11128 15. NOTIZIE dall‘ ITALIA e dal MONDO 12 APRILE 2014

20140412 12:19:00 red-emi

ITALIA – IL CAVALIERE DIMEZZATO. Dopo summit e trionfi, L’assistenza sociale: l’onnipotenza perduta dell’unto del signore.
La bancarotta del risanamento. Sta di fatto che sette milioni di pensionati (il che non di rado significa sette milioni di famiglie) campano – si fa per dire – con meno di mille euro al mese, e che altri quattro milioni stanno sotto i 1500. GRAMSCI IN CACERE, quando cercava di capire come funzionava il corporativismo fascista al di là della fanfara pseudo-fordista, si convinse che la sostanza della politica economica del regime consisteva nella protezione della rendita finanziaria medio e financo piccolo-borghese, ma soprattutto «plutocratica». Se guardiamo alla recente storia repubblicana, la diagnosi mantiene tutta la sua attualità.
IL DIVORZIO SARA’ BREVE, ANZI CHISSA’. Sarà forse questa la volta buona perché le italiane e gli italiani possano affrontare la decisione di divorziare senza prevedere un decennio da incubo?
VATICANO – CITTA’ DEL VATICANO / In occasione della canonizzazione di Papa Giovanni XXIII e di Papa Giovanni Paolo II, Atac lancia lo ‘Special Edition Papa Bit’, il ticket per bus e metro, in edizione limitata dedicato ai due pontefici.
EUROPA – Elezioni in Ungheria: (estrema) destra pigliatutto.
SINDACATI EUROPEI: “UNA SCOSSA DA 250 MILIARDI L’ANNO”/ Un’altra Europa. Oggi le organizzazioni riunite nella Ces in piazza a Bruxelles
AFRICA & MEDIO ORIENTE – Siria. Il Pulitzer al Manifesto / Seymour Hersh, premio Pulitzer per il giornalismo nel 1970 con ampia inchiesta sulla «London Review of Book» “ Gas Sarin”
ASIA & PACIFICO – Pakistan . Strage nella capitale, 23 morti e oltre cento FERITI / Era già salito a 24 ieri sera II numero delle vittime dell’ennesima strage in Pakistan.
TIBET: monaca si auto immola, 130/o caso Subito dopo Pechino ha tagliato le comunicazioni nella zona
AMERICA CENTROMERIDIONALE – COSTARICA – La sorpresa Solis Il 6 aprile Luis Guillermo Solis (nella foto), del Partido acción ciudadana (di centrosinistra),
AMERICA SETTENTRIONALE – A New York l’isola-cimitero per poveri, gigantesca fossa comune.

ITALIA
MILANO
IL CAVALIERE DIMEZZATO II RACCONTO. . Dopo summit e trionfi, L’assistenza sociale: l’onnipotenza perduta dell’unto del signore. / In vent’anni Berlusconi avrebbe avuto 167 milioni di voti, ha parlato al congresso Usa, ha fatto attendere la Merkel
NESSUN italiano dal 1945 a oggi ha conosciuto e vissuto più e meglio di Silvio Berlusconi cosa significa essere onnipotente. La faccenda mette in causa un concetto quasi teologico e infatti infinite volte egli ha dispensato quella barzelletta in cui Dio finiva ridotto al rango del vicepresidente. Ma l’ultima platea, al-la riunione dei club di «Forza Silvio», ha riso molto meno del solito perché era ormai chiaro a tutti, anche a lui, che tutto stava finendo – e anche male.
A nessun altro italiano è stato concesso di raccontare per un intero ventennio che lui era, o meglio aveva «il sole», in tasca. E per quanto suonasse impegnativo identificarlo quale fonte di vita, di calore e di luce, ancora a gennaio sul Mattinale si è potuto leggere: «Berlusconi illumina tutti». Ma l’interruttore non era quasi più nelle sue mani.
È avvenuto piano piano. Non si ha idea di quanta gente ha accontentato Berlusconi. Molti e molte presi anche dalla strada, non necessariamente in quel senso lì, e fatti ricchi e influenti: per bontà, per volontà, per allegria, per megalomania, o forse solo per il piacere di cambiargli l’esistenza, come in una favola.
Di molte cose, anzi di troppe, è stato il messia. Della gloria sportiva, le coppe e il boato degli stadi, una volta i teleobiettivi ingrandirono un foglio d’agenda su cui lui stesso si definiva in terza persona «il numero uno» e poi ancora ripeteva: «il numero uno». Anche dell’innovazione, delle visioni a distanza, delle emozioni mirate, degli spettacoli pianificati, dei palazzi con piccoli parlamenti acclusi, delle ville con laghi, cigni, anfiteatri, gelaterie, bunker, piante rarissime, farfalle brasiliane e vulcano in eruzione telecomandata.
Il signore delle meraviglie. Non c’era-no avversari che gli resistessero. Un giorno si materializzò su qualche bancarella una matrioska con le sembianze di Berlusconi che conteneva, dopo averle debitamente incorporate, le sue svariate vittime: PRODI, D’ALEMA, RUTELLI, FASSINO, VELTRONI, forse anche DINI – che poi per la verità si riprese.
Il successo prima, il potere poi, i soldi sempre. Navigando nell’oro, letteralmente, si è comprato paese, comunisti, giornalisti, padanisti, calciatori, produttori, poliziotti, ecclesiastici, titoli nobiliari, mafiosi, avvocati e giudici. Si legge nell’ultimo romanzo di Walter Siti: «E’ riuscito a diventare più di se stesso facendo dell’Italia la propria scimmia». A un dato momento si è preso anche Scilipoti e Razzi, ma soprattutto gli ha concesso di qualificarsi: «Responsabili».
ADESSO L’UNTO DEL SIGNORE ha ottenuto di trascorrere la pena ai Servizi sociali, ma lo si continua a scrivere con incredulità, come se fosse un sogno. Personaggio faustiano quant’altri mai: «Spirito degno di guardare in profondo, illimitatamente confidava in quel che è senza limiti». Nessuno mai fino a ieri gli ha potuto dire: non sei più padrone del tempo e dello spazio.
Forse solo il corpo gli aveva imposto dei vincoli. Ma anche qui dalle debolezze, dalle sofferenze e dalle malattie Berlusconi ha tratto energia, valore, primato. Ha sconfitto il cancro, ha fermato l’età, a un certo punto il dottor Scapagnini l’ha dichiarato tecnicamente immortale. La pretesa era buffa, ma fu accolta più o meno come quell’altra che per ben due volte ha cercato di renderlo invulnerabile, legibus solutus.
Come un giocoliere il Cavaliere maneggiava i simboli – e come un prestigiatore. Ed eccolo adesso con le stampelle, liftato nell’anima, nella mente e nel corpo. Eppure ha parlato al congresso Usa. Ha assunto la Thatcher come consulente. Ha fatto attendere la Merkel, scandalizzato la regina d’Inghilterra; e Gheddafi gli ha insegnato il bunga bunga, e Putin gli ha regalato il lettone. E le donne, vabbè: gliele fornivano in quantità, belle e giovanissime, come prodotto energizzante. Una la fece ballare- o lo fece scrivere-come fosse la Boccassini. Il suo mondo non gli ha solo voluto bene, l’ha adorato, con tanto di ricadute estatiche. Ha suonato il piano, ha composto canzonette, ha firmato prefazioni a Tommaso Moro e Machiavelli, ha pubblicato i libri dei nemici e prodotto i film di chi l’odiava. In tutti questi anni ha ottenuto, secondo l’estrema contabilità del Mattinale, 167 milioni di voti. E seppure c’è chi si arrabbia anche solo a sentirlo pensare, adesso Berlusconi fa addirittura pena – ma le storie di potere devono far pena, altrimenti non hanno nulla da insegnare. ( di Filippo Ceccarelli da la repubblica)

LA BANCAROTTA DEL RISANAMENTO / STA DI FATTO CHE SETTE MILIONI DI PENSIONATI (IL CHE NON DI RADO SIGNIFICA SETTE MILIONI DI FAMIGLIE) CAMPANO – SI FA PER DIRE – CON MENO DI MILLE EURO AL MESE, E CHE ALTRI QUATTRO MILIONI STANNO SOTTO I 1500.
Soltanto un terzo dei pensionati italiani supera questa soglia, che, se per un verso può apparire di per sé accettabile (la media degli stipendi italiani non ci arriva, nemmeno nel caso di dipendenti maschi indigeni, che guadagnano il 20% in più delle donne e il 24% in più degli stranieri), per l’altro resta bassissima, dato il costo reale della vita, che cresce a ritmi sostenuti nonostante l’inflazione sia ufficialmente prossima allo zero. Si può cambiare finché si vuole la composizione del paniere, si possono anche considerare nel modo dovuto i servizi essenziali. Ma la miscela tra il taglio delle pensioni e il progressivo smantellamento del welfare a cominciare dalla sanità pubblica sfugge al computo. Per non parlare di quei servizi che non sono mai di fatto entrati nel servizio sanitario nazionale, come l’assistenza odontoiatrica. Servizi che con l’avanzare dell’età diventano vitali. Senza contare un’altra cosa, di cui troppo spesso non si parla.

C’È UN’ALTRA MISCELA, DAVVERO ESPLOSIVA. Quella tra pensioni e disoccupazione o sottooccupazione. Quanti vecchi ormai sono costretti a mantenere i giovani in Italia, direttamente (i figli) o indirettamente (i nipoti) che non trovano lavoro o guadagnano salari da fame?
Si diceva prima degli stipendi medi italiani, inferiori ai 1500 euro (in realtà, ai 1300). Ma «naturalmente» i giovani prendono molto meno. La paga media di quei pochi che hanno la fortuna di trovare un impiego stabile supera appena gli 800 euro, con picchi negativi nel Sud, nel terziario e, nuovamente, per le donne. Senza contare la prateria del sommerso, che si espande a vista d’occhio, di pari passo con l’aumento della disoccupazione.

QUESTA È LA VERITÀ, ALLA LUCE DELLA QUALE SI DOVREBBE FARE UNA BUONA VOLTA UN BILANCIO DELLE «RIFORME» DELLE PENSIONI, DA DINI A OGGI.

Cosiddette riforme promosse, guarda un po’, sempre da super-pensionati aurei in flagrante conflitto d’interessi. Che, nel nome della sicurezza dei conti pubblici, si sono fatti sempre anche gli affari propri e dei loro simili, senza battere ciglio.

TUTTO QUESTO PER QUALE RAGIONE, CONSIDERATO CHE IL BILANCIO DELL’INPS AL NETTO DELLE SPESE ASSISTENZIALI NON È MAI STATO IN ROSSO? La risposta è la solita. Siamo indebitati, bisogna tagliare. Anzi «risanare». Allora non c’è bancomat migliore delle pensioni, che sono una grossa fetta della spesa e vanno perlopiù a cittadini con poco potere contrattuale. Sono almeno vent’anni che si spacciano per previsioni diagrammi addomesticati che mostrano come senza ridurre la spesa pensionistica lo Stato andrebbe in bancarotta. Il risultato è questo. Che in bancarotta ci siamo per davvero, e proprio grazie ai tagli e al «risanamento».

Ma sbaglierebbe chi pensasse che siamo in mano a una manica di incompetenti, a dilettanti allo sbaraglio. Non è così. Chi ci ha governati in questo ventennio post-costituzionale e chi ancora oggi ci governa – non importa se di centrodestra o di centrosinistra – ha dimostrato di sapere il fatto suo. C’è non soltanto del metodo, ma anche molta consequenzialità e coerenza. Grazie al tanto celebrato bipolarismo, che in realtà è soltanto un centralismo mascherato.

GRAMSCI IN CACERE, quando cercava di capire come funzionava il corporativismo fascista al di là della fanfara pseudo-fordista, si convinse che la sostanza della politica economica del regime consisteva nella protezione della rendita finanziaria medio e financo piccolo-borghese, ma soprattutto «plutocratica». Se guardiamo alla recente storia repubblicana, la diagnosi mantiene tutta la sua attualità.

Quando si parla di debito pubblico, non si parla della gigantesca evasione ed elusione fiscale.
Quando si parla di evasione fiscale, magari per criticarne la repressione nel nome di un realismo economico d’accatto, non si parla di debito pubblico. E mai ci si sofferma sulle cause di un debito privato particolarmente contenuto. Come se i vasi non comunicassero. Il risultato è che il debito viene imputato solo alla spesa e che l’unica sedicente politica economica consiste nella sua riduzione e nell’aumento della pressione fiscale sui dipendenti. Con le conseguenze rovinose che vediamo.

SIAMO DI GRAN LUNGA IL PAESE PIÙ INIQUO E CORROTTO DELL’EUROPA FORTE. Col record (oltre che dell’evasione fiscale) dei bassi salari, delle ore lavorate, delle disuguaglianze, della precarietà. Nonché quello che destina meno risorse al sostegno del reddito e alle misure di contrasto della povertà. E che regala più soldi alle imprese private. Metà della capitalizzazione della Fiat, che nel frattempo se n’è andata dove più le conviene, è fatta di capitale pubblico.

Come nell’altro ventennio, quando c’era Lui, piove sul bagnato. Chi ha già molto, accumula a spese dei moltissimi che hanno sempre meno. La qual cosa è, oltre che iniqua, anche irrazionale. Non da un punto di vista bolscevico, ma in un’ottica di buon governo «progressista».

Quanto all’iniquità, è diventata un tabù. Negli anni Ottanta, mentre si preparava l’eutanasia del Pci, si cominciò a parlare di giustizia sociale in termini diversi da quelli della tradizione marxista. Si smise di ragionare di classi e di conflitti, e si assunse la prospettiva della filosofia politica anglosassone. Fu un’operazione a perdere come si è visto, ma allora di giustizia almeno si parlava. Oggi il tema è derubricato. Bisognerebbe chiedersi una buona volta perché. E domandarsi se la giustizia sia un lusso per anime belle o un ingrediente della democrazia.
SE LA COSTITUZIONE POSSA ESSERE RISPETTATA QUANDO LA GIUSTIZIA SOCIALE È CALPESTATA. E SE ABBIA SENSO DEFINIRSI «RIFORMISTI» (NON PARLIAMO, PER CARITÀ, DI SINISTRA) MENTRE SI CONTRIBUISCE ALLA SUA LIQUIDAZIONE

ROMA
IL DIVORZIO SARA’ BREVE, ANZI CHISSA’. Sarà forse questa la volta buona perché le italiane e gli italiani possano affrontare la decisione di divorziare senza prevedere un decennio da incubo? Il mondo parlamentare sta urlando di sì, che finalmente ci siamo, e guardate quanto siamo bravi vi faremo avere una nuova legge molto-molto-molto più moderna e adatta ai tempi e attenta ai bisogni delle coppie e naturalmente dei figli, soprattutto se minori… Ecco, se spegnete gli altoparlanti della propaganda, possiamo tentare di ragionare intorno alla notizia super strombazzata, che poi è la seguente: la commissione giustizia della camera ha dato il via libera a un testo bipartizan che, se gli emendamenti presentati non saranno troppi, potrebbe andare in aula entro maggio, ma dovrà prima passare le forche caudine delle audizioni (Bagnasco è già stato calendarizzato?), e prevede un solo anno di attesa fra separazione e divorzio, nove mesi se c’è il consenso di entrambi i coniugi e non vi sono figli minori. La notizia ha un vago sapore elettorale, meno vago quando si consideri che l’annuncio è stato dato, per parte Pd, da colei che viene indicata (mentre si scrive, ma mentre leggete potrebbe esserlo a tutti gli effetti) come capolista del collegio Nord-Est. Non state saltando di gioia? No, e c’è da capirvi. Non siete i soliti guastafeste a cui non va mai bene niente, m anche quando una norma delicata e decisiva per la vita delle persone, quale è la procedura per sciogliere un matrimonio, viene sensibilmente migliorata dai nostri amati politici. Come voi la pensano sia la Lega italiana per II divorzio breve, sia molti degli addetti ai lavori. Dice ad esempio Marina Marino, avvocata romana esperta di diritti i di famiglia: «Era ora, la situazione et« ormai insostenibile. Ma potevano andare un pochino oltre e lasciare alle coppie la scelta se passare attraverso la separazione o andare direttamente al divorzio. Anche in presenza di figli minori, che sono comunque tutelati». La giustificazione dell’anno di attesa è, come è noto, fra le più antistoriche e le più ipocrite che si conoscano. Una percentuale bassissima di coppie cambia idea durante il limbo della separazione (e comunque bastava, come dice Marino, lasciare l’opzione a chi voleva percorrerla, senza renderla obbligatoria). Quanto all’Ipocrisia, chiedete a don Paolo Gentili (Cei) perché è così contrario all’accorciamento dei tempi di attesa previsti dallo stato italiano mentre il Vaticano sta dimezzando la procedura per ottenere la nullità del matrimonio, il divorzio del cattolici. Nullità il cui volume è di parecchio aumentato negli ultimi tempi: forse perché le persone sono stanche di aspettare le calende greche della giustizia laica? Ed è proprio su questo punto che insiste la Lega per il divorzio breve. Diceva in un recente comunicato il segretario Diego Sabatinelii. toccando il nervo scoperto: «Le aule di giustizia continueranno ad essere affollate di cause doppione, separazione e divorzio, e per i cittadini, oltre che per lo Stato, i costi rimarranno gli stessi» Così è, nel senso che se oggi un divi; zio non richiede mai tre anni per con eludersi, ma minimo cinque massimi dieci (a seconda del tribunale dove ; incardina la causa, scendendo da Mi ste a Foggia), l’anno di attesa peraltro ancora di là da venire tra le due fasi si trasformerà inevitabilmente In due, tra, quattro rotazioni intorno al sole. E la politica italiana dovrebbe interrogarsi se abbia senso costringere i suoi cittadini a scappare in altri paesi europei (Austria e Romania i più gettonati e sono 2000 ogni anno le coppie che vi ricorrono, dati del ministero) per avere più in fretta quel pezzo di carta che, anziché peggiorare, migliorerà le loro vite. Liberandole da u legame che non ha più senso. ( di Daria Lucca)
ROMA
CHE VERGOGNA…IL PAESE DELLE CAVE: ESTRARRE CONVIENE (MA NON ALLO STATO)
ROMA. Romantici e pragmatici, spirituali e materialisti. Quello delle cave italiane è uno scandalo capace di indignare sia chi ha cuore la bellezza sia chi ha cuore il portafoglio. Se venissero messe tutte vicine, le grandi buche dalle quali sono state estratte ghiaia e sabbia, calcare e gesso, marmo e altre pietre ornamentali, formerebbero una cicatrice grande oltre due volte il comune di Genova. Un prelievo di enormi quantità di materiali che hanno arricchito cavatori e costruttori, ma che allo Stato, grazie a canoni di sfruttamento irrisori, fruttano molto meno di quanto potrebbero. Basti pensare che se in Italia si applicassero le tariffe in vigore in altri Paesi europei si potrebbero incassare circa 200 milioni di euro l’anno.
A denunciare questa ennesima cattiva gestione del nostro patrimonio è il nuovo rapporto di Legambiente che verrà presentato il 29 aprile insieme ad un e-book fotografico realizzato da Marco Valle. «Il dossier e il volume» spiega il vice-presidente dell’associazione Edoardo Zanchini, «danno un quadro aggiornato della situa-zione nelle diverse regioni ita-liane, per evidenziare problemi ma anche opportunità, e per accendere finalmente i riflettori su un tema di cui troppo poco si parla. Di cave in Italia non si occupa nessuno ed è evidente l’interesse e la pressione affinché la situazione non cambi». Stando ai dati del rapporto, le cave attive sono 5.592, mentre sono circa 17 mila quelle dismesse. «A fronte di numeri impressionanti» si legge nel dossier, «i canoni di concessione pagati da chi scava sono a dir poco scandalosi. In media nelle Regioni italiane si paga il 3,5 per cento del prezzo di vendita degli inerti. Ancora più incredibile è la situazione delle Regioni dove si scava gratis: Basilicata e Sardegna, mentre in Valle d’Aosta, Lazio e soprattutto Puglia si chiedono pochi centesimi». Legambiente propone quindi un ventaglio di possibili soluzioni. Innanzitutto un adeguamento dei canoni di sfruttamento che porti la percentuale di entrate per l’erario a circa il 20 per cento, come acca-de ad esempio in Gran Bretagna. «Servono regole per limitare l’impatto ambientale e per incentivare il riciclaggio dei materiali inerti, oggi quasi inesistente. Anche perché una direttiva Ue ci impone ad arrivare al 70 per cento entro il 2020» conclude Zanchini (di Valerio Gualerzi)

VATICANO
CITTA’ DEL VATICANO / In occasione della canonizzazione di Papa Giovanni XXIII e di Papa Giovanni Paolo II, Atac lancia lo ‘Special Edition Papa Bit’, il ticket per bus e metro, in edizione limitata dedicato ai due pontefici. Da giovedì 10 aprile inizierà la vendita di circa 2 milioni di Bit. Dopo la distribuzione dei ‘Bit of Rome’ di dicembre scorso e dei Papa Bit di JPII (2011) e di Francesco (2013), altri pezzi unici da collezionare si aggiungono alla ‘Bit Collection’ lanciata da Atac. Si tratta di 4 Bit (Biglietto Integrato a Tempo) con raffigurati quattro soggetti diversi tratti dall’iconografia dei Papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che saranno canonizzati domenica 27 aprile. I biglietti sono in vendita singolarmente al prezzo di 1,50 euro l’uno nelle biglietterie e in tutti i punti vendita Atac autorizzati sul territorio di Roma Capitale. I rivenditori di titoli di viaggio in cui trovare l’edizione limitata di biglietti, sono identificabili da locandina promozionale con l’immagine dell’iniziativa. I circa 2 milioni di Bit ‘Special Edition Papa Bit’ in distribuzione – spiegano Atac – hanno immagini inedite mai stampate fino ad oggi sui ticket in commercio: un omaggio di Atac ai cittadini romani e ai milioni di turisti e pellegrini che visiteranno la nostra città in occasione dell’importante appuntamento. Il progetto è stato realizzato da Atac in collaborazione con il Servizio Fotografico dell’Osservatore Romano. Le 11 biglietterie Atac dove trovare la "Special Edition Papa Bit". Linea A: Anagnina, Flaminio, Lepanto, Ottaviano, Spagna, Battistini; linea B e B1: Ponte Mammolo, Termini, Eur Fermi, Laurentina e Conca d’Oro. Le biglietterie sono aperte dal lunedì

ONU

EUROPA
EU
SINDACATI EUROPEI: “UNA SCOSSA DA 250 MILIARDI L’ANNO”/ Un’altra Europa. Oggi le organizzazioni riunite nella Ces in piazza a Bruxelles. La proposta chiave è un piano decennale di investimenti garantiti dagli eurobond. Per creare 11 milioni di nuovi posti di lavoro
Non lo si dirà mai abbastanza: per demo­cratizzare davvero l’Unione europea è necessaria una società civile europea. Senza corpi intermedi forti e visibili, l’Ue resterà fatalmente nelle mani delle tecnocrazie. Per questa ragione quel che accade oggi a Bruxelles è molto importante: le organizzazioni sindacali di tutta Europa, sotto l’ombrello della loro Confederazione continentale (Ces), sfilano insieme a sostegno di una piattaforma comune. Unite, al di là delle divisioni nazionali, per chiedere «un nuovo corso», radicalmente diverso da quello seguito sino ad ora dalle istituzioni comunitarie e dai governi degli stati.
Nella capitale belga sono attese decine di migliaia di lavoratori e delegati sindacali, provenienti dalla «periferia» e dal «centro», dal Portogallo come dalla Germania, dalla Spagna (dove ieri c’è stata una sorta di anteprima, con manifestazioni in decine di città) all’Olanda.
Condizioni diverse, ma rivendicazioni comuni: «Investimenti per la crescita sostenibile e l’occupazione di qualità, fine dell’evasione e delle frodi fiscali, flessibilità nell’applicazione delle norme sui disavanzi pubblici». E quindi: no alle politiche di austerità, «volte a rassicurare i mercati piuttosto che a garantire il progresso sociale» e no a un modello di Ue «che costringa i lavoratori a competere sulla base di retribuzioni al ribasso, cattive condizioni di lavoro e tassazioni squilibrate».
La proposta-chiave delle organizzazioni sindacali consiste in un piano di investimenti pari al 2% annuo del Pil europeo per dieci anni
Soldi da utilizzare per rilanciare davvero economia e occupazione nell’industria, nei servizi, nel welfare e nei settori della ricerca. Risorse che non ci sono? Dipende dalla volontà politica. La Ces ricorda che dal 2008 per salvare il settore finanziario sono stati spesi circa mille miliardi (il solo fondo «salva-banche» tedesco Soffin ha un volume di 480 miliardi di euro), e altrettanti ne vengono sottratti annualmente in modo illecito al fisco.
L’ammontare del piano d’investimenti proposto dai sindacati è di 250 miliardi anche attraverso l’emissione di buoni garantiti a livello europeo – quelli che la cancelliera tedesca Angela Merkel vede come il fumo negli occhi. A differenza dei soldi finiti alle banche, che non si sono quasi mai trasformati in credito alle imprese, quelli del piano della Ces avrebbero invece un sicuro ritorno positivo: stando alla valutazione della confederazione, fino a 11 milioni di nuovi posti di lavoro , oltre agli introiti fiscali da un’economia che tornerebbe a girare.
Il voto per il rinnovo dell’Europarlamento del 25 maggio si avvicina, e la manifestazione di oggi è anche un messaggio agli elettori e al mondo politico europeo: la Ces «chiede a tutti i cittadini di sostenere i candidati che promuovono un’Europa progressista, un’Europa inclusiva e che operi per i diritti dei suoi cittadini» . Sostegno e attenzione alla mobilitazione sono arrivati da eurosocialisti, verdi e dalla Sinistra europea: nelle forze progressiste del continente le organizzazioni sindacali sono ancora tenute in seria considerazione.
A differenza di quanto avviene nella «nuova» Italia di Matteo Renzi, dove ignorare le rappresentanze dei lavoratori è diventato un vanto. E pensare che proprio sotto la guida dell’ex sindaco il Pd è diventato membro a tutti gli effetti del Partito socialista europeo. Anomalie di casa nostra, di cui evidentemente il candidato presidente Schulz non è al corrente.

FILLANDIA
LE DIMISSIONI DEL PREMIER
Il primo ministro Jyrki Katainen ha annunciato il 6 aprile che a giugno lascerà la guida del governo e del suo partito, il Partito della coalizione nazionale, di centrodestra. Katainen, che guida il paese dal 2011, punta a ottenere un posto di rilievo nella prossima Commissione europea. Come scrive Helsingin Sanomat, il leader politico ha dichiarato che al paese non servono elezioni anticipate e che dopo dieci anni alla guida del partito era ormai arrivato il momento di fare un passo indietro.

IRLANDA – REGNO UNITO
UNA VISITA STORICA
PER LA PRIMA volta un presidente irlandese è andato in visita ufficiale nel Regno Unito. Michael D. Higgins l’8 aprile ha incontrato la regina Elisabetta nel castello di Windsor (nella foto). La visita "costituisce l’ultimo passo nella normalizzazione dei rapporti tra l’Irlanda e la Corona britannica dopo quasi un secolo di problemi", scrive The Irish Times. Esattamente cento anni fa, infatti, "il leader nazionalista irlandese John Redmond fu invitato dal re Giorgio V a Buckingham Palace per un incontro che avrebbe dovuto portare a un accordo tra protestanti e nazionalisti in merito all’autogoverno dell’isola". L’incontro fallì, "e da allora i difficili rapporti tra i nazionalisti irlandesi e la Corona sono stati un elemento di frizione tra i due paesi".

FRANCIA
PARIGI – GLI OBIETTIVI DI VALLS
L’8 aprile il primo ministro Manuel Valls ha ricevuto la fiducia del parlamento, dopo aver presentato le linee guida del programma del suo "governo di combattimento". Valls, che aveva ricevuto l’incarico una settimana prima dal presidente Francois Hollande dopo la sconfitta alle elezioni municipali, avrà il difficile compito di risollevare l’economia francese e, nello stesso tempo, le sorti del Partito socialista in vista delle politiche e delle presidenziali del 2017. Valls ha dalla sua il gradimento dei cittadini (con un indice di popolarità del 56 per cento è il politico più amato del paese), ma occupa la poltrona più scomoda, scrive Le Nouvel Observateur. Tra le principali misure annunciate, ci sono la riduzione degli oneri sociali per le imprese, l’abbassamento dell’imposta sul reddito d’impresa e meno tasse sui redditi più bassi. E ancora, 50 miliardi di euro di risparmi tra il 2015 e il 2017, che arriveranno dal taglio del numero delle regioni e dalla soppressione dei consigli provinciali. Inoltre, la quota del nucleare nella produzione di elettricità dovrà passare dal 75 al 50 per cento e le emissioni di gas serra dovranno essere ridotte del 40 per cento entro il 2030. (Le Nouvel Observateur, Francia)

UNGHERIA
ELEZIONI IN UNGHERIA: (ESTREMA) DESTRA PIGLIATUTTO ( di Marco Santopadre) Le elezioni politiche di ieri in Ungheria hanno confermato una tendenza già evidente negli anni scorsi, con la destra di governo che conserva le sue posizioni di dominio e l’estrema destra neonazista all’opposizione che cresce. Aumenta anche l’astensionismo, di quattro punti percentuali, collocandosi la partecipazione al 61%.
L’ex partito liberale Fidesz, portato dal primo ministro uscente Viktor Orban su posizioni apertamente reazionarie, populiste e xenofobe, ha ottenuto il 44,5% dei voti, percentuale che gli concede un’ampissima maggioranza nel parlamento di Budapest. E comunque la destra stacca di ben 20 punti i socialdemocratici, che ottengono solo un 25,9% a fronte dei nazisti di Jobbik che sfondano il muro del 20%, ottenendo il 20,7% dei consensi (era il 16,7 nel 2010). Solo un 5,2% per gli ecologisti dell’LMP, che basterebbe comunque a permettergli l’ingresso in parlamento visto che la soglia di sbarramento è fissata al 5%. In base a questi risultati, quasi definitivi, il Fidesz otterrebbe 133 seggi, il centrosinistra 38, altri 23 l’estrema destra di Jobbik e 5 gli ecologisti. Nei prossimi giorni dovrebbero però arrivare alcune centinaia di migliaia di voti espressi dagli ungheresi che vivono nei paesi limitrofi, ai quali il governo Orban ha recentemente concesso il diritto di voto e che potrebbero aumentare ulteriormente il vantaggio della destra populista.
Certo il Fidesz ha perso otto punti percentuali rispetto alle elezioni di quattro anni fa – quando prese il 52,7% – ma con 133/134 seggi Orban può comunque contare sui due terzi dei seggi totali dell’assemblea nazionale di Budapest, il che gli permetterà di avere i voti sufficienti, senza dover negoziare con nessuno dei partiti dell’opposizione, per imporre leggi di natura costituzionale.
Orban e i suoi non hanno nascosto l’entusiasmo di fronte ai risultati. “L’Ungheria è il paese più unito d’Europa” ha affermato trionfalmente il primo ministro al suo terzo mandato quadriennale, in un’esplicita frecciata all’establishment dell’Unione Europea che negli ultimi anni ha fortemente criticato e pressato l’esecutivo di Budapest dopo il varo di alcune leggi e la riforma della costituzione considerate non in linea con la giurisprudenza continentale e improntate a un nazionalismo aggressivo, autoritario e xenofobo. Ad esempio nel 2012 il governo ha cambiato unilateralmente la legge elettorale, cambiando la geografia dei distretti elettorali per favorire i candidati del Fidesz e portando i seggi da 386 a 199, oltre a cancellare il ballottaggio. Altre misure contestate da Bruxelles, oltre che dall’opposizione, sono state la riduzione dei poteri della Corte Costituzionale, il prepensionamento obbligatorio di molti magistrati invisi al governo e l’introduzione di una dura censura sui media, chiamata non a caso ‘legge bavaglio”.
Ma per molti ungheresi Orban è un campione degli interessi nazionali, visto che ha ridotto le tasse sui redditi ed ha abbassato le bollette elettriche aumentando il controllo statale sul settore energetico (anche grazie ad un accordo con la Russia inviso a Bruxelles). In campagna elettorale il leader del Fidesz ha promesso che taglierà le ipoteche in valuta straniera che pesano su molte famiglie, attaccando gli interessi delle banche di vari paesi dell’Ue che spadroneggiano in Ungheria. Oltretutto negli ultimi anni il governo ha ridotto il debito pubblico, ha aumentato i salari e ridotto la disoccupazione sotto il 10%. Argomenti che hanno fatto breccia in un elettorato poco incline a identificarsi nelle critiche ‘politiche’ delle opposizioni.
A preoccupare è naturalmente anche la crescita dei fascisti di Jobbik, che in molte circoscrizioni hanno di gran lunga superato il blocco formato dai socialisti e dai loro alleati. La campagna elettorale dell’estrema destra è stata aggressiva e martellante, al grido di ‘No all’Unione Europea, si alla Grande Ungheria’. «Vogliamo farla finita con la vecchia classe politica – ha gridato nei tanti comizi Márton Gyöngyösi, uno dei dirigenti di punta di Jobbik -. Il nostro obiettivo è prendere le distanze da Bruxelles, combattere il crimine, la corruzione e lo strapotere delle banche». Un linguaggio euroscettico che veicola contenuti apertamente fascisti e razzisti, sostenuti in questi anni dalle aggressioni contro esponenti della sinistra e soprattutto le comunità Rom. Nel novembre del 2012, mentre le squadracce dell’estrema destra, sopravvissute allo scioglimento della Milizia del partito, assaltavano interi villaggi abitati dagli ‘zingari’, in parlamento Gyöngyösi proponeva la schedatura non solo di tutti gli appartenenti alla minoranza Rom, ma anche dei parlamentari di origine ebraica. Durante la vittoriosa campagna elettorale ha chiesto « l’istituzione di una gendarmeria nazionale sul modello delle milizie create nel primo dopoguerra dall’ammiraglio Horty», il dittatore fascista che dal 1920 al 1944 guidò il paese con il pugno di ferro, alleandosi con i nazisti tedeschi.
Il governo di Orban compete con i fascisti – gli argomenti dei rispettivi schieramenti sono spesso gli stessi – ma al tempo stesso li legittima, spostando gradualmente a destra il proprio discorso. “Oggi l’Ungheria è dominata da una lobby politico-economica di stampo oligarchico – dichiara lo sconfitto candidato dell’opposizione, il socialista Attila Mesterházy -. Le forze di sinistra sono state letteralmente imbavagliate. Inoltre, ci sono stati brogli durante la raccolta delle firme. Le forze di maggioranza hanno dato vita a una vera e propria tirannia parlamentare, liquidando il pluralismo e lo stato di diritto». Ma sembra ormai ovvio che né l’europeismo nè il conformismo in campo economico e sociali delle opposizioni arresteranno l’ascesa delle due destre estreme nella doppia versione governi sta ed estremista. Anzi.

MACEDONIA
APPUNTAMENTO ALLE URNE
Il 13 aprile i macedoni andranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Il secondo turno, in programma il 27 aprile, si terrà in contemporanea alle elezioni politiche anticipate. Stando agli ultimi sondaggi, il favorito è Stevo Pendarovski, candidato dalla Sdsm, il partito di opposizione di centrosinistra. Il suo principale concorrente è il presidente uscente, Gjorge Ivanov, del partito di destra Vmro-Dpmne, attualmente alla guida del governo. La sfida è particolarmente delicata, perché il partito di Ivanov rischia di perdere un’importante leva politica dopo che negli ultimi anni ha esercitato un ampio controllo sul paese grazie anche a misure autoritarie. Il settimanale di Skopje Kapital commenta: "La campagna elettorale in corso può essere definita una delle peggiori nella storia del paese, contrassegnata da un linguaggio pieno di odio e da appelli all’intolleranza etnica. E questo è solo l’inizio, perché il vero spettacolo comincerà con il secondo turno e le elezioni politiche

SPAGNA
L’8 aprile la camera dei deputati ha respinto, con 299 voti contrari e 47 a favore, un progetto di referendum sull’indipendenza della Catalogna. Il presidente nazionalista della regione, Artur Mas, ha però fatto sapere che il referendum potrebbe ancora svolgersi alla data prevista, il 9 novembre.

UNIONE EUROPEA
L’8 aprile la corte di giustizia ha chiesto di modificare la legge europea sulla conservazione dei dati personali nelle comunicazioni telefoniche ed elettroniche per garantire la tutela della privacy.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
MEDIO ORIENTE
Le accuse di John Kerry / "Dopo un anno di viaggi e riunioni con i leader israeliani e palestinesi è arrivato il momento per gli Stati Uniti e per le parti coinvolte nell’ultima tornata di negoziati di fare i conti con la realtà", scrive Al Arabiya. L’8 aprile è stato il turno di John Kerry, il segretario di stato americano, che ha puntato il dito contro Israele per il mancato raggiungimento di un accordo di pace. Il giorno dopo Israele ha ordinato a gran parte dei ministri e dei funzionari pubblici di interrompere la cooperazione

TURCHIA
Erdogan non si piega
L’uso dei social network è ancora al centro del dibattito pubblico. Il 4 aprile il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha criticato la sentenza della corte costituzionale che ha definito illegittimo il blocco di Twitter, deciso il 20 marzo per volere del capo del governo. Il 3 aprile un tribunale di Ankara aveva accolto il ricorso di YouTube, bloccato il 27 marzo da una decisione dell’autorità sulle comunicazioni. Gli attriti tra Erdogan e l’alta corte, scrive Hùrriyet Daily News, sono legati al tentativo del premier di fare piazza pulita dei cosiddetti gulenisti da ogni struttura pubblica, specialmente in vista delle presidenziali di agosto.

SIRIA
Morte dì un religioso
"Tre anni di guerra civile hanno abituato i siriani alle morti violente. Ma l’omicidio del prete olandese Francis Van Der Lugt (nella foto), il 7 aprile a Homs, ha sconvolto tutti", scrive Alia Malek su Al Jazeera America. Il religioso è stato ucciso con un colpo alla testa da un uomo a volto coperto. Van Der Lugt era stimato in città ed era intervenuto nei colloqui tra governo e ribelli su una tregua umanitaria a Homs. Mentre l’esercito siriano continua l’avanzata nella regione di Qalamoun, al confine con il Libano, l’8 aprile l’Onu e la Mezzaluna rossa sono riuscite a portare aiuti nei quartieri di Aleppo occupati dai ribelli.
SIRIA
IL PULITZER AL MANIFESTO / Seymour Hersh, premio Pulitzer per il giornalismo nel 1970 con ampia inchiesta sulla «London Review of Book» (ripresa ieri da Repubblica), conferma quanto «il manifesto» scrisse sull’attacco al gas sarin in Siria del 21 agosto 2013: che a usare il micidiale gas sul distretto di Damasco di Goutha non era stato il regime di Assad ma i ribelli jihadisti, armati – conferma Hersh -dagli Amici della Siria (Turchia e Usa in primis). I giornaloni dicevano esattamente il contrario. Contro l’evidenza. Noi, consapevoli del copione di falsi pretesti delle guerre precedenti, insistevamo sul fatto che perfino Assad non poteva essere così arrogante da sparare armi di distruzione di massa il giorno dopo l’ingresso in Siria degli Osservatori Onu che aveva invitato, e non così stupido da farlo mentre
lincerà militarmente sul fronte orientale contro i ribelli. Eppure le immagini di bimbi straziati e le urla lancinanti tele commentate in gramaglie, furono sul punto di scatenare i raid «umanitari» occidentali. Non andò così grazie alla proposta russa che avviò lo smantellamento, in corso, dell’arsenale di Assad. Contenti del nostro lavoro di verità, abbiamo deciso di darci il premio Pulitzer. Seymour Hersh, che questo giornale ha anche intervistato, sarà solidale. Il Pulitzer anche per quello che scrivemmo sull’irachena Nassirya occupata dagli italiani «brava gente» scoperti come criminali solo ora dalle Iene; e anche per quello che stiamo scrivendo sull’Ucraina. Una crisi che non solo non legittima l’esistenza della Nato, ma al contrario rende evidente che la strategia dell’allargamento a est dell’Alleanza atlantica alimenta e prepara una nuova guerra.

LIBIA
Accordo sui porti dell’est
"Con la fine del blocco di due porti dell’est della Libia, è entrato in vigore l’accordo raggiunto il 6 aprile tra il governo di Tripoli e i separatisti di Barga che porterà alla ripresa delle attività petrolifere", scrive El Watan. Dopo aver minacciato di dimettersi, l’8 aprile Abdullah al Thani è stato confermato dal parlamento come primo ministro. Ha una settimana per formare un governo.

KENYA
Circa quattromila persone di origine somala sono state arrestate a Nairobi dal 4 aprile dopo una serie di attacchi attribuiti al gruppo Al Shabaab.

MALI
II 6 aprile il presidente Ibrahim Boubacar Reità ha sostituito il primo ministro Oumar Tatam Ly con Moussa Mara dopo una serie di divergenze.

SOMALIA
Due consulenti dell’Orni, un britannico e un francese, sono stati uccisi il 7 aprile all’aeroporto di Galcayo.

SUD AFRICA
JNB
CORROTTI AL POTERE
Con l’African national congress (Anc) sicuro di vincere le elezioni legislative del 7 maggio, comincia la "battaglia per l’anima del Sudafrica" tra le correnti del partito, scrive The Africa Report. La lista dei candidati presentata dall’Anc rafforza l’idea che, da movimento di liberazione, il partito si sia trasformato in una macchina elettorale basata sulla corruzione e gli interessi personali. Gli avversari del presidente Jacob Zuma sono stati eliminati e almeno cinque candidati sono coinvolti in scandali di corruzione. Il moltiplicarsi delle fazioni fondate sulla lealtà a un leader ha accentuato le divisioni e favorito l’arricchimento dei politici più in vista. Il primo ad approfittarne è stato Jacob Zuma. Il 19 marzo la difensora civica del Sudafrica, Thuli Madonsela, ha stabilito che il presidente ha usato indebitamente fondi pubblici per i lavori di rinnovamento della sua residenza privata a Nkandla e che dovrà restituire allo stato 23 milioni di dollari. Zuma, però, ha fatto sapere che non lo farà. Allo stesso tempo il governo è stato criticato per aver fatto pressioni suH’ufficio di Madonsela, che in base alla costituzione è un’istituzione indipendente

ASIA & PACIFICO
GIAPPONE
TV PUBBLICA DIPARTE
Il parlamento ha approvato il budget annuale dell’emittente pubblica giapponese Nhk nonostante l’opposizione di sei partiti, confermando cosi la natura discussa del corso intrapreso dalla tv giapponese dopo la nomina di Katsuo Momii alla presidenza, scrive il Mainichi Shimbun. A gennaio Momii fresco di nomina aveva dichiarato che l’Nhk avrebbe seguito la linea del governo di Shinzò Abe, provocando reazioni indignate nel paese. Nonostante le scuse, Momii non ha convinto l’opinione pubblica, scrive l’Asahi Shimbun, anche perché si è rifiutato di riconsegnare le lettere di dimissioni in bianco fatte firmate all’intero consiglio d’amministrazione il primo giorno del suo incarico.

TAIWAN
GLI STUDENTI SI RITIRANO
Gli studenti che da metà marzo occupavano la sede dell’assemblea legislativa di Taipei contro l’accordo di libero scambio con la Cina l’8 aprile hanno accettato di sgomberare l’aula, scrive il Taipei Times. La decisione è arrivata dopo che Wang Jinpyng, presidente dell’assemblea che deve ratificare l’accordo, ha promesso agli studenti che farà approvare una legge sulla supervisione dei trattati con la Cina prima della discussione in aula sul trattato di libero scambio. I manifestanti contestano il mancato coinvolgimento dell’opposizione nella revisione di un’intesa che, temono, avrà ripercussioni sull’autonomia di Taipei rispetto a Pechino.

TAILANDIA
LA BATTAGLIA FINALE
Il 5 aprile i sostenitori di Thaksin Shinawatra sono scesi per strada alla periferia di Bangkok (nella foto) per difendere il governo di Yingluck Shinawatra, sorella del premier in esilio, di cui i manifestanti vicini all’opposizione chiedono le dimissioni da mesi, scrive Asia Sentinel. Non ci sono stati scontri con i dimostranti antigovernativi ma secondo un leader delle camicie rosse, Jatupom Prompan, si è trattato solo della prova generale per la vera battaglia rimandata a dopo il capodanno, il 15 aprile.

CINA – MALESIA
MANIL PORTA PECHINO IN TRIBUNALE
Lo stallo diplomatico tra la Cina e le Filippine, che nel 2011 è sfociato in una disputa sul diritto alla pesca nel mar Cinese meridionale, sta arrivando a un punto critico dopo che Manila ha deciso di ignorare le minacce cinesi portando Pechino davanti alla corte permanente di arbitrato dell’Aja. È la prima volta che un collegio arbitrale prende in esame le rivendicazioni cinesi in gran parte del mar Cinese meridionale, una delle rotte del trasporto marittimo più trafficate del mondo e ricca di petrolio e gas. Le Filippine vorrebbero che le rocce considerate isole dalla Cina fossero riconosciute dalla comunità internazionale come semplici scogli. Da queste distinzioni può dipendere il destino delle nazioni o, in que-sto caso, l’estensione dei diritti economici dei paesi sui mari e i fondali al largo delle loro coste. In breve, le isole sono territori il cui sfruttamento economico, inclusa una fascia di 200 miglia nautiche dalle sue coste in tutte le direzioni, appartiene ai legittimi proprietari. Gli scogli no.
Se il tribunale respingerà la richiesta di Manila, allora gli interessi in gioco nella battaglia per quei granelli di terra aumenteranno: la parte a cui la legge internazionale riconoscerà il dominio sugli scogli potrà an-che rivendicare i diritti su vaste aree ricche di risorse. Se Pechino perderà la causa, dovrà scegliere se attenersi alla decisione della corte internazionale o rivendicare comunque il possesso di quei tratti di mare. Le premesse non sono le migliori. Pechino si è rifiutata di partecipare all’arbitrato e ha ammonito più volte Manila accusandola di "unilateralismo" e di "lanciare provocazioni". Il 31 marzo, due giorni dopo che i guardacoste cinesi hanno tentato di bloccare un peschereccio filippino diretto a un altro scoglio conteso, Pechino ha convocato l’amba-sciatore delle Filippine per protestare.
Il mondo per ora sta a guardare. Gli Stati Uniti hanno espresso il loro sostegno allo sforzo delle Filippine di affidarsi alla comunità internazionale; il Giappone, a sua volta incastrato in una disputa territoriale con la Cina per le isole Senkaku nel mar Cinese orientale, sostiene Manila. Ma altri paesi del sudest asiatico, che preferiscono non avere problemi con Pechino, se ne tengono alla larga. Il caso sembra un affronto diretto alle rivendicazioni di Pechino su quasi tutto il mar Cinese meridionale a discapito dei vicini, comprese le Filippine, il Vietnam e la Malesia. Pechino ha ereditato le sue pretese ambiziose dal governo nazionalista caduto dopo la guerra civile negli anni quaranta. Ora questa mappa estesa appare anche sui nuovi passaporti cinesi. Secondo gli esperti, tuttavia, molte delle rivendicazioni cinesi sono assurde. La convenzione sul diritto del mare, firmata e ratificata da Pechino, ha abolito le rivendicazioni storiche come strumento per determinare i diritti.
Conseguenze pericolose
Pechino ha avvertito che le Filippine "pagheranno le conseguenze" della loro mossa legale, sostenendo che qualsiasi disputa va risolta senza l’intervento della comunità internazionale. "La causa della disputa tra la Cina e le Filippine è l’occupazione illegale di alcune isole e barriere coralline appartenenti alla Cina e situate nel mar Cinese meridionale. La Cina è decisa a difendere i suoi territori e i suoi diritti marittimi", si legge sul sito dell’ambasciata cinese a Manila. Il timore di un confronto armato nella regione è di nuovo reale. La tensione tra i guardacoste cinesi e quelli degli stati confinanti è aumentata. Gli esperti temono che la legge porterà Pechino a diventare ancora più aggressive nei confronti di Manila.
La lotta di Manila per risolvere legal-mente la questione all’Aja si fa dura. L’arbitrato non può imporre una risoluzione e si basa sull’approvazione della decisione da parte di entrambe le parti. Ma una vittoria delle Filippine renderebbe più semplice a Manila e agli altri paesi del sudest asiatico rispondere a quella che considerano una violazione da parte della Cina

AFGHANISTAN
LA VITTORIA DEGLI AFGANI
Nonostante i timori di violenze e brogli, il 5 aprile l’affluenza alle urne in Afghanistan è stata più alta del previsto (58 per cento) e secondo gli osservatori elettorali gli episodi di brogli sono stati di meno rispetto al voto del 2009, scrive il sito afgano Tolo News. I risultati saranno annunciati il 24 aprile ma dai primi dati sembra certo un secondo turno in cui si sfideranno l’ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah e l’ex ministro dell’economia Ashraf Ghani. Non c’è stato nessun attacco taliban su larga scala ma un poliziotto ha ucciso la reporter dell’Associated Press Anja Niedringhaus

TIBET
Monaca si auto immola, 130/o caso Subito dopo Pechino ha tagliato le comunicazioni nella zona
SHANGHAI – Una monaca tibetana si è data fuoco nei pressi di un monastero nella contea di Bathang, nella provincia cinese del Sichuan, in segno di protesta contro l’egemonia della Cina in Tibet. Subito dopo le autorità cinesi hanno tagliato ogni comunicazione nella zona e posto sotto controllo diversi monasteri già teatro di simili episodi. Si tratta del 130mo gesto del genere da febbraio 2009, e la monaca è la 21ma donna ad auto immolarsi. Non si hanno al momento notizie sulle sue condizioni.

INDIA
ELEZIONI – Se la questione dovessero risolverla loro, gli allibratori, per le elezioni legislative in India non ci sarebbero problemi: vincente sarebbe il Bharatiya janata party (Bjp, centro-destra) e futuro primo ministro il suo incontrastato leader, Narendra Modi. L’unico problema è che i seggi conquistati (intorno a 230) non gli sarebbero sufficienti ad ottenere la maggioranza assoluta del Lok Sabha (Camera bassa) che è a quota 273.
Secondo i bookmaker indiani, inoltre, il partito del Congresso di Sonia Gandhi lascerebbe dopo dieci anni il governo con un tonfo, ottenendo appena 71-73 seggi (contro i 206 che ha adesso). Invece l’Aap, il Partito dell’Uomo comune di Arvind Kejriwal (ribattezzato il ‘Grillo indiano’), nonostante la sua popolarità a New Delhi, non otterrebbe piu’ di 5-6 seggi su scala nazionale.
Per quanto riguarda le personalità, racconta The Economic Times, se uno scommettitore impegnasse 100.000 rupie (1.200 euro) su Modi premier, ne otterrebbe di vincita 25.000 (300 euro). Se invece la sua scelta fosse di puntare la stessa somma sul leader del Congresso Rahul Gandhi, guadagnerebbe in caso di successo 500.000 rupie (6.000 euro).
E se le 100.000 rupie fossero collocate sulla casella del ‘Grillo indiano’? In questo caso l’avventuroso scommettitore intascherebbe in caso di vittoria ben 50 milioni di rupie (oltre 600.000 euro).
INDIA
QUANTO VALE IL KASHMIR
Da quando è il candidato al posto di primo ministro per il Bharatiya janata party (Bjp, il partito nazionalista indù), Narendra Modi ha fatto due comizi nel Jammu e Kashmir, lo stato a maggioranza musulmana dove nel migliore dei casi il suo partito potrebbe aggiudicarsi solo uno dei sei seggi della Lok Sabha in palio. Come mai, si chiede Tehelka, Modi e il Bjp tengono tanto a quello stato? Innanzitutto perché così il favorito alle elezioni che sono cominciate il 7 aprile e si concluderanno il 12 maggio può rafforzare la sua immagine di moderato. "Il Jammu e Kashmir è una piattaforma da dove Modi può lanciare un messaggio ai musulmani moderati di tutta l’India", dice la portavoce del Partito democratico popolare, uno dei principali partiti locali. Il successo di Modi nella campagna elettorale ha provocato una reazione ambivalente nello stato: da un lato è temuto, perché è il leader dei nazionalisti indù, dall’altro è considerato un leader autoritario che con la sua risolutezza potrebbe risolvere la questione del Kashmir. Nello stato le spinte indipendentiste sono forti e la presenza militare dello stato federale è ingombrante. Mirwaiz Umar Farooq, leader moderato degli indipendentisti, spera che Modi segua la strada intrapresa dal suo predecessore Atal Bihari Vajpayee, che nel 1999 aveva avviato un dialogo pacifico per risolvere la questione.

PAKISTAN
STRAGE NELLA CAPITALE, 23 MORTI E OLTRE CENTO FERITI / Era già salito a 24 ieri sera II numero delle vittime dell’ennesima strage in Pakistan. Oltre cento i feriti Una strage che non ha eguali, nella capitale, dal tempi di quella avvenuta all’Hotel Marriott di Islamabad nel 2008. Ma l’episodio non si può ascrivere alla routine cui le vicende del Paese dei puri ci hanno abituato. La strage di ieri mattina, particolarmente odiosa perché avvenuta in un affollato mercato nella zona di Sabzi Mandi, tra Islamabad e Rawalpindi, avviene infatti mentre è in corso un faticoso negoziato di pace tra il governo e il Ttp, la sigla dei talebani pachistani, entrati in guerra con gli empi governi di Islamabad nel 2007 sulle orme e su ispirazione dei confratelli afgani. E’ una guerra civile che esce dai confini delle aw tribali e dilaga nelle altre province e che, in soli sei anni, uccide 50mila persone. Poi, con ì’amw del premier Nawaz Sharif al governo, la svolta. Seppur faticosamente inizia un negoziato, già prima tentato e più volte fallito. E’ la volta buona?
Fin dall’inizio le cose sfuggono di mano agli stessi talebani. Gruppi e gruppetti con sigle disparate mendicano azioni esemplari, rappresaglie, decapitazioni. Un modo di contestare la scelta negoziale. Il Ttp prende le distanze (come ha fatto ieri dalla strage al mercato) ma lutto sembra dimostrare che l’Idra del terrore, per anni alimentata anche dai semai segreti in chiave Interna o oltreconfine, ha ormai preso la mano ai suoi Ideatori e ai suoi finanziatori occulti. In serata arma la rivendicazione del Balochistan Liberation Army (Uba), organizzazione separatista della provincia più occidentale nata nel
2000, considerata terrorista dal 2006 e che molti pachistani dicono legata all’India. Ma non fa molta differenza. E’ nota l’Infiltrazione talebana nel movimento beluci, un movimento indipendentista con molte sfumature in guerra col governo centrale sin dagli anni Venti del secolo scorso ma che, dopo il
2001, ha visto crescere piccole formazioni estremamente violente. Sempre l’Uba ha rivendicato anche la strage alla stazione ferroviaria di Sibi di martedì dove sono morte almeno 17 persone, em. gio.

PAKISTAN
II 9 aprile almeno 22 persone sono morte in un attentato in un mercato della capitale Islamabad. Il giorno prima 13 persone avevano perso la vita nell’esplosione di una bomba su un treno a Sibi, nella provincia del Belucistan. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo indipendentista locale.

CINA
L’8 aprile è cominciato a Pechino il processo a due attivisti anticorruzione, Ding Jiaxi e Li Wei. I due fanno parte di un gruppo che chiede più trasparenza ai funzionari pubblici. Il fondatore Xu Zhiyong è stato condannato a quattro anni

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
ARGENTINA
Emergenza sicurezza
Il 5 aprile il governatore della provincia di Buenos Aires, Daniel Scioli, ha annunciato un pacchetto di emergenza per la sicurezza, che durerà un anno, per far fronte a una violenza criminale senza precedenti. La Nación spiega che molti agenti in pensione torneranno sul campo per lavorare sulla prevenzione e sulla lotta al narcotraffico. Secondo Ignacio de los Reyes, giornalista di Bbc mundo, "il futuro di Scioli come candidato presidenziale nel 2015 dipenderà dal successo o meno del pacchetto sicurezza".

COSTARICA
LA SORPRESA SOLIS
Il 6 aprile Luis GUILLERMO SOLIS (nella foto), del Partido acción ciudadana (di centrosinistra), è stato eletto presidente della Costa Rica con il 77,8 per cento dei voti. L’avversario Johnny Araya, del Partido liberación nacional (conservatore, al governo), figurava nelle schede elettorali anche se dopo il primo turno aveva annunciato il suo ritiro, per mancanza di fondi, dalla corsa alla presidenza e l’interruzione della sua campagna elettorale. Secondo Pàgina 12, l’elezione a sorpresa di Solis, 56 anni, corrisponde a un’esigenza di cambiamento della popolazione, che chiede di puntare sull’economia e sulla lotta alla corruzione

VENEZUELA
CONDIZIONI PER IL DIALOGO
L’8 aprile il presidente del Venezuela Nicolas Maduro e una delegazione della Mesa para la unidad democràtica (opposizione) hanno partecipato a Caracas a una riunione preparatoria favorita dai ministri degli esteri dell’Unasur (l’Unione delle nazioni sudamericane). "L’obiettivo dell’incontro", scrive Reforma, "è mettere fine a due mesi di violenze e manifestazioni, a favore e contro il governo, che hanno provocato almeno trentanove vittime". In una lettera in-dirizzata alla delegazione dell’Unasur, l’opposizione ha messo sul tavolo le sue condizioni per avviare un dialogo con il
governo: dovranno esserci parità di condizioni per entrambe le parti, la presenza di un arbitro indipendente, dei punti di discussione chiari, e il primo incontro dovrà essere trasmesso in diretta radio e tv. Sul sito di Telesur Nelson Guzmàn scrive che la disponibilità del governo al dialogo dimostra la vocazione democratica dello stato venezuelano, mentre l’opposizione guarda sempre al nord in attesa di ordini. Per essere credibile, sostiene El Nacional, il presidente Maduro "deve moderare il tono dei suoi discorsi, liberare i prigionieri politici, rispettare la libertà d’espressione e disarmare le bande paramilitari del Partido socialista unido de Venezuela". Il 6 aprile è stata sequestrata una giornalista di Globo-vision, Nairobi Pinto.

COLOMBIA
L’8 aprile due poliziotti e un civile sono morti in un’imboscata nella provincia di Caquetá, nel sudovest del paese. L’attacco è stato attribuito ai guerriglieri delle Fare.

CUBA Lo statunitense Alan Gross, contractor del dipartimento di stato arrestato nel 2009 e condannato a 15 anni di prigione per spionaggio, ha cominciato l’8 aprile uno sciopero della fame.

AMERICA SETTENTRIONALE
CANADA
IN QUEBEC VINCONO I LIBERALI
Il Partito liberale ha vinto le elezioni in Québec ottenendo il 41,5 per cento dei voti. Con il 25,4 per cento dei voti, i separatisti del Parti québécois (Pq) subiscono una pesante sconfitta. La premier Pauline Marois, che puntava a ottenere la maggioranza assoluta, si è dimessa dalla guida del partito. Secondo molti analisti Marois ha perso perché le elezioni si sono trasformate in un referendum sull’indipendenza. Con la sconfitta del Pq tramonta il progetto della carta dei valori del Quebec, che avrebbe vietato ai dipendenti pubblici di indossare simboli religiosi come il velo o la kippah

STATI UNITI
II 2 aprile un soldato di 34 anni, Ivan Lopez, ha ucciso tre colleghi e ha ferito altre 16 persone prima di suicidarsi nella base di Fort Hood, in Texas.
NYC
UN PASSO VERSO LA VERITÀ
Il 3 aprile la commissione per l’intelligence del senato statunitense ha approvato la pubblicazione di una parte del rapporto sull’uso della tortura da parte della Cia. Il rapporto accusa l’agenzia di aver condotto interrogatori e arresti illeciti di sospetti terroristi, di aver commesso brutalità sui prigionieri, di aver fatto ricorso alle extraordinary renditions (le deportazioni illegali), e di aver amplificato l’effetto del programma antiterrorismo adottato dagli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. "Amnesty international, che ha equiparato le tecniche di interrogatorio della Cia alla tortura, ha chiesto che il rapporto sia pubblicato per intero", scrive il New York Times.
NYC
A New York l’isola-cimitero per poveri, gigantesca fossa comune – Detenuti scavano buche anonime, sotto un milione clochard e bebè
La maggior parte dei newyorkesi neanche sa che esiste. Eppure e’ il luogo dell’eterno riposo per oltre un milione di anime dimenticate. E’ Hart Island, un lembo di terra a est del Bronx, l’isola-cimitero per chi non puo’ permettersi una tomba a New York. Piu’ che di un camposanto si tratta di un’enorme fossa comune dove dal 1869 vengono ammassati bebè nati morti, senzatetto e poveri. Ci sono anche i becchini e i detenuti di Rikers Island (il complesso penitenziario nei pressi dell’aeroporto La Guardia), a cui spetta il compito di scavare fosse senza lapidi e senza alcun riconoscimento che possa permettere a ipotetici parenti o conoscenti di localizzare i loro cari. Quasi impossibile per le famiglie sapere dove la citta’ di New York abbia sepolto questi defunti ‘figli di un dio minore’. Del resto a New York anche morire e’ un lusso, e quando non ci si puo’ permettere un posto nei cimiteri ufficiali della citta’, si diventa un cadavere anonimo e si finisce a Hart Island. Nell’enorme fossa comune che e’ l’isola, l’unica distinzione di sepoltura e’ tra cadaveri adulti e neonati o bambini. In assenza di lapidi, solo dei segni bianchi sul terreno indicano che in determinato punto sono finiti in un’unica fossa 150 corpi adulti. Un tubo di plastica indica invece ogni fossa in cui sono stati ammassati mille bambini. "Hart Island – ha spiegato Melinda Hunt, a capo dell’iniziativa Hart Island Project che ha lo scopo di rendere il cimitero un posto accessibile e visibile – e’ il cimitero piu’ grande degli Stati Uniti, e ogni anno vi arrivano circa 1.500 defunti. E’ gestito dalle autorita’ penitenziarie, e l’accesso e’ quasi impossibile". Le istituzioni cittadine sostengono che non vi sono infrastrutture per ospitare visitatori. In questo luogo di fantasmi, viceversa, ci sono molti edifici abbandonati, fatiscenti e pericolosi. Solo dopo enormi pressioni sono state consentite visite sporadiche, a partire dal 2007. Tuttavia ai parenti e’ toccato piangere a distanza, da un gazebo, e non sulle tombe. "Non si vede niente – ha detto una donna che nel 1978 ha perso la figlia di soli cinque giorni – poi ti controllano l’identita’ ti fanno lasciare il cellulare e mettono sotto chiave tutti gli oggetti personali. Piu’ che visitatori sembra essere dei detenuti".
Prima di diventare una fossa comune, Hart Island e’ servita come cimitero durante la Guerra Civile americana. Poi e’ diventata un campo di addestramento e in seguito sede di un carcere e di un manicomio. Per un periodo e’ stata persino una base missilistica. L’accesso e’ paragonabile alla famigerata prigione di Alcatraz in California: l’unica banchina e’ chiusa al pubblico ed e’ ricoperta da filo spinato e ringhiere appuntite. Per anni a turno associazioni di cittadini hanno cercato di avere accesso alle informazioni sulle persone sepolte: ma i tentativi si sono rivelati un’impresa, tanto più che nel 1977 un incendio ha distrutto parte dei dati. (ANSA, di Gina Di Meo).

(articoli da: Le Nouvel Observateur, Francia)NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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