11225 27. NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 5 luglio2014.

20140706 23:59:00 red-emi

ITALIA – ROMA / Parte il 3 luglio la raccolta delle firme per il referendum contro l’austerità
ROMA / In 5 anni 2,5 milioni di poveri in più. “Quadro critico per le famiglie” I dati del rapporto sul Benessere equo e sostenibile. Tra il 2010 e il 2012 raddoppia la grave deprivazione e crescono le persone in povertà assoluta. Qualche segnale di ripresa per il 2013 “ma ancora non basta”.
EUROPA – Maltese: a Strasburgo solo uno show “Preparatevi, a marzo 2015 si / A Bruxelles braccio di ferro con la Russia sull’energia Italia in prima linea per la «riduzione dei rischi di rottura di approvvigionamento di gas». Russia permettendo
AFRICA & MEDIO ORIENTE – Medio oriente, se la diaspora di Al Quaeda finisce cambia nuovamente lo scacchiere
ASIA & PACIFICO – AUSTRALIA, STATI UNITI, , NUOVA ZELANDA, CANADA / TISA: IL CONTRARIO DI PUBBLICO È SEGRETO / TISA («Trade In Service Agreement»). E’ un nuovo trattato super segreto che riguarda i mercati del settore dei servizi.
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Uruguay / La lunga corsa dell´ex tupamaro. Un libro su Pepe Mujica. VIVE in una casa di campagna, con una cagnetta zoppa e un maggiolino azzurro. Ha detto : “"Il mio obiettivo è quello di lasciare un Uruguay un po’ meno ingiusto, di aiutare i più deboli e creare un nuovo modo di far politica." Ed è un piacere leggere su Pepe Mujica di fronte a tanta ingiustizia e corruzione nel mondo!!!”
AMERICA SETTENTRIONALE – USA / Detroit, capitale Usa della povertà: le compagnie tagliano le forniture dell’acqua a 150 mila morosi.

ITALIA
ROMA
PARTE IL 3 LUGLIO LA RACCOLTA DELLE FIRME PER IL REFERENDUM CONTRO L’AUSTERITÀ. Fabio Sebastiani
Un referendum contro “L’AUSTERITA’ OTTUSA”, che “HA FALLITO" e sta rischiando di portare l’Italia ad una rovinosa caduta. Con questo obiettivo un comitato di economisti ed intellettuali di varia provenienza ha dato il via ieri ad una raccolta di firme che terminerà a settembre. Ieri si è tenuta la conferenza stampa di presentazione. Quattro i quesiti posti dal referendum, nel tentativo di modificare alcuni articoli della legge 243 del 2012: il primo per evitare che "l’equilibrio di bilancio sia piu’ gravoso di quanto preveda l’Ue"; il secondo perche’ non sia necessaria una "esatta corrispondenza tra gli obiettivi nazionali e quelli di medio termine dell’Unione"; il terzo quesito e’ volto a consentire l’indebitamento anche per "operazioni finanziarie non straordinarie"; infine, l’ultimo punto punta a permettere l’attivazione del meccanismo di revisione solo da parte dell’Ue e non da trattati internazionali. La raccolta firma partirà il 3 luglio e andra’ avanti fino alla fine di settembre.
Riccardo Realfonzo in un suo intervento spiega come ormai il quadro economico dell’Italia sia drammaticamente compromesso sia per quanto riguarda il prodotto interno lordo che l’occupazione. E questo proprio a causa dell’azione frenante, e in qualche caso distruttiva, che l’austerità sta attuando nei confronti delle economie deboli. "In Italia, a causa della risposta sbagliata alla crisi – scrive Realfonzo – il pil resta oggi a un livello del 9% più basso rispetto allo scoppio della crisi e la disoccupazione è più che raddoppiata, passando da 1,5 a 3,1 milioni. Viceversa, negli USA, dove il Presidente Obama ha varato il Recovery Act, stanziando risorse per circa 800 miliardi di dollari, la crisi ormai è un ricordo lontano e l’economia ha ripreso una crescita solida".
L’iniziativa verra’ sostenuta anche da alcuni parlamentari: a cominciare da quelli di Sel, che hanno annunciato, tramite il deputato Giulio Marcon, di "aver deciso all’unanimità di sostenere e aiutare la raccolta firma". L’appoggio all’iniziativa lo ha garantito anche il neo-dimesso dal partito di Vendola, Gennaro Migliore. Infine, pieno sostegno anche da alcuni deputati del Pd, come Gianni Cuperlo e Stefano Fassina, che durante la conferenza stampa di presentazione della raccolta firma ha spiegato come questa "sia l’unica strada per salvare l’euro" e ha sostenuto che il "Parlamento non e’ ancora consapevole della drammaticità della questione", cosi’ come la comunicazione di Renzi alle Camere degli scorsi giorni non ha "dato la sensazione di una consapevolezza della drammaticità della situazione".
ROMA
IN 5 ANNI 2,5 MILIONI DI POVERI IN PIÙ. “QUADRO CRITICO PER LE FAMIGLIE”. Due milioni e mezzo di persone in povertà assoluta in più tra il 2007 e il 2012 e un livello di grave deprivazione che raddoppia tra il 2010 e il 2012. Non migliora la condizione delle famiglie italiane a cinque anni dall’inizio della crisi economica. Anche se si registrano alcuni segnali positivi, infatti, la situazione resta molto critica. A sottolinearlo è il rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) 2014 di Istat e Cnel, presentato oggi a Roma.
I dati del rapporto sul Benessere equo e sostenibile. Tra il 2010 e il 2012 raddoppia la grave deprivazione e crescono le persone in povertà assoluta. Qualche segnale di ripresa per il 2013 “ma ancora non basta”. Più colpiti minori e giovani In particolare, spiega il rapporto, nel 2012 la percentuale di persone che vive in famiglie assolutamente povere passa dal 5,7 per cento all’8 per cento, facendo aumentare di due milioni e 400mila le persone in questa condizione rispetto al 2007 (anno precedente all’inizio della crisi) . “Quello che emerge è quadro assolutamente critico dal punto di vista del benessere economico – spiega Linda Laura Sabbadini , direttore del dipartimento statistiche sociali e ambientali dell’Istat -. Con il sopravvenire della crisi e con il calo dell’occupazione che c’è stato tra il 2009 e il 2010, le famiglie hanno cercato di difendersi in tutti i modi, anche dando fondo ai propri risparmi e talvolta indebitandosi. L’hanno fatto per mantenere i propri standard di vita, ma il problema è che questa crisi si è prolungata nel tempo, molto più a lungo di quanto si pensasse e una parte di queste famiglie non ce l’ha fatta più. Una situazione che si è vista in maniera molto chiara tra il 2010 e il 2012 quando è praticamente raddoppiata la grave deprivazione, che non è un concetto monetario di povertà ma esprime piuttosto il disagio delle persone e la difficoltà ad avere disponibilità di beni”. Nel 2012, spiega ancora Sabbadini, registriamo dunque un aumento dei più poveri tra i poveri: “c’è stato un balzo di oltre due punti percentuali di povertà assoluta, di quelle persone cioè che non riescono a sostenere una spesa per un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali per una vita dignitosa”. Ad aumentare è anche la grave deprivazione che nel 2010 era pari al 7 per cento, passa all’11 nel 2011 per arrivare al 14,5 nel 2012: una cifra doppia rispetto a due anni prima. Un piccolo miglioramento si registra, però nel 2013: “ ancora non abbiamo il dato sulla povertà assoluta – aggiunge Sabbadini – ma dal punto di vista della grave deprivazione sappiamo che c’è stata una diminuzione di 2 punti rispetto al 2012. Questo è un segnale positivo ma che di certo non ci riporta a una situazione precedente al 2010. Non possiamo quindi dire che c’è un reale arretramento della povertà, c’è invece ancora molta incertezza”. A fare le spese della crisi, spiega ancora l’Istat, sono in particolare i minori e i giovani, che sono di fatto i nuovi poveri. Se fino a qualche tempo fa ci si preoccupava, infatti, della situazione critica degli anziani, ora sono i nipoti a subire gli effetti peggiori della recessione. “Siamo arrivati a un milione di minori in povertà assoluta – aggiunge Sabbadini – la situazione è critica e c’è bisogno di politiche mirate per fare in modo che questa povertà diminuisca soprattutto tra i più giovani. La crisi li ha colpiti in prima persona, nel lavoro ma anche nelle prospettive di vita”. Secondo il rapporto, infatti, il livello di soddisfazione per la qualità della vita è sceso tra i giovani di 4,5 punti percentuali.
“Malgrado gli sforzi siamo ancora distanti dal raggiungere il grado di benessere che vorrebbero i cittadini italiani – aggiunge Antonio Marzano, presidente del Cnel – E’ l’incertezza a dominare questo periodo storico ma servono politiche di welfare per garantire standard minimi di benessere a tutti”. Sulla stessa scia anche Chiara Saraceno, esperta di politiche sociali e minori: “In Italia il benessere è insicuro, poco equo e poco sostenibile – sottolinea – c’è un problema drammatico che riguarda i minori, ma sappiamo che la povertà minorile non interessa a nessuno perché non è una priorità nell’agenda politica. Qualche segnale positivo c’è, ma sono avanzamenti troppo lenti”. (ec) www.agenzia.redattoresociale.it

EUROPA
UCRAINA
UN TREGUA FRAGILE / Il presidente ucraino Petro Porosenko ha annunciato che non prorogherà il cessate il fuoco scaduto il 30 giugno. Durante la tregua Kiev e i separatisti si sono reciprocamente accusati di aver violato gli accordi. Porosenko, spiega il sito russo Gazeta, "è passato al piano b, che prevede una soluzione militare del conflitto. Inoltre questa settimana presenterà al parlamento la proposta di sostituire i vertici militari e delle forze di sicurezza". Secondo diverse fonti, Porosenko potrebbe dichiarare
LO stato di guerra nell’Ucraina orientale. Il presidente russo Vladimir Putin ha reagito affermando che Mosca continuerà a difendere i propri connazionali all’estero "con tutti mezzi di cui dispone, da quelli politici ed economici fino alle missioni umanitarie riconosciute dal diritto internazionale", scrive Gazeta. "Porosenko è passato all’attacco", commenta il sito ucraino Insider, "sia sul fonte militare sia su quello politico. Nei prossimi giorni presenterà al parlamento il progetto per una nuova costituzione, mentre sta cercando di convincere i deputati a indire elezioni anticipate per il 26 ottobre. Ma perché il voto si possa svolgere è necessario prima pacificare l’est del paese". Intanto il 27 giugno Porosenko ha firmato, insieme ai leader di Georgia e Moldova, IL TRATTATO DI ASSOCIAZIONE con L’Unione Europea, all’ origine della crisi ucraina.

BOSNIA ERZEGOVINA
CENT’ANNI DOPO / 28 GIUGNO A SARAJEVO SI SONO SVOLTE LE CELEBRAZIONI PER IL CENTENARIO DELLO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE IN SEGUITO ALL’ASSASSINIO DELL’ARCIDUCA FRANCESCO FERDINANDO, L’EREDE AL TRONO D’AUSTRIA UCCISO DAL NAZIONALISTA SERBO GAVRILO PRINCIP NELLA CAPITALE BOSNIACA. La figura dell’attentatore continua a dividere i bosniaci. Come scrive Radio Sarajevo, molti considerano Principe "un serbo retrogrado che uccise un erede al trono progressista, segnando l’uscita della Bosnia dall’Europa. Ma la realtà è diversa. Princip fu vittima di una spartizione del mondo voluta dal grande capitale e il suo nome continua a essere usato per promuovere le dottrine più folli: dal clericonazionalismo all’eurofondamentalismo"

POLONIA
II 25 giugno il governo guidato da Donald Tusk ha superato un voto di fiducia in parlamento con 237 voti a favore e 203 contrari. Il voto era stato indetto dopo che alcune intercettazioni illegali pubblicate dal settimanale Wprost avevano messo in difficoltà il governo.

EU
MALTESE: A STRASBURGO SOLO UNO SHOW “PREPARATEVI, A MARZO 2015 SI VOTA”
Niente è avvenuto per caso alla cerimonia di apertura del semestre italiano dell’Unione europea a Strasburgo. La bordata di Manfred Weber, capogruppo del Ppe (i conservatori), contro Matteo Renzi fa parte di un sottile gioco delle parti da cui il premier cerca di trarre vantaggio. A dirlo è Curzio Maltese, fresco di elezione al Parlamento europeo nella lista Tsipras. Come si è comportato Renzi, secondo lei?
Ha fatto due cose molto scorrette: ha consegnato i contenuti del semestre in un documento e si è messo a parlare di altro per evitare domande scomode sull’Italia e spostare il discorso su vaghi principi, come lo slogan della “generazione Telemaco” copiato da Recalcati (che non ha citato). Poi ha saltato la conferenza con la stampa estera, sempre per evitare un confronto.
RENZI HA PREFERITO ANDARE DA VESPA. COME L’HANNO PRESA GLI ALTRI EURODEPUTATI?
I tedeschi e gli spagnoli della sinistra hanno detto che fa quello che gli pare come Berlusconi. E durante il suo intervento, di circa due ore, tantissimo, in molti si sono annoiati. Non si parlava di nulla di concreto. L’unica cosa seria l’ha detta Weber, cioè di scordarci di cambiare i patti.
IL PREMIER HA RISPOSTO CHE NON PRENDE LEZIONI DALL’UE. CHI VINCERÀ?
È uno scontro fintissimo, una messa in scena. Renzi non vuole rivedere nessun trattato. Sta tentando in tutti i modi di ritardare le manovre di rigore. Gli servono sei mesi di respiro per andare alle elezioni il prossimo febbraio, stravincere e solo dopo fare i tagli di austerity. Mi sembra strano che nessuno se ne sia accorto.
QUINDI LA FLESSIBILITÀ DI CUI PARLA IL PREMIER È UNO SLOGAN?La flessibilità non esiste. Renzi chiede solo sei mesi di tregua . Infatti non ha chiesto di rinunciare al fiscal compact.
NON POTREBBE ANDARE AL VOTO GIÀ A NOVEMBRE?
NO, la nuova legge elettorale per novembre non sarà pronta. Sulle liste bloccate ha l’accordo di Berlusconi, che vuole confermarsi capo di FI e su questo non si discute. Grillo è in crisi e Sel è spaccata. Lui prenderà i voti da destra a sinistra.
E BRUXELLES?
La Commissione europea non verrà insediata fino a novembre, quindi Renzi avrà il tempo per posticipare la manovra e fare contentini, come gli 80 euro ai pensionati. La sua strategia è buttare la palla avanti. L’ha fatto anche da sindaco di Firenze: in mille giorni aveva promesso la tranvia ma dopo cinque anni non c’è nulla. Dopo i problemi diventano degli altri.
PERÒ IN ITALIA RENZI HA TUTTI DALLA SUA PARTE PER ORA?
Non vedo punti di debolezza. Il suo problema è che fa quello che vuole. Si sta scegliendo perfino la minoranza interna: al posto di Cuperlo e Civati vuole Fava e Migliore. È più furbo di Berlusconi, nel senso che è subdolo: passano cose per cui Berlusconi veniva dilaniato. Se Renzi fa una legge incostituzionale è comunque bravo, per l’altro invece si scendeva in piazza. Quello che in Berlusconi faceva scandalo, in Renzi fa simpatia.
DUE PESI E DUE MISURE…
SÌ. Ed è grave perché significa che non esistono piu regole. Se lo fa il nostro lo sdegno non vale, se lo fa il nemico sì? Non significa che loro due sono uguali, ma quando fanno la stessa cosa i giudizi sono diversi.
Alla fine della fiera, il premier la farà franca davanti all’Ue? Non è sicuro che ottenga la tregua pre-elettorale. Di una cosa sono sicuro però: se va alle elezioni, fa il pieno perchè intorno ha un deserto. Ha vampirizzato tutti. E a Strasburgo ha lanciato la sua campagna elettorale. (Il Fatto quotidiano | Autore: Chiara Daina)

BELGIO
A BRUXELLES BRACCIO DI FERRO CON LA RUSSIA SULL’ENERGIAITALIA IN PRIMA LINEA PER LA «RIDUZIONE DEI RISCHI DI ROTTURA DI APPROVVIGIONAMENTO DI GAS». RUSSIA PERMETTENDO. Il Manifesto | Autore: Anna Maria Merlo
Grosso braccio di ferro al Consiglio europeo sul pacchetto clima energia, in discussione oggi (venerdì 27 giugno). Non solo si scontrano due clan, tra i più ambiziosi che chiedono impegni precisi per la riduzione dell’emissione di gas a effetto serra entro il 2030 e chi frena, invocando la crisi economica. Ma l’Italia è in prima linea sul capitolo della «riduzione dei rischi di rottura di approvvigionamento di gas», impegno preso dalla Ue, che comporta al suo interno i delicati rapporti con il principale fornitore, la Russia, perché l’Eni è il primo partner europeo del progetto South stream, il gasdotto sotto il Mar Nero che dovrebbe trasportare il gas russo fino all’Italia e all’Austria senza passare per l’Ucraina, fornendo il 15% dei bisogni in gas della Ue. La questione torna sul tavolo dei leader europei proprio nel giorno della firma dell’accordo di associazione con l’Ucraina, che nel novembre scorso ha scatenato la grave crisi con Mosca. Nella bozza del comunicato finale non viene fatta menzione né della Russia né di South stream, ma la battaglia è in corso, all’interno della Ue e a livello internazionale.
La Russia, dal 2008 al 2010, ha firmato una serie di accordi bilaterali con vari stati implicati, Austria, Bulgaria, Croazia, Grecia, Ungheria (più Serbia, paese non Ue), dopo che il progetto South stream era stato lanciato a Roma nel 2007. Ma nel dicembre scorso la Commissione ha affermato che questi accordi vanno tutti rinegoziati, perché non conformi alle leggi europee della famosa «concorrenza libera e non distorta». La Bulgaria, che aveva già avviato la costruzione della pipeline, ha sospeso i lavori, perché minacciata da Bruxelles di una procedura di infrazione. La colpa di Bucarest è di aver affidato i lavori a un consorzio di cui fa parte la società Stroy transgas, dove è presente un oligarca che è nella lista nera degli Usa, nell’ambito delle sanzioni alla Russia decise in seguito alla crisi ucraina e all’annessione della Crimea. I senatori John McCain, Ron Johnson e Christopher Murphy si sono recati in Bulgaria e il 6 giugno l’ambasciatore statunitense a Bucarest ha minacciato di sanzioni americane le imprese bulgare che lavorano alla costruzione della pipeline. Per l’ambasciatore russo alla Ue, Vladimir Chizhov, la sospensione della costruzione di South stream non è altro che «una sanzione economica insidiosa contro la Russia», «una decisione politica» degli europei fatta su pressione americana. E anche un segnale per i tre paesi che oggi firmano l’accordo di associazione: non solo l’Ucraina, ma anche Georgia e Moldavia devono rendersi conto, secondo Mosca, che associandosi con la Ue perderanno margini di manovra. La Ue, del resto, ha fatto anche pressioni sulla Serbia, minacciando un ritardo nella procedura della candidatura a paese membro. Per protestare contro il blocco di South­stream, che danneggia Eni, Matteo Renzi ha proposto ai primi ministri di Austria, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Slovacchia (e Serbia) di firmare una lettera comune a Bruxelles. Ci sono le pressioni statunitensi, ma anche all’interno della stessa Ue. Difatti, c’è un consorzio di imprese Ue che si è impegnato a investire per rinnovare la rete di trasporto del gas russo che passa per l’Ucraina. Ma questo rinnovamento sarà redditizio solo se il gas russo passerà esclusivamente per questa rete. Ma South­stream avrebbe una portata di 63 miliardi di metri cubi l’anno, cioè priverebbe l’Ucraina di miliardi di euro di entrate per il transito, mettendo in difficoltà il paese e gli investitori del rinnovamento della rete.

SPAGNA
L’inganno di Facebook / El Pais, Spagna / Molti utenti forse non se ne sono resi conto – non ancora! -ma tutti i commenti e le foto che metto-no su un social network possono rimanere lì per sempre. E possono essere usati dalle aziende per decidere se assumere qualcuno.
Facebook e Twitter sono informatori spietati. E anche ottimi strumenti per raccogliere dati personali su gusti e abitudini degli utenti: informazioni preziose per aziende e marchi che in questo modo possono mandare pubblicità personalizzata, come fosse un vestito fatto su misura, a chiunque sia iscritto a un social network. Come se non gli bastasse sapere (quasi) tutto sui miliardi di persone collegate alla famosa f, alla fine del 2012 Facebook ha condotto un’indagine sulle loro emozioni, analizzando circa settecentomila profili per studiare le reazioni degli utenti davanti a notizie positive e negative.
Questa indagine, secondo i suoi ideatori, aveva una certa pretesa scientifica. Vi hanno partecipato professori della Cornell university e dell’University of California, oltre a un ricercatore di Facebook specializzato nel trattamento dei dati. Per fare questo lavoro hanno modificato l’algoritmo e manipolato per una settimana il contenuto delle notizie che le settecentomila ca-vie ricevevano dai loro amici. Tutto, natural-mente, senza avvertirle. I risultati dello studio hanno finito per confermare l’ovvio: che lo stato d’animo degli utenti è condizionato da quello che scrivono gli amici e dal tipo di commenti che fanno. Significa che una buona notizia genera allegria e una cattiva notizia genera tristezza. Sicuramente sono gli stessi sentimenti che prova Mark Zuckerberg quando le azioni di Facebook salgono o scendono. L’azienda statunitense ha giustificato l’esperimento dicendo: "Eravamo preoccupati che l’esposizione alla negatività degli amici finisse per allontanare le persone da Facebook". Ma in questo caso la cosa più negativa è stata ingannare gli utenti che, tra l’altro, sono venuti a sapere dell’esperimento solo due anni dopo.

FRANCIA
LA LEZIONE DI SARKOZY, Eric Decouty, Libération, Francia
La questione che dovrebbe assillare i sostenitori dell’ex-presidente francese Nicolas Sarkozy non è tanto quella del suo ritorno in politica (di cui si era parlato nelle ultime settimane), ma piuttosto della figura che incarna oggi sul piano politico e morale. Scartata infatti la grottesca teoria di un complotto organizzato dal presidente Francois Hollande con la complicità di alcuni magistrati, emerge un dato evidente perfino ai fedelissimi di Sarkozy, e cioè che i fatti che gli vengono attribuiti vanno al di là della loro natura giudiziaria. E ovvio che 1 giudici hanno il compito di accertare la responsabilità penale personale di Nicolas Sarkozy in questa vicenda del traffico di influenze, così come dovranno farlo per la vicenda Bygmalion, che riguarda i finanziamenti delle sue campagne elettorali.
Ma al di là delle procedure, il susseguirsi degli scandali in questi ultimi anni ha portato allo scoperto una prassi politica fondata su manipolazioni, accordi, aggiramenti delle norme e, a volte, sul disprezzo della legge.
I torbidi rapporti intrattenuti da Nicolas Sarkozy con il magistrato Gilbert Azibert (accusato di avergli fornito informazioni sulle indagini che lo riguardavano) o con il discusso imprenditore Bernard Tapie, così come l’occultamento dei conti relativi alle sue spese elettorali, dimostrano che l’ex presidente ha un rapporto discutibile con l’etica politica.
Anche se non ha mai fatto della morale la virtù principale della sua attività politica, Sarkozy non può disprezzare certi valori essenziali della democrazia francese. Se aspira a tornare in politica, o addirittura a riconquistare il potere, dovrà dunque assumersi la responsabilità, di fronte ai francesi, di quanto emerso dalle indagini. Ben sapendo che non è certo riprendendo brutalmente le redini del suo partito, l’Ump, che potrà rifarsi l’immagine di leader dotato di senso morale
PARIGI
"Non era mai successo che un ex presidente fosse trattenuto in stato di fermo dalla polizia. Ma con Nicolas Sarkozy mai dire mai". Così Le Monde commenta l’interrogatorio nel tribunale di Nanterre dell’ex capo di stato francese, che il 2 luglio è stato formalmente indagato per corruzione, traffico d’influenze e complicità in violazione del segreto istruttorio, "tutti reati punibili con pene fino a dieci anni di reclusione", spiega Le Figaro. "Anche il suo ex avvocato, Thierry Herzog, e due alti magistrati della corte di cassazione, Gilbert Azibert e Patrick Sassoust, sono stati fermati", precisa Le Monde. Secondo il quotidiano, gli inquirenti "indagano su una rete di informatori che possono aver fornito a persone vicine a Sarkozy, o direttamente all’ex presidente, informazioni sulle procedure giudiziarie che potevano riguardarlo". In particolare Azibert avrebbe fornito notizie confidenziali sulle indagini per lo scandalo Bettencourt (un caso di presunta circonvenzione d’incapace a danno della proprietaria dell’Oréal per finanziare il partito di Sarkozy) in cambio di un aiuto per facilitare il suo trasferimento a Montecarlo. Secondo Le Monde, "l’ex presidente appare come il ‘mandante’ e il beneficiario finale delle informazioni ottenute" da Herzog, che avrebbe svolto il ruolo di intermediario. Le intercettazioni all’origine dell’inchiesta rivelano anche "l’esistenza di una rete di informatori nelle istituzioni, in particolare nella giustizia e nella polizia, fedeli a Sarkozy, e fanno luce sulle pressioni esercitate dalla cerchia dell’ex capo di stato per ottenere informazioni sulle procedure che potevano metterlo in difficoltà". Le Figaro sottolinea infine che la vicenda è emersa proprio mentre cominciavano a circolare le prime voci sulla volontà di Sarkozy di riprendere la guida del suo partito, l’Ump, per poi presentarsi come candidato alle presidenziali del 201

MEDIO ORIENTE & AFRICA
TURCHIA
II 29 giugno i due principali partiti d’opposizione, il Chp e l’Mhp, hanno presentato la candidatura dell’intellettuale islamico Ekmeleddin ihsanoglu alle elezioni presidenziali del 10 agosto. Due giorni dopo si è candidato anche il premier Recep Tayyip Erdogan.

PALESTINA
GAZA
GAZA, LA GUERRA CHE VERRÀ / Territori Occupati. La Striscia vive nell’angoscia della nuova offensiva che minaccia il premier israeliano Netanyahu in ritorsione contro Hamas per l’uccisione dei tre ragazzi ebrei in Cisgiordania. A pagare sarà comunque la popolazione civile
«Non puoi passare, occorre far parte di una lista di giornalisti autorizzati per entrare (a Gaza)». Cadiamo dalle nuvole. Inutile far notare che questa disposizione non è mai stata comunicata alla stampa estera. Alla fine, dopo un’ora passata tra telefonate di protesta e discussioni con gli agenti della società di sicurezza che gestisce il valico di Erez, otteniamo il via libera. Anche per i giornalisti con regolare accredito si fa più difficile entrare a Gaza. I comandi militari israeliani ora richiedono un “coordinamento”, ossia essere informati in anticipo dell’intenzione dei media di inviare un loro giornalista a Gaza.

MEDIO ORIENTE, SE LA DIASPORA DI AL QUAEDA FINISCE CAMBIA NUOVAMENTE LO SCACCHIERE
La divisione tra le due macro correnti dell’Islam iniziò appena dopo la morte di Maometto e l’apertura della diatriba per la successione del Profeta. Volendo semplificare eccessivamente una serie di eventi molto complessi, diciamo che mentre alcuni ritenevamo che la Parola e il califfato di Maometto dovessero essere gestiti dai suoi discendenti diretti, altri, i sunniti (dal termine Sunna: “tradizione, codice di comportamento”), erano sostenitori di Abu Bakr, suo amico e suocero, che la spuntò e venne eletto quarto califfo, dando inizio ad un monopolio sunnita ai vertici del potere che perdurò per secoli. Gli sciiti, al contrario, seguono l’imam, una figura molto importante per la religione musulmana, considerato un intermediario per la salvezza, che trasmette il principio divino che lo anima al successore dopo la propria morte. Questo processo viene personificato dagli ayatollah iraniani, mentre si attende il ritorno del Mahdi, l’imam nascosto, ultimo discendente di Maometto che un giorno tornerà a illuminare l’Islam.
La conclusione fu la nascita di due confessioni: lo sciismo, la corrente minoritaria dell’islamismo (approssimativamente si calcola che su 1,2 miliardi di persone che professano la religione musulmana, solo 300 milioni siano sciite) e il sunnismo, la corrente maggioritaria che prende le mosse dalle monarchie arabe della Penisola.
A secoli di distanza, la guerra tra sunniti e sciiti non si è mai fermata e prende le forme moderne di diversi gruppi armati che si battono per la restaurazione di un califfato in Medio Oriente, contro la corruzione generata dall’avvicinamento dell’Occidente (e dalle sue molte invasioni) e per annientare quella che viene vista come (e che in alcuni casi di fatto è) una dittatura sciita. Sia a Baghdad che a Damasco è infatti la minoranza sciita a detenere il potere: ora al vertice del governo iracheno siede al Maliki, il quale ha tagliato la testa alla coalizione sunnita, estromettendola di fatto dalla scena politica e radicalizzando le tensioni tra i due gruppi militarizzando il paese, con le conseguenze che noi tutti vediamo. Al di là del confine abbiamo Bashar al Assad, sciita alawita, il quale è al centro di una guerra civile che sta massacrando la popolazione a maggioranza sunnita da tre anni e che ha attirato in Siria ogni sorta di gruppo armato, compresi i combattenti di Al Qaeda sopravvissuti all’offensiva statunitense. E’ infatti proprio ciò che è nato dal tronco di Al Qaeda che si offre come alternativa per i sunniti oppressi della Mezzaluna. Molte cellule, che secondo alcune stime sono attive in trenta paesi, continuano a perseguire l’obiettivo dell’organizzazione madre, anche se alcune si sono distaccate da questa a seguito del cambio di leadership dopo la morte di bin Laden nel 2011 e il passaggio dello scettro a Ayman al-Zawahiri, rispuntato recentemente in un’intervista audio in cui esortava i musulmani sunniti ad imbracciare le armi contro “il regime criminale di al Assad” e ai combattenti jihadisti di mettere fine alla lotta intestina e unirsi contro il nemico comune.
Appello a quanto pare ricevuto dalle fazioni di al Nusra e Isil, le quali si sono scontrate per mesi accusandosi di servire gli interessi di Assad , che secondo le ultime notizie si sono incontrate nella città di confine di Abukamal dove hanno raggiunto un accordo. Secondo l’ONDUS (l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria) i capi delle due organizzazioni si sono riunite riconoscendo l’autorità di al-Zawahiri, benché si siano distaccate in passato dalla guida del fronte egiziano, specialmente l’Isil, la quale riteneva che fosse necessario creare un centro territoriale assoggettato, il califfato appunto, da cui far partire la crociata jihadista, mentre la dirigenza di al Qaeda vietò di creare lo Stato islamico prima che gli infedeli e gli occidentali non fossero stati cacciati dal Medio Oriente.
Una foto messa su Twitter da uno dei combattenti dell’Isil conferma la tregua di fatto e sembra che uno dei leader di a Nusra abbia giurato fedeltà alla sua controparte dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, che a questo punto potrebbe avere libero accesso alle due parti di un confine già molto poroso. Le due metà di al Qaeda si sono insomma riunite, aggravando ancora di più una situazione che vede minacciata non solo l’unità territoriale di uno stato già al collasso, ma che rischia di far esplodere l’intera regione, rafforzando l’organizzazione terroristica più pericolosa al mondo. Stati Uniti e l’Iran sciita degli ayatollah sembrano pensarla allo stesso modo riguardo la pericolosità dei ribelli jihadisti, tanto da spingere il segretario di Stato Kerry a dichiarare di voler avviare un negoziato con gli iraniani per frenare l’Isil, ovvero da una parte incitare gli sciiti iracheni alla ribellione e dall’altra supportarli con raid aerei americani, quindi con i droni, come richiesto dallo stesso Maliki ad Obama. Lo scenario è ancora fantapolitica dati i conti in sospeso tra le due potenze, come ad esempio riguardo il nucleare.
Ma l’Isil non può essere arginato che da un intervento deciso della comunità internazionale, che si vedrebbe altrimenti un califfato sunnita guidato da terroristi di al Qaeda nel bel mezzo del Medio Oriente, che seguirebbe la via dell’espansione come è tra i principi ispiratori del gruppo e sprofonderebbe in un bagno di sangue tutto il mondo musulmano. Per quanto sembrasse ridicola questa ipotesi fino a qualche mese fa sembra incredibilmente concreta oggi. La domanda a questo punto può essere un’altra: cosa fa l’Unione Europea in tutto ciò? Autore: anastasia latini

SIRIA
II 26 giugno il presidente statunitense Barack Obama ha chiesto al congresso di stanziare 500 milioni di dollari per soste-nere i ribelli moderati in Siria

ISRAELE
Amnesty condanna Israele per l’operazione "Brother’s keeper"
E’ stata un’altra notte sanguinosa quella dopo il funerale dei tre ragazzi israeliani, Eyal Yifrah, Gilad Shaar e Naftali Fraenkel, tutti tra i 16 e i 19 anni, rapiti e poi trovati morti qualche giorno fa a West Bank. Infatti è stato trovato il cadavere di un giovane palestinese di 16 anni, Mohammed Abu Khdeir, il quale è stato sequestrato e ucciso a Gerusalemme Est, si presume come una sorta di risposta per l’assassinio dei tre giovani che sta innescando una spirale di vendette personali e di ritorsioni militari in tutta Israele. ( Autore: Anastasia Latini)
Il premier Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Hamas, sospettata per il rapimento e l’uccisione, avrebbe pagato per questo ed ha avviato l’operazione “Brother’s keeper” con cui in circa venti giorni ha messo praticamente in ginocchio l’organizzazione, arrestato più di quattrocento persone che ne sono attivisti, e demolito le case di due sospettati per il rapimento.
Alcune organizzazioni internazionali come Amnesty International e l’ Association for Civil Rights in Israel hanno sottoscritto una lettera in cui si denuncia come questa operazione sia stata “condotta senza piena aderenza a rilevanti norme di diritti umani del diritto internazionale”.
La “Brother’s Keeper” secondo queste ONG è stata una risposta” sproporzionata e le violazioni dei diritti basilari non necessari”: l’arresto dello Speaker del Concilio Legislativo e di suoi sei membri, i raid aerei e le incursioni in più di mille case, spesso causando gravi danni alla proprietà, e l’uccisione di almeno tre ragazzi palestinesi da parte dei militari durante le incursioni, sono solo alcune delle azioni che Israele ha perpetrato contro i palestinesi in questi ultimi giorni.
Dall’altra parte della barricata i militanti di Gaza hanno lanciato più di venti missili e svariati colpi di mortaio nel sud di Israele, mentre lo stesso premier Abu Mazen ha sollecitato Netanyahu a trovare i colpevoli della morte del giovane Mohammed, così come quest’ultimo aveva rivolto un simile appello al leader palestinese durante il rapimento dei tre ragazzi israeliani.
Questi eventi stanno scatenando un’ondata di revanscismo tra le due popolazioni: in Israele è stata aperta una pagina Facebook chiamata “Il popolo di Israele chiede vendetta” che in pochissimo tempo ha raccolto più di 35 mila “like”, come riporta il NY Times, che include foto dei soldati che posano con le loro armi, mentre si calcola che più di 50 mila persone hanno partecipato ai funerali dei tre giovani israeliani, in quella che è stata dichiarata una giornata di lutto nazionale.
Il governo israeliano è in difficoltà di fronte a questa ondata di razzismo contro gli arabi, il responsabile delle comunicazione di Netanyahu, Yoaz Hendel, ha dichiarato: “E’ incredibile come poche centinaia di ebrei razzisti possano causare così tanti danni al Paese. I risultati delle investigazioni sulla morte del ragazzo sono già irrilevanti. Dopo le foto di una folla urlante ‘Morte agli Arabi’ il danno è fatto”.
Sembra sempre più impossibile la convivenza tra le due popolazioni, con i palestinesi in balia della brutale offensiva israeliana, che a conti fatti potrebbe portare più danni che vantaggi innescando una reazione da parte di tutto il mondo arabo, e in particolare il vuoto creato da un’eventuale soppressione di Hamas potrebbe venire riempito dai molti gruppi jihadisti che operano in Medio Oriente, aggravando la situazione di Israele.
Così infatti si esprime Janiki Cingoli, direttore del Cipmo (Centro per la Pace in Medio Oriente), sulle colonne dell’HuffingtonPost: “Ci si deve chiedere, ammesso e non concesso che con questi mezzi si riesca a estirpare Hamas dalla Cisgiordania, chi riempirebbe il vuoto da esso lasciato, se le forze più moderate o non piuttosto i gruppi jihadisti e qaedista, come già successo in Iraq e Siria”.
Una minaccia seria che potrebbe trascinare definitivamente tutto il Medio Oriente in una guerra regionale senza proporzioni, il cui esito sarebbe del tutto incerto.

EGITTO
ANNIVERSARIO CON LE BOMBE / Il 30 giugno, nell’anniversario della prima grande manifestazione popolare che ha portato alla destituzione del presidente Mohamed Morsi, due poliziotti sono morti nell’esplosione di tre bombe al palazzo presidenziale del Cairo (nella foto), scrive MadaMasr. L’attacco era stato annunciato dal gruppo armato Ajnad Misr, che aveva fatto sapere di aver posizionato degli ordigni vicino all’edificio per colpire le forze di sicurezza. Due giorni prima dell’attentato, un’altra esplosione nella capitale aveva ucciso due donne.

LIBIA
BENGASI
Bengasi in lutto / Dal 25 giugno, giorno delle elezioni legislative, gli abitanti di Bengasi hanno assitito a una lunga serie di omicidi. Particolarmente doloro sa è stata la morte di Salwa Bugaighis avvocata, attivista per la democrazia e protagonista della rivolta contro Muammar Gheddafi. Bugaighis è stata uccisa davanti alla sua casa, dove stava rientrando dopo aver votato. Il 30 giugno le autorità libiche hanno deciso legalizzare le armi da fuoco. "In un paese dove ci sono tante armi quanti abitanti questa scelta può ricordare il gesto Richiude la stalla dopo che sono scappati i buoi , scrive Libya Herald. In realtà è un primo tentativo di controllare la diffusione delle armi.

NIGERIA
LA STRATEGIA DEI RAPIMENTI
Le forze di sicurezza nigeriane hanno annunciato il 30 giugno di aver smantellato una cellula terroristica di Boko haram. Il suo capo sarebbe l’imprenditore Babuji Ya’ari, che è accusato di aver partecipato al rapimento di 276 studentesse – per la maggior parte ancora in mano ai sequestratori – da una scuola di Chi bok, nello stato di Borno, nel nordest della Nigeria. Tra gli arrestati, ci sono anche delle donne. This Day scrive che il sospettato avrebbe coordinato numerosi attacchi usando come copertura la sua appartenenza alla Civilian Jtf, il gruppo di autodifesa formato dai cittadini di Maiduguri. In questa città il 30 giugno è esplosa una bomba che ha causato 18 vittime (nella foto, il luogo dell’esplosione, 1 luglio 2014). Il giorno prima 46 persone erano morte durante le incursioni di uomini armati in quattro villaggi vicino a Chibok. Un’inchiesta della Reuters sui finanziamenti a Boko haram ha stabilito che il gruppo si è arricchito con i rapimenti di stranieri e di ricchi nigeriani. I funzionari statunitensi impegnati nella lotta ai terroristi nigeriani stimano che ogni sequestro frutti un milione di dollari. Ma le autorità di Abuja e i governi stranieri faticano a tracciare le transazioni finanziarie del gruppo. Questo denaro infatti non è depositato nelle banche, ma è affidato a un sistema di corrieri che viaggiano nel paese e all’estero, sfruttando la scarsa sorveglianza ai confini.

SENEGAL
VITTORIA A METÀ / Sud Quotidien, Senegal / A due anni dalla sua elezione come presidente, Macky Sali ha dovuto affrontare il primo test delle urne il 29 giugno, quando si sono svolte le amministrative. Secondo Sud Quotidien Sali ha ottenuto un buon risultato: l’Alleanza per la repubblica (Apr), il partito fondato dal presidente nel 2008, ha vinto in più di quattrocento comunità, contro le 29 che controllava nel 2009. Ma il voto ha anche fatto emergere la fragilità del partito, indebolito dalle divisioni. Molte figure di primo piano dell’Apr hanno subito dure sconfitte. Tra loro, la prima ministra Aminata Touré, che nella capitale Dakar è stata superata dal candidato socialista Khalifa Sali. C’è stata anche una scarsa partecipazione dei giovani, "stanchi di una classe politica preoccupata solo dei suoi interessi", scrive il quotidiano Wal Fadjri

ERITREA
II 27 giugno il consiglio dei diritti umani dell’Orni ha aperto un’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani nel paese.

GUINEA EQUATORIALE
II 26 e il 27 maggio si è svolto a Malabo il vertice dell’Unione africana dedicato all’avanzata dei gruppi jihadisti in Africa. All’incontro era presente anche il segretario generale dell’Orni Ban Kimoon.

NIGER
Diciassette persone sono state arrestate il 26 giugno a Niamey per complicità nel traf¬fico di neonati dalla Nigeria.
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ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA, STATI UNITI, , NUOVA ZELANDA, CANADA
TISA: IL CONTRARIO DI PUBBLICO È SEGRETO / TISA («Trade In Service Agreement»). E’ un nuovo trattato super segreto che riguarda i mercati del settore dei servizi. Lo stanno negoziando nel massimo silenzio STATI UNITI, AUSTRALIA, NUOVA ZELANDA, CANADA, i 28 paesi dell’Unione Europea, SVIZZERA, ISLANDA, NORVEGIA, LIECHTENSTEIN, ISRAELE, TURCHIA, TAIWAN, HONG KONG, COREA DEL SUD, GIAPPONE, PAKISTAN, PANAMA, PERÙ, PARAGUAY, CILE, COLOMBIA, MESSICO E COSTA RICA. Ci sono interessi enormi in ballo: il settore servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70% del prodotto interno lordo globale (Autore: Marco Bersani*)
Come se non bastasse il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), ovvero il negoziato, condotto in assoluta segretezza, fra Usa e Ue per costituire la più grande area di libero scambio del pianeta, realizzando l’utopia delle multinazionali, un nuovo attacco ai beni comuni, ai diritti e alla democrazia è in corso con il TISA («Trade In Service Agreement»), un nuovo trattato, della cui esistenza si è venuti a conoscenza solo grazie ai «fuorilegge» di Wikileaks..
Si tratta –per quel che sinora è filtrato dalle segrete stanze– di un negoziato, che riprende in molte parti il fallito Accordo generale sul commercio e i servizi (Agcs), discusso per oltre 10 anni e con durissime contestazioni di piazza all’interno del Wto.
Fallito quello che doveva essere un accordo globale, le grandi élite politico-finanziarie hanno da tempo optato per accordi tra singoli paesi o per aree, dove far rientrare dalla finestra, grazie all’assoluta opacità con cui vengono condotti gli stessi, ciò che le mobilitazioni sociali dei movimenti alter mondialisti avevano caciato dalla porta.
A sedere al tavolo delle trattative per il nuovo trattato sono i paesi che hanno i mercati del settore servizi più grandi del mondo: Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada, i 28 paesi dell’Unione Europea, più Svizzera, Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Israele, Turchia, Taiwan, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone, Pakistan, Panama, Perù, Paraguay, Cile, Colombia, Messico e Costa Rica. Con interessi enormi in ballo: il settore servizi è il più grande per posti di lavoro nel mondo e produce il 70% del prodotto interno lordo globale; solo negli Stati Uniti rappresenta il 75% dell’economia e genera l’80% dei posti di lavoro del settore privato.
L’aspetto più incredibile di quanto rivelato dai documenti in possesso di Wikileaks è il fatto di come non solo il negoziato si svolga in totale spregio di alcun diritto all’informazione da parte dei cittadini, bensì sia previsto, fra le disposizioni contenute, l’impegno da parte degli Stati partecipanti a non rivelare alcunché fino a cinque anni dopo la sua approvazione!
Una nuova ondata di liberalizzazioni e di privatizzazione di tutti i servizi pubblici si sta dunque preparando e, non a caso, la prima tappa di questa trattativa – avvenuta nell’aprile scorso e finita nelle provvidenziali mani di Wikileaks — ha riguardato la liberalizzazione dei servizi e prodotti finanziari, dei servizi bancari e dei prodotti assicurativi: non sia mai che la crisi, provocata esattamente dalle banche e dai fondi finanziari, rimetta in discussione la totale libertà di movimento e di investimento dei capitali finanziari in ogni angolo del pianeta.
Per quel che si è riusciti a sapere, proprio in questi giorni si sta svolgendo un secondo incontro ed è assolutamente evidente come ad ogni tappa verrà posta l’attenzione su un settore di servizi, fino a comprenderli tutti: dall’acqua all’energia, dalla sanità alla scuola, dai trasporti alla previdenza.
Un mondo da mettere in vendita, attraverso la trappola del debito pubblico e le politiche di austerità, attraverso il TTIP e il TISA, per permettere al modello capitalistico di uscire dalla crisi sistemica, con un rilancio dei mercati finanziari, che, dopo aver investito l’economia, ora hanno puntato gli occhi sulla società e la vita, sui diritti, i beni comuni e la natura.
Per farlo, devono sottrarsi ad ogni elementare regola di democrazia e rifugiarsi nella segretezza: ma come i vampiri della notte non reggono la luce del giorno, così i piani delle élite possono essere sconfitti da una capillare informazione e da una ampia e determinata mobilitazione sociale. È ora di muoversi. * Attac Italia

GIAPPONE
ADDIO ALL’ARTICOLO 9
Il i luglio 2014 il governo di Tokyo ha approvato una riforma che cambia radicalmente l’interpretazione della costituzione pacifista. La nuova lettura dell’articolo 9, che limitava la libertà d’intervento dell’esercito, è appoggiata dagli Stati Uniti e dà più potere alle forze armate giapponesi, che potranno partecipare alle missioni internazionali al fianco degli alleati. Il via libera del governo è arrivato nonostante le manifestazioni di protesta e l’immolazione di un uomo a Tokyo, di cui la tv di stato Nhk non ha dato notizia. "Per rafforzare le capacità di difesa", scrive il Mainichi Shimbun, "non era necessario abrogare la limitazione alle operazioni collettive, bastava migliorare le forze esistenti. La modifica dell’articolo 9 è una mossa dalla quale non si torna indietro e a cui potrebbe seguire una svolta militarista". "Il governo sta rapida-mente cambiando la costituzione del paese", scrive il Tokyo Shimbun. "Dalla fine del 2013 è stata introdotta la legge sul segreto di stato, è stato creato il consiglio nazionale per la sicurezza ed è stata approvata la nuova strategia militare che aumenta l’esportazione delle armi". Per l’Asahi Shimbun "la nuova interpretazione della costituzione è di fatto una revisione. Questa riforma, fatta in fretta e nonostante il parere contrario della maggior parte dei cittadini, è una minaccia per la democrazia.

HONGKONG
ARRSTI A TAPPETO. Almeno 500 persone sono state arrestate a Hong Kong nella notte tra il 1 e il 2 luglio per aver partecipato a una protesta del movimento Occupy centrai in favore del suffragio universale davanti alla sede del governo locale. Prima del sit-in, decine di migliaia di cittadini avevano partecipato alla tradizionale marcia per la democrazia nell’anniversario del ritorno di Hong Kong sotto la sovranità cinese. I manifestanti vorrebbero che 1 candidati alle elezioni del 2017 fossero scelti dai cittadini e non da un gruppo di 1.200 persone vicine a Pechino. Sulla questione a fine giugno Occupy ha organizzato un referendum a cui hanno partecipato Scornila persone

CINA
UN’ESPULSIONE ECCELLENTE / Il 30 giugno il generale in pensione Xu Caihou è stato espulso dal Partito comunista con l’accusa di corruzione. Già componente del politburo e vicepresidente della commissione mili-tare centrale, Xu è il militare di grado più alto a finire sotto in-chiesta negli ultimi trent’anni, scrive Caixin. È inoltre il più importante esponente dell’esercito coinvolto nella campagna anticorruzione lanciata dal presidente Xi Jinping. Al termine di un’inchiesta avviata il 15 marzo sarebbero emerse prove del fatto che il generale ha sfruttato il suo ruolo di supervisore delle nomine nell’esercito per gestire le promozioni e ricevere soldi per sé e i suoi familiari. Xu, considerato un protetto dell’ex presidente Jiang Zemin, dovrà ora affrontare la corte marziale. Insieme a Xu sono stati espulsi dal partito altri tre alti funzionari e dirigenti delle aziende di stato, considerati vicini all’ex capo della sicurezza Zhou Yongkang

AFGANISTAN
ASPETTANDO IL PRESIDENTE
Dopo le polemiche seguite al ballottaggio del 14 giugno, Abdullah Abdullah, candidato alla presidenza che aveva denunciato gravi brogli a favore del suo avversario Ashraf Ghani, ha ab-bassato i toni. Abdullah, che alla vigilia del voto era dato per favo-rito, si è detto pronto ad accettare un’eventuale sconfitta purché ci sia la garanzia della regolarità del voto. Secondo Abdullah, sarebbero due milioni le schede precompilate a favore di Ghani. Una denuncia di brogli è arrivata anche da Ghani e, scrive la Bbc, è stata confermata dagli osservatori. Un milione di schede sarà RI conteggiato e la pubblicazione dei risultati parziali, attesi inizialmente per il 2 luglio, sarà posticipata.

BIRMANIA
II 2 luglio centinaia di buddisti hanno danneggiate una moschea e alcuni negozi d musulmani a Mandalay, la seconda città del paese. Le violenze sono scoppiate quando si è sparsa la voce, non confermati di uno stupro commesso da di musulmani.

INDIA
II 2 luglio il governo ha convocato un diplomatico statunitense dell’ambasciata di Ne Delhi per protestare contro le intercettazioni dell’Nsa nei cc fronti del Bharatiya janatpa; del premier Narendra Modi.
Almeno 40 persone sono morte il 28 giugno nel crollo c un edificio a Chennai.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
URUGUAY
LA LUNGA CORSA DELL´EX TUPAMARO. Un libro su Pepe Mujica Autore: GERALDINA COLOTTI
VIVE IN UNA CASA di campagna, con una cagnetta zoppa e un maggiolino azzurro. E con la compagna di tutta una vita, durante la quale ha cercato d’incidere sulla realtà del paese. Con tutti i mezzi, politici e militari. Parliamo di José Mujica, detto «Pepe», attuale presidente dell’Uruguay. Un ex dirigente del movimento guerrigliero Tupamaros che, come la moglie Lucia Topolansky, ha trascorso una parte della sua esistenza in carcere. Il presidente impossibile, lo definisce il libro di Nadia Angelucci e Gianni Tarquini, in questi giorni in libreria per Nova Delphi con una prefazione di Erri De Luca. Una biografia veloce e precisa che spazia fra aneddoti, attualità e storia. L’intervista a Lucia Topolansky, attuale presidente del parlamento, dà il tocco finale a un libro che stimola un arco di temi ben oltre il contesto e i personaggi. «PEPE MUJICA, DA GUERRIGLIERO A CAPO DI STATO», recita il sottotitolo del volume. Com’è potuto accadere, in quale mutamento di scenario, con quali costi e ricavi? Qual è il discorso di Mujica oggi, a chi si rivolge davvero? Le sue parole, pronunciate a braccio al G20 del 2012 in Brasile hanno infiammato la rete e i movimenti: «La grande crisi non è ecologica, ma politica – ha detto ai capi di stato – L’uomo non governa oggi le forze che ha scatenato, sono le forze che ha scatenato a governare l’uomo». Una radicalità molto lontana, però, dalla realtà politica dell’Uruguay. A chi fa gioco, in fondo, il «presidente più povero», che affascina stuoli di giornalisti ed è persino in odore di Nobel? Con rispetto, ma senza omissioni, i due autori scavano nella storia recente dell’Uruguay e in quella dei Tupamaros, inquadrandone nascita, sviluppo e parabola nello scenario internazionale. La scelta delle armi avviene sull’onda della rivoluzione cubana, vittoriosa e decisa a estendersi nel continente attraverso la teoria guevarista del «foquismo», fuochi di guerriglia da innescare in ambito rurale. All’Avana, nell’agosto del 1967, durante la Conferenza dell’Organizzazione latinoamericana di solidarietà (Olas) è stato votato a maggioranza un documento che sostiene «la necessità della lotta armata nel continente». Ma, come ricordano gli autori, il leader del Partito comunista uruguayano, Rodny Arismendi – come altri Pc latinoamericani – ha espresso il suo disaccordo. I Tupamaros nascono all’interno di quella rottura e dei suoi effetti (Che Guevara morirà in Bolivia il 9 ottobre di quell’anno), e nonostante i dubbi avanzati dallo stesso Fidel Castro: «Il tuo paese – dice Fidel a un giornalista uruguayano – non possiede le condizioni geografiche per la lotta armata. Non ha montagne. Non ci sono boscaglie. Non si può realizzare una guerriglia. Ci sono, certo, masse attive e politicizzate… alcune condizioni ci sono… ma è circondato da due colossi, non durerebbe più di due giorni». I Tupa scommettono sulla guerriglia urbana, agendo su quelle «masse attive e politicizzate», forti del ciclo di lotte che attraversa fabbriche e campagne e al cui interno hanno già iniziato a fare esperienza di azioni illegali. Centrale per la fondazione del Movimiento de Liberacion Nacional- Tupamaros (1965), è il movimento di massa organizzato da Raul Sendic con i lavoratori della canna da zucchero (i cañeros). Con l’appoggio dei braccianti, Sendic – figura storica dei Tupa, ex militante del Partito socialista, morto nell’89 – lotta per recuperare la terra al latifondo e assegnarla alle cooperative dei contadini. Il movimento nasce quindi al punto di più alta confluenza tra lotte sindacali e lotte rurali, e compie la sua prima azione di esproprio a favore dei cañeros: non proprio un successo sul piano militare, ma l’avvio di una sperimentazione in crescendo. Allora è il 1962. Mujica (nato nel ’35) fa lavoro legale nel quartiere ma al contempo organizza la logistica per l’azione. Per sfuggire alla repressione, diversi gruppi si stanno preparando alla clandestinità pur mantenendo, come Sendic, un piede nel lavoro legale e anche elettorale. Poi, dopo un periodo di rapine e piccole azioni, si fa strada la storia dei Tupamaros, che raggiunge il picco di forza e consenso tra il 1970 e il ’71. Nelle «prigioni del popolo» finiscono impopolari pezzi da novanta del sistema politico o giudiziario. Il 31 luglio del 1970, il sequestro di Dan Mitrione, torturatore della Cia che sta applicando la «scuola di Washington» nel continente latinoamericano, porta i Tupa all’attenzione internazionale. «Il dolore preciso, nel momento preciso, nella quantità necessaria all’effetto desiderato», insegna Mitrione agli allievi mentre tortura mendicanti rapiti per strada. Il regista Costa Gravas ne ha raccontato la fine nel film L’Amerikano, del ’73. A Montevideo, Mitrione dirige l’Oficina de Seguridad Publica. Ufficialmente si tratta di un ufficio dell’Agenzia per lo sviluppo Internazionale degli Usa (Usaid), ma dipende da Byron Engle, alto dirigente della Cia a Washington . Un episodio emblematico nel quadro dello scontro senza quartiere tra due mondi inconciliabili che ha animato il grande Novecento. E che ha rimesso al centro del gorgo vecchi e nuovi temi. Washington punta sulle dittature sudamericane degli anni ’70-’80 per mantenere il suo «cortile di casa». Nella guerriglia, già provata, emergono conflitti e problemi. L’accumulo di forze realizzato, il suo impossibile impiego al di fuori e all’interno delle strutture armate, diventa un invaso in un imbuto. La storia dei Tupamaros si sviluppa e si consuma durante la crescita del potere militare che s’impadronisce del paese nel luglio 1973. Gli squadroni della morte impegnano il movimento in una lotta senza quartiere, la maggior parte del quadro dirigente va in carcere o muore. Il mese successivo al colpo di stato, i Tupamaros formano la Giunta Coordinata Rivoluzionaria con altri gruppi della sinistra politica che continuano le azioni di guerriglia urbana nel Cono Sur. L’anno dopo si scatena in tutto il continente l’Operazione Condor, l’organizzazione criminale a guida Cia volta a raggiungere gli oppositori politici alle dittature ovunque si trovino. Mujica viene arrestato per la quarta volta nel ’72, dopo essere fuggito dalla prigione di Punta Carretas l’anno prima. Sotto il governo di Jorge Pacheco Areco, che ha sospeso le garanzie costituzionali, viene rimandato in carcere da un tribunale militare. Dopo il golpe, viene trasferito in una prigione militare insieme agli altri dirigenti Tupa. Per 11 anni, sei mesi e sette giorni, nel completo isolamento di un buco sotterraneo, saranno i rehenes, gli ostaggi da uccidere in caso di azioni militari del movimento fuori. Nel 1985, con il ripristino della democrazia costituzionale, vengono liberati da un’amnistia che rende intoccabili i golpisti. Costruiscono allora il proprio rientro nella vita politica, che porterà Mujica alla presidenza, all’interno del Frente Amplio, il 1° marzo del 2010. Oggi, Mujica e i suoi ex compagni parlano di «complementarietà delle parti sociali», di «governo del mercato», di microcredito e di «Tupa bank». E, dall’impostazione del volume, si capisce che agli autori piace recuperare il lato libertario e mutualista di Mujica, da lui stesso messo in avanti in diverse dichiarazioni pubbliche. In controluce, un filo lega «l’impossibile» presidente all’influenza esercitata su di lui da un vecchio anarchico carcerato, il riscatto dei cañeros alle cooperative costruite oggi in Uruguay, e interpretate come embrione di «autorganizzazione operaia». Resta che, nel piccolo paese sudamericano (tre milioni di abitanti) le conquiste in campo sociale (aborto, marijuana legalizzata e matrimoni omosessuali), fortemente volute da Pepe, non rispecchiano un cambio di indirizzo strutturale a favore delle classi popolari. Mujica ha finito il suo mandato. Alle elezioni del 26 ottobre, il Frente Amplio torna a candidare il più moderato ex presidente Tabaré Vazquez, già contrario all’aborto e più vicino al Fondo monetario internazionale. Ai primi di giugno, le primarie hanno registrato l’altissima disaffezione degli uruguayani per la politica elettorale. «Siamo al governo in rappresentanza di una forza molto eterogenea… Il mio obiettivo è quello di lasciare un Uruguay un po’ meno ingiusto, di aiutare i più deboli e creare un nuovo modo di far politica», ha dichiarato Pepe in una delle sue versioni più «realiste». Pepe Mujica è il Mandela vivente dell’America latina – scrive Erri De Luca –, lui e il «suo nuovo Uruguay democratico inaugurano il tempo moderno e il futuro praticabile». Pepe è il compagno rimasto integro, «che ognuno avrebbe voluto a fianco e che molti hanno conosciuto sotto diversi nomi». Nel secolo delle rivoluzioni. Il libro sarà presentato a Roma il 3 luglio alla libreria Arion di Palazzo delle Esposizioni (via Milano, 15/17) ore 18. Saranno presenti gli autori.

ECUADOR
IL GIORNALE HOY NON ESCE PIÙ / "La lotta tra il governo ecuadoriano di Rafael Correa (nella foto) e i mezzi d’informazione ha fatto una nuova vittima", scrive La Nación. Il 29 giugno il quotidiano Hoy, fondato 32 anni fa, ha annunciato che non potrà più pubblicare l’edizione cartacea. In un editoriale, Hoy ha spiegato i motivi della decisione: "Le restrizioni previste dalla Ley de comunicación (approvata nel 2013), il boicottaggio della pubblicità e altri ostacoli ai nostri tentativi di finanziarci ci obbligano a sospendere la stampa del quotidiano". Il presidente Correa sostiene che alcuni giornali di proprietà di privati cercano di destabilizzare il suo governo

CUBA
Google in visita
Internet non funziona ancora bene a Cuba, ma Google è già arrivato",

VENEZUELA
Autore: fabrizio salvatori
VENEZUELA, VINAGRETA TRA I COLLABORATORI DI MADURO PER LA RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
E’ Orlando Borrego, un economista cubano di 78 anni noto per aver collaborato con Ernesto ‘Che” Guevara, l’uomo scelto da Maduro per avviare un programma di "revisione in profondita’" del funzionamento del suo governo, già dalla prima meta’ del mese di luglio.
"Orlando Borrego, piu’ noto come ‘Vinagreta’, e’ stato incluso in una squadra speciale, insieme al ministro della Pianificazione, Ricardo Menendez, il ministro del Lavoro, Jesus Martinez, “e altri compagni per preparare un insieme di piani che comportano una rivoluzione totale e profonda della pubblica amministrazione", come ha annunciato Maduro.
Borrego ha combattuto durante la Revolucion nella cosiddetta Colonna Otto, agli ordini del Che’ Guevara, guadagnandosi il grado di primo tenente e dopo il trionfo di Fidel Castro ha occupato diversi incarichi di governo, fra i quali quello di ministro per l’Industria dello zucchero (1964-68), ha ottenuto un dottorato in Scienze Economiche dell’Accademia delle Scienze dell’Urss nel 1980 e attualmente lavora come docente e consigliere del ministero cubano dei Trasporti.
"Analizzeremo tutto, ci riuniremo con i vicepresidenti e i ministri, dicastero per dicastero, per vedere come va ogni progetto", ha promesso Maduro nel suo consueto programma radiofonico settimanale, durante il quale ha sottolineato che "e’ necessario voltare pagina e scordare gli scontri e le lettere: ora basta, ci siamo detti quello che avevamo da dirci, ma ora la mano e’ tesa verso tutti i compagni". Parlando delle "lettere" l’erede di Chavez alludeva all’ondata di critiche scatenata da una lettera aperta di Jorge Giordani, l’ex ministro della Pianificazione considerato il padre del modello economico chavista, nella quale denunciava "un vuoto di potere nella presidenza" e una corruzione crescente nei quadri del governo.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
DETROIT
CAPITALE USA DELLA POVERTÀ: LE COMPAGNIE TAGLIANO LE FORNITURE DELL’ACQUA A 150 MILA MOROSI
Detroit è una delle città più povere degli Stati uniti. E’ la metropoli, tanto per dirne una, in cui l’amministrazione è stata costretta ad un default di più di 20 miliardi un anno fa circa. Ebbene, in questa situazione di estremo degrado a migliaia di residenti le varie compagnie che gestiscono la distribuzione dell’acqua hanno pensato bene di interrompere la fornitura.
Una coalizione di attivisti ha lanciato un appello alle Nazioni Unite affinche’ intervengano in difesa degli abitanti. In ballo, infatti, c’è una palese violazione dei diritti umani. Tante famiglie – hanno scritto gli attivisti in una lettera inviata allo Special Rapporteur on the Human Right to Safe Drinking Water and Sanitation – hanno abbandonato le loro case dopo aver trascorso oltre un anno senza acqua. Per gli attivisti si tratta di una grave violazione dei diritti umani, e per questo hanno chiesto alle Nazioni Unite di fare pressione sul governo federale americano e sullo stato del Michigan, affinche’ affrontino il problema. Secondo gli attivisti a rischiare il blocco dell’erogazione sono circa 150mila cittadini, su una popolazione complessiva che prima del default ammontava a più di sette milioni.
"Non vogliamo togliere l’acqua a nessuno, ma se non vengono saldate le bollette e’ nostro dovere interrompere il servizio, altrimenti saranno altre persone a pagare per gli insolventi, e questo non e’ giusto", ha commentato Curtrise Garner, portavoce del Detroit Water and Sewerage Department (Dwsd). Secondo il Detroit Free Press, oltre la meta’ dei 323 mila utenti erano in ritardo sui pagamenti di marzo, causando al Dwsd un sospeso di 175 milioni di dollari. (di fabio sebastiani)
STATI UNITI
Misure urgenti peri migranti 1130 giugno il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha
annunciato che userà un ordine esecutivo per superare l’immobilismo del congresso sulla riforma dell’immigrazione e modificare la legislazione attuale. Obama, spiega il New York Times, ha preso questa decisione in seguito alle pressioni dei governatori degli stati del sud, che chiedono nuove misure per fronteggiare il crescente flusso in aumento di migranti (soprattutto minori) che cercano di entrare negli Stati Uniti dal Messico.
USA
SENTENZA RELIGIOSA
IL 30 giugno la corte suprema statunitense ha stabilito che includere 1 contraccettivi tra le spese coperte dalle assicurazioni sanitarie dei dipendenti di aziende private Baarack Obama), viola le leggi federali che proteggono la liberta religiosa. La corte, spiega Mother Jones si f pronunciata dopo il ricorso presentato da Hobby Lobby una catena di supermercati con più di ventimila" evangelico. La sentenza si applica alle società per azioni con un numero limitato di soci.

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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