11217 «Più diritti, meno frontiere»….

20140626 15:45:00 red-emi

1 – SVIZZERA. Il governo accoglie le domande dei richiedenti asilo
2 – La protesta dei No border: «Più diritti, meno frontiere». In piazza / FUORI DAL CONSIGLIO D’EUROPA LE VOCI DEL CORTEO DEI MIGRANTI.
3 – Gioco delle parti sull’immigrazione / La bozza di documento elude i nodi irrisolti alla base del conflitto tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa

1 – SVIZZERA / Il governo accoglie le domande dei richiedenti asilo.
La frontiera elvetica cede al «No borders train» E’ stata un piccola ma significativa vittoria dei manifestanti partiti sabato da tutta Italia. E oggi e domani a Bruxelles due giorni di proteste in occasione del vertice del Consiglio europeo sul rafforzamento di Frontex
La bozza di risoluzione che andrà sul tavolo del Consiglio europeo di questo pomeriggio lo conferma: i confini sono un nodo strategico per questa Europa. Ancora una volta l’Europa politica riesce ad esprimersi solo sul terreno delle frontiere. Il testo licenziato nella sessione anticipatoria parla di libertà di circolazione interna solo in relazione alla necessità di rafforzare i confini esterni e con essi l’agenzia Frontex, mentre sullo specifico nodo del diritto d’asilo si prefigura un nuovo slancio per le politiche di esternalizzazione dei confini, con la costruzione di campi profughi nei paesi di partenza, per cercare di allontanare la questione.
Quanto queste proposte possano diventare concrete è difficile dirlo. Di certo sulle decisioni del Consiglio europeo pesano almeno due fattori: l’insuperabile scoglio degli egoismi degli stati membri e la pressione dei partiti che proprio sui temi dell’identità e della sovranità nazionale hanno ottenuto grandi risultati alle recenti elezioni europee. Ogni tentativo di «condivisione delle responsabilità» è stato insomma riassorbito in vecchie ricette di cui questa Europa sembra proprio non poter fare a meno.
Ma c’è un altra voce che fuori dai palazzi di Bruxelles tenterà di fare breccia. È quella dei migranti impegnati nella March for Freedom. Chiedono libertà di movimento e diritti e guardano all’Europa come immediato terreno di rivendicazione. Non è poco. La tappa italiana di questa marcia è andata in scena proprio sabato scorso, quando centinaia di persone sono partite dalla Stazione Centrale di Milano per raggiungere la Svizzera e la sua frontiera, quel confine ibrido, insieme esterno ed interno, che in questi mesi è diventato il simbolo delle restrizioni alla libertà di circolazione.
«Sono scappato da una guerra, la conosco bene. E vi assicuro che al confine con la Svizzera c’è una guerra vera e propria» – diceva Hassan poco prima della partenza. E le sue parole bastano da sole a spiegare quanto la breccia aperta dal No Borders Train valga molto di più di tanti ti-mori. Sui giornali del Can-ton Ticino, dopo sabato 21, non si parla d’altro. L’enorme dispositivo messo in campo dalle autorità elvetiche, che hanno dispiegato elicotteri e uomini lungo tutto il confine, si è dovuto piegare ai manifestanti. La «frontiera – come titola il più importante giornale locale – è stata forzata» aprendo un dibattito sulle responsabilità della Svizzera nei confronti di chi fugge dalla guerra. Un duro colpo per uno Stato che respinge illegittimamente al-meno otto migranti su dieci alla frontiera di Chiasso, quello che nei racconti dei profughi incontrati tra via Aldini e i giardini di Porta Venezia a Milano sembra un luogo dalle mura invalicabili, un paese in procinto di applicare i risultati di un referendum che a breve introdurrà limitazioni anche per l’ingresso dei cittadini europei.
Eppure sabato scorso la macchina del confine si è inceppata e quella frontiera si è trasformata in poche ore in un dispositivo molle, compiacente, piegato alle rivendicazioni dei manifestanti.
Dalla Stazione Centrale sono partiti in più di trecento, almeno un terzo erano richiedenti asilo. Hanno superato i blocchi dei reparti anti-sommossa schierati al binario 5 e poi sono arrivati sulla banchina della stazione di Chiasso dove un comitato di accoglienza fatto di centinaia di agenti della polizia di Frontiera elvetica ha circondato il treno. Fuori dalla stazione decine di giornalisti e attivisti svizzeri tenuti lontano. Dentro una vera e propria acampada. Due ore di estenuanti trattative, di contatti con l’Ufficio Immigrazione, di pressione su un confine saltato sotto i colpi di un treno che viaggiava consapevole di stare dalla parte giusta.
A fine giornata la polizia svizzera ha dovuto cedere su tutto: ha raccolto le domande d’asilo presentate dai «profughi» e ha concesso ai manifestanti l’uscita dalla stazione. Così il No borders train si è trasformato in un corteo ed è uscito dallo scalo ferroviario senza il controllo dei documenti permettendo ad altri migranti di scomparire per le vie di Chiasso verso la Germania e la Svezia. In quegli attimi, di fronte a quella pratica collettiva e pubblica, il diritto d’asilo europeo e la libertà di movimento sono sembrati molto più concreti di quanto mai potranno essere sul tavolo di Bruxelles.
Quella protesta che sabato ha trasformato in polvere la granitica frontiera svizzera, insieme alla marcia che sfilerà per le vie della capitale belga, sono insomma un messaggio ai governi in procinto di riunirsi, ed insieme una speranza per i movimenti. Perché i confini uccidono, respingono, si possono subire pagando a caro prezzo ogni tappa del loro attraversamento, oppure, osando, possono diventare un eccezionale terreno politico di conquista, un nodo strategico su cui cercare di costruire le nuove geometrie di un’Europa che ormai sembra stare stretta a tutti, migranti e non. Ma per farlo c’è bisogno di tanti «no borders brains», capaci di pensare e muoversi oltre i confini, per raccogliere questa sfida del nostro presente. (da Il Manifesto di Nicola Grigiori il 14 06 26 ) * Melting Pot Europa

2 – La protesta dei No border: «Più diritti, meno frontiere». In piazza / FUORI DAL CONSIGLIO D’EUROPA LE VOCI DEL CORTEO DEI MIGRANTI.
Molti, come il senegalese napoletano Aboubakar Soumahoro, hanno dovuto sudarsela, la trasferta a Bruxelles per manifestare contro la «FORTEZZA EUROPA». Il suo viaggio ha rischiato di finire a Chamonix, dove la carovana partita dall’Italia è stata accolta da un imponente schieramento di agenti che li hanno rivoltati come calzini e alla fine non volevano far passare 5 persone nonostante fossero in possesso del permesso di soggiorno. Aboubakar quantifica il ritardo accumulato in 36 ore. Ad altri, come i quaranta rifugiati afghani che hanno piantato le tende nella chiesa di San Giuseppe Battista, è bastato invece solo affacciarsi sulla piazza del beguinage per unirsi alle centinaia di persone che urlavano quello che loro chiedono da mesi: il riconoscimento dell’asilo politico, la possibilità di andarsene in giro senza il rischio di essere fermati e rimpatriati o di cercarsi un lavoro regolare.
Hanno marciato insieme per le strade di Bruxelles, ieri pomeriggio, gli afro-napoletani e i belgi afghani, i primi catalizzando l’attenzione con balli e canti dietro uno striscione in italiano che reclamava «diritto di residenza» e alla casa, i secondi con una presenza più discreta, unico segno distintivo la kefìah avvolta al collo. Con loro, le carovane arrivate nei giorni scorsi dal resto d’Europa e alloggiate nel Parco Maximilien, giusto al confine tra la banlieue araba di Molenbeeck e i grattacieli delle banche e delle multinazionali. Primi ad arrivare, sabato scorso, i «no border» tedeschi con i gruppi di africani denominatisi «Lampedusa in Berlin» e «Lampedusa in Hamburg», a sottolineare il punto d’ingresso in Europa e quello di reale approdo. Buoni ultimi ma con validi motivi, gli italiani fermati alla frontiera. E poi i collettivi francesi di sans papiers, gruppi belgi e olandesi.
Le carovane partite da mezza Europa sono confluite a Bruxelles per far sentire la loro voce al Consiglio dei capi di Stato e di governo, convocato ieri e oggi per decidere le prossime strategie comunitarie sull’immigrazione. In una settimana di «azioni», sono arrivati davanti al Parlamento europeo, hanno ricevuto la visita di una delegazione dei Verdi (unico partito a incontrarli), hanno protestato sotto l’ambasciata italiana e quella tedesca per lo sgombero di un edificio occupato a Berlino: il sit-in si è concluso con una ventina di persone fermate dalla polizia. Ieri pomeriggio, l’appuntamento al beguinage e il corteo, rumoroso anche se non affollatissimo, nel centro di una città con la testa rivolta alla partita serale del Belgio ai Mondiali. Se bisognerà attendere le conclusioni del vertice per trarre un bilancio e stilare analisi più precise, le premesse non sono certamente incoraggianti per le richieste dei no border. Nonostante i migliaia di morti nel Mediterraneo, non pare alle porte un cambiamento di rotta delle politiche migratorie europee. La bozza non ufficiale di cui si vociferava ieri prevedrebbe un allargamento della missione Frontex di controllo delle frontiere.
L’Italia, che si appresta a subentrare alla Grecia alla guida del prossimo semestre europeo, sotto pressione per il massiccio arrivo di migranti nei pomi sei mesi dell’anno (superiore persino al 2011 della Primavera tunisina), chiede più risolse e una ripartizione per quote dei rifugiati tra i diversi Paesi dell’UE, senza TENER CONTO come proprio ieri spiegava listat, che gli immigrati stanno diminuendo e che sempre più chi sbarca in Sicilia guarda al Nord Europa.
Senza un coinvolgimento europeo, soprattutto economico, è la posizione del premier Matteo Renzi e del suo vice Angelino Alfano, la missione italiana «Mare nostrum» di soccorso in mare, decisa dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 (366 morti e 20 dispersi), rischia di saltare. I no border non si aspettano nulla di buono dal summit. Sanno bene che la loro è una campagna di lungo periodo, e si sono dati appuntamento per una grande manifestazione europea a Roma, nel prossimo ottobre. Ad annunciarla nella conferenza stampa che ha preceduto la manifestazione, è staio proprio l’afro-napoletano Soumahoro. Intanto, la carovana italiana tornerà in tempo per essere in piazza sabato pomeriggio, sempre a Roma, al corteo contro l’austerity che aprirà il semestre italiano dei movimenti. (di Angelo Mastroandrea).

3 – Gioco delle parti siili immigrazione / La bozza di documento elude i nodi irrisolti alla base del conflitto tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa ( di Grazia Naletto)

Il Consiglio Europeo riunito ieri e oggi a Bruxelles torna ad occuparsi delle politiche su migrazioni e asilo. Su queste da anni, ma con maggiore intensità dall’ottobre scorso, è in corso un gioco delle parti vergognoso quanto inconcludente tra Roma e Bruxelles. E la bozza di conclusioni finali, diffusa nei giorni scorsi, non sembra contribuire a fermarlo.
L’evocazione della «trasposizione completa e dell’effettiva attuazione del sistema comune di asilo che dovrebbe garantire le stesse garanzie procedurali e la stessa protezione ai richiedenti asilo in tutta l’Unione», sembra più un auspicio che una scelta effettiva. Mentre sulla prevenzione e la riduzione dell’immigrazione «irregolare» le idee sono più chiare e le ricette sono quelle di sempre: intensificazione della cooperazione con i paesi di origine e di transito, efficiente gestione delle frontiere esterne (di cui viene però ribadita la primaria responsabilità dei singoli stati membri), rafforzamento della capacità di intervento dell’agenzia Frontex con l’utilizzo del nuovo sistema di sorveglianza Eurosur, istituzione di un sistema europeo delle guardie di frontiera e promozione di una politica comune di rimpatri «efficace». Quanto alle situazioni di crisi, sono auspicati il rafforzamento dei programmi di protezione regionale e l’aumento del sostegno a attività di reinsediamento dei profughi siriani. La bozza di documento elude i nodi irrisolti che sono alla base del conflitto tra i paesi del Nord e del Sud dell’Europa (più esposti agli arrivi di migranti da paesi terzi), ma anche di una disciplina dell’asilo, disegnata dal Regolamento Dublino IH, che sembra fatta apposta per ostacolare l’accesso al diritto di asilo. Eppure le cose potrebbero andare in modo diverso a Bruxelles come a Roma. L’Europa potrebbe attivare canali umanitari per consentire ai profughi e ai richiedenti asilo di trovare protezione senza rischiare la vita. La collaborazione con i paesi terzi che non garantiscono i diritti umani (in primo luogo la Libia) potrebbe essere interrotta. La distribuzione dei Fondi comunitari tra gli stati membri potrebbe essere vincolata alla strutturazione di sistemi nazionali di accoglienza adeguati alla domanda e rispettosi degli standard minimi definiti a livello comunitario. La norma che impone, salvo rare eccezioni, di chiedere asilo nel primo paese di arrivo potrebbe essere cancellata. Le attività di ricerca e soccorso in mare dovrebbero essere condivise a livello comunitario, ma non è il rafforzamento di Frontex a poterle garantire.
Ma vi sono responsabilità che sono tutte italiane. E la Camera dei Deputati ad aver bocciato pochi giorni fa «per mancanza di copertura finanziaria» alcuni articoli della Legge di
Delegazione Europea 2013-bis indi-canti i criteri di delega al Governo per il recepimento delle direttive UE sull’accoglienza e sulle procedure in materia di asilo. A differenza di altri paesi, l’Italia non è ancora stata in grado di pianificare un sistema di accoglienza coordinato a livello nazionale e capace di far fronte ai diversi bisogni delle persone che chiedono protezione. Milioni di euro sono stati spesi per l’allestimento e la gestione dei Cara (come quelli di Mineo o di Castelnuovo di Porto), strutture di grandi dimensioni nelle quali le violazioni dei diritti sono quotidiane. La distribuzione degli sbarchi su più porti dislocati nelle regioni meridionali potrebbe evitare di concentrare nei comuni di un’unica regione la responsabilità dell’accoglienza. È Roma che può decidere di rafforzare le commissioni territoriali e accelerare i tempi di esame delle domande di asilo. La scelta di affidare a una missione militare come Mare Nostrum le attività di soccorso e salvataggio in mare non è l’unica possi-bile: potrebbe essere svolte, probabilmente con costi minori, da missioni e mezzi civili.

 

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