenze, a svendere il demanio pubblico, a scavare petrolio per mare e per terra, a insistere con la deregulation edilizia, ad imporre inceneritori in giro per l’Italia. IT | Fonte: sbilanciamoci | Autore: Anna Donati
Era lecito sperare che un presidente del consiglio giovane e scattante, che parla un linguaggio nuovo, avesse anche idee e progetti nuovi per il futuro dell’Italia: green economy, riqualificazione delle città, efficienza ed energie rinnovabili, reti e servizi per il trasporto pubblico, ricerca ed innovazione tecnologica, beni comuni, patrimonio storico e bellezza del paesaggio. Idee e soluzioni che dove sono state attuate hanno assicurato anche crescita dell’occupazione in particolare di quella giovanile, che certamente resta un obiettivo primario per il nostro Paese.
Certo, qua e là, qualche idea giusta c’è – le opere contro il dissesto idrogeologico, quelle dei Comuni e per le scuole, la banda larga, reti tramviarie e metropolitane – ma annegano nella lunga lista di obiettivi e progetti che vengono direttamente dal passato a base di asfalto, cemento, petrolio, consumo di suolo. Anche semplificare la troppa carta e le burocrazie pesanti potrebbe avere un senso se quello che si vuole realizzare fosse utile ed innovativo, invece suona come togliere gli ultimi “lacci e lacciuoli” a chi fa rispettare le regole, o espropriare i poteri dei Comuni come per la bonifica e la riqualificazione di Bagnoli avocata alla Presidenza del Consiglio e sottratta al Comune di Napoli ed al suo piano regolatore.
Quando a luglio venne lanciata dal Governo la parola d’ordine “sblocca Italia” ( ormai abbiamo una lista di Salva Italia, Destinazione Italia, Fare Italia…) per le grandi opere strategiche si annunciava lo sblocco di 42 miliardi di opere da realizzare subito. Numeri “incredibili”, anche alla luce del fallimento di 13 anni di Legge Obiettivo, ridimensionati man mano che si avvicinava il Decreto Legge e la dura realtà dei numeri e delle coperture finanziarie.
Alla fine per le grandi opere sono destinati in totale 3,9 miliardi, spalmati dal 2014 al 2020 e prevalentemente negli anni 2017 e 2018. Il Decreto contiene la lista delle opere da rifinanziare subito (lista a), da sbloccare entro il 30 giugno (lista b) e quelle di cui aprire i cantieri entro il 31 agosto 2015 (lista c). Il testo non contiene quante risorse sono assegnate per ciascuna opera – che spetterà fissare dal Ministero delle Infrastrutture insieme a quello dell’Economia – ma nella relazione tecnica allegata vi sono le previsioni distinte opera per opera. La logica è quella di dare un poco di risorse a molte opere per evitare che si fermino i cantieri e realizzare altri “pezzi”.
Sommando le previsioni, si ottiene che ben il 47% dei 3,9 miliardi andrà a strade ed autostrade (1.832 milioni), il 25% a ferrovie (989 milioni) e solo l’8,8% a reti tramviarie e metropolitane (345 milioni). Il resto sarà destinato alle opere idriche (134 milioni), aeroporti (90 milioni) mentre 500 milioni sono destinati alle opere dei Comuni, il piano dei 6mila campanili del DL del Fare del 2013.
Quindi lo Sblocca Italia continua a sostenere lo sviluppo dell’asfalto, mentre molto meno destina alle ferrovie e davvero poco alle reti per il trasporto urbano, che sono il vero deficit italiano, insistendo quindi con le distorsioni della Legge Obiettivo e senza una politica dei trasporti innovativa e sostenibile. Inoltre, anche dei 989 milioni destinati alle ferrovie, ben 520 milioni sono per tre nuove tratte ad alta velocità (Terzo Valico Milano-Genova, Tunnel del Brennero, AV Brescia Padova) e solo la restante parte per le ferrovie ordinarie.
Anche altre due tratte ferroviarie, la Napoli-Bari e la Palermo Catania Messina, sono inserite nello Sblocca Italia per accelerare le procedure autorizzative, mentre le risorse sono quelle fissate dal Contratto di Programma di RFI, che prevedono 2,9 miliardi per la prima e 2,4 miliardi per la seconda. L’amministratore Delegato di FS, Michele Elia, è nominato commissario straordinario, ha tempi stretti per l’approvazione e la revisione dei progetti (tratto Apice-Orsara) e per indire la Conferenza dei servizi. In deroga alle norme, in caso di “dissenso di una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico territoriale, del patrimonio storico artistico, tutela della salute e pubblica incolumità” decide il commissario previa intesa con le regioni interessate. Non è di certo un buon modo per progettare una infrastruttura attenta al territorio ed al paesaggio, capace di adottare soluzioni innovative. La lista delle strade ed autostrade contiene interventi per la terza corsia Venezia-Trieste, lavori per la Torino-Milano ed opere connesse, il quadrilatero Umbria Marche, messa in sicurezza della SS131 Carlo Felice, Salerno – Reggio Calabria, Benevento Caianello, Pedemontana Piemontese, asse viario Lecco Bergamo. Si può ben facilmente notare che alcune di queste opere di adeguamento di strade esistenti siano necessarie e che “sembrano mancare” le grandi autostrade che ogni giorno vengono invocate come la soluzione sia ai problemi di mobilità che di crescita e occupazione del paese.
In effetti alcune sono sparite dall’elenco, come le risorse per l’Autostrada della Maremma o la Cispadana, che il Governo rassicura saranno nel DDL Stabilità, o come la Valdastico nord, a cui la provincia Autonoma di Trento è fermamente contraria e prima il Governo deve ricomporre il quadro istituzionale.
Ma per altre come l’autostrada Orte -Mestre, opera in autofinanziamento del valore di almeno 10 miliardi, il cui promotore è una cordata di imprese capeggiata dall’On.Vito Bonsignore, è stata inserita una specifica norma (articolo 2, comma 4) per aiutare con la defiscalizzazione – almeno 2 miliardi di risorse pubbliche – il Piano Finanziario dell’opera. Era stata la Corte dei Conti con un parere del 7 luglio del 2014 che non aveva dato il via libera alla delibera Cipe di approvazione del progetto, a segnalare che le norme vigenti non consentivano di applicare la defiscalizzazione prevista dal 2013 alle opere già dichiarate di pubblico interesse e la Orte Mestre lo era stata nel lontano 2003 con il riconoscimento del progetto del promotore Bonsignore.
Questa retroattività – ottenuta con la norma inserita nello Sblocca Italia – per superare le obiezioni della Corte dei Conti, è assai grave ed anche indecente, perché se adesso lo stato mette 2 miliardi nel piatto, allora bisognerebbe azzerare anche il promotore e rifare questa selezione. Perché non dimentichiamo che il promotore ha diversi vantaggi tra cui quello che la gara avviene sul progetto preliminare da lui presentato, che ha il diritto di adeguarsi all’offerta migliore e vincere la gara per realizzare e gestire l’infrastruttura. In caso di perdita viene comunque ripagato di tutti i costi sostenuti.
Non è un cavillo, è una vera e propria distorsione dell’offerta a suo tempo presentata. Se all’epoca il promotore fu considerato il migliore da ANAS perché aveva bisogno di minori aiuti pubblici e sosteneva che si sarebbe autofinanziato l’opera, se adesso il Governo mette due miliardi di aiuti sotto forma di defiscalizzazione, allora tutto cambia. In realtà quelle risorse pubbliche si dovrebbero usare, come propongono gli ambientalisti riuniti della Rete Nazionale Stop Orte-Mestre 2 , per mettere in sicurezza la E45 e la Romea, senza realizzare nuovi inutili e devastanti 400 km di nuova autostrada.
Ma anche le altre autostrade hanno un articolo dedicato – art. 5, Norme in materia di concessioni autostradali – che con frasi criptiche e giri di parole consente la richiesta di proroga della scadenza delle concessioni . E’ la solita storia che si ripete, basti ricordare che dal 1993 la direttiva europea n. 37 intimava che per le concessioni fosse necessario procedere mediante gara, chiedendo a tutti i paesi membri di adeguarsi.
Ma tra la fine degli anni 90 ed i primi anni 2000 tutte le concessioni sono state prorogate invocando il contenzioso pregresso, le privatizzazioni e gli investimenti da fare: da Autostrade per l’Italia prorogata di 20 anni al 2038 3 , alla Sitaf Torino-Bardonecchia che scade nel 2050, alla Satap di Gavio al 2016, Autostrada dei Fiori al 2021, poi quelle che devono realizzare nuove autostrade come la SAT per l’Autostrada della Maremma con scadenza al 2046, o l’Autocamionale della Cisa che deve realizzare il Ti-Bre Parma Verona con scadenza al 2031.
La discussione con Bruxelles è stata accesa ma alla fine anche dalla Commissione Europea è arrivato il via libera, perché si trattava di investimenti già inseriti nelle convenzioni e del fatto che era “l’ultima proroga”, per poi procedere a gara ed utilizzare il meccanismo del subentro. Cioè chi gareggia sa di doversi accollare gli investimenti in corso e da fare. Ma questo meccanismo “non funziona” dicono in coro le concessionarie, anche se praticamente non è stato mai sperimentato. Adesso con lo Sblocca Italia il Governo Italiano ci riprova ad ha avviato una dialogo con Bruxelles per ottenere ulteriori proroghe. Forse forte del fatto che anche la Francia avrebbe avanzato una analoga richiesta.
La norma all’art. 5 dice che le concessionarie possono “proporre modifiche del rapporto concessorio “ entro la fine del 2014, negoziazione e firma degli atti aggiuntivi entro il 31 agosto 2015, per realizzare potenziamenti della rete sia per quelli già in concessione e sia per nuove opere da inserire, per tenere tariffe favorevoli all’utenza, “anche mediante l’unificazione di tratte interconnesse contigue”, al fine di assicurare l’equilibrio del Piano Economico e finanziario senza ulteriori oneri a carico dello Stato.
Il terzo comma ha anche una prescrizione che sembra guardare a Bruxelles con occhio accorto: tutte le opere ulteriori inserite nelle convenzioni, saranno realizzate mediante gara di lavori per il 100% dell’importo (per quelle in convenzione va a gara il 60%). Un buon principio certo, ma che rischia di essere vano perché le convenzioni vigenti includono lunghe liste di opere e ben difficilmente se ne aggiungeranno.
L’articolo 5 al comma 4 prevede che per l’A21 Piacenza Brescia, la cui concessione è scaduta nel 2011 e per l’A3 Napoli Pompei sono approvati con legge gli schemi di convenzione ed i relativi Piani Finanziari per accelerare l’iter del “riaffidamento”. Vedremo se ad esito di gara o prorogando agli attuali concessionari.
Basti pensare che le proroghe di cui si parla (o si legge 4 ) richieste dalle concessionarie, sono per lavori già assentiti ed opere note. Si parla di una proroga per l’AutoCisa che vuole realizzare il Tibre (1,8 miliardi) che ha però già avuto una concessione prorogata al 2031, di Autovie Venete che deve realizzare la terza corsia Venezia-Trieste (1,7 miliardi) che scade nel 2017 e che aveva già ottenuto una proroga, della SATAP A4, che chiede la proroga per ammodernare la Torino-Milano (500 milioni di investimento) e che ha una scadenza già prorogata al 2026.
Chiede la proroga anche l’Autostrada Asti Cuneo, nuova autostrada in parte realizzata e che per il completamento deve investire 1,5 miliardi e la cui scadenza è fissata al 2035. Infine c’è il caso dell’Autobrennero, scaduta il 30 aprile 2014, sui cui era stata avviata una gara poi annullata da un ricorso e che adesso chiede 20 anni di proroga sia per realizzare la terza corsia Modena-Verona e sia per destinare alla ferrovia i 500 milioni accantonati per il tunnel del Brennero (deciso con norma nel 1997).Ma anche l’autostrada Centropadane avrebbe richiesto una proroga, magari applicando quella norma sulle concessioni “contigue”.
A Genova il dibattito sulla Gronda Autostradale, prevista dalla Convenzione di Autostrade è molto acceso sia sul tracciato che sulla utilità dell’opera, ma la Società Autostrade per l’Italia ha già ventilato in diverse occasione che – dati gli alti costi dell’opera – si potrà realizzare solo se vi sarà una proroga della concessione che va ricordato scade nel 2038. Magari non sarà richiesta immediatamente, ma intanto già si lavora per andare quella direzione.
STAREMO A VEDERE SE ANCHE QUESTA VOLTA BRUXELLES DARÀ IL VIA LIBERA ALLE PROROGHE.
Vanno segnalati anche due casi su cui c’è molta attenzione anche dalla Ue: la concessione SAT (Autostrada Tirrenica) che il governo si era impegnato a ridurre di tre anni e su cui è riaperta una procedura d’infrazione; la scadenza della Brescia-Padova prorogata al 31/12/2026 a condizione che il progetto definitivo della Valdastico Nord sia approvato entro il 30 giugno 2015. Progetto a cui si oppone in modo deciso la Provincia autonoma di Trento.
La richiesta delle proroghe si aggiunge alla richiesta diffusa da parte delle concessionarie di ottenere la “defiscalizzazione”, cioè la possibilità di non pagare Iva, Ires e Irap. Già deciso dal Cipe per la Pedemontana Lombarda, richiesto dalla autostrada Orte-Mestre e dalla Brebemi, di fatto è un contributo pubblico in quanto riduce le entrate dello Stato per gli anni a venire.
Anche su questi aiuti è acceso un faro da parte di Bruxelles, mentre nello Sblocca Italia, oltre alla norma specifica per la Orte Mestre, l’articolo 11 stabilisce che tutte le opere hanno diritto alla defiscalizzazione, abbassando da 200 a 50 milioni di euro il valore dell’opera.
Solo proroghe, niente gare ed aiuti dalla Stato. E’ il solito blocco di interessi, sono i signori delle autostrade che dopo aver promesso grandi investimenti, presentato ed ottenuto piani finanziari scritti sulla sabbia, con il calo di traffico e le banche sempre più prudenti, con il buco che si è creato nei piani finanziari, alza la voce in tempi di crisi per assicurarsi un futuro 5 .
Molte autostrade, qualche ferrovia, poche reti tramviarie e metropolitane: la politica del Presidente Renzi sulla mobilità e le infrastrutture non cambia verso.
1 Decreto Legge 12 settembre 2014 n.133. Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione di opere pubbliche, la digitalizzazione del paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive. Pubblicato sulla G.U n. 212 del 12.09.2014.
2 vedi www.stoporme.org
3 Giorgio Ragazzi. I signori delle autostrade. Edizioni il Mulino. 2008
4 Autostrade, le opere da sbloccare. Di Alessandro Arona. Edilizia e Territorio, Il sole 24 ore. 15 settembre 2014
5 Roberto Cuda. Strade senza Uscita. Banche, costruttori e politici. Le nuove autostrade al centro di un colossale spreco di denaro pubblico. Edizioni Castelvecchi. 2013ALIA

EUROPA
UCRAINA
Tregua e vittime
In Ucraina la tregua ufficialmente continua a reggere, ma sul terreno ci sono ancora scontri. Negli ultimi giorni si sono registrate diverse vittime, in particolare nell’area di Donetsk. Il 1 ottobre almeno dieci civili sono morti per alcuni colpi di artiglieria sparati dall’esercito ucraino. Due giorni prima sette soldati di Kiev erano stati uccisi nella zona dell’aeroporto. A Charkiv, invece, la tensione è salita dopo lo svolgimento di due manifestazioni, una contro e l’altra a favore dell’unità dell’Ucraina, e l’abbattimento della statua di Lenin nella piazza centrale. "Il centro della città", scrive Ukrainska Pravda, "è pattugliato da blindati e da truppe ucraine". L’Unione europea, intanto, ha rimandato a fine ottobre la decisione sulla cancellazione parziale delle sanzioni contro Mosca. Tutto dipenderà, scrive l’agenzia ItarTass, "da come si evolverà la situazione sul terreno". Secondo Gazeta, "il finanziamento della ricostruzione potrebbe diventare uno dei punti su cui l’occidente e Mosca concentreranno le trattative".

SERBIA
II 28 settembre centinaia di persone hanno partecipato a Belgrado al primo Gay pride dal 2010 (nella foto), quando ci furono violenze provocate dai gruppi ultranazionalisti.

LETTONIA
II 4 ottobre si svolgeranno le elezioni legislative nel paese. L’attuale premier è l’economista Laimdota Straujuma.

PAESI BASSI
II processo contro l’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic davanti al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia è entrato il 29 settembre nella sua fase finale. La sentenza è prevista alla fine del 2015.

FRANCIA
IL SENATO VA A DESTRA
Le elezioni del 28 settembre per il parziale rinnovo del senato si sono concluse con la vittoria della destra e l’ingresso del Front national (Fn) nella camera alta. Al voto hanno partecipato più di 87mila grandi elettori, soprattutto consiglieri comunali e rappresentanti della società civile scelti dai partiti, che hanno rinnovato 179 dei 348 seggi del senato. Come scrive Le Monde, la sinistra ha perso 21 seggi, la destra ne ha guadagnati 12, il centrodestra 7 e il Front national è riuscito a far eleggere i suoi primi due senatori. Si chiude così la parentesi della prima maggioranza socialista al senato nella quinta repubblica, durata tre anni. Se "dopo le disastrose comunali di marzo e lo schiaffo delle europee di maggio la sconfitta della sinistra era prevedibile", osserva Liberation, il successo del Fn rivela invece che il partito di Marine Le Pen "oggi è in grado di sedurre anche gli elettori estranei alla sua famiglia politica" e di rubare voti alla destra istituzionale. Secondo il quotidiano, "il risultato di questo voto non deve far credere che l’estrema destra stia per salire al potere, ma dimostra ancora una volta quanto sia stata efficace la strategia di Marine Le Pen per rendere accettabile il suo partito

BELGIO
JIHADISTI ALLA SBARRA
Il 29 settembre si è aperto ad Anversa il processo contro 46 militanti del gruppo jihadista Sharia4Belgium, accusati di voler "rovesciare lo stato belga e di volerlo sostituire con uno stato islamico". Il gruppo Sharia4Bel-gium, che si è sciolto ufficialmente due anni fa, è accusato di essere stato "una fucina di terroristi islamici", scrive la Gazet van Antwerpen, e i suoi militanti sono sospettati di aver reclutato decine di giovani volontari mandati poi in Siria a combattere a fianco di gruppi legati ad Al Qaeda e allo Stato islamico. Solo otto degli accusati, tra i quali il capo dell’organizzazione, Fouad Belkacem, in custodia cautelare dal 2013, erano presenti al processo. Gli altri potrebbero essere in Siria o morti nei combattimenti.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
PALESTINA-ISRAELE-WASHINGTON
ABU MAZEN CAMBIA STRADA
Il 25 settembre i partiti palestinesi Al Fatah e Hamas hanno raggiunto un accordo in base al quale l’Autorità Nazionale Palestinese riprenderà alcune funzioni amministrative nella Striscia di Gaza. Il giorno dopo, nel suo discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente palestinese Abu Ma-zen (nella foto) ha annunciato di aver presentato domanda per il riconoscimento a pieno titolo della Palestina come stato membro dell’Orni. Gli Stati Uniti e Israele hanno duramente criticato il discorso di Abu Ma-zen, scrive Al Monitor.

ALGERIA
LE MISURE DI ALGERI
Il rapimento e l’assassinio del turista francese Hervé Gourdel ha spinto le autorità algerine a rafforzare la sorveglianza delle zone a rischio, come i campi petroliferi nel sud del paese, scrive Le Quotidien d’Orari. Le misure sono la conseguenza del deterioramento della situazione in Libia e della minaccia dei gruppi terroristi, come Jund al khilafa, che hanno proclamato la loro fedeltà all’organizzazione jihadista Stato islamico. Secondo alcune fonti, l’Algeria vuole anche chiudere alcuni punti di passaggio alle frontiere con Libia e Mali, in particolare costruendo una barriera elettrificata lunga 110 chilometri sul confine libico. Tuttavia alcuni studiosi, come Riadh Sidaoui, intervistato da Maghreb Émergent, sminuiscono la minaccia presentata da gruppi come Jund al khilafa: "Il loro è un terrorismo residuale, in cerca di visibilità e influenza, che non ha rapporti strutturali né con lo Stato islamico né con Al Qaeda".

YEMEN
A PARTIRE DALLA SECONDA SETTIMANA DI SETTEMBRE, LO YEMEN HA VISTO INASPRIRSI IL CONFRONTO TRA LA MINORANZA HOUTHI E L’ESERCITO DI SANAA. Gli Houthi sono una realtà tribale radicata nelle regioni settentrionali del Paese (Saada e Jawf). A fasi alterne e intensità variabili queste sono in conflitto con il governo centrale da circa 10 anni. Forti del fattore omogeneizzante di matrice religiosa, si contraddistinguono per l’adesione allo zaydismo, una variante dello sciismo professata da circa il 30% dei musulmani yemeniti, gli Houthi sono emersi come una influente realtà regionale nel panorama politico yemenita dalla caduta del Presidente Saleh nel 2011.
Le recenti tensioni tra governo ed insorti, scaturite apparentemente dalla soppressione di alcuni privilegi fiscali, sono degenerate quando, tra il 9 e il 10 settembre, le forze di sicurezza yemenite hanno aperto il fuoco sui manifestanti.
In risposta alla repressione da parte delle Forze di sicurezza, le milizie Houthi sono arrivate ad assediare e occupare i principali palazzi del potere di Sanaa, sbaragliando nel nord del Paese la resistenza delle milizie filogovernative sunnite, in larga parte legate alle scuole coraniche. Al culmine di una settimana di sangue, con decine di morti e centinaia di feriti, e con l’aiuto dell’inviato speciale dell’ONU Jamal Benomar, il 22 settembre le parti sembravano aver trovato infine un accordo di pace.
Tuttavia, come spesso accaduto negli ultimi 3 anni, l’accordo è stato rapidamente sconfessato e le milizie Houthi hanno ripreso le ostilità, giungendo a controllare rapidamente la capitale e mettendo in fuga i gruppi armati della tribù Ahmar, la stessa dell’ex Presidente Saleh, e le Forze di sicurezza yemenite.

GUINEA BISSAU
II 28 settembre 21 passeggeri di un minibus sono morti nell’esplosione di una mina abbandonata sulla strada tra Bissora ed Enxeia.

BAHREIN
II 29 settembre nove sciiti sono stati condannati all’ergastolo e privati della cittadinanza per terrorismo. Iran II 30 settembre è stata rinviata l’esecuzione di una donna accusata di aver ucciso un uomo durante un tentativo di stupro.

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA-CAMBOGIA
II 26 settembre i governi dei due paesi hanno firmato un accordo che prevede il trasferimento in CAMBOGIA di un numero imprecisato di richiedenti asilo. Per questo CANBERRA verserà a PHNOM PENH 28 milioni di euro.

GIAPPONE
TUTTI MORTI SUL MONTE ONTAKE?
Trenta escursionisti non danno segni di vita: forse colpiti da arresto cardiaco e respiratorio
Giappone, erutta vulcano Monte Ontake Giappone, erutta vulcano Monte Ontake(KIKA) — TOKYO – I trenta escursionisti recuperati sul vulcano , che ieri è entrato in eruzione dopo sette anni di silenzio, non danno segni di vita. I soccorritori hanno parlato di “arresto cardiaco e respiratorio” ma le autorità, riferisce l’Ansa, non hanno ancora confermato la morte dell’intero gruppo.
Il Monte Ontake, la cui cima raggiunge i 3.067 metri di altezza e si trova tra Nagano e Gifu, ha eruttato all’improvviso nella giornata di ieri, lanciando in aria detriti, cenere e sassi che avrebbero ferito a morte una sola persona, bilancio che potrebbe salire notevolmente se il decesso degli escursionisti venisse confermato. Le operazioni di soccorso sono iniziate immediatamente ma sono state poi interrotte a causa del rischio di nuove eruzioni e per la presenza nell’aria di gas tossici che potrebbero aver causato la morte delle persone presenti sul monte al momento dell’eruzione

CAMBOGIA
SALARIO MINIMO
Con una lettera al governo cambogiano e all’associazione nazionale delle imprese tessili, otto aziende internazionali di abbigliamento si sono dette disposte a pagare costi più alti per il trasporto e le operazioni doganali, così da garantire agli operai un salario adeguato. L’apertura di aziende come H&M e Zara, arrivata dopo gli scioperi del dicembre 2013 in cui morirono 5 persone, si inserisce nelle trattative per l’aumento del salario minimo mensile, oggi di 100 dollari. I lavoratori vorrebbero che fosse portato a 177, mentre gli imprenditori si fermano a 110. Non è ancora chiaro quanto le aziende siano disposte a pagare in più, scrive il Cambodia Daily, ma per i sindacati la decisione potrebbe influire positivamente sulle trattative.

INDONESIA
UNO SCHIAFFO PER JOKOWI
Il 25 settembre il parlamento indonesiano ha cancellato le elezioni dirette di governatori e sindaci. La decisione è stata resa possibile dall’astensione del partito del presidente uscente Susilo Bambang Yudhoyono. L’abrogazione dell’elezione di-retta, introdotta nel 2005, è uno schiaffo per la giovane democrazia indonesiana, scrive Asia Sentinel. Inoltre è un segnale per il presidente Joko Widodo, ex governatore riformista di Giacarta eletto direttamente dai cittadini e figura di spicco della nuova classe politica indonesiana. La cancellazione è stata votata dalla coalizione dell’ex generale Prabowo Subianto, espressione dei vecchi poteri legati alla dittatura di Suharto e sconfitta alle elezioni di luglio

INDIA
II 27 settembre la chief minister del Tamil Nadu, Jayaram Jayalalitha , si è dimessa dopo una condanna a quattro anni di prigione per corruzione.
NEW DHELI/ WASHINGTON
Narendra Modi alla Casa Bianca
Il 29 e il 30 settembre il primo ministro indiano Narendra Modi ha incontrato a Washington il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Il visto di Modi per entrare nel paese era stato bloccato in seguito agli scontri etnici del 2002 nello stato del Gujarat, dove lui era chief minister, che provocarono la morte di migliaia di musulmani. Ma a maggio, dopo la sua elezione, Modi ha riottenuto il visto.

CINA
II bilancio delle violenze etniche del 21 settembre nello Xinjiang, nel nordovest del pae-se, è salito a 50 vittime

CINA.
VINCENZO COMITO: LA CINA E IL PIL SOTTOVALUTATO
Qualche mese fa, come è noto, un’organizzazione del gruppo della Banca Mondiale ci ha informato che il pil cinese dovrebbe nel 2014 superare come dimensioni globali quello degli Stati Uniti, almeno utilizzando per il calcolo relativo il criterio della parità dei poteri di acquisto; e da allora non è successo niente che possa far pensare ad una qualche modifica nella previsione. Secondo un’agenzia statunitense, The Conference Board, tale evento si sarebbe forse già verificato nel 2012. Fonte: sbilanciamoci | Autore: Vincenzo Comito
Da rilevare peraltro che i cinesi, come risulta dalle notizie di stampa, hanno cercato di impedire la pubblicazione dell’informazione della Banca Mondiale, mentre anche gli Stati Uniti non ne hanno comunque avuto grande piacere. Il fatto è che ambedue i paesi hanno interesse a non sottolineare notizie di questo tipo, i cinesi per una tendenza di fondo a mantenere una scarsa enfasi sui loro crescenti successi economici, gli statunitensi per una ovvia questione di prestigio e, in prospettiva, di potere. La notizia, anche per questo, non ha avuto comunque il clamore che meritava e così il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti si sta nella sostanza svolgendo in questi anni in sordina, come ci ricorda Martin Jacques (M. Jacques, 2012).
Ricordiamo a questo punto come negli anni della guerra fredda, quando i russi annunciavano che in un certo anno l’economia sovietica era cresciuta del 7% e più, in realtà essa era aumentata di molto meno, ma gli Stati Uniti, che conoscevano la verità, facevano finta di credere all’informazione ufficiale del nemico perché essa sosteneva gli interessi della loro politica di potenza e faceva marciare a ritmo molto sostenuto il loro complesso militare-industriale
Questi episodi ci portano a ricordare come le statistiche economiche, come più in generale quelle politicamente sensibili, sono soggette ad essere manipolate dal potere politico per evidenti ragioni strategiche.
Un esperto di economia industriale, Michael Kami, diversi decenni fa sottolineava come i governi mentano sistematicamente per quanto riguarda la divulgazione di statistiche importanti ed egli arrivava a calcolare il lie factor caratteristico di ogni governo; se ricordo bene tale fattore, per quello statunitense, era calcolato intorno al 20%. Il che significava che se l’allora presidente in carica, Ronald Reagan, annunciava che il livello di inflazione in un certo anno si era collocato intorno al 4,0%, aggiungendovi il 20% di menzogna si otteneva la cifra vera, che era quindi quella del 4,8%.
Da allora, comunque, la situazione potrebbe essere migliorata, ma la questione aleggia sempre nel mondo. Per esempio, alle statistiche ufficiali argentine degli ultimi anni relative alla crescita del pil o dell’inflazione nessuno crede più, mentre alla veridicità di quelle greche di qualche anno fa tutti hanno semplicemente fatto finta di credere. Per altro verso, qualcuno forse ricorda gli attacchi che i membri dei governi Berlusconi ogni tanto rivolgevano all’Istat per la pubblicazione di dati piuttosto scomodi.
A volte, peraltro, le statistiche di un paese tendono ad essere distorte anche semplicemente per l’esistenza di carenze nell’apparato tecnico dello stesso paese. Così, nell’ultimo periodo alcuni stati africani hanno rifatto i conti relativi alle loro economie con delle metodologie più moderne e hanno quasi sempre trovato che il loro pil era notevolmente superiore a quanto precedentemente si pensasse. La Nigeria, dopo la rivalutazione dei suoi dati, è diventato il paese africano con il pil più alto, superando il Sud-Africa, che era precedentemente valutato come il più ricco paese del continente.
LE STATISTICHE CINESI
E veniamo di nuovo alla Cina. Ricordiamo come agli inizi del Novecento un geografo anarchico di grande valore, Elisée Reclus, dopo un soggiorno in Cina, valutava che nessuna cifra di tipo economico sul paese appariva attendibile. L’osservazione di Reclus metteva l’accento in realtà sul fatto che tradizionalmente nella cultura cinese le statistiche non avevano grande valore né erano seguite con molta attenzione. La situazione da allora è certo migliorata, culturalmente ed operativamente, ma essa permane per molti versi complicata.
Intanto, i cinesi stanno forse comportandosi come i russi qualche decennio fa? Nel caso del paese asiatico le spinte ad abbellire la realtà, almeno a livello di statistiche nazionali relative al pil, non sembra essere veramente molto presente (Yukon Huang, 2014); piuttosto si può parlare, almeno sul fondo, oltre che di qualche reticenza, di persistenti debolezze nell’apparato statistico nazionale, anche se esse sembrano in via di superamento.
Se c’è una qualche malizia nella pubblicazione delle statistiche cinesi, essa è stata, almeno sino a qualche anno fa, quella di “attenuazione delle punte”, nel senso che negli anni di crescita economica più forte le statistiche ufficiali tendevano a ridurla, mentre negli anni di sviluppo più debole si tendeva a incrementare un poco le stime; ma il trend di fondo mostrato ufficialmente appariva probabilmente abbastanza coerente con le informazioni possedute dalle autorità. Va comunque sottolineato che qualche volta, per quanto riguarda alcune informazioni sensibili, i dati sono molto carenti ed approssimativi, come ad esempio se ci si chiede su quanto sia elevato il numero dei lavoratori migranti o come si presenti nella realtà la distribuzione del reddito tra gli abitanti del paese.
Esistono apparentemente dei punti deboli nelle statistiche cinesi anche più recenti. In termini generali va sottolineato che in realtà il livello del pil cinese è probabilmente e tradizionalmente sottovalutato in misura rilevante. Per tenere conto di questo fatto ci sono state in passato delle rivalutazioni una tantum dello stesso. Così nel 1993 nuove stime hanno portato ad aumentare il pil del 10% e nel 2004 la crescita media del pil del precedente decennio è stata portata dal 9,2% annuo al 9,9% (Yukon Huang, 2014).
COSÌ LA MORGAN STANLEY, ANCORA NEL 2008, AFFERMAVA CHE IL PIL CINESE ERA SOTTOVALUTATO DEL 30%.
Se queste valutazioni fossero corrette questo significherebbe, tra l’altro, che la previsione fatta qualche tempo fa da alcuni esperti, secondo la quale nel 2030 l’economia cinese potrebbe risultare più grande come dimensioni quantitative di quella statunitense e di quella dell’Unione Europea messe insieme appare a questo punto un po’ meno improbabile di come poteva sembrare a molti qualche tempo fa.
La sottovalutazione del pil nelle statistiche cinesi sembra dovuto essenzialmente al fatto che tradizionalmente le metodologie impiegate erano basate su di una cultura che mirava soprattutto a misurare il livello della produzione industriale tangibile e quello degli investimenti, mentre trascurava fortemente il settore dei servizi e quello dell’economia informale. Ora la Cina ha adottato le metodologie delle Nazioni Unite e quindi dobbiamo aspettarci, dopo un necessario periodo di perfezionamento ancora in atto, dei valori più attendibili.
COSÌ LA SOTTOVALUTAZIONE DEL PIL APPARE LEGATA A DELLE CARENZE TECNICHE PIÙ CHE A TENTATIVI DI MANIPOLAZIONE.
Una cosa che colpisce da molto tempo nelle statistiche cinesi da molto tempo appare il basso livello dei consumi, che si aggirerebbero, secondo le cifre ufficiali disponibili sino a qualche tempo fa, intorno al 35% del pil, mentre corrispondentemente risulterebbe un altissimo livello degli investimenti, intorno al 48% dello stesso pil. In particolare appaiono sottovalutati i consumi personali.
Una struttura di questo tipo appare anomala per un paese del livello di sviluppo cinese. Così studi recenti sembrano suggerire che il livello dei consumi si aggira in realtà intorno al 45% mentre corrispondentemente quello degli investimenti verrebbe ridimensionato al 38%, cifre che sarebbero più ragionevoli e del resto sarebbero in linea con informazioni a portata di mano tutti i giorni, informazioni che vedono la forte crescita dei consumi di lusso nel paese ed in particolare di beni di consumo durevoli.
CONCLUSIONI
Certo molte statistiche economiche cinesi sembrano non molto solide, più apparentemente per incuria metodologica che per una volontà deliberata di nascondere la realtà. Provando a tener conto di questo fenomeno, delle valutazioni abbastanza equilibrate portano a pensare che la Cina, dopo essere diventato il primo paese esportatore del mondo, poi il primo commerciante globale, sia ormai diventata anche la prima economia del mondo; e molti altri primati dovrebbero seguire nei prossimi anni. Questo pone, come sempre in casi analoghi nella storia, un oggettivo rischio di conflitti anche pesanti con l’attuale potenza egemone, gli Stati Uniti, che sono oggi ben lontani dall’immaginare di poter perdere il primato economico, politico, militare. L’articolo che seguirà cercherà di dar conto di alcune tematiche legate a questo possibile contrasto tra le due potenze.

AFGANISTAN
l 21 settembre a Kabul i due candidati alla presidenza, Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, hanno raggiunto l’accordo per la formazione di un governo di coalizione. Secondo l’intesa raggiunta, Ghani è stato nominato Presidente e spetterà ad Abdullah nominare il Chief Executive – figura reintrodotta ad hoc, assimilabile a quella di un Primo Ministro, ma con poteri ancora da definire. Sebbene l’accordo, accolto con moderato ottimismo sia in patria che all’estero, sembrerebbe risolvere lo stallo politico che paralizzava le istituzioni afghane dallo scorso giugno, in realtà questa soluzione potrebbe presentare ancora una serie di incognite.
La necessità di porre termine all’impasse istituzionale per far fronte alle difficili condizioni economiche in cui versano le casse dello Stato, infatti, potrebbe aver spinto i due ex contendenti ad affrettare la firma dell’accordo per trovare il plauso, e nonché l’indispensabile aiuto, internazionale.
L’agenda politica del Paese sarà ricca di appuntamenti spinosi nei primi mesi di governo e la capacità di interazione e collaborazione tra le due anime del governo di coalizione, espressione di realtà etniche e istanze politiche differenti, sarà fondamentale. Un primo banco di prova per la tenuta del nuovo esecutivo potrebbe essere la firma degli accordi di sicurezza per la definizione della presenza internazionale in Afghanistan a partire dal 2015.
Dopo che il Parlamento avrà definito e ratificato i poteri del Chief Executive, infatti, si aprirà il tavolo negoziale con gli USA e la NATO per la definizione, rispettivamente, del Bilateral Security Agreement e del NATO SOFA, la cui continua procrastinazione non solo ha rappresentato il principale motivo di rottura tra l’ormai ex Amministrazione Karzai e i partner occidentali ma, soprattutto, ha messo in serio dubbio l’avvio della futura missione internazionale nel Paese.
KABUL
Firmato il patto sulla sicurezza
Il 30 settembre il governo afgano ha firmato l’accordo bilaterale sulla sicurezza che permetterà alle truppe statunitensi di rimanere nel paese anche dopo il ritiro previsto per quest’anno. Trascorso un giorno dall’insediamento, il presidente Ashraf Ghani ha mantenuto l’impegno di chiudere l’intesa con Washington, a lungo rinviata dal predecessore Hamid Karzai, e di firmare anche un secondo accordo che permetterà alla Nato di tenere delle truppe nel paese, scrive Tolo News. I soldati dell’Alleanza atlantica che rimarranno in Afghanistan dopo il 2014 con il compito di addestrare le truppe afgane saranno circa i2mila, e di questi novemila saranno statunitensi. Gli Stati Uniti manterranno anche altre unità da impiegare nella guerra contro i miliziani di Al Qaeda.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
ELEZIONI IN AMERICA LATINA, IL BRASILE È UN BOCCONE GHIOTTO / IN OTTOBRE SI SVOLGONO IN AMERICA LATINA TRE IMPORTANTI SFIDE ELETTORALI. IN BRASILE (IL 5), BOLIVIA (IL 12), ED URUGUAY (IL 26) . NEL CASO DELLA BOLIVIA NON C’È STORIA E, CON UNA DESTRA FRAMMENTATA, I PRONOSTICI SONO DI GRAN LUNGA FAVOREVOLI ALLA RIELEZIONE DI EVO MORALES AL PRIMO TURNO. PER QUANTO RIGUARDA L’URUGUAY I NUMERI DOVREBBERO FAVORIRE IL FRENTE AMPLIO AL GOVERNO, MA SI TEME PER LA MAGGIORANZA PARLAMENTARE. MA SU QUESTI DUE PAESI TORNEREMO IN UN PROSSIMO ARTICOLO. AMBIENTE – ITALIA | Autore: marco consolo
Nel caso della Repubblica Federale del Brasile, a pochi giorni dal voto, la situazione è decisamente più complicata. Si tratta della scadenza elettorale più importante per il continente. Nella settima economia mondiale, c’ è in gioco non solo la continuità dell’attuale governo di Dilma Roussef, che promette “più cambiamenti e più futuro”, ma anche il progetto di trasformazione iniziato nel 2002 con la vittoria di Lula. Ma il risultato elettorale avrà un impatto decisivo anche al di là della frontiera, a cominciare dal processo di integrazione dell’America Latina e dei Caraibi, ed il rafforzamento dell’alleanza tra Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, i cosiddetti BRICS, per la costruzione di un mondo multi-polare.
Come nel caso delle ultime elezioni in Cile, anche qui sono due donne a battersi con possibilità concrete per la presidenza del Paese-continente, con circa 200 milioni di abitanti. Anche nel gigante brasiliano sono due progetti-Paese che si scontrano nelle urne
Da una parte Dilma Rousseff, la prima donna Presidente del Brasile, l’erede di Lula che cerca la rielezione come candidata del Partito dei Lavoratori (PT), un partito le cui radici affondano negli anni delle lotte contro la dittatura civico-militare (1964 – 1984) e nelle battaglie sindacali di quel periodo. Dalla fine della sanguinosa dittatura, ci vollero 18 anni di transizione delle “democra-dure” neo-liberiste, perchè l’operaio e sindacalista metalmeccanico Lula vincesse le elezioni per la prima volta. E dal 2002 il PT è alla guida della variegata e contraddittoria coalizione di governo in cui detiene importanti ministeri, spesso sotto ricatto di una spuria maggioranza parlamentare.
Contro di lei Marina Silva, ex-ministra dell’Ambiente di Lula. Militante del PT per più di 20 anni, ne uscì sbattendo la porta per contraddizioni insanabili. Nel 2010 si presenta con il Partito verde ottenendo il 19%, un buon risultato con quasi 20 milioni di voti, che però non le bastano per vincere. In seguito dà vita ad un proprio movimento, la “Rete della sostenibilità”, che fino a poco tempo fa godeva di scarso appoggio.
Lo scenario è cambiato radicalmente a partire dallo strano incidente aereo in cui è scomparso Eduardo Campos, allora candidato del Partito Socialista Brasiliano (PSB), fino a quel momento solo terzo nei sondaggi con il 9% (contro il 36% di Dilma). E Silva era la sua Vice, grazie all’accordo elettorale con il PSB. Ma dopo l’ incidente, e anche grazie all’”effetto tragedia”, Marina Silva diventa la candidata alla presidenza del PSB. Oggi è seconda nei sondaggi e minaccia un testa a testa con Dilma in un probabile secondo turno elettorale il 26 ottobre.
A molta distanza appare il terzo candidato, il senatore Aecio Neves del Partido della Socialdemocrazia Brasiliana (PSDB), erede politico dell’ex-presidente Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) e dei suoi governi neo-liberali. Un periodo ricordato per il disordine nei conti pubblici, i tassi di interesse stratosferici, l’inflazione a due numeri, i tentativi di privatizzare l’educazione lasciando fuori i poveri dalle università. Un Paese in s-vendita, sottomesso ai diktat del Fondo Monetario Internazionale. Ma fino all’incidente aereo di Campos, i pronostici davano il candidato del PSDB al secondo posto.
Dopo l’incidente e la scomparsa di Campos, e soprattutto dopo gli ultimi sondaggi che vedevano Marina Silva in crescita, la preoccupata sinistra si è iniziata a mobilitare con più forza. In particolare il Partito Comunista del Brasile (PCdoB), interno alla coalizione fin dal primo governo Lula (con l’importante dicastero dello Sport), così come il PT.
Chi sta facendo una attivissima campagna elettorale è l’ ex-presidente Lula che gira in lungo e largo il Paese, dà interviste quotidiane, e insiste sulla necessità di una “riforma politica”, cavallo di battaglia della sinistra al governo. Una riforma basata innanzitutto sulla proibizione del finanziamento privato alla campagna elettorale dei partiti, “un delitto che non deve ammettere la possibilità di cauzione”. “Se bisogna radicalizzare, dobbiamo partire dalla moralizzazione della politica nel nostro Paese” ha detto Lula. “Ci vuole un referendum per approvare una Costituente” ha continuato, “ma i deputati che votano la riforma politica non possono essere candidati alle prossime elezioni”.
LA SORPRESA SILVA
Dopo la sconfitta del 2010, oggi Marina Silva ci prova di nuovo. Ex-ambientalista, evangelica, contraria all’aborto ed al matrimonio omosessuale, sostiene a spada tratta l’assioma delle destre riguardo all’indipendenza della Banca Centrale. Così come la riduzione del ruolo delle banche pubbliche, un cambiamento nella politica estera, la revisione delle regole per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del “Pré-sal”, scoperti da poco. Il buon risultato del 2010, era dovuto anche al suo innegabile carisma, c’è chi dice quasi “messianico”. Per qualcuno appare quasi come una “salvezza” e grazie alla sua appartenenza ad una delle Chiese evangeliche più conservatrici del Paese (l’Assemblea di Dio), può contare con l’appoggio di vasti settori religiosi che hanno una grande influenza in Brasile. E che hanno a disposizione un loro canale Tv che compete in ascolti direttamente con il gigante Tv Rete Globo.
DIMMI CON CHI VAI……
Alla testa della campagna presidenziale della sfidante Silva, c’è la sua amica Maria Alice Setúbal, esponente di spicco della Familia che ha fondato e controlla la Banca Itaú, la più grande banca privata del Paese, con una forte presenza in molti Paesi latino-americani.
Setúbal, che Silva chiama affettuosamente con il suo nomignolo “Neca”, ha dichiarato di avere ricevuto “diverse telefonate di imprenditori” che hanno offerto denaro, e che un gruppo di economisti del settore finanziario appoggiano la campagna di Silva.
Setúbal cerca di vendere l’idea di una candidata per una “nuova politica”, con “un’idea più femminile del potere” lontano dallo “stile burocratico di Dilma”.
Ma nonostante l’appoggio della poderosa Banca Itaú, Silva sa bene che ha bisogno di ampliare la sua base elettorale per poter vincere le elezioni del prossimo 5 ottobre.

Manda così segnali di distensione sia al PT che al PSDB, i due principali partiti brasiliani. E lo fa per bocca del suo “guru” economico, Eduardo Giannetti da Fonseca. Ex direttore dei rapporti internazionali della potente Federazione Industriale di Sao Paulo, Giannetti da Fonseca sostiene con forza i tagli alla spesa pubblica. Per farlo, “ci piacerebbe molto portare nel governo gli eccellenti tecnici che ci sono nel PT en el PSDB, perchè la nostra idea è quella di governare con i migliori uomini della política e della gestione” ha detto recentemente Giannetti. Insomma, un “governo tecnico” con chi ci sta, per superare le divisioni della politica.
I MOVIMENTI ALLA PROVA DEL VOTO
Oggi, il governo sta chiamando a discutere i movimenti sociali, le piattaforme programmatiche, le ONG, le reti organizzate, cosa che non avveniva nella prima metà dell’anno. E con qualche resistenza iniziano ad esprimere l’appoggio, seppur critico, alla rielezione di Dilma. Sul versante sindacale, è il caso della storica centrale CUT, ma anche dell’altra organizzazione dei lavoratori, la CTB vicina al PCdoB, (con una qualificata presenza nelle fabbriche FIAT).
Anche il “Movimento Sem Terra” (MST) e il “Movimento dei Senza Tetto” giustamente gelosi della propria autonomia, dopo una fase attendista, oggi stanno chiamando ad appoggiare Dilma. Sono movimenti che non hanno nessuna simpatia per Marina Silva, anche se paradossalmente lo scomparso Campos, come governatore dello Stato di Pernambuco, appoggiava il MST.
E dallo scorso Giugno, la Presidente Rousseff con un decreto ha aperto lo spazio alla presenza dei movimenti ed al dialogo con il governo, un decreto accolto favorevolmente dai movimenti più dinamici. Una apertura che, viceversa, ha prodotto la sollevazione dell’opposizione che l’ha accusata di essere “pro-chavista”, “neo-comunista”, “bolivariana”.
Non c’è dubbio che negli ultimi 12 anni, i governi di Lula e Dilma hanno portato avanti importante riforme sociali che hanno fatto uscire dalla povertà quasi 40 milioni di brasiliani, aumentato l’occupazione e i salari, migliorato l’offerta e la qualità dei servizi pubblici, ampliato la democrazia. Nonostante le accuse di assistenzialismo, si mantiene tra gli altri l’importante programma “Bolsa familia”, un sussidio a sostegno delle fasce piu povere e lo Stato continua ad essere soggetto importante di investimenti pubblici a tutto campo.
Ma non basta. Una volta ottenuta una certa sicurezza, la nuova “classe media” vuole di più, mentre quella tradizionale guarda con sospetto i “nuovi arrivati” che chiedono una piu amplia re-distribuzione della ricchezza.
Oggi Dilma cerca un secondo mandato, e cerca di sintonizzarsi con il sentimento popolare espresso in particolare nelle giornate di mobilitazione dello scorso giugno, che hanno visto la presenza massiccia di giovani nelle piazze del Paese, alla ricerca di visibilità internazionale grazie ai mondiali di calcio. Oltre alla qualità ed al prezzo dei trasporti, al governo Dilma si chiede tra l’altro di approfondire le politiche sociali, una crescita economica inclusiva e sostenibile, la garanzia di accesso all’educazione di qualità come grande motore di trasformazione, una riforma agraria che ponga al centro i bisogni dei contadini senza terra e la sovranità alimentare e non gli interessi dei latifondisti e dell’”agro-business”. Si chiede si cambiare la rotta di un “modello di estrattivismo selvaggio” che provoca ingenti danni ambientali ed alla salute e che in molti casi si scontra apertamente con i diritti dei popoli originari sulle loro terre, non ancora completamente demarcate e legalizzate.
Sulla carta, il programma del PT propone “un nuovo ciclo storico” che passa per la Riforma politica, federativa, del sistema tributario, la riforma urbana e dei servizi pubblici (in particolare salute, sicurezza e risanamento urbano). I grandi movimenti sociali non fanno sconti e chiedono di rendere concreti i cambiamenti, per approfondire la democrazia, il benessere sociale, la sovranità sulle risorse nazionali.
E IL PROGRAMMA ?
Quel che è certo è che il dibattito è ancora polarizzato sulle persone, e poco sui diversi programmi, sul modello economico e la visione di società.
Sul versante economico, la contrazione della domanda cinese (primo partner commerciale del Brasile) ha rallentato la crescita, mentre alcuni economisti sostengono la tesi della “recessione tecnica” in base ai risultati negativi degli ultimi due trimestri. Altri parlano di “stagnazione provvisoria”, come risultato dei recenti Mondiali di calcio. Durante le partite molti settori si sono praticamente fermati e quando giocava la nazionale brasiliana le festività hanno fatto cadere ulteriormente la produttività. Sono dati da relativizzare, anche se l’opposizione cerca di utilizzarli a suo favore per sostenere la tesi di una crisi profonda di cui l’unico responsabile è il governo che bisogna mandare a casa. Il dato concreto è che la popolazione sta affrontando un aumento dei prezzi dei prodotti della canasta familiare, in una spirale di cui non si vede ancora la fine. C’è insoddisfazione in alcuni settori poveri della società, con una critica ed un rifiuto crescente verso il governo, ma ancora non ci sono proposte alternative. In alcuni casi di corruzione nello stesso governo (relativamente meno del passato), si è lasciata agire la giustizia, senza che i dirigenti spiegassero diffusamente le misure da prendere, perchè non si ripetessero.
C’è poi un tema che conosciamo bene, quello della “memoria corta” o della “mancanza di memoria” tout court di alcuni settori. Ci si dimentica dei miglioramenti sostanziali negli ultimi 12 anni per quanto riguarda la casa, l’educazione, la salute. Non si parla della ridistribuzione dell’ingresso che ha favorito chi aveva meno. E’ mancata una azione pedagógica, di comunicazione di massa, con l’aggravante che Dilma non ha lo stesso carisma di Lula nei confronti dei settori poveri della popolazione. E dopo 12 anni di governo, si inizia a sentire un certo logorìo della capacità propositiva del governo.
In campo internazionale, pur tra mille contraddizioni, il gigante Brasile ha difeso la sovranità nazionale ed ha avuto un ruolo chiave sullo scacchiere mondiale. Nel continente è il riferimento obbligato per i piani di integrazione regionale che non possono prescindere dal suo ruolo di potenza, anche rispetto ai Paesi BRICS, le principali potenze emergenti.
Viceversa Marina Silva, ha dichiarata la volontà di riavvicinarsi agli Stati Uniti, e di avere un ruolo più attivo nella “Alleanza del Pacifico”, la vera e propria spina nel fianco dell’integrazione continentale, vista come il fumo negli occhi dai governi progressisti dell’area.
Per molti settori dell’opposizione, ossessionati dai tre mandati successivi, non importa chi vinca, l’importante è disfarsi di questo governo.
IL PARTITO DEI MASS-MEDIA
E ancora una volta, di fronte alla débâcle dei partiti della destra tradizionale, anche in Brasile come nel resto del continente, sono i grandi mezzi di comunicazione di massa che si sono trasformati in veri e propri partiti di opposizione. Tradizionalmente il “quarto potere”, oggi i media hanno fatto un salto di categoria e sono chiaramente uno dei fattori centrali del potere, con il compito di costruire la “realtà” politica e ideologica su scala planetaria. Lo fanno, tra l’altro, omettendo le informazioni, distorcendole con obiettivi elettorali ed ideologici, quando non mentono spudoratamente. In Brasile si è visto chiaramente in occasione dei Mondiali di calcio con una campagna totalmente negativa, che scommetteva sull’incapacità del governo di realizzare l’evento sportivo. Lo si è visto anche in occasione delle mobilitazioni dello scorso giugno, attaccate all’inizio come “manifestazioni di vandali e teppisti”, per poi passare rapidamente all’appoggio aperto, cercando di cavalcarli, di influenzarne l’agenda in funzione anti-governo.
E nei tre mandati a disposizione, il governo non ha avuto il coraggio di affrontare la grande riforma del settore della comunicazione, per rompere i “latifondi mediatici” e cambiare le regole, come fatto in altri Paesi latino-americani (tra gli altri Argentina, Venezuela, Ecuador). Oggi i grandi “gruppi mediatici”, i “colonnelli elettronici” brasiliani sono tutti all’opposizione e sparano ad alzo zero contro Dilma.
Allo stesso tempo, l’uragano politico provocato dalla carismatica evangelica, è visto con prudenza da diversi analisti, dato che Silva non dispone di una consistente struttura di partito per governare e che fino ad oggi l’unico appoggio chiaro è quello espresso dal settore finanziario.
Negli scampoli di questa campagna elettorale, gli “spin doctors” sono freneticamente al lavoro per disegnare una strategia di immagine vincente, almeno al secondo turno.
– See more at: http://marcoconsolo.altervista.org/gigante-brasiliano-boccone-ghiotto-2/#sthash.LjzsDqkw.dpuf

ARGENTINA
II 30 settembre il governo ha versato 161 milioni di dollari su un fondo speciale a Buenos Aires per rimborsare i creditori dei suoi titoli di stato, aggirando la sentenza di un tribunale statunitense.

CUBA
II presidente di un’azienda di trasporti canadese, Cy Tokmakjian, è stato condannato il 29 settembre a 15 anni di prigione per corruzione.

MESSICO
GLI STUDENTI DILGUALA
Almeno 19 dei 58 studenti scomparsi il 26 settembre a Iguala, nello stato meridionale di Guerrero, sono tornati a casa in buone condizioni di salute. Il corrispondente in Messico di Bbc mundo prova a ricostruire i fatti, ancora poco chiari: un gruppo di studenti dell’Escuela normal de Ayotzinapa si è impossessato di tre autobus durante una protesta. La polizia ha sparato e un ragazzo è morto. Più tardi un gruppo armato non identificato ha assalito alcuni studenti che parlavano con i giornalisti e un altro gruppo ha sparato contro un autobus in cui viaggiava una squadra di calcio. Sei persone sono morte. Quando gli studenti si sono riuniti, ne mancavano 58 all’appello. Le autorità dello stato hanno ammesso che la polizia ha fatto un uso eccessivo della forza e 22 agenti locali sono stati arrestati. La Jornada ricorda che lo stato di Guerrero è governato da Ángel Aguirre Rivero, un politico "di cui tutti conoscono le tendenze autoritarie e repressive".

AMERICA SETTENTRIONALE
NYC
HARVEY: CAPIRE LA POLITICA MONETARIA DEGLI STATI UNITI ALL’INDOMANI DELLA CRISI FINANZIARIA.
Per dare una valutazione della politica tenuta dalla Federal Reserve dopo la crisi occorre innanzitutto comprendere che i funzionari della Fed hanno dovuto affrontare dei problemi che non credevano si potessero verificare[1]. Fonte: economiaepolitica.it | Autore: John T. Harvey*
Gli eventi del 2007-2008 assestano un colpo violento al modello teorico in cui essi riponevano la loro fede, e questo è anche il motivo per cui niente era stato fatto per disinnescare la situazione che si andava creando, e gli interventi successivi si sono rivelati in larga misura inefficaci. Se non adotteranno un paradigma diverso, non esistono ragioni per credere che la crisi sia servita da lezione. Pertanto il ripetersi di avvenimenti analoghi resta una possibilità concreta.
COME È NOTO, LA POLITICA DELLA BANCA CENTRALE è costruita sulla teoria neoclassica. Questa teoria sostiene che i sistemi economici sono in grado in buona parte di badare a loro stessi e tendono automaticamente verso la piena occupazione. Anche quegli economisti neoclassici che sono relativamente interventisti, come Christina Romer (che presiede il Council of Economic Advisors del presidente Barak Obama), ritengono che questo felice equilibrio possa non essere raggiunto solo a causa di shock esogeni o di politiche sbagliate (Romer 2008). La loro concezione del mercato finanziario è la seguente: esso è popolato da agenti razionali volti a massimizzare la propria utilità, il cui interesse principale consiste nella prevedere con precisione i prezzi delle attività basandosi sulle determinanti fondamentali del loro valore. Il mercato sarà in grado di disciplinare sia la speculazione selvaggia che i rapporti contrattuali caratterizzati dall’assenza di informazioni. Oltre a ciò, si presume che la concorrenza sia sufficiente a controllare il comportamento di chi emette le attività finanziarie e delle altre istituzioni presenti sul mercato finanziario. Le imprese che ingannano il pubblico o che rifiutano di rendere trasparente la composizione del loro portafoglio si troveranno presto senza clienti. In un mondo siffatto, non possono esistere bolle e, fintanto che manteniamo le nostre interferenze al minimo, il sistema economico dovrebbe tendere verso la piena occupazione e l’allocazione ottimale delle risorse.
In questo contesto, il compito di chi lavora alla Federal Reserve non poteva che essere concepito come un qualcosa di abbastanza minimale. In primo luogo e soprattutto, occorreva stare a guardia dell’inflazione e dell’eccesso di investimenti e, per raggiungere questo obiettivo, si è ipotizzato che i tassi di interesse fossero strumenti sufficientemente potenti. In secondo luogo, sempre grazie alle manovre sul tasso di interesse, la Fed garantiva che le economie in via di sviluppo avrebbero trovato un nuovo vigore. Infine, per ciò che concerne le responsabilità regolatorie tipiche dei cani da guardia, la fede nella ipotesi dei mercati efficienti ha portato non solo al laissez faire sancito dalle norme che sono ancora in vigore, ma anche a sostenere un’ulteriore liberalizzazione (in particolare l’abrogazione del Glass-Steagall Act). I banchieri centrali hanno riposto una grande fiducia in queste regole operative e hanno creduto di riscontrare una prova della validità del loro approccio nella storia (in particolare nella drastica riduzione dell’inflazione nella seconda metà degli anni ’80 e nella crescita senza inflazione degli anni ‘90).
NON SORPRENDE ALLORA CHE GLI EVENTI DEL 2007-2008 FURONO UNO SHOCK TERRIBILE. LA REAZIONE DELL’EX PRESIDENTE DELLA FED, ALAN GREENSPAN, È SIGNIFICATIVA:
“Cosa è andato storto? Perché in pratica tutti gli economisti e i politici di rango sono stati ciechi di fronte al disastro che sopraggiungeva? Come hanno fatto così tanti esperti, me compreso, a non vedere ciò che si avvicinava?” (Greenspan 2013).
Non era solo evidente che il mercato aveva selvaggiamente sopravvalutato molti asset, ma sembrava molto probabile che alcune istituzioni finanziarie fossero impegnate in vere e proprie frodi. Niente di tutto questo si adattava ai preconcetti della Fed e, di conseguenza, gli strumenti tradizionali di politica monetaria restavano impotenti dinanzi al carattere e alla grandezza del crollo. Tuttavia, la gravità della situazione richiedeva un’azione. Sono state allora emanate una serie di politiche di emergenza. Nel 2008, per esempio, sono stati fatti degli sforzi per stabilizzare le istituzioni finanziarie attraverso gli acquisti dei loro asset “in difficoltà” (de Costa 2014). Contemporaneamente, nel tentativo di stimolare la spesa del settore privato, sono stati abbassati i tassi di interesse. A causa delle condizioni economiche tipiche di una depressione, i tassi di interesse sono stati spinti quasi a zero, dopo che il primo round di Quantitative Easing (QE) era stato avviato (novembre 2008). Quest’ultimo è stato progettato per aumentare direttamente la quantità di denaro nel sistema bancario scambiando asset finanziari con moneta sonante. Altre due misure – QE2 e QE3 – sono poi state attivate nel giugno 2010 e nel settembre 2012. Inoltre, in una condizione inusuale che rende difficile individuare i tassi di interesse obiettivo, la Fed ha iniziato a pagare gli interessi sulle riserve in eccesso detenute presso la banca centrale.
Nel loro insieme, tutte queste politiche avevano lo scopo di ridurre il costo del denaro, aumentando al contempo il volume dei fondi disponibili e rafforzare le banche e le altre istituzioni finanziarie. Questo, si riteneva, avrebbe creato gli incentivi necessari per stimolare gli investimenti e le altre forme di spesa, stimolando così la ripresa. Tuttavia così non è stato, a meno di considerare come un successo, il lento, irregolare ritorno al livello di disoccupazione vigente nell’ottobre 2008. La spesa per gli investimenti reali deve ancora tornare ai massimi pre-crisi e la fiducia dei consumatori continua ad essere in ritardo. La tensione riguarda tutti i partecipanti al mercato e a tutti i livelli. Ogni nuovo dato che viene comunicato è guardato con ansia. Le ragioni di una risposta tanto debole sono molte e varie, ma sono definitivamente radicate nel fatto che anche le misure di emergenza più pragmatiche messe in atto dai funzionari della Fed si sono basate sulla stessa discutibile concezione del sistema finanziario che aveva caratterizzato la loro politica prima della crisi. In particolare, è degno di nota il fatto che l’accento viene posto sui prezzi, piuttosto che sulle variabili del reddito. Questa è una pratica normale nell’approccio neoclassico e si estende in generale all’analisi condotta dalla Fed. Deriva dalla convinzione che la scienza economica riguarda la scarsità e i trade off e che i volumi della produzione e dell’occupazione non costituiscono dei focus importanti. Naturalmente, la ragione di fondo è che la piena occupazione è un assunto. Se così non fosse, non esisterebbero trade off poiché si potrebbe sempre produrre di più, semplicemente attivando risorse precedentemente disoccupate. Come sosteneva Keynes, questa teoria si applica solo a un caso particolare, cioè quello in cui è già stata raggiunta la piena occupazione.
Non c’è da stupirsi che le politiche derivate da un modello che trascura la disoccupazione fossero inadeguate di fronte alla peggiore crisi economica che si è avuta dai tempi della Grande Depressione. Una risposta basata sull’idea che se il costo dell’indebitamento potesse essere spinto abbastanza in basso, allora emergerebbe una domanda latente sufficiente, era destinata al fallimento. La verità è che la domanda non c’era perché i redditi e le vendite erano crollati. Per essere onesti, la Federal Reserve non ha potuto impegnarsi in ciò che era realmente necessario, vale a dire la politica fiscale. Tuttavia, anche tralasciando questo punto, è evidente che ci si aspettava molto di più dalla politica monetaria: basta considerare gli allarmi lanciati sul fatto che le banche non stavano ancora facendo prestiti, anche dopo che queste politiche erano in vigore.
TUTTAVIA, QUESTO NON SAREBBE MAI ACCADUTO ATTRAVERSO I CAMBIAMENTI DEI PREZZI. QUESTO PERCHÉ, COME SCRIVE JAN KREGEL,
“Solo quando le banche hanno redditi sufficienti, esse saranno in grado di ripristinare il loro capitale e ritornare a concedere prestiti. Solo quando le famiglie hanno un reddito sufficiente per pagare i loro debiti, esse saranno in grado di tornare a spendere. Fino ad ora è stata la Fed che è stata disposta ad operare sullo stato patrimoniale delle banche, ma solo scambiando un asset con un altro, non aumentando i guadagni delle banche … Il modo migliore è quello di aumentare il reddito a sufficienza in modo che le famiglie possano coprire il servizio del debito sui prestiti superiori al proprio reddito e le imprese abbiano un reddito sufficiente per soddisfare il proprio indebitamento” (enfasi aggiunta; Kregel 2009, p.662).
LE PROSPETTIVE DI AUSTERITÀ FISCALE GETTANO ANCORA PIÙ DUBBI SUL FUTURO DEGLI STATI UNITI.
Così, nonostante tutta la pubblicità che circonda le politiche dei tassi di interesse a zero, il Quantitative Easing, il Troubled Asset Relief Program, ecc. , non molto è stato fatto dalla politica monetaria post crisi negli Stati Uniti. Peggio ancora, la Fed ha comunicato che tornerà alla normalità una volta che il peggio è passato. Né vi è stato alcuno sforzo per regolamentare di nuovo i settori responsabili del collasso. È come se non si fossero tratti insegnamenti dalla crisi. Albert Einstein una volta disse: “Se è possibile osservare una cosa o no, dipende dalla teoria che si utilizza” (Salam 1990, p.99). Questo sembra tanto più evidente nel caso della politica monetaria

 

Views: 5

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.