11219 “Emigriamo di nuovo ?” Analisi della nuova emigrazione italiana

20140629 11:44:00 redazione-IT

[b]Uno spazio di approfondimento nell’ambito della riunione della [u]Consulta degli emiliano-romanoli nel mondo[/u] sulle nuove forme di mobilità in uscita dal nostro Paese. Un punto di partenza per comprendere meglio il fenomeno, ragionare sui possibili effetti di impoverimento che esso provoca all’Italia e tentare il recupero di un dialogo utile, se possibile, al rientro, ma soprattutto ad un ripensamento del nostro modello economico, culturale e politico[/b]

BOLOGNA – Un seminario di approfondimento sulle nuove forme di mobilità in uscita dal nostro Paese, partenze in aumento in questi ultimi anni e che coinvolgono sempre più spesso giovani altamente qualificati, si è svolto stamani nell’ambito della riunione della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo, i cui lavori proseguono sino a domani a Bologna.
L’iniziativa, intitolata [b]“Emigriamo di nuovo? Analisi della nuova emigrazione italiana”[/b], nasce dal convincimento che la prepotente ripresa dei flussi migratori dall’Italia non sia unicamente un portato dei mutamenti – sicuramente epocali – innescati dalla globalizzazione, ma il risultato di una serie di fattori determinati anche da ciò che il nostro Paese è diventato.

Fattori sicuramente aggravati dalla crisi economica e la cui presa di consapevolezza è fondamentale per cercare di risalire la china e fermare quella che alcuni dei relatori nel corso dell’incontro definiscono “un’emorragia” di talenti, energie e speranze che non aiuta il rinnovamento del Paese.

Spiega il senso dell’incontro la presidente della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo, Silvia Bartolini, che ritiene necessario produrre una “fotografia realistica dei nuovi fenomeni migratori” proprio per “riordinare il lavoro delle consulte regionali” – il seminario, spiega, è anche un momento di coordinamento della Consulta con analoghi organismi di altre Regioni, – chiamate a far fronte ad un fenomeno ritenuto “allarmante”. “Non tutti i nostri giovani partono con quelle certezze che molti credono di dare per scontate – afferma Bartolini, riferendosi all’atteggiamento di coloro che riconducono le nuove mobilità alla naturale circolazione di giovani ricercatori, per cui è tappa essenziale di crescita professionale e formativa il lavoro in ambiti fortemente connotati da internazionalità che il più delle volte è sinonimo di innovazione ed eccellenza. Necessario infatti allargare lo sguardo alla variegata realtà che lascia il nostro Paese: “spesso anche le ragioni della partenza sono difficili – ricorda Bartolini, che segnala come l’obiettivo prioritario debba essere la costruzione di una rete capace di garantire un servizio di informazione rivolto alla nuova emigrazione, di aiuto e di supporto. Una rete fatta di associazioni e istituzioni che lavorano insieme per offrire un sostegno e nello stesso tempo l’articolazione di un “canale di fiducia e di speranza” che possa consentire a chi parte di non sentirsi abbandonato e di tornare indietro, nel caso lo voglia fare. Una proposta di lavoro “concretissima” che nasce a partire da questo seminario e in vista degli Stati generali dell’associazionismo migratorio, riunione in fase di preparazione proprio in questi mesi. E di rischio “depauperamento” per il nostro Paese parla anche Luisa Babini del Comitato esecutivo della Consulta e moderatrice della mattinata di interventi, che ritiene il fenomeno della nuova emigrazione sottovalutato nel dibattito pubblico. “I giovani che se ne vanno sono quelli che abbiamo formato, su cui abbiamo investito e che vanno a dare il meglio di loro stessi all’estero. Perdiamo in questo modo – segnala – tutte le loro conoscenze, capacità, professionalità, ma anche la loro voglia di fare, la loro energia e capacità di cambiare il nostro Paese. Certo, il mondo oggi è molto cambiato, ma molti se ne vanno dall’Italia perché sono costretti – rileva Babini, che ritiene necessario interrogarsi sul perché di questa costrizione e soprattutto su cosa fare per cercare di arginarla.

Ha ricordato come in realtà l’emigrazione italiana all’estero non sia mai cessata Delfina Licata, curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, analisi che grazie alla sua continuità nel tempo – il primo Rapporto è stato pubblicato nel 2006 – consente di cogliere la dimensione storica del fenomeno e anche i suoi mutamenti. Si rileva quindi il peso che la crisi economica ha avuto nell’incremento dei flussi in partenza registrato in questi ultimi anni: cresce il saldo negativo tra coloro che lasciano il nostro Paese e coloro che si iscrivono alle anagrafi dei Comuni italiani. Nello stesso tempo si trasformano in parte anche le rotte migratorie, che aumentano in aree prima poco frequentate, come l’Asia (cresce la presenza italiana secondo l’ultima rilevazione disponibile di circa un 8% e il Dossier ha recentemente condotto, per analizzare meglio il fenomeno, una ricerca sulla collettività di italiani residenti in Cina) e l’origine regionale dei flussi migratori – proviene dal Meridione la maggior parte degli oltre 4 milioni di iscritti all’Aire, l’Anagrafe italiana dei residenti all’estero, ma nell’ultimo biennio la maggior parte delle partenze ha interessato Lombardia, Veneto e Sicilia. Risulta tuttavia difficile ritracciare l’origine dei flussi in Italia – segnala Licata – anche per la forte migrazione interna che contraddistingue il nostro Paese. L’allarme sociale avvertito e rilanciato dalla Migrantes è però relativo alla “mancanza di attrattività esercitata dal nostro Paese”, “la mancanza di una prospettiva di ritorno per i tantissimi giovani che oggi partono – segnala la curatrice del Rapporto Italiani nel mondo, soffermandosi poi su alcuni dati relativi ai titoli di studio posseduti: il 22% di coloro che lasciano l’Italia è laureato, il 28% diplomato – ma di essi ben l’83% ha cominciato a frequentare l’università per poi abbandonarla prima della partenza. “Questo vuol dire che c’è una forte emigrazione di persone, quasi una sorta di semilavorato, che finisce per essere plasmato fuori dai confini nazionali e di cui perdiamo completamente le tracce – avverte Licata, segnalando anche la crescita esponenziale di minori che lasciano il Paese (si passa dallo 0,3% del 2010 al 24% nel 2011 di minori aventi la sola licenza media). Un problema capire, ancora una volta per assenza di dati, di che tipo di emigrazione si tratti: se di minori che lasciano il Paese con le famiglie – e molte sono le famiglie divise, che non vivono il quotidiano, con uno dei due genitori all’estero per lavoro e il coniuge rimasto nella località di origine con i figli, – oppure di giovani che partono con gli autobus che dal Meridione ricominciano a trasportare uomini in cerca di un lavoro in Nord Europa. Richiamata infine la rete della Migrantes, che “con oltre 375 missioni cattoliche di lingua italiana all’estero e 200 uffici diocesani in Italia riesce a cogliere realtà che molto spesso i dati non forniscono”, contribuendo a tratteggiare un quadro del fenomeno utile all’articolazione di politiche più rispondenti ai mutamenti occorsi. Segnalato anche l’incremento del numero dei pensionati che emigrano all’estero alla ricerca di un tenore di vita migliore. Tra le altre ricerche condotte, una realizzata con le Acli riguarda le condizioni di vita e lavoro dei giovani italiani in Europa al tempo della crisi ed evidenzia come la risposta più comune sia un contenimento delle spese relative a telefono, riscaldamento e cure per giovani under 35 il cui unico ammortizzatore sociale torna ad essere la famiglia di origine e una, infine, la collettività di professionalità altamente qualificate presenti a Washington e Baltimora, giovani che “non vogliono definirsi cervelli in fuga ma talenti capaci di scegliere e in cerca di opportunità”, “persone normali con lavori straordinari” e che “sentono non tanto l’appartenenza all’Italia quanto al loro territorio di origine”. Sono contributi che evidenziano da un lato la “carenza del dato” sottolineata anche da Licata con riferimento in particolare all’Aire, anagrafe che non riesce – così come è strutturata – a cogliere la dimensione di questa nuova emigrazione e quanto le diverse realtà territoriali possano fare per recuperare un dialogo con i concittadini sparsi in giro per il mondo.

Dialogo che la Regione Umbria ha instaurato con il progetto “Brain Back Umbria” illustrato ai presenti da Anna Ascani, direttrice dell’Agenzia Umbria Ricerche. Il progetto, collegato ad un sito internet dedicato, ha consentito di sottoporre un questionario ai giovani corregionali emigrati all’estero, cui sono stati chiesti i motivi della partenza ed anche suggerimenti per azioni che potessero incentivare un loro possibile rientro. In parallelo la Regione ha bandito un concorso di idee – con fondi europei – per favorire il rientro di giovani imprenditori interessati a avviare una start up in loco e che sono stati seguiti in questi primi passi (11 i giovani rientrati in quest’ambito, grazie anche allo stanziamento di un contributo a fondo perduto di 20mila euro). Grazie alle risposte ottenute dal questionario – oltre 1000 – è stato anche creato un database delle professionalità umbre presenti all’estero, utili quale supporto per l’internazionalizzazione delle imprese (progetto che ha ricevuto il Premio Uim 2013). Infine, Ascani si sofferma su un’altra iniziativa rivolta ai corregionali all’estero del mondo della ricerca e dell’università e che punta al loro coinvolgimento nella preparazione di progetti che possano essere presentati in ambito europeo, eventualmente realizzati poi con il contributo di imprese presenti sul territorio regionale.

Ha illustrato l’attività dell’associazione Italents Paolo Balduzzi, ricercatore in Scienze delle Finanze presso l’Istituto di Economia e Finanzia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sodalizio impegnato anch’esso nella raccolta di dati e contatti con la nuova emigrazione italiana all’estero ma anche con coloro che sono rientrati in Italia dopo un’esperienza migratoria. Balduzzi illustra in particolare i dati emersi dai questionari sottoposti a milanesi residenti all’estero – ma sono in corso di elaborazione analisi riguardanti Torino, Napoli, Belluno – o rientrati a Milano dopo un periodo di residenza all’estero: ne emerge un quadro di titoli di studio e professionalità elevate, in cui l’articolarsi di progetti familiari sedimenta la residenza all’estero. Per Balduzzi, inoltre, i dati Aire oltre che sottostimare a livello quantitativo i connazionali effettivamente residenti all’estero, non forniscono informazioni come il tipo di occupazione svolta, la retribuzione, il tipo di carriera scolastica conseguita e altri che sarebbero invece utili per “disegnare politiche di rientro, incentivo o gestione del fenomeno efficienti ed efficaci”.

Maria Chiara Prodi, componente estera della Consulta e fondatrice di Exbo, la rete dei bolognesi nel mondo, spiega nascita e finalità di quest’ultima, definita “una rete internazionale di esposizione universale della città”. Alla base, dunque, la consapevolezza di quanto i bolognesi all’estero siano portatori di un’immagine della città e dell’intero Paese nei luoghi in cui vivono, “non risorse perse – dice, – ma risorse sparse”, su cui poter continuare a contare. “Sin dall’inizio siamo stati accomunati dall’orrore per il termine cervelli in fuga, perché crea muri inutili tra chi parte e resta, suggerendo l’immagine di una separazione tra chi scende a compromessi e chi ha abbandonato la nave e questo finisce per avere effetti deleteri sulle relazioni umane – spiega Prodi, che segnala alcune attività svolte per far conoscere le caratteristiche della nuova emigrazione italiana all’estero ma anche consentire l’approfondimento di temi importanti, come lo stesso fenomeno dell’emigrazione tradizionale, “spesso ignorato da chi oggi lascia l’Italia, che ignora allo stesso modo – aggiunge – gli organismi di rappresentanza dell’emigrazione come Comites e Cgie e difficilmente vede la rete consolare quale punto di riferimento”. Le motivazioni di chi emigra per Maria Chiara Prodi la dicono lunga sul nostro Paese, sulla difficoltà di trovare in esso il luogo dell’autorealizzazione personale e professionale, sulle ragioni del suo scarso appeal, ma se da un lato è importante il contributo dei dati – la fondatrice di Exbo sollecita una ripensamento dell’Aire che possa restituire una fotografia non falsata della presenza italiana all’estero, magari attraverso l’informatizzazione dell’elenco, – altrettanto essenziale è ascoltare le “voci” della nuova emigrazione. “Chi parte è abituato a risolvere i problemi da solo, manca l’effetto di un impegno collettivo sui problemi interni dell’Italia, il contributo che potremmo dare sui temi europei e sui temi degli italiani all’estero – afferma la Maria Chiara Prodi, che segnala come in assenza di una più completa iscrizione all’Aire gli stessi Comites e Cgie, una volta rieletti, non risulteranno rappresentativi della nuova emigrazione e mancherà dunque la presenza delle “voci” sopra richiamate e il loro possibile contributo ai temi dell’emigrazione.

Da segnalare nel corso del dibattito anche l’intervento di Silvana Mangione, vice segretario generale del Cgie per i Paesi anglofoni extraeuropei, che ha ricordato come persista una non corrispondenza tra i nomi presenti nell’Aire e quelli degli schedari consolari, augurandosi di giungere alla realizzazione di uno schedario elettronico a cui ognuno possa accedere con sicurezza per modificare la propria posizione. Richiamate inoltre le difficoltà connesse all’introduzione del voto elettronico per il rinnovo dei Comites – voto che si potrà esercitare solo recuperando una password presso il proprio consolato di riferimento, – e che si inseriscono, rileva, in una fase di più generale messa in discussione degli organismi di rappresentanza degli italiani all’estero, che interessa sia quelli intermedi, come i Comites, che i parlamentari eletti nella circoscrizione Estero. E questo “proprio mentre gli altri Paesi, come la Francia, imitano il nostro sistema – segnala Mangione, rilevando come i francesi all’estero abbiano votato per organismi analoghi ai Comites in occasione delle recenti elezioni europee. “Noi invece abbiamo speso circa 12 milioni di euro per allestire i seggi presso i consolati in cui hanno votato alle elezioni europee circa l’8% degli aventi diritto, una cifra che supera i 9 milioni di euro destinati all’insegnamento di lingua e cultura italiana all’estero – sottolinea il vice segretario del Cgie, che ribadisce come la parola chiave sia oggi quella di “inclusione” e come vecchia e nuova emigrazione debbano lavorare insieme per far capire il ruolo della presenza italiana all’estero e concorrere allo stesso modo al rinnovo di Comites e Cgie.

(Viviana Pansa – Inform/Eminews)

http://emilianoromagnolinelmondo.regione.emilia-romagna.it/

 

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