11273 33. Notizie dall’Italia e dal Mondo 16 agosto 2014

20140815 01:17:00 red-emi

ITALIA – Istat: Pil ancora giù. Siamo in recessione tecnica. Manovra obbligatoria a settembre
VATICANO – Il Papa incoraggia "gli sforzi per riconciliazione e stabilità nella penisola coreana", "unica strada" per una "pace duratura". E ricorda che la ricerca della pace da parte della Corea "influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco della guerra". Lo ha detto incontrando le autorità nel Palazzo presidenziale di Seul.
NU – "Ebola, malattia che nasce dalla miseria e dalla mancanza di strutture sanitarie".
TRIBUNALE RUSSELL – Migranti, un tribunale "Russell" che chiarisca le responsabilità dei governi
EUROPA – MOSCA / HACKER FANNO "DIMETTERE" MEDVEDEV E mettono in bocca al premier critiche contro Putin e il governo.
AFRICA & MEDIO ORIENTE – PALESTINA. "Palestinesi delusi dal ruolo di Onu ed Europa nel dramma di Gaza". Intervista ad Eleonora Forenza
ASIA & PACIFICO – AUSTRALIA / Tasso disoccupazione in Australia tocca livelli non visti da 12 anni
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Argentina / 100 ECONOMISTI SCRIVONO AL CONGRESSO USA: LA SENTENZA? RISCHIO INUTILE PER LA FINANZA MONDIALE
AMERICA SETTENTRIONALE – WASHINGTON / SNOWDEN, anche prigione per giusta causa . Ex talpa, mi interessa di più il mio paese.

ITALIA
ISTAT
PIL, ANCORA GIÙ. SIAMO IN RECESSIONE TECNICA. MANOVRA OBBLIGATORIA A SETTEMBRE
Nel secondo trimestre del 2014 il prodotto interno lordo e’ a -0,3%, quindi diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,3% nei confronti del secondo trimestre del 2013. L’Istat, attraverso la stima preliminare, certifica quindi il ristagno dell’economia italiana. La controprova viene dalla media della produzione industriale nel trimestre aprile-giugno, diminuita dello 0,4% rispetto al trimestre precedente. Il dato è peggiore di quanto veniva dichiarato in questi giorni. Sarà impossibile arrivare allo 0,8 previsto dal Governo. Autore: di fabrizio salvatori
"Stentiamo a uscire da una recessione che è davvero profonda" ha ammesso il ministro Carlo Padoan in una intervista. "I dati negativi che ci arrivano dall’Istat riguardano, soprattutto, gli investimenti mentre, invece, i dati su consumi e esportazioni sono moderatamente positivi”. Una sottigliezza che in realtà non cambia il nodo del problema. A Palazzo Chigi, il leit motiv è che non è lo ‘zero virgola’ a cambiare la sostanza delle cose e neanche la strategia complessiva del governo che, in attesa di incassare il primo via libera del Senato sulle riforme, si prepara a un autunno denso di provvedimenti economici: l’aggiornamento del Def, la legge di stabilità, ma anche lo Sblocca Italia, l’iter parlamentare della delega sul lavoro e i decreti attuativi della delega fiscale.
Il Pil nel 2014 può tornare a crescere ma la condizione era che "nel II trimestre si registrasse almeno +0,2% o + 0,3%", dice il direttore del centro studi di Confcommercio Mariano Bella. A pesare, tra l’altro, "il grave difetto meccanico" che si registra, visto che il Sud "un’area così importante del Paese, non cresce e continua ad andare indietro".
Tutti i più importanti centri di analisi economica hanno comune sottolineato che la crescita italiana sta tra lo 0,2% e lo 0,3%. In qualche caso, come Cer di Roma, è addirittura allo 0,1%. Mezzo punto in meno rispetto alle previsioni del Def vuol dire un aumento del deficit di ben tre miliard

ROMA
LA DEFLAZIONE SI MANGIA L’ITALIA / E COSÌ È ARRIVATA. LA DEFLAZIONE, LA BESTIA NERA DEL GOVERNATORE DELLA BCE, MARIO DRAGHI, VIVE TRA NOI. Autore: Antonio Sciotto
Nelle nostre città – le principali del nostro Paese, ha registrato ieri l’Istat – “mangiandosi” intere regioni che di solito trainano l’economia, come il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia. E giù fino alla Toscana, al Lazio, alla Puglia.
I prezzi hanno dunque un trend negativo (siamo al contrario dell’inflazione, quando il costo della vita, il valore di beni e i servizi aumenta). Un dato positivo, si potrebbe pensare se guardiamo al nostro portafoglio, impoverito da anni di tagli ai salari e al wel­fare, frutto di contratti che non si rinnovano, svuotato dalla precarietà, la cassa integrazione, la disoccupazione. Ma purtroppo non è così: perché la deflazione è segnale di consumi che non vanno, di un’economia che si è fermata, di un debito che cresce a dismisura rispetto al Pil: e quindi può essere, pur­troppo, l’anticamera di nuovi tagli decisi dalla politica (ita­liana e Ue).
Guardiamo i dati: l’inflazione a luglio si è attestata a un +0,1%, in calo rispetto a giugno (era +0,3%). È la cifra più bassa dall’agosto del 2009. Ma andando al dato congiunturale, vediamo una discesa: –0,1%. Che è frutto di cali, anche parecchio vistosi, in diverse città italiane. L’inflazione acquisita per il 2014 è stabile allo 0,3%.
La diminuzione congiunturale più alta è quella di Firenze (-0,7%); seguono Roma e Torino con –0,5%; poi Milano (-0,3%). E ancora Palermo, Catanzaro e Potenza (-0,2%). Per finire con Genova, Trieste e Bari (-0,1%). Pesanti, in queste città, anche i dati tendenziali (il calo calcolato su un anno).
Ma la deflazione abbraccia, come abbiamo anticipato, intere regioni e macro aree, quelle che di solito sono le più produttive e dinamiche del Paese: giù Piemonte (-0,2%) e Lombardia (-0,1%), con un Nord Ovest a bilancio negativo (-0,1%); giù Veneto (-0,3%) e Friuli Venezia Giulia (-0,2%), con il Nord Est a crescita piatta (0%).
La Toscana perde lo 0,2%, il Lazio lo 0,1%, e anche il Centro segna crescita zero dei prezzi. Crescono al contrario il Sud (+0,4%) e le Isole (+0,7%).
A far frenare la dinamica dell’inflazione, ci informa l’Istat, è stato principal­mente «l’ampliarsi della flessione su base annua dei prezzi degli energetici regolamentati». Basti pensare che il gas naturale è sceso del 5,4% su giugno e dell’11,2% in termini tendenziali (la flessione più forte dal marzo del 2010).
D’altra parte, proprio a luglio l’Autorità per l’Energia ha deciso le nuove tariffe, riducendo il prezzo del gas. Quanto all’indice armonizzato dei prezzi al consumo per i Paesi dell’Unione europea (Ipca, utilizzato ad esempio per i rinnovi contrattuali), diminuisce del 2,1% su base mensile, soprattutto a causa dei saldi estivi, mentre risulta azzerato su base annua (era +0,2% a giugno).
Tutti a comprare, quindi, visto che i prezzi si sono abbassati? Forse è un discorso che si può fare per i beni non durevoli – come ad esempio gli alimentari – ma pensiamo ad esempio a un’auto, ancor più se usata: chi sa che i prezzi tendenzialmente sono in fase di decrescita, rallenta i propri acquisti, aspettando una stagione migliore, quando sa insomma che il bene che acquista oggi non perderà valore domani.
Ma il rischio maggiore, a questo punto, è per i Paesi con alto debito, come l’Italia. A contare, come si sa, è il rapporto debito/Pil, dove il debito fa da numeratore e il Pil da denominatore. Se il secondo non cresce in termini reali, almeno in genere lo fa in termini nominali (calcolando cioè l’inflazione): ma in caso di crescita piatta sia dell’economia che dei prezzi (come praticamente siamo in Italia), il fattore debito cresce a dismisura, creando quindi un problema per i conti pubblici.
Non a caso la Bce di Draghi segnala come pericolo la deflazione, soprattutto per i Paesi ad alto debito, e indica come crescita ideale dei prezzi il 2%: traguardo che come vediamo si allontana. Ma per ora lo stesso Draghi non ha saputo intervenire efficacemente.

SARDEGNA
CONTINUA LA PROTERVIA DELLO STATO ITALIANO: IL GOVERNO BOCCIA L’EMENDAMENTO DEL M5S CONTRO POLIGONI MILITARI di : marco piccinelli
«All’articolo 120 della Costituzione, dopo il primo comma, è inserito il seguente: "L’impiego permanente di parti di territorio nazionale come poligoni militari per esercitazioni a fuoco è consentito previa intesa con la Regione o Provincia autonoma interessata, anche ai fini dell’adozione di adeguate misure compensative di carattere economico e sociale”».

E’, o sarebbe meglio, era il testo dell’emendamento 33.3 proposto da Roberto Cotti, senatore sardo del Movimento 5 Stelle.

Tale emendamento, con parere negativo di relatore e Governo, viene bocciato con 180 voti contrari. Amareggiato, il senatore commenta così su facebook: «L’ultimo disperato tentativo di bloccare l’invadenza dei poligoni militari nell’Isola senza preventiva intesa con le Regioni è stato bocciato dalla maggioranza di governo». 
«Per la serie: "continuate a farci del male”», l’amaro commento del senatore Cotti che fa il paio con quello di Michele Piras (Sel) mesi addietro, quando il Parlamento non aveva sbloccato i fondi (dopo mesi nda) destinati alle popolazioni alluvionate della Sardegna: «Ci si sente discriminati! Non è accattonaggio, ci si sente discriminati dalle decisioni del Governo e dal trattamento che lo Stato italiano riserva alla Sardegna».
LO STATO ITALIANO continua, dunque, a mettersi di traverso nelle questioni con l’Isola, aggravando una situazione che negli anni ha dato linfa ai moventi ‘pro s’indipendentzia’, che traggono, (legittimamente e giustamente) da queste volontarie manifestazioni di protervia continentale, linfa politica.
La lotta dei sardi contro i poligoni militari continua e sembra senza fine e proprio un pugno di giorni fa il sito on line di ‘Repubblica’ rendeva disponibili delle foto scattate da Francesco Nonnoi che testimoniavano l’atroce verità di resti di bombe, bossoli, tra ‘gli ombrelloni dei bagnanti’.
«Nella spiaggia di Cala Zafferano, nel Sulcis, turisti e villeggianti sono costretti a prendere il sole e a nuotare tra residui bellici, missili esplosi e numerosi proiettili. La spiaggia – confinante con la base Nato interforze di Teulada – è diventata con il tempo una discarica non controllata e i resti delle esercitazioni militari che si svolgono d’inverno sono sotto gli occhi di tutti».
Si fa dunque più serrata e più cruciale la lotta dell’Isola contro l’occupazione militare e, con essa, l’appuntamento della manifestazione del 13 settembre assume contorni ancora più rilevanti: «blocco immediato di tutte le esercitazioni militari e chiusura di tutte le servitù, basi e poligoni militari con la bonifica, riconversione delle aree interessate», queste le richieste degli indipendentisti che manifesteranno a Capo Frasc.
LO STATO INNOVATORE CONTRO IL VIRUS
EBOLA, CHI C’È DAVVERO DIETRO IL “SIERO MIRACOLOSO” PER CURARE L’EPIDEMIA di Luca Aterini
Oggi la Liberia, che aveva chiuso le proprie frontiere per difendersi dall’epidemia di ebola che sta devastando l’Africa occidentale, ha dichiarato lo stato d’emergenza, immediatamente seguita dalla Nigeria. Più velocemente del virus si sta allargando però nel resto del mondo un altro pericolo, quello della psicosi. Contro questa terribile malattia, colta spesso nei macabri connotati di una punizione divina, sembra naturale che come baluardo di difesa – quantomeno psicologica – appaia così efficace la retorica di un “siero miracoloso” capace di curare.
I medici occidentali ripetono ancora oggi che la diffusione dell’epidemia nei paesi industrializzati (Italia compresa) resta assai improbabile, ma l’attenzione è tutta rivolta all’epidemia e al siero sperimentale per contrastarla, definito appunto “miracoloso”. Kent Brantly e Nancy Writebol, i volontari statunitensi colpiti in Africa dall’ebola, presentano ad oggi condizioni di salute insperatamente positive (seppur ancora critiche) proprio grazie all’iniezione del farmaco sperimentale, noto come ZMapp.
Interrogato a proposito delle possibilità di questo farmaco, oggi il presidente Obama ha affermato che è prematuro pensare di inviare il vaccino sperimentale in Africa: «Bisogna aspettare che la scienza ci guidi – ha dichiarato – Penso che non abbiamo tutte le informazioni necessarie per determinare se questa medicina sia efficace».
Le speranze per fermare l’epidemia, nonostante tutto, continuano a guardare verso ZMapp. Prima ancora che al futuro, è dunque estremamente interessante guardare al passato di questo farmaco. Secondo il Corriere della Sera si tratta di un “miracolo” «frutto del lavoro di una piccola azienda biotech californiana, la Mapp, che si è appoggiata a una fabbrichetta del Kentucky, la BioProcessing, per confezionare il siero». Questo basta al Corsera per decretare che «dove non arrivano le multinazionali del farmaco (ebola è una malattia troppo rara per i loro livelli di fatturato) né la ricerca del governo federale Usa, la risposta viene – forse questo è il vero miracolo – da una piccola impresa».
Andando però a spulciare nella storia della «fabbrichetta» si scopre che in realtà lo sviluppo del farmaco oggi noto come ZMapp deve moltissimo proprio agli investimenti pubblici del governo Usa. Ancora una volta, come ha magistralmente spiegato l’economista Mariana Mazzucato nel suo Lo Stato innovatore (il premier Renzi l’ha appena comprato: speriamo anche lo legga) l’immaginario del geniale imprenditore che nel chiuso del suo garage rivoluziona il mondo sganciandosi dal peso schiacciante dello Stato – e dello sforzo collettivo che questo rappresenta – si rivela per quello che è: pura retorica.
Alle spalle di ZMapp c’è infatti MB-003, un “cocktail” di anticorpi monoclonali sviluppato grazie all’attività di ricerca e sviluppo della US Army Medical Research Institute of Infectious Diseases (Usarmiid) che – come spiegano i documenti della BioProcessing – è una diretta emanazione dello Stato la cui missione è quella di indagare e bloccare le minacce per la salute pubblica.
MB-003 non è frutto di un singolo imprenditore visionario, ma «è stato sviluppato attraverso una collaborazione decennale tra industria privata e il governo degli Stati Uniti, con il finanziamento della Defense Advanced Research Projects Agency (Darpa), del National Institutes of Health (Nih), e del Threat Defense Reduction Agency (Dtra)».
Ma il ruolo di propulsione innovatrice dello Stato non si ferma qui. Dopo aver contribuito in modo determinante alla nascita di MB-003, dalle carte di Mapp Biopharmaceutical si scopre che anche lo stesso farmaco sperimentale ZMapp deve la sua nascita alla collaborazione del governo statunitense e della Public Health Agency of Canada (Phac). Non c’è dunque niente di “miracoloso” dietro lo sviluppo del farmaco contro l’ebola, se non la volontà innovatrice dello Stato, che ha guidato le imprese private passo dopo passo. Il contrario di quanto sta succedendo in Italia, dove il team del virologo Giorgio Palù, dell’università (pubblica) di Padova, sta mettendo a punto un possibile farmaco alternativo contro l’ebola, ma è costretto a testarlo a Stoccolma, perché nelle patrie terre non c’è un laboratorio adatto allo scopo.
Sarà invece un miracolo se i proventi derivanti dalla vendita del farmaco ZMapp torneranno almeno in parte nelle tasche dei cittadini che, con le loro tasse, hanno finanziato la creazione di ZMapp e se – soprattutto – l’epidemia dell’ebola riuscirà a far comprendere l’importanza di uno Stato che si fa guida attiva e intelligente dello sviluppo: nel mondo della green economy ne sanno qualcosa.

PUTIGLIANO
LA SALMA DI SIMONE CAMILLI È RIENTRATA IN ITALIA
Napolitano: La sua morte sia "monito alle parti in conflitto e a tutti noi affinché ci si impegni per un’immediata e definitiva cessazione delle ostilità". Venerdì i funerali a Pitigliano
La salma di Simone Camilli, il videoreporter rimasto ucciso ieri in una esplosione a nord di gaza, è rientrata in Italia.
Appena atterrato l’Airbus della Presidenza del Consiglio, che ha riportato in Italia la salma di Simone Camilli, si è fermato a poche decine di metri dalla palazzina del 31/o Stormo dell’Aeronautica militare, dove si trovavano la moglie del videoreporter, Ilfa, Chiara, una delle due sorelle, e alcuni parenti stretti di Simone, con colleghi e amici.
I funerali di Simone dovrebbero svolgersi domani, venerdì 15 agosto, alle 18, nella cattedrale di Pitigliano. La comunicazione l’ha data il parroco don Luca Caprini. A celebrare il rito funebre, come confermato dalla diocesi, sarà il vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello, monsignor Guglielmo Borghetti, "salvo altre impreviste disposizioni delle autorità competenti", si legge in una nota. La salma di Camilli, secondo quanto appreso, dovrebbe rientrare in Italia in nottata. Nella stessa cattedrale di Pitigliano, dove il padre del reporter Pier Luigi Camilli è sindaco, alle 21.30 di oggi il vescovo ha convocato la comunità locale e diocesana per un momento di preghiera in suffragio di Simone e di sostegno per i suoi familiari.
Napolitano: morte di Simone sia monito per parti in conflitto – "La morte di Simone – come quella delle altre vittime dell’esplosione e dei numerosi civili di ogni età e nazionalità quotidianamente coinvolti dalla violenza bellica in Medio Oriente – deve costituire un ulteriore monito alle parti in conflitto e a tutti noi affinché ci si impegni per un’immediata e definitiva cessazione delle ostilità". Lo afferma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che esprime la sua "vicinanza e partecipazione al dolore" per la morte di Simone Camilli.

VATICANO
COREA
Il Papa incoraggia "gli sforzi per riconciliazione e stabilità nella penisola coreana", "unica strada" per una "pace duratura". E ricorda che la ricerca della pace da parte della Corea "influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco della guerra". Lo ha detto incontrando le autorità nel Palazzo presidenziale di Seul.
"La diplomazia" ha oggi di fronte una sfida: operare per la giustizia, "senza dimenticare le ingiustizie del passato", ma superandole con "perdono, tolleranza e cooperazione". E raggiungere "obiettivi reciprocamente vantaggiosi, costruendo le fondamenta del reciproco rispetto, della comprensione e della riconciliazione". Lo ha detto il Papa nel suo discorso alle autorità, nel Palazzo presidenziale di Seul.
Nel primo discorso ufficiale del suo viaggio nella Repubblica di Corea papa Francesco ha affrontato il problema della divisione della Penisola e del popolo coreano in due Stati, al Nord e al Sud, che risale al 1953 e l’ha messa in rapporto con la pace dell’intera Asia e di tutto il mondo. L’incontro con le autorità – circa 200 persone tra cui, tra gli altri, membri dell’esecutivo, delle istituzioni della Repubblica, una rappresentanza del Corpo diplomatico – si è svolto nel Salone dei ricevimenti del Palazzo presidenziale. Questo, chiamato "Blue house", prende il nome dal colore tradizionale delle 150 mila tegole che ricoprono l’edificio centrale e le due dipendenze laterali. La "eredità nazionale" della gente di Corea, ha dunque osservato papa Bergoglio, è stata "messa alla prova nel corso degli anni da violenza, persecuzioni e guerra" ma i coreani "non hanno perso speranza" di giustizia pace e unità, e queste sono mete a beneficio non solo del popolo coreano, ma dell’intera regione e del mondo intero. Papa Bergoglio ha quindi chiesto impegno per "trasmettere ai giovani una eredità di pace" e ha osservato che "questo appello ha un significato del tutto speciale qui in Corea, una terra che ha sofferto lungamente a causa della mancanza di pace. "Esprimo – ha proseguito il Pontefice – il mio apprezzamento per gli sforzi in favore della riconciliazione e della stabilità nella penisola coreana e incoraggio tali sforzi, che sono l’unica strada sicura per una pace duratura. La ricerca della pace da parte della Corea – ha rimarcato – è una causa che ci sta particolarmente a cuore perché influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco di guerra".
NU
"Ebola, malattia che nasce dalla miseria e dalla mancanza di strutture sanitarie". Intervista al dottor Aldo Morrone di Autore: fabio sebastiani
DOMANI A GINEVRA IL COMITATO DI EMERGENZA ISTITUITO DALL’OMS PER AFFRONTARE L’EPIDEMIA DI EBOLA DECIDERÀ SE INSERIRE LA MALATTIA NELLA LISTA DELLE ‘EMERGENZA DI SALUTE PUBBLICA DI LIVELLO INTERNAZIONALE’.
Lo status finora e’ stato adottato solo per la pandemia del 2009 dell’influenza A, la cosiddetta ‘suina’, e poche settimane fa per la polio. Per il Centro Europeo di Controllo delle Malattie, che ieri ha appena pubblicato il suo ‘risk assessment’ sul virus, il rischio che Ebola arrivi in Europa e’ ‘molto basso’. ”Anche per chi viaggia o risiede nei paesi colpiti e’ molto basso – scrivono gli esperti europei – a patto che seguano alcune precauzioni elementari”.- Intanto, la “via leghista” alla sanità pubblica non smentisce le sue allucinazioni. Il capogruppo leghista al Comune di Bologna e consigliere regionale Manes Bernardini, ha chiesto addirittura la quarantena per i migranti. Controlacrisi ha intervistato Aldo Morrone, uno dei massimi esperti di malattie infettive, soprattutto legate ai movimenti migratori. Primario di Medicina delle Migrazioni dell’IFO San Gallicano di Roma, Morrone è stato l’ideatore, negli anni ’80, del primo poliambulatorio italiano dedicato tanto a migranti quanto a italiani senza fissa dimora, a Roma, nell’antica sede dell’ospedale, a Trastevere.
LA MORTALITÀ PROVOCATA DAL VIRUS EBOLA È TORNATA A LIVELLI PREOCCUPANTI, MA QUESTO È STATO TRADOTTO IN OCCIDENTE COME IL “PERICOLO ALLE PORTE”. CHA STA ACCADENDO IN REALTÀ?
Effettivamente c’è un’alta mortalità come si sapeva già. Possiamo però dire che si tratta di fasi cicliche. Dopo impennate di alta mortalità il virus si stabilizza. Questo accade per tutte le malattie virali. Il problema è che per la prima volta ci sono stati tre paesi coinvolti. Questo succede per la totale mancanza di strutture sanitarie minime, come è la realtà di Sierra Leone, Guinea Liberia.
INSOMMA, UNA MALATTIA PROVOCATA DALLA MISERIA…
Sierra Leone è il paese con la più bassa aspettava di vita media, intorno ai 48 anni. Ha un’alta mortalità infantile, e uno degli indici sul più basso peso alla nascita. Tutte malattie con le quali non c’è nessun tipo di contrasto e che nascono da una precisa situazione di privazione. Non c’è nessun pericolo in Italia per la diffusione del virus Ebola. Non c’è allo stato attuale nessun rischio che qualche individuo contagiato dal virus Ebola, possa raggiungere l’Italia senza che le autorità sanitarie ne vengano a conoscenza. Non c’è nessun possibile innesco di un focolaio epidemico
QUINDI, PER ARGINARE IL COSIDDETTO PERICOLO FORSE SAREBBE IL CASO DI INTERVIRE LÌ…
Anche le immagini che abbiamo po tutto osservare, con ambiti ospedalieri dove non c’è nessun tipo di igiene e non vengono utilizzati guanti, con malati abbandonati ci parlano di una situazione dove mancano le misure minime. Questo è un virus che non si diffonde per via aerea o per un colpo di tosse ma solo nel contatto diretto con il sangue. E’ evidente che questo accade per gli operatiori sanitari, e per i famigliari, che lavorano in condizioni tremende. Ci vuole un intervento con una serie di risorse tali che in queste aree del mondo si possa mettere in piedi un servizio sanitario pubblico. Sono le fasce più povere della popolazione che vivono in queste condizioni. Si tratta di una decisone da prendere a livello internazionale. Non abbiamo soltanto il virus dell’Ebola. Ci sono anche le cosiddette malattie tropicali dimenticate che riguardano un miliardo e mezzo di persone. Non c’è nessun investimento di natura farmacologica perché si ritene che colpiscano aree povere
MOLTI HANNO SOLLEVATO POLEMICHE SUI RISCHI DELL’EBOLA A PROPOSITO DEGLI ARRIVI “CLANDESTINI” DEI MIGRANTI IN ITALIA.
Va detto che gli arrivi in Italia non sono da quelle zone. Poi, va anche sottolineato che sulle navi di “Mare nostrum” ci sono medici preparati e operatori che seguono precisi corsi di formazione. Gli immigrati che arrivano sono in condizioni sostanzialmente sane. L’origine del fenomeno migratorio, vorrei dire, risale a trenta anni fa. Partono i più sani e i più forti. Il fenomeno della diffusione delle malattie virali, infine, non è semplicemente un fenomeno legato alla migrazione ma alla mobilità di merci, animali e persone, e alla loro velocità di spostamento.
TRIBUMALE RUSSELL
MIGRANTI, UN TRIBUNALE "RUSSELL" CHE CHIARISCA LE RESPONSABILITÀ DEI GOVERNI.
Il Comitato “Giustizia per i nuovi desaparecidos” è composto da centinaia di aderenti, molti dei quali avvocati che da anni hanno maturato una esperienza significativa nell’assistenza ai migranti. Qui di seguito il documento che propone l’istituzione di una sorta di "Tribunale Russell" sul grande tema dei migranti che chiarisca le responsabilità dei governi, che nel decidere "le regole del gioco" e le politiche di intervento agiscono sempre senza un reale riferimento normativo, etico e morale.
È una tragica routine che si ripete ormai da anni. Immagini di barconi pieni di persone stipate in condizioni disumane, naufragi, morte e disperazione. Per chi riesce ad arrivare sulle coste italiane c’è solo la detenzione in campi di ogni sorta, la difficoltà nell’accedere al diritto all’asilo e lo stato di abbandono in cui di fatto si ritrovano quei profughi che hanno ottenuto una qualche forma di protezione internazionale. È una triste sequela di fronte alla quale si rischia l’assuefazione, il facile ricorso a capri espiatori, o a scorciatoie securitarie. Dietro quelle notizie, quei nomi, quei numeri ci sono bambini, donne, uomini con la loro dignità e i loro diritti umani inalienabili. Dignità e diritti che sono loro sottratti quando diventano oggetto di diatriba politica, carne da macello per campagne elettorali, immagini sbiadite di un video che li ritrae abbracciati in fondo al mare. Dinanzi al dolore degli altri dobbiamo prendere posizione. I morti di oggi sono un anello della lunghissima catena segnata ai suoi inizi, per quanto ci riguarda direttamente, dallo speronamento di un barcone pieno di albanesi da parte di una nave della nostra Marina Militare nel 1997.
Sono, queste morti, gli effetti collaterali di un contesto mondiale in cui l’accaparramento delle risorse della terra da parte di una esigua minoranza della popolazione mondiale produce nel resto del pianeta miseria, disastri ecologici, guerre, proliferazione nucleare e degli armamenti.
La migrazione dei tanti che da mille rotte arrivano alle sponde del Mediterraneo ne è conseguenza diretta.
Ma quei tanti sono una parte, soltanto, dei tantissimi costretti a lasciare i loro paesi e però ostacolati da politiche europee e dalla proliferazione di accordi con governi non sempre democratici della sponda sud. Altri ancora verranno decimati dai respingimenti o semplicemente lasciati in mare a morire di fame e di sete, perché questo è quanto ciclicamente avviene: impossibile credere che non vengano segnalati da satelliti, navi, elicotteri e aerei che continuamente solcano, sorvolano e controllano il Mediterraneo e il deserto del Sahara, anche nell’ambito d’azione di Frontex. La stessa operazione Mare Nostrum, pur garantendo il soccorso a migliaia di persone, denuncia limiti evidenti: spesso comincia proprio da qui il percorso che condanna rifugiati e migranti alla invisibilità e alla sparizione.
Sono ormai decine e decine di migliaia le vittime di questa spirale perversa di violenza di fronte alla quale non basta più l’indignazione, né gli strumenti messi a disposizione dal diritto hanno finora permesso di rendere verità e giustizia alle loro famiglie, identificando e sanzionando le responsabilità dei singoli, dei governi e delle istituzioni. È l’esistenza di una visione politica propria degli Stati, dell’Europa e della NATO, che condanna alla sparizione i tanti che attraversano il deserto e il Mediterraneo. È difficile ormai nasconderselo: questa frontiera è una grande muraglia che contiene ma allo stesso tempo filtra la mobilità umana, violando così i diritti fondamentali e producendo gerarchie e sfruttamento. Insomma il Mediterraneo è il buco nero di un’Europa che non sa o non vuole essere solidale, presa dall’ossessione del controllo delle sue frontiere e attraversata da rigurgiti nazionalisti, xenofobi e razzisti.
Ossessione securitaria e razzismo sono due facce della stessa medaglia e vanno sconfitte attraverso gli strumenti del diritto e della politica. Noi, attivisti, rappresentanti di associazioni di migranti, famiglie dei nuovi desaparecidos, giuristi ed esponenti della società civile riteniamo intollerabile tutto ciò. Per questo ci rivolgiamo ai governi, all’Unione Europea, agli organismi internazionali, ai movimenti, alle organizzazioni non-governative e a tutti coloro che hanno a cuore la dignità e i diritti delle persone. Lo facciamo all’apertura del semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea perché crediamo che il rispetto e la tutela dei diritti umani, che dovrebbero essere il fondamento del progetto europeo, debbano essere costantemente riaffermati e difesi.
Le responsabilità vanno chiarite. A tal fine proponiamo la convocazione di un tribunale internazionale di opinione, sulla scia del Tribunale Russell e del Tribunale Permanente dei Popoli, che offra alle famiglie dei migranti scomparsi un’opportunità di testimonianza e rappresentanza; contribuisca ad accertare le responsabilità e le omissioni di individui, governi e organismi internazionali; e fornisca uno strumento per l’avvio delle azioni avanti agli organi giurisdizionali nazionali, comunitari, europei e internazionali. Vogliamo ricostruire la verità, sanzionare i responsabili e rendere giustizia a vittime e famigliari.
Rivendichiamo il diritto ad essere informati sul contenuto degli accordi stipulati dagli Stati europei in materia di controllo delle frontiere dei paesi attraversati dalle persone dirette verso l’Unione europea; sulle forme di cooperazione militare e di polizia instaurate tra gli Stati europei e i paesi di origine e transito dei migranti; sulle regole di ingaggio delle forze impiegate nell’attività di “contrasto all’immigrazione clandestina”; sui comportamenti effettivamente tenuti da queste forze in occasione delle tragedie avvenute lungo i percorsi dei migranti; sui campi di contenimento e detenzione dislocati nei paesi di passaggio.
Dobbiamo interrompere il ciclo di disinformazione che si fa indifferenza e impotenza. Occorre mettere insieme una molteplicità di attori ascoltando, in primo luogo, la voce dei diretti interessati, gli esuli e i migranti, le vittime e i testimoni.
Chiediamo che l’Unione Europea adotti tutti gli strumenti necessari per arrestare questo massacro, prevedendo una politica comune di asilo e accoglienza, l’apertura di canali umanitari, laddove sussistano situazioni di conflitto o gravi violazioni del diritto, essenziali per sottrarre le migliaia di migranti all’arbitrio e allo sfruttamento da parte di trafficanti di esseri umani.
Chiediamo all’Unione Europea, al Parlamento Europeo e agli Stati Membri l’istituzione di commissioni d’inchiesta sui nuovi “desaparecidos”, la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie e l’abolizione della cosiddetta direttiva rimpatri del 2008, detta “della vergogna” per il suo contenuto fortemente repressivo.
Chiediamo che le istituzioni si impegnino a garantire con tutti gli strumenti disponibili il riconoscimento dell’identità delle vittime e offrano ai loro famigliari un luogo di raccoglimento e cordoglio che restituisca dignità alle persone scomparse.
Il Comitato “Giustizia per i nuovi desaparecidos”

EUROPA
RUSSIA
MOSCA
HACKER FANNO "DIMETTERE" MEDVEDEV E mettono in bocca al premier critiche contro Putin e il governo.
Degli hacker hanno attaccato l’account Twitter di Dmitri Medvedev attribuendo al premier russo improbabili critiche al suo stesso governo e allo ‘zar’ del Cremlino Vladimir Putin. "Mi dimetto. Provo vergogna per l’operato del governo. Scusatemi", è il primo annuncio ‘shock’, a cui segue la ‘confessione’ del desiderio di diventare un "fotografo freelance". Ma il falso Medvedev non si ferma qui: "I cittadini – scrive – non devono soffrire perché le autorità del Paese non hanno buon senso"

EU
ROJAVA
APPELLO DELLE DONNE CURDE ALL’UMANITÀ CHE RESISTE
Il TJKE- Movimento Europeo delle Donne Curde, lancia oggi un durissimo messaggio all’opinione pubblica internazionale rispetto alla guerra portata avanti dall’Is sul confine iracheno. "L’organizzazione terroristica IS (Stato Islamico), che sta compiendo massacri e genocidi nei confronti dei popoli, comunità religiose e società del Medio Oriente – si legge nel comunicato – che non porta altro che morte e brutalità e viene sfruttata dal sistema capitalistico come organizzazione di provocatori, in questo momento sta commettendo crimini di guerra in spregio degli umani per distruggere i valori di umanità in Kurdistan e nel Medio Oriente.
Al momento le bande aggressive e fasciste di IS proseguono con i loro attacchi con grandissima brutalità ed inimicizia nei confronti del Kurdistan a Kobanê, Mossul e Şengal (Sinjar). Persone vengono decapitate, messe in futa, donne violentate e bambini lasciati alla morte per fame e per sete.
Case e proprietà vengono distrutte e saccheggiate. Città sacre vengono date alle fiamme, saccheggiate, distrutte e sporcate. Persone anziane, sagge, vengono assassinate. Tutti coloro che sostengono la storia dei popoli e i valori dell’umanità sono bersaglio dei banditi di IS. La barbarie di IS prosegue i suoi orrendi attacchi come nemico dei popoli e delle comunità religiose.
Le bande di IS infibulano bambine, strumentalizzano donne come concubine come strumenti sessuali, vietano negozi di parrucchiere e violentano e riducono in schiavitù donne per “fidanzamenti religiosi” della durata di una o due ore. Come ha detto la parlamentare yezida Viyan Daxil, donne vengono vendute al mercato, violentate e considerate come bottino.
Le bande che da due anni compiono brutali attacchi nel Rojava (Kurdistan occidentale), il 3 agosto 2014 hanno iniziato ad attaccare Sengal e i suoi dintorni che si trovano nel Kurdistan meridionale, una delle regioni più preziose per il popolo curdo. Compiono massacri nei confronti del popolo yezida che appartiene ad una delle più antiche religioni tra il popolo curdo.
Come risultato di questi attacchi più di 10.000 curdi yezidi sono dovuti fuggire sul monte Sengal. Più di 30.000 donne, bambini e anziani sono stati costretti a lasciare le proprie case. Anche se tuttora non ci sono indicazioni precise sui numeri, si parla di migliaia di donne rapite da IS per essere vendute sul mercato degli schiavi o violentate.
Le persone che sono dovute fuggire in montagna per via della fame e della sete guardano la morte negli occhi. Più di 50 bambini sono già morti per mancanza di acqua e di cibo e il numero cresce ogni giorno. Secondo quanto affermano delegazioni che hanno visitato Sengal, centinaia di donne si sono suicidate per non cadere nelle mani di IS.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
PALESTINA
"PALESTINESI DELUSI DAL RUOLO DI ONU ED EUROPA NEL DRAMMA DI GAZA". INTERVISTA AD ELEONORA FORENZA
Eleonora Forenza, parlamentare europea della lista Tsipras, si è recata nei giorni scorsi in Israele e Cisgiordania nell’ambito di una missione di parlamentari intergruppo italiani: Mattiello, Bordo, Nicchi, Fossati, Piras, Paris, Gribaudo, Tidei. di: fabio sebastiani
CHE IMPRESSIONE AVETE RICAVATO DALLA VOSTRA VISTA? AVETE POTUTO VISITARE GAZA IN QUALCHE MODO?
Ci siamo potuti muovere solo in Cisgiordania. Per Gaza ci hanno detto di no. Anche perché fino a qualche giorno fa, prima della tregua, la situazione era molto molto complicata. La prima cosa che abbiamo fatto è stata la visita all’opsedale di Gerusalemme est, che accoglie parte dei feriti di Gaza, che è già una azione di per se molto complicata. Lo scenario è stato terrificante. Molti i bambini in condizioni gravissime.
I PALESTINESI IN CISGIORDANIA CHE IDEA SI SONO FATTI DI QUESTA AGGRESSIONE A GAZA?
I cooperanti che abbiamo incontrato parlano di persone che non pensano nemmeno più a fuggire. Una rassegnazione alla convivenza con la morte che è pazzesca. Anche i più critici nei confronti di Hamas parlano di guerra contro i palestinesi. Gli esponenti Anp ci hanno detto innanzitutto che è una guerra contro il popolo palestinese e che, secondo elemento, ci sono metri di valutazione nettamente differenti nelle reazioni internazionali. I 1800 morti per la gran parte civili non valgono il sequestro di un soldato israeliano, peraltro in territorio di guerra, checché ne dicano Renzi e Obama.
QUESTA GUERRA NON PARLA DELLA REALE CONDIZIONE QUOTIDIANA DEI PALESTINESI.
Loro chiedono alcune cose basilari, ovvero la possibilità di uscire da Gaza, la continuità territoriale tra Gaza e Cisgiordania, e la fine dell’occupazione. Esponenti della società civile israeliana ci hanno raccontato cosa è la quotidianità come per esempio a scuola passi l’idea dei palestinesi terroristi e come nei libri la Palestina non venga citata, nemmeno come sommaria indicazione geografica. Mettere anche soltanto in dubbio questi elementi equivale al tradimento. L’apartheid a Hebron è impressionante. E’ lampante che se Israele vuole veramente aprire un percorso di pace deve mettere sul tavolo la questione delle colonie. Ogni luogo in Cisgiordania è circondato da colonie che si espandono. Come è possibile pensare che per i palestinesi sia possibile una convivenza?
Il ruolo dell’Onu non ha subito una accelerazione nemmeno di fronte al sospetto di crimini di guerra…
La cosa che lascia più delusi i palestinesi è esattamente la questione delle Nazioni Unite: di fronte ai crimini di guerra di Israele non c’è mai una condanna netta da parte della comunità internazionale.
… l’Unione europea ha perso un’altra occasione…
Sulla questione dell’Unione europea ci aspettavamo un ruolo di mediazione diverso. Resta il silenzio dell’Europa e l’omologazione alla posizione degli Stati Uniti.
COME DELEGAZIONE ITALIANA COME INTENDETE ANDARE AVANTI?
Abbiamo sottoscritto una lettera a Shultz in cui chiediamo che ci sia una presa di posizione europea, anche tenendo conto degli accordi commerciali tra Europa e Israele. La seconda questione è che proprio nel momento in cui si litiga su chi deve essere il rappresentante della politica estera nel governo dell’Europa c’è il vuoto più assoluto. Tutti sul fronte palestinese ci hanno spiegato che la parola pace e tregua sono vuote senza la fine dell’assedio. L’Unione europea deve agire un ruolo politico su quel conflitto anche rispetto all’asimmetria totale.
E LA GUE?
E’ possibile una missione Gue in Palestina e in ogni caso la delegazione del Parlamento europeo presieduta da una parlamentare della Gue prenderà alcune iniziative
GAZA
I NUMERI DELLA GUERRA 1.910 MORTI, DI CUI 415 BAMBINI
In 29 giorni di guerra tra israeliani e palestinesi, a partire dall’8 luglio scorso, i morti sono stati complessivamente 1910, di cui 1843 palestinesi, 64 soldati israeliani, due civili israeliani e un thailandese. Il bilancio e’ redatto dall’agenzia umanitaria dell’Onu Ocha. I feriti palestinesi sono 9.560. Tra i morti palestinesi l’Ocha conta 1354 civili (pari al 73%), di cui 415 bambini e 214 donne. I palestinesi morti, che facevano parte di gruppi armati, sarebbero 216.

IRAQ
ITALIA PRONTA AL COINVOLGIMENTO A FIANCO DEGLI STATI UNITI
"Stiamo chiaramente valutando una serie di altre iniziative in questi giorni che non riguarderanno probabilmente soltanto il ministero degli Esteri ma potranno riguardare anche quello della Difesa", il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha risposto cosi’ su Rainews24 a una domanda su un possibile coinvolgimento militare italiano in Iraq.
L’aiuto della Francia all’Iraq, invece, "e’ attualmente umanitario. Al momento un intervento di tipo militare non e’ previsto", ha detto il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, in una conferenza stampa a Erbil, accanto a Massud Barzani, presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno. La lotta delle forze irachene e curde contro "il califfato dell’odio" dell’Isis "non e’ solo per loro stesse, ma e’ una lotta per le liberta’ che ci riguardano tutti", ha sottolineato il capo della diplomazia francese.

NIGERIA, LIBERIA e BURKINA FASO.
Ebola: stato di emergenza in Nigeria e Liberia. Il Burkina Faso vieta la caccia ai pipistrelli
L’epidemia di Ebola sembra ormai essere arrivata anche in Nigeria che, come la Liberia, ha dichiarato lo stato di emergenza. La presidente liberiana, Ellen Johnson Sirleaf, ha annunciato che lo stato di emergenza, entrato in vigore ieri, durerà 90 giorni e che «Il governo e il popolo della Liberia chiedono delle misure straordinarie per aiutare il nostro Stato e per la protezione della vita del nostro popolo», Secondo il ministro della Sanità nigeriano, Onyebuchi Chukzu, «attualmente tutto il mondo è a rischio. L’esperienza della Nigeria ha aperto gli occhi al mondo sulla realtà di Ebola».
Anche un Paese non ancora colpito dall’epidemia di Ebola, il Burkina Faso, sta prendendo misure preventive: il ministero ro dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile ha sospeso su tutto il territorio nazionale la caccia speciale alle “roussette”, i pipistrelli, che è aperta dal primo luglio al 31, proprio per contrastare una possibile diffusione di Ebola.
I pipistrelli, insieme ai ratti ed ad altre specie selvatiche, cacciate legalmente o di frodo, sono infatti il principale vettore della malattia tra gli esseri umani. In particolare i pipistrelli sono fortemente contagiosi. Le equipe mediche che lottano per frenare Ebola in Africa occidentale stanno sconsigliando a tutti di mangiare carne di animali selvatici, ma alcune comunità rurali, che dipendono dalla carne per le proteine sono determinati a continuare le loro pratiche tradizionali di caccia. Mentre la carne di animali selvatici come volpi volanti, roditori e antilopi di foresta è in gran parte scomparsa dalle dalle bancarelle dei mercati nelle principali città dell’epicentro di Ebola, come Guéckédou nellla Guinea meridionale, o nella capitale Conakry dove sono in corso campagne informative per evitare la contaminazione, la carne di pipistrello o di altri animali selvatici viene ancora mangiata nei villaggi più remoti. Dove la zootecnia è poco diffusa e la selvaggina è ancora abbondante.

Juan Lubroth, veterinario capo della Fao, ha detto all’agenzia informativa umanitaria dell’Onu, Irin, che «La scarsa conoscenza e la superstizione, soprattutto nelle comunità rurali, così come il movimento transfrontaliero, una carenza di infrastrutture di sanità pubblica ed altre cause epidemiologiche hanno contribuito alla diffusione di Ebola. La preoccupazione immediata è quella di fermare la trasmissione da uomo a uomo. Scoraggiare il consumo di carne selvatica e l’introduzione di bestiame come alternativa alla caccia fa parte delle soluzioni a lungo termine contro i rischi di contrarre Ebola dalla selvaggina. Riconosciamo l’importanza che la selvaggina ha alla nutrizione di qualità che non si può ottenere solo da diete a base di vegetali. Noi non diciamo che si dovrebbe smettere di mangiare carne selvatica… ma possiamo sostituire la necessità di andare nella foresta a caccia di selvaggina con l’avere una fonte di bestiame e mezzi di sussistenza, cosa è più sicuro? Possiamo avere un più di un programma di sviluppo dove è possibile, si può produrre pollame, ovini, caprini, suini … e gestire questo in modo che non ci sia alcuna invasione indebita nella foresta per la caccia?>.
Ma promuovere pratiche igieniche per evitare di contrarre Ebola si sta già dimostrando un grosso sforzo che implica un notevole cambiamento nei comportamenti, far accettare alle popolazioni rurali e forestali una nuova dieta è ancora più complicato, come fa notare Lubroth, «Diventa molto difficile far capire e ad un individuo di una minaccia che non può essere vista, in questo caso particolare un virus… Uno degli aspetti più importanti è quello di costruire la fiducia con le comunità o villaggi. La sociologia, l’antropologia, la comunicazione sono altrettanto importanti della veterinaria e delle scienze mediche o dello studio della fauna selvatica. I fatti epidemiologici devono essere tradotti in modo semplice perché li capisca la gente comune, usando per esempio allegorie locali». Eppure gli informatori sanitari come Mariame Bayo in Guinea, sono stati minacciati di morte nei villaggi dove gli abitanti si oppongono fortemente agli operatori umanitari. «A Nongoha – racconta la Bayto – ci hanno detto che se non ce ne andavamo ci avrebbero fatto a pezzi ed avrebbero buttato la nostra carne nell’acqua».
Secondo il ministro della salute della Guinea, il colonnello Rémy Lamah, la questione è anche politica: «C’è gente che arriva a dire che il governo e il presidente hanno inventato Ebola e il loro scopo è quello di evitare che si tengano le elezioni». Le elezioni presidenziali dovrebbero tenersi nel 2015.
Lubroth non chiede di vietare la caccia ma direttive chiare, «Come non toccare animali morti o vendere o mangiare animali trovati morti. Si dovrebbe anche evitare di cacciare animali malati o che hanno comportamenti strani, perché quello è un segnale di allarme».
I pipistrelli frugivori, che vengono solitamente consumati secchi o in una zuppa speziata, sono particolarmente pericolosi perché possono veicolare Ebola senza sviluppare segni clinici della malattia. Se è vero che Ebola viene eliminato dalle alte temperature della cottura della carne, è però la manipolazione della selvaggina ad infettare cacciatori ed acquirenti.
Diversi governi dell’Africa occidentale hanno vietato il consumo e la vendita di selvaggina, ma nessuno riesce a far rispettare il divieto perché le comunità rurali si sentono penalizzate.
Katinka de Balogh, uno specialista di salute pubblica veterinaria della Fao, dice che «Regna un clima di sfiducia, a tal punto che la gente nasconde i malati invece di cercare l’aiuto di un medico. E’ molto difficile lottare contro la malattia con i miti e le voci che circolano».
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Ebola: stato di emergenza in Nigeria e Liberia. Il Burkina Faso vieta la caccia ai pipistrelli

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
Tasso disoccupazione in Australia tocca livelli non visti da 12 anni
IL MERCATO DEL LAVORO IN AUSTRALIA HA REGISTRATO UN TASSO DI DISOCCUPAZIONE (DESTAGIONALIZZATO) DURANTE LUGLIO 2014 PARI A 6,4%. Secondo dati pubblicati dall’Australian Bureau of Statistics, ciò rappresenta un forte aumento rispetto al mese precedente quando il dato corrispondente era pari a 6,0%. Il tasso è salito rispetto a dodici mesi fa quando era stato misurato pari a 5,6%. Il risultato di Luglio è il peggiore dall’Agosto 2002. Nasce da una crescita marcata della forza lavoro australiana alla quale non corrisponde una crescita altrettanto forte e veloce di posti di lavoro. La combinazione di crescita della popolazione e di immigrazione crea un bacino di lavoratori sempre più grande. La manodopera australiana ha infatti raggiunto durante Luglio 2014 il record di sempre con 12.365.000 persone o impiegate o in cerca di lavoro. Con 789.000 persone, il numero di disoccupati ha raggiunto un livello non visto dal 1997 (anche se allora il tasso di disoccupazione era pari all’8,7%). Durante Luglio il numero di posti di lavoro persi è stato di ‘soli’ 300, un calo dovuto alla perdita di posti di lavoro part-time mentre i posti di lavoro a tempo pieno solo saliti di quasi 15.000 unità. Questo può essere visto come un risvolto positivo in quanto l’economia ha ‘trasformato’ lavori part-time in lavori a tempo pieno. Per quello che riguarda i vari Stati, il tasso di disoccupazione è cresciuto ovunque fatta eccezione il South Australia e la Tasmania, i due Stati con un’economia attualmente meno forte. Ecco i tassi di disoccupazione per ogni Stato:
New South Wales 5,9%
Victoria 7%
Queensland 6,8%
South Australia 7,2%
Western Australia 5,2%
Tasmania 7,5%
Northern Territory 4,8%
ACT 3,9%
Il Queensland ha visto uno degli aumenti più significativi passando dal valore di 6,3% durante il mese di Giugno. Una maggiore partecipazione in Victoria ha visto il tasso di disoccupazione raggiungere livelli non visti negli ultimi 11 anni.
SIDNEY
JIHADISTA AUSTRALIANO PORTA FIGLI IN SIRIA, BIMBO MOSTRA UNA TESTA MOZZATA IN FOTO UN BAMBINO DI SETTE ANNI, NATO E CRESCIUTO IN AUSTRALIA, REGGE LA TESTA MOZZATA DI UN SOLDATO SIRIANO NELLA CITTÀ DI RAQQA.
L’immagine è stata messa in rete dal padre del ragazzo, fuggito in Siria con i suoi tre figli e divenuto un combattente dello Stato Islamico. “Questo è mio figlio” ha scritto Khaled Sharrouf, nei confronti del quale è stato emesso un mandato d’arresto.
L’immagine è stata pubblicata su un quotidiano australiano nel giorno della visita del Segretario alla Difesa statunitense, Chuck Hagel: “Isil è una minaccia per il mondo civilizzato – ha detto Hagel – Lo è sicuramente per gli Stati Uniti, per i nostri interessi, per l’Europa e per l’Australia. Se ripenso alla foto che ho visto oggi sulla prima pagina di un giornale locale, vedo la prova grafica della reale minaccia che l’Isil rappresenta”.
Il governo australiano stima che fino a 150 australiani stiano combattendo la Jihad in Siria e in Iraq.
Sharrouf ha scontato quasi quattro anni di carcere per aver partecipato alla preparazione di un attentato nel 2005 a Sydney e da allora era sotto sorveglianza. L’uomo è però riuscito a fuggire all’estero usando il passaporto del fratello. Il premier australiano, Tony Abbott, dai paesi Bassi ha detto che le immagini sono un altro esempio delle “orribili atrocità” di cui il gruppo è capace.
Il presidente dell’Associazione Musulmana, Libanese Samier Dandan, si è detto profondamente sconvolto dall’immagine, che ha bollato come “il gesto di un folle” e ne ha preso fermamente le distanze in nome di tutta la comunità musulmana in Australia

MELBORNE
OSPEDALE DÀ PAZIENTI PER MORTI / MEDICI INFORMANDOLI CHE 200 PAZIENTI ERANO MORTI. E’ emerso oggi che l’ospedale di Austin il 30 luglio ha informato diversi medici di famiglia che i loro pazienti erano deceduti durante il ricovero, invece di dire che erano stati dimessi il giorno prima. La direzione dell’ospedale ha presto scoperto la svista e ha presentato profonde scuse, attribuendola a errore umano.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
Argentina
100 ECONOMISTI SCRIVONO AL CONGRESSO USA: LA SENTENZA? RISCHIO INUTILE PER LA FINANZA MONDIALE
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-08-01/argentina-100-economisti-scrivono-congresso-usa-sentenza-rischio-inutile-la-finanza-mondiale–154153.shtml?uuid=ABxMTSgB
Dear Member of Congress,
We note with concern the recent developments in the court case of Argentina vs. NML Capital, etc. The District Court’s decision – and especially its injunction that is currently blocking Argentina from making payments to 93 percent of its foreign bondholders — could cause unnecessary economic damage to the international financial system, as well as to U.S. economic interests, Argentina, and fifteen years of U.S. bi-partisan debt relief policy. We urge you to act now and seek legislative solutions to mitigate the harmful impact of the court’s ruling.
For various reasons, governments sometimes find themselves in situations where they cannot continue to service their sovereign debt. This was Argentina’s situation at the end of 2001. After years of negotiations, Argentina reached a restructuring agreement with 93 percent of the defaulted bondholders, and has made all agreed-upon payments to them.
The court’s decision that Argentina cannot continue to pay the holders of the restructured bonds unless it first pays the plaintiffs mean that any “holdout” creditor can torpedo an existing agreement with those bondholders who chose to negotiate. While individuals and corporations are granted the protection of bankruptcy law, no such mechanism exists for sovereign governments. As such, the court’s ruling would severely hamper the ability of creditors and debtors to conclude an orderly restructuring should a sovereign debt crisis occur. This could have a significant negative impact on the functioning of international financial markets, as the International Monetary Fund has repeatedly warned.
Those who invested in Argentine bonds were compensated with high interest rates, to mitigate the risk of default. There are inherent risks when investing in sovereign bonds, but the court’s ruling creates a moral hazard, by allowing investors to obtain full repayment, no matter how risky the initial investment.
The plaintiffs in the case purchased Argentine bonds on the secondary market after default, often for less than 20 cents on the dollar. While these actors could have accepted the restructuring and still made a very large profit, they instead have fought a decade-long legal battle, seeking exorbitant profits in excess of 1,000 percent and creating financial uncertainty along the way.
The recent developments will also directly impact the United States and its status as a financial center of the world economy. While much of the developing world’s debt is issued under the jurisdiction of New York law and utilizing New York-based financial institutions, the court’s ruling will make it more likely for sovereign governments to seek alternate locations to issue debt. Britain and Belgium, for example, have already passed legislation aimed at preventing this type of behavior from “holdout” creditors.
In addition, the court has put restrictions on New York banks, preventing them from distributing regularly scheduled interest payments to holders of the restructured bonds. Already, banks have faced lawsuits from investors, creating greater uncertainty for U.S.-based financial institutions.
Argentina has expressed a willingness to negotiate, and has recently reached agreements with the Paris Club as well as claims by international investors.
We hope that you will look for legislative solutions to prevent this court decision, or similar rulings, from causing unnecessary harm. Sincerely,

BRASILE
MORTE CAMPOS SCONVOLGE CAMPAGNA PRESIDENZIALI / CANDIDATO SOCIALISTA SCOMPARSO IN INCIDENTE PICCOLO AEREO
La tragica morte del candidato socialista Eduardo Campos – vittima di un incidente aereo la cui dinamica non è ancora stata chiarita – ha sconvolto la campagna per le presidenziali in Brasile del prossimo 5 ottobre, con conseguenze ancora difficili da valutare ma che comunque complicano il panorama per la presidente Dilma Rousseff, alla ricerca di una rielezione.
Campos – un economista 49enne, nato a Recife, capitale dello stato di Pernambuco (nord-est del Brasile), del quale è stato governatore dal 2006 fino al 2014 – era considerato una figura
emergente della politica brasiliana. I sondaggi gli attribuivano poco meno del 10% di voti, ancora lontano dal 38% di Rousseff e dal 23% dello sfidante moderato Aecio Neves, del Partito della
Socialdemocrazia Brasiliana (Psdb)

AMERICA SETTENTRIONALE.
WASCHINGTON
OBAMA
Non ci sarà nessun piano di evacuazione sul monte Sinjar. Lo ha detto il presidente Usa, Barack Obama, da Martha’s Vineyard. Secondo Obama, l’assedio alla minoranza minacciata dai jihadisti dell’Isis sarebbe stato comunque rotto. Obama ha aggiunto che i raid continueranno in Iraq per "proteggere i civili e il personale americano". Mentre gli aiuti umanitari alla popolazione yazida sul monte Sinjar diminuiranno nei prossimi giorni.
PENTAGONO
evacuazione yazidi meno probabile – "I consiglieri militari, che erano accompagnati dall’Usaid – ha detto John Kirby, portavoce del Pentagono – hanno constatato che ci sono meno yazidi sulle montagne rispetto a quanto temuto in precedenza". Grazie agli aiuti umanitari, ai raid aerei americani contro le postazioni dei jihadisti dello stato islamico dell’Iraq e agli sforzi dei miliziani curdi Peshmerga, "molti yazidi sono riusciti a fuggire nelle scorse notti. Coloro che sono rimasti sono in condizioni migliori rispetto a quanto calcolato in precedenza e continuano ad avere accesso ai viveri e all’acqua lanciati di cargo americani".
WASCHINGTON
IL VUOTO STRATEGICO AMERICANO.
http://www.termometropolitico.it/media/2013/08/presidenti-stati-uniti.jpg
Quando crollò l’Urss, e con essa l’ordine mondiale bipolare, le valutazioni furono in generale assai ottimistiche e molti si spinsero a prevedere che tutto ciò avrebbe portato ad un crollo nelle spese militari, non essendoci più alcuna gara negli armamenti, dirottando ingentissime cifre verso investimenti sociali. Si parlò addirittura di un incombente “Nuovo Rinascimento”. Aldo Giannuli
Non pare che le cose siano andate in questo modo: dopo un relativo calo nei primi anni novanta, la spesa militare è invece sensibilmente aumentata, a danno di quella sociale e, quanto al “nuovo Rinascimento”, chi lo ha visto?
Quelle rosee previsioni si basavano sulla certezza di un nuovo ordine mondiale monopolare, nel quale gli Usa, senza neppure dover spendere le cifre del passato, avrebbero assicurato una stabile governance mondiale. Si calcolava che, almeno sino al 2060 non avrebbe potuto esserci alcuna potenza in grado di sfidare l’egemonia americana e sempre che la nuova potenza trovasse le risorse necessarie, mentre gli Usa segnassero il passo. Le cose sono andate, poi, molto diversamente: la Russia si riprese abbastanza presto dal ciclo negativo 1991-1998, la Cina crebbe a ritmi molto maggiori del previsto e così l’India, gli Usa dovettero misurarsi con le turbolenze mediorientali che ingoiarono montagne di dollari e ad esse si sommò la lunga serie di interventi minori in Africa (Sudan, Somalia, ecc.).
I nuovi venuti, grazie ai sostenuti tassi di crescita, iniziarono ad armarsi (o riarmarsi) e la gara riprese: già nei primi anni 2000 le spese militari mondiali avevano superato di slancio quelle del periodo bipolare.
Poi venne la crisi del 2008 e, pur se con molte incertezze e ritardi, è diventato chiaro a tutti che, come scrive Alessandro Colombo: “l’unipolarismo a guida americana è diplomaticamente, economicamente e persino militarmente insostenibile” (COLOMBO “Tempi decisivi” Feltrinelli 2014. A proposito: ve ne consiglio caldamente la lettura, ma ci torneremo).
La crisi ha dimostrato che gli Usa non hanno il fiato economico per reggere l’Impero, che ha costi proibitivi e non solo per il sopraggiungere della crisi finanziaria, ma anche per le diseconomie della sua macchina militare. Il ritiro americano da Iraq ed Afghanistan, prima ancora che i “regimi amici” vi si fossero consolidati, non meno che i mancati interventi in Siria ed Iran, sempre annunciati e mai realizzati, hanno tolto credibilità alle minacce americane. Non che gli americani abbiano rinunciato alle pretese di essere l’Impero mondiale, da cui discendono moneta, lingua, diritto e legittimazione politica, ma, non sanno più come fare. Dal 2011 hanno provato a consociare gli alleati europei negli interventi militari, ma l’esperimento libico è restato un caso isolato e di ben scarso successo; per il resto, c’è molto poco da aspettarsi dal vecchio continente. Stanno cercando di creare una cintura di alleato per contenere la Cina, ma anche qui le cose sono molto al di sotto delle aspettative.
Nel frattempo i conflitti locali iniziano a sommarsi, descrivendo archi di crisi lunghissimi. Accanto ai conflitti non risolti che ci portiamo dietro da anni (dalle Farc Colombiane, alla Somalia, dal Sudan a Cipro, Timor ecc.) si sono aggiunti altri punti di guerra o intervento straniero (Mali, Costa d’Avorio ecc.) mentre altre linee di confine si surriscaldano (Cina-Vietnam, India-Pakistan). Ma soprattutto si sono profilate due linee di frattura particolarmente lunghe e pericolose, come quella russo-ucraina e la sommatoria di conflitti e crisi mediorientali (Libia, Gaza, Irak, Siria, Afghanistan, Turchia, Barhein, Yemen ecc.) mentre l’Iran è pronto ad intervenire.
L’elenco è incompleto, anzi appena accennato, ma basta a dire che, dal 1945 in poi, non c’è mai stata una situazione altrettanto conflittuale. Anche la crisi indocinese o quella arabo-israeliana erano ben più circoscritte e controllate come pure le guerriglie africane e latino americane. Nel complesso, il “bipolarismo imperfetto” (c’erano anche i “non allineati”) aveva trovato un suo modo di funzionare ed una lingua comune ai contendenti. Non dico che si debba rimpiangere quell’equilibrio che aveva molti aspetti di assoluta negatività, ma, insomma, era un equilibrio che assicurava un certo ordine mondiale, mentre oggi non ce ne è alcuno.
Le ragioni di questo nuovo “disordine mondiale” sono molto complesse e richiederebbero molto più di un semplice articolo, per cui ci limitiamo solo ad abbozzare alcune possibili linee di approfondimento.
La spiegazione più immediata e semplice (fatta propria da Prodi nella sua intervista all’Espresso ora in edicola) è quella del “ritiro” americano e dell’indisponibilità delle altri grandi potenze ad assicurare una efficace governance mondiale assumendosi la responsabilità di intervenire quando questo sia necessario. C’è del vero in questo (ammesso che l’intervento esterno sia la soluzione cui ricorrere, cosa di cui, in linea di massima, non saremmo poi così convinti), ma, per certi versi, questo è più il sintomo che la malattia, perché occorrerebbe spiegare perché una stagione ventennale di interventi esteri ha fatto registrare una lunga serie di fallimenti.
Riprenderemo il discorso nei primissimi giorni e settimane, perché ci sono molti aspetti che vanno indagati. Qui ci limitiamo a segnalarne uno di particolare rilevanza: lo schema concettuale con il quale gli americani sono entrati nella globalizzazione pretendendo di guidarla. Sia lo schema di Fukuyama dell’ “esportazione della democrazia” quanto quello di Huntington del “conflitto di civiltà”, si sono rivelati completamente fallimentari (ed il primo molto più del secondo) nella loro incapacità di capire il mondo ed assumere le ragioni degli altri come qualcosa con cui confrontarsi. Bruciati dai fatti questi due schemi di azione, gli Usa sono rimasti senza strategia alcuna. Mirano a mantenere la loro posizione egemonica ma non hanno più un disegno credibile di ordine mondiale. Le esitazioni sui casi di Siria ed Iran stanno lì a dimostrarlo. Certo l’idea di impantanarsi in un nuovo conflitto di lunga durata e di altissimo costo resta la ragione che (per fortuna!) scongiura l’ennesimo intervento a stelle e strisce, ma non si tratta solo di questo. Il problema principale, per gli americani, è che non sanno bene cosa verrà fuori una volta ingaggiato il conflitto.
Prendiamo il caso siriano: forse non sarebbe neppure una guerra lunga e dispendiosa e con un urto concentrato si potrebbe ottenere la caduta del regime di Assad in un paio di settimane, ma dopo? A beneficio di chi andrebbe questa spallata? I contendenti non sono esattamente quanto di più rassicurante dal punto di vista occidentale, persino le fazioni sostenute da turchi e sauditi danno ben poche assicurazioni in questo senso. Anzi, ad essere chiari, in Siria gli alleati storici degli occidentali (a cominciare dai francesi nel 1919) sono proprio gli alauiti (gruppo etnico di Assad) che, infatti, vengono visti dagli altri islamici come sorta di traditori alleati agli “infedeli”. Ce la hanno un’alternativa ad Assad gli americani? Nel caso iraniano le cose potrebbero stare differentemente, perché c’è una opposizione “liberal” più solida e consapevole, però la maggioranza della popolazione sta dall’altra parte ed anche gli alleati storici di Washington, come i sauditi, pur odiando furibondamente gli sciiti, non gradirebbero affatto un Iran “liberal” che potrebbe rappresentare una fonte di contagio di altre rivolte. Ed allora, come gestire la situazione? Anche nei confronti del “Califfato” non pare che gli Usa abbiano le idee chiare su cosa fare, fra una convergenza con gli iraniani o uno sforzo unilaterale americano. Di fatto la situazione si trascina con il risultato moltiplicando il rischio che questa buffonata di Califfato, che mette insieme fanatici religiosi, tagliagole, briganti ed avventurieri di ogni risma, possa diventare un problema molto serio, qualora riuscisse a diventare un simbolo intorno al quale si riuniscano le masse islamiche.
Questo vuoto di strategia degli americani diventa anche paralisi tattica con conseguenze tutt’altro che trascurabili.

WASHINGTON
SNOWDEN, ANCHE PRIGIONE PER GIUSTA CAUSA . EX TALPA, MI INTERESSA DI PIÙ IL MIO PAESE
"Sono disposto ad andare in prigione" per rientrare negli Usa "se fosse per una giusta causa". Lo ha detto Edward Snowden in un’intervista a Wired di settembre di cui sono state diffuse alcune anticipazioni. "Mi interessa di piu’ il mio Paese di quello che possa capitare a me", ha detto l’ex talpa del Datagate. La settimana scorsa, la Russia ha prolungato di tre anni il permesso di soggiorno nel Paese all’ex analista della Nsa.

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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