11011 4. NOTIZIE dall’ ITALIA e dal MONDO 25 gennaio 2014

20140125 00:43:00 guglielmoz

ITALIA – Oxfam: 85 persone detengono metà ricchezza del pianeta / Le élite economiche mondiali agiscono sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e generando un mondo in cui 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da meta’ della popolazione mondiale
ROMA/FIRENZE – Matteo vero erede di SILVIO / Il re è nudo. Renzi si svela, anche agli occhi annebbiati di quanti avevano voluto dargli fiducia.
EUROPA – Ue. 12% lavoratori italiani a rischio povertà
AFRICA & MEDIO ORIENTE – ISRAELE/PALESTINA il contrattacco di Israele sulle colonie / territori occupati. Tel Aviv reagisce con rabbia alle critiche europee. Lieberman convoca ambasciatori di Italia, Spagna, Francia e GB. Intervista alla presidente della camera Boldrini che ieri ha incontrato i parlamentari palestinesi a Ramallah
ASIA & PACIFICO – proclamato lo stato di emergenza / Il governo thailandese ha annunciato lo stato d’emergenza a seguito delle proteste che sono in corso ormai da mesi, e che hanno bloccato la vita politica del paese.
AMERICA CENTROMERIDIONALE – in America latina la fame scende di quasi la metà. L’attuazione di politiche di intervento pubblico in America Latina e Caraibi, come programmi di trasferimento di reddito e azioni volte a facilitare sistemi di agricoltura familiare e per un lavoro dignitoso, ha contribuito a ridurre la fame e la malnutrizione infantile cronica del continente.
AMERICA SETTENTRIONALE – la sorveglianza secondo Obama / Il 17 gennaio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato una riforma dei programmi di sorveglianza della National security agency (Nsa) che prevede maggiori controlli e nuovi limiti.

ITALIA
ROMA/FIRENZE
MATTEO VERO EREDE DI SILVIO / Il re è nudo. Renzi si svela, anche agli occhi annebbiati di quanti avevano voluto dargli fiducia: l’incontro con il pregiudicato e condannato e pluri-inquisito Berlusconi, era già un dato inquietante di per sè. La conferenza di chiusura tenuta poco fa da Renzi aggrava l’inquietudine e la fa diventare disperazione: la "profonda" e "importante" sintonia tra le proposte politico-istituzionali del PD renziano e quelle di Forza Italia, dichiarata da un Renzi compostamente entusiasta del suo "face tu face" con il Cav., il contenuto di tale sintonia, fanno rifulgere nella sua luce più intensa quanti danni abbia fatto al Paese una classe politica che da Occhetto a Mario Segni, da Craxi a Berlusconi, ha fatto della "governabilità" la sua chiave di volta per dare un futuro all’Italia. La governabilità, figlia del "decisionismo", a scapito della democrazia, con la foglia di fico della pseudo-democrazia delle "primarie", ha portato all’oggi. Il berlusconismo trionfa. Matteo appare oggi il vero erede di Silvio: le tre proposte su cui si profila l’intesa PD-FI sono agghiaccianti. Ne riparleremo nel dettaglio. Segnalo ora almeno una perla del Renzi: la proposta di cambiare il ruolo del Senato (trasformato nella cosiddetta "Camera delle autonomie", un’altra greve balordaggine), sarebbe (Renzi dixit) la "grande riforma costituzionale… attesa da 70 [settanta] anni". Peccato che la Carta costituzionale, discussa tra il 1946 e il 1947, sia entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Come dire, ancora prima di partorirla, i Padri costituenti stavano pensando di cambiarla. Che pena. Largo alla nuova ignoranza. E non dite che è un lapsus, per favore!
POST SCRIPTUM – CHI A SINISTRA PENSA CHE SI POSSA FARE ACCORDI CON QUESTO PD, FARÀ BENE A SVEGLIARSI.
TORINO/ ROMA/TARANTO
SICUREZZA SUL LAVORO – IL KILLER AMIANTO COLPISCE ANCORA / STRAGE BIANCA. DALLA PHILIPS ALLA FIAT, DALLA PIRELLI ALL’ILVA: LA GRANDE INDUSTRIA SOTTO ACCUSA PER LE MORTI OPERAIE
Mentre a Torino i giudici d’appello confermano le responsabilità di due ex dirigenti della Philips per le morti nello stabilimento di Alpignano, a Milano otto ex manager della Franco Tosi vanno a pro­cesso per i 33 operai uccisi dal mesotelioma pleurico, lo spietato tumore provocato dalle fibre di amianto. La decisione del gup Luigi Gargiulo chiude una inchie­sta che ha riguardato quasi vent’anni di lavoro quotidiano nella storica fabbrica di tur­bine, dai ’70 fino al 1992. Quando — con criminale ritardo rispetto alle già comprovate evidenze scientifiche – l’amianto fu messo al bando.
ROMA
Oxfam: 85 persone detengono metà ricchezza del pianeta / Le élite economiche mondiali agiscono sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche e generando un mondo in cui 85 super ricchi possiedono l’equivalente di quanto detenuto da meta’ della popolazione mondiale. Alla vigilia del World Economic Forum di Davos, il rapporto di ricerca Working for The Few, diffuso oggi da Oxfam, evidenzia come l’estrema disuguaglianza tra ricchi e poveri implichi un progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti piu’ abbienti, che piegano la politica ai loro interessi a spese della stragrande maggioranza.
Una situazione che riguarda i paesi sviluppati, oltre quelli in via di sviluppo, dove l’opinione pubblica ha sempre piu’ consapevolezza della concentrazione di potere e privilegi nelle mani di pochissimi. Dai sondaggi che Oxfam ha condotto in India, Sud Africa, Spagna, Gran Bretagna e Stati Uniti, la maggior parte degli intervistati e’ convinta che le leggi siano scritte e concepite per favorire i piu’ ricchi.
In Africa le grandi multinazionali – in particolare quelle dell’industria mineraria estrattiva – sfruttano la propria influenza per evitare l’imposizione fiscale e le royalties, riducendo in tal modo la disponibilita’ di risorse che i governi potrebbero utilizzare per combattere la poverta’; in India il numero di miliardari e’ aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni a seguito di politiche fiscali altamente regressive, mentre il paese e’ tra gli ultimi del mondo se si analizza l’accesso globale a un’alimentazione sana e nutriente. Negli Stati Uniti, il reddito dell’1% della popolazione e’ aumentato ed e’ ai livelli piu’ alti dalla vigilia della Grande Depressione. Recenti studi statistici hanno dimostrato che, proprio negli USA, gli interessi della classe benestante sono eccessivamente rappresentati dal governo rispetto a quelli della classe media: in altre parole, le esigenze dei piu’ poveri non hanno impatto sui voti degli eletti.
“Il rapporto dimostra, con esempi e dati provenienti da molti paesi, che viviamo in un mondo nel quale le élite che detengono il potere economico hanno ampie opportunita’ di influenzare i processi politici, rinforzando cosi’ un sistema nel quale la ricchezza e il potere sono sempre piu’ concentrati nelle mani di pochi, mentre il resto dei cittadini del mondo si spartisce le briciole”, afferma Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International. “Un sistema che si perpetua, perche’ gli individui piu’ ricchi hanno accesso a migliori opportunita’ educative, sanitarie e lavorative, regole fiscali piu’ vantaggiose, e possono influenzare le decisioni politiche in modo che questi vantaggi siano trasmessi ai loro figli”.
Il rapporto di Oxfam evidenzia, ad esempio, come sin dalla fine del 1970 la tassazione per i piu’ ricchi sia diminuita in 29 paesi sui 30 per i quali erano disponibili dati. Ovvero: in molti paesi, i ricchi non solo guadagnano di piu’, ma pagano anche meno tasse. Questa conquista di opportunita’ dei ricchi a spese delle classi povere e medie ha contribuito a creare una situazione in cui, nel mondo, 7 persone su 10 vivono in paesi dove la disuguaglianza e’ aumentata negli ultimi trent’anni, e dove l’1% delle famiglie del mondo possiede il 46% della ricchezza globale (110.000 miliardi dollari) “Se non combattiamo la disuguaglianza, non solo non potremo sperare di vincere la lotta contro la poverta’ estrema, ma neanche di costruire societa’ basate sul concetto di pari opportunita’, in favore di un mondo dove vige la regola dell’ “asso pigliatutto’, conclude Winnie Byanyima.
Negli ultimi anni il tema della disuguaglianza e’ entrato con forza nell’agenda globale: Obama lo ha identificato come una priorità del 2014, e proprio il World Economic Forum ha posto le disparita’ di reddito diffuse come il secondo maggiore pericolo nei prossimi 12-18 mesi, mettendo in guardia su come stia minando la stabilità sociale e “minacciando la sicurezza su scala globale”.
FIRENZE/ROMA
LONDRA – Financial Times, endorsment per Matteo Renzi: "Unica strategia possibile"
"Diamo una chance alle riforme a Roma". Cosi’ il Financial Times titola l’editoriale in cui apprezza l’azione di Matteo Renzi di portare "nuove speranze per una riforma" di "un assetto costituzionale che rende praticamente impossibile ai governi che si succedono di riformare le istituzioni economiche del Paese". E che il segretario del Partito Democratico abbia avviato questo processo raggiungendo un "ampio accordo" con Silvio Berlusconi, "che e’ ancora il leader di Forza Italia nonostante la sua condanna", viene definita "una strategia che espone a significativi rischi" ma anche l’unica possibile.
"Dal momento che gli altri partiti italiani hanno mostrato poco interesse nell’approvare una legge elettorale per garantire maggioranze che possono lavorare, a Renzi non era rimasta altra opzione che quella che parlare con Berlusconi" scrive il quotidiano finanziario che comunque definisce Berlusconi "il politico italiano meno affidabile". "Piu’ di una volta negli ultimi 20 anni, il Cavaliere ha raggirato i suoi avversari di sinistra, facendo finta di essere interessato alle riforme costituzionali per poi far saltare il tavolo quando l’accordo non era piu’ in suo favore", si legge nell’editoriale.
Ft mette in guardia anche dalle resistenze "della sinistra del Pd, che si oppone all’accordo nel timore di essere marginalizzata" e sottolinea che il "solitamente impetuoso Renzi dovra’ usare un tono piu’ conciliatorio per evitare uno scisma che alla fine minerebbe le sue aspirazioni a diventare premier". Ma, conclude, "la medizione non deve essere una scusa per l’inazione. La popolarita’ di Renzi si poggia sul suo pragmatismo e sulla sua volonta di portare a termine le cose. Se non sara’ in grado di trasformare le sue proposte elettorali in legge, gli elettori troveranno piu’ difficile credere nei piu’ profondi cambiamenti" che prospetta

EUROPA
UE
12% LAVORATORI ITALIANI A RISCHIO POVERTÀ / Un terzo degli italiani a rischio povertà è costituito da lavoratori e la situazione è peggiorata fra il 2008 e il 2012. In Europa il 9,3% dei lavoratori è a rischio povertà contro l’8,5% del 2008. E l’Italia è uno dei Paesi dove il dato è cresciuto di più, al 12%, come la Spagna. Fanno peggio solo Romania e Grecia. È quanto emerge dallo studio della Commissione Ue ‘Employment and Social Developments in Europe 2013’.
"In Italia non cresce solo la disoccupazione ma anche la povertà". Così il commissario Ue al Lavoro, Lazlo Andor, presentando il rapporto dove l’Italia spicca per alta disoccupazione e povertà di chi lavora, con stipendi con cui non riesce a vivere.

UNIONE EUROPEA
II 22 gennaio la Commissione europea ha approvato una raccomandazione che autorizza l’estrazione del gas di scisto nei paesi membri a condizione che siano rispettati dei criteri minimi di tutela della salute e dell’ambiente.

FRANCIA
UNA SVOLTA PER HOLLANDE
Messo in difficoltà dalle rivela-zioni sulla relazione con l’attrice Julie Gayet, Francois Hollande è riuscito a distogliere l’attenzione dalla sua vita privata annunciando provvedimenti economi-ci in chiave liberista. Nel solco della cosiddetta "svolta socialdemocratica" annunciata il 14 gennaio, il presidente ha confermato la riduzione del costo del lavoro e delle tasse, scrive Le Monde, chiedendo però in cambio agli imprenditori delle "compensazioni chiare, precise, misurabili e verificabili", che saranno definite coinvolgendo le parti sociali e il parlamento.
PARIGI
UN SONDAGGIO IPSOS
Un sondaggio a dir poco deprimente su una Francia depressa. I risultati della seconda edizione dell’inchiesta di opinione dell’istituto Ipsos 2014 (per Le Monde, France Inter, Fondation Jean-Jaures e il Cevipof) dedicata alle «fratture francesi» sono allarmanti.
Dopo quasi due anni dall’arrivo dei socialisti al potere, i francesi si chiudono sempre più nelle paure (dell ‘Mtio, dal vicino allo straniero, dell’Europa, della mondializzazione ecc.), hanno uno sguardo estremamente deluso sullo stato della democrazia e nelle risposte segnalano una forte domanda di «autorità» e
un deciso spostamento a destra. Solo più il 51% considera che il Fronte nazionale sia «un partito pericoloso per la democrazia», mentre per il 47% è «un partito utile», che per un terzo «incarna un’alternativa politica credibile a livello nazionale», perché «propone soluzioni realiste» ed è «vicino alle preoccupazioni» della gente.
LA FRATTURA TRA ÉLITE E POPOLO
Rispetto a un analogo sondaggio realizzato nel 2013, le risposte del campione di 1005 persone rappresentativo della popolazione francese rivelano che la «frattura» tra élite e popolo è sempre più grande. La cosiddetta «Francia degli invisibili» si allontana sempre più dalle classi dirigenti. Una domanda discutibile sulla pena di morte (abolita in Francia nell’81) è stata introdotta nel son-daggio di quest’anno: il 45% si dice favorevole al suo ripristino, ma scomponendo le risposte si vede che sono a favore il 64% degli operai.
LA SFIDUCIA NELL’EUROPA
A pochi mesi dalle elezioni europee, l’Europa è un altro buon indicatore della distanza crescente tra élite e popolo. Per l’85% dei francesi, la Francia è in declino e per il 61% la mondializzazione è una minaccia. Solo il 31% ha fiducia nell’Europa e il 70% vorrebbe che i poteri di Bruxelles venissero limitati.
Ma tra i quadri dirigenti, il 55% ha ancora fiducia nell’Europa, mentre è solo il 21% degli operai ad essere su questa posizione. I quadri dirigenti pensano al 67% che l’appartenenza all’Europa sia una cosa positiva, percentuale che scende sotto il 30% tra i simpatizzanti del Fronte nazionale, partito che cerca di sedurre la classe operaia. Una delle principali proposte del Fronte nazionale l’uscita dall’euro – è condivisa dal 55% degli operai, mentre la respinge il 94% dei quadri dirigenti (la media francese è di un terzo a favore dell’uscita dalla moneta unica, in crescita del 5 rispetto l’anno scorso.
Per il 74% «era meglio prima-La paura del mondo attuale e di ciò che minaccia l’avvenire porta alla chiusura e al ripiego su un passato illusorio. I «valori del passato» sono fonte di ispirazione per il 78% di coloro che hanno risposto al sondaggio, per il 74% era «meglio prima». E non sono i più anziani a rispondere in questo modo, ma soprattutto i giovani di meno di 35 anni.
Da questo sguardo negativo sull’attualità deriva la sensazione di «non essere più a casa propria in Francia» (62%), perché ci sono «troppi stranieri» (66%, percentuale pero’ in calo di 4 punti rispetto al 2013), che per il 59% «non fanno sforzi per integrarsi».
Sempre negativa, ma migliora un po’ l’immagine dell’islam, che nel 2014 è giudicata dal 37% «compatibile con i valori della società francese» (nel 2013 erano solo il 26% a pensarlo).
Ma quale democrazia…
Uno dei dati davvero più in-quietanti del sondaggio è la sfida rivolta a tatto il mondo politico: solo l’8% continua ad avere fiducia nei tradizionali partiti politici e il 23% nei media. Per il 78% il «sistema democratico funziona piuttosto male in Francia», il 65% pensa che «la maggior parte delle donne e degli uomini politici sono corrotti» e l’84% che «agiscono principalmente per i loro interessi personali».
Le tasse troppo elevate sono diventate in un anno la seconda preoccupazione dei francesi, subito dietro la disoccupazione, che inquieta il 58%.
Un dato che contrasta con un sondaggio della Fondazione Bertelsman, dove viene rivelato che 9 tedeschi su 10 sono soddisfatti del loro lavoro e che segnala la progressiva distanza che si sta imponendo nell’asse franco-tedesco, invocato costantemente dai politici (almeno in Francia).

PAESI BASSI
TERREMOTO A GRONÌNGA
Il governo olandese ridurrà del 20 per cento la produzione di gas naturale a causa dei continui terremoti registrati nella provincia di Groninga. L’annuncio è stato dato dal ministro degli affari economici Henk Kamp in una caotica conferenza stampa a Loppersum, una delle cittadine più colpite dalle scosse, mentre centinaia di manifestanti chiedevano il blocco totale della produzione. Oggi l’estrazione del gas frutta 13 miliardi di euro all’anno, ma secondo i sismologi è responsabile della maggiore frequenza dei terremoti, causati probabilmente dalle sacche vuote che si formano sottoterra. Le scosse si sono quintuplicate dagli anni novanta, provocando danni agli edifici della regione. "È comprensibile che gli abitanti protestino", scrive Volkskrant. "Non solo subiscono gli effetti delle scosse, ma non ricavano neanche dei vantaggi economici dall’estrazione del gas".

REPUBBLICA CECA
II 17 gennaio il presidente Milos Zeman ha nominato primo ministro il socialdemocratico Bohuslav Sobotka, leader del partito Cssd.

SERBIA
COMINCIANO I NEGOZIATI
Il 21 gennaio si sono aperti a Bruxelles i negoziati per l’ingresso della Serbia nell’Unione europea. Secondo il quotidiano sloveno Vecer, "è stata una giornata da ricordare soprattutto per il governo, molto meno per i cittadini serbi, che negli ultimi anni si sono visti promettere invano l’ingresso nell’Unione più volte, nel 2004, nel 2007 e infine nel 2014". Anche il quotidiano serbo Politika è scettico: "Il paese è in anticamera ormai da dieci anni, ma a quanto pare ci vorrà ancora molto tempo prima che l’ultima porta si apra. E non c’è nessuna garanzia che questo succeda".

TURCHIA
LE PURGHE DI ERDOGAN
Lo scandalo di corruzione che da metà dicembre scuote il paese non accenna a placarsi. Le autorità turche hanno preso nuovamente di mira la polizia e la magistratura, che avevano già subito epurazioni a dicembre, e altri settori considerati ostili al governo di Recep Tayyip Erdogan, con licenziamenti ai vertici dell’agenzia di vigilanza sulle banche (Bddk), della tv pubblica e della direzione delle telecomunicazioni. Come spie-ga Hiirriyet, la decisione di proseguire con le purghe è stata presa dopo un’indagine che ha rivelato un’intercettazione tele-fonica in cui il leader religioso
Fethullah Gùlen, ex alleato di Erdogan e oggi suo grande nemico, si vantava di avere uomini di fiducia all’interno del Bddk. In questa difficile situazione, il 20 gennaio Erdogan è arrivato a Bruxelles per la prima visita dopo cinque anni. Il viaggio era stato organizzato per celebrare il rilancio dei negoziati per l’ingresso di Ankara nell’Unione europea, ma alla luce degli ultimi scandali ha assunto contorni diversi. I vertici dell’Ue hanno chiesto a Erdogan rassicurazioni sulla divisione dei poteri e il rispetto dello stato di diritto. La temuta rottura non c’è stata, tuttavia – scrive Zaman – "la repressione delle proteste del parco Gezi e le recenti inchieste sulla corruzione hanno seriamente danneggiato le prospettive europee della Turchia".

AFRICA & MEDIO ORIENTE
ISRAELE/PALESTINA
IL CONTRATTACCO DI ISRAELE SULLE COLONIE / TERRITORI OCCUPATI. TEL AVIV REAGISCE CON RABBIA ALLE CRITICHE EUROPEE. LIEBERMAN CONVOCA AMBASCIATORI DI ITALIA, SPAGNA, FRANCIA E GB. INTERVISTA ALLA PRESIDENTE DELLA CAMERA BOLDRINI CHE IERI HA INCONTRATO I PARLAMETARI PALESTINESI A RAMALLAH
La reazione di Israele è stata immediata. In risposta alla convocazione degli ambasciatori israeliani in Italia, Francia, Gran Bretagna e Spagna, dopo l’annuncio, una settimana fa, della costruzione di altre 1.800 case per coloni ebrei in Cisgiordania e a Gerusalemme est, il premier Netanyahu giovedì sera ha accusato l’Unione europea di «ipocrisia». Subito dopo il ministro degli esteri Lieberman ha convocato i rappresentanti diplomatici di Roma, Madrid, Parigi e Londra in Israele. Il suo portavoce ha spiegato che «il continuo schierarsi contro Israele e a favore dei palestinesi è inaccettabile…oltre alla faziosità e all’ignoranza della realtà della situazione, le posizioni di questi Stati minacciano in maniera significativa la possibilità di raggiungere un accordo tra le parti». Dopo l’accusa di «ossessività» che il ministro degli esteri Moshe Yaalon ha rivolto al Segretario di stato Usa John Kerry per la sua insistenza nel volere portare israeliani e palestinesi a un accordo, adesso Lieberman dice che l’Europa è ignorante rispetto alla «realtà della situazione». Accuse e offese che tradiscono la frustrazione del governo Netanyahu per il crescente isolamento della sua politica di colonizzazione e occupazione . Certo, da qui a parlare di crisi nelle relazioni di Tel Aviv con Washington e Bruxelles ce ne passa. Qualche problema comunque esiste.
Nel botta e risposta di ieri si è inserita anche la rappresentante della politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, che attraverso la sua portavoce ha ribadito che «Gli insediamenti (colonici) sono illegali per la legge internazionale e costituiscono un ostacolo alla pace, minacciando di renderla impossibile». La linea di Bruxelles sulle colonie è stata affermata anche dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, ieri in visita al Consiglio legislativo palestinese. « Sugli insediamenti la posizione dell’Europa è chiara, adesso si tratta di capire le modalità di tutto questo», ha detto Boldrini, durante un punto stampa organizzato dopo l’incontro avuto a Ramallah con un gruppo di deputati palestinesi. Al termine la Presidente della Camera ha risposto brevemente ad alcune nostre domande.
IN QUESTI GIORNI LEI HA AVUTO MODO DI VISITARE E VERIFICARE DI PERSONA TANTE SITUAZIONI. NON CREDE CHE CI SIA UN BISOGNO URGENTE DI APPLICARE LE RISOLUZIONI INTERNAZIONALI PER DARE UNA SOLUZIONE GIUSTA A QUESTO CONFLITTO.
Sicuramente ci sono tanti livelli, tante stratificazioni. Per avere un punto di convergenza, bisogna partire prima del 1967 ma anche creare i presupposti per dare sostenibilità al processo (di pace). Oggi durante l’incontro (con i parlamentari palestinesi) sono emerse parecchie problematiche. I palestinesi ci chiedono come Europa di essere più presenti, di essere parte dei negoziati, ritengono che (al momento) non ci sia quella equidistanza per una completa credibilità.
COME PUÒ L’EUROPA FAR PARTE DEL NEGOZIATO. ISRAELE NON VUOLE UN RUOLO DELL’UE AL TAVOLO DELLE TRATTATIVE. LA FUNZIONE DELL’EUROPA SECONDO GLI ISRAELIANI DEVE ESSERE SOLO QUELLA DI SOSTEGNO ECONOMICO.
Non c’è bisogno di prendere parte direttamente al negoziato per svolgere un ruolo. Occorre che le controparti credano nella ter­zietà di chi nego­zia. Quello è il presupposto per fidarsi e per andare avanti. La parte palestinese chiede più Europa nel negoziato e a mio avviso occorre andare incon­tro a questa richiesta senza intaccare il negoziato che (il segretario di stato) Kerry sta facendo. Tutti gli riconoscono un impegno generoso. Allo stesso tempo i palestinesi chiedono che a questo sforzo generoso si accompagni una presenza più determinante da parte europea. E’ complicato ma dovremmo prendere atto di questa richiesta, poi si deciderà nelle sedi opportune, però questo è quello che è uscito da questo incontro. Più Europa e più attenzione alle richieste palestinesi.
E ANCHE PIÙ ATTENZIONE E APPLICAZIONE DELLA LEGALITÀ INTERNAZIONALE
I palestinesi hanno molto insi­stito sul ritorno dei rifugiati che per loro è ancora un punto cruciale e irrinunciabile. E’ una delle questioni non risolte da parte israeliana. Sul ritorno dei rifugiati ci sono tantissime riserve. I nodi ci sono tutti, però c’è anche l’intento di volere arrivare a dei risultati. Il capogruppo di Fatah questo lo ha sottolineato più volte: crediamo nel dialogo, vogliamo andare avanti, nel fare questo ci sarebbe bisogno di più Europa.

LIBANO
Attentati in serie
Il 21 gennaio quattro persone sono morte in un presunto attentato suicida a Beirut (nella foto). L’attacco è stato rivendicato dal Fronte al nusra in Libano, un gruppo legato ad Al Qaeda, nemico di Hezbollah, spiega il Daily Star. Pochi giorni prima, il 16 gennaio, un’altra autobomba era esplosa a Hermel, causando cinque morti. Lo stesso giorno era cominciato nei Paesi Bassi il processo del Tribunale speciale per il Libano per l’attentato nel 2005 in cui sono morti l’ex premier libanese Rafiq Hariri e altre 21 persone. I quattro imputati sono militanti del partito sciita Hezbollah. Saranno giudicati in contumacia.

UGANDA
DIBATTITO SULL’OMOFOBIA
Il presidente Yoweri Museveni si è rifiutato di firmare una dura legge contro l’omosessualità -che prevedeva pene fino all’ergastolo per i gay – approvata dal parlamento il 20 dicembre 2013. Secondo il Daily Monitor, Museveni avrebbe dichiarato che ci sono modi migliori per "salvare" le persone dall’omosessualità. In Nigeria, invece, il presidente Goodluck Jonathan ha firmato una legge che vieta i matrimoni tra persone dello stesso sesso. "Questa legge è un crimine contro la ragionevolezza", commenta il Premium Times.

PALESTINA
Venerdì scorso, dopo la lezione di musica dei bambini, siamo andati a fare una passeggiata. Eravamo io e un’amica con suo figlio e un altro bambino. Ho proposto di raggiungere un villaggio vicino e proseguire a piedi lungo i sentieri degli agricoltori. I bambini si sono stancati della natura dopo neanche dieci minuti. Anche la mia amica ha confessato di aver faticato ad abituarsi ai paesaggi della Cisgiordania, ma alla fine ha imparato ad amarli (nata da rifugiati palestinesi in Siria, ha vissuto in Libano e in Europa orientale).
Io invece sono sempre stata innamorata della bellezza dei mandorli pronti a fiorire e degli ulivi argentei della regione. "Non ci sono colonie", ha notato con stupore la mia ami-ca. Era la prima volta che visitava la zona, circa venti chilometri a nord di Ramallah. "È per questo che ti ho portato qui", le ho risposto. L’assenza dell’architettura coloniale (aggressiva e invadente) aumentava il senso di pace. A cancellare quel momento bucolico ci ha pensato la dura realtà. Da settimane la mia amica partecipa alle proteste a Ramallah contro l’assedio delle forze governative al campo profughi palestinese di Yarmuk, in Siria, e pensa continuamente alle persone che stanno morendo di fame. "Ci stiamo avvicinando a un’altra Nakba (l’esodo dei palestinesi nel 1948)", mi ha detto con la certezza di un matematico. A quel punto siamo tornati a casa, perché suo figlio aveva una lezione di dabke (una danza popolare) e lei doveva preparare una torta.

ALGERIA
II presidente Abdelaziz Bouteflika ha indetto le elezioni presidenziali per il 17 aprile, ma non ha ancora chiarito se si candiderà a un quarto mandato. Ci sarà invece sicuramente l’ex premier Ali Benflis.

EGITTO
II 98,1 per cento dei votanti ha approvato la nuova costituzione nel referendum del 14 e 15 gennaio. La partecipazione è stata del 38,6 per cento.

EMIRATI ARABI UNITI
II 21 gennaio trenta persone, tra cui venti egiziani, sono state condannate a pene fino a cinque anni di prigione per aver formato una cellula dei Fratelli musulmani. Guinea II presidente Alpha Condé ha incaricato il premier uscente Mohamed Said Fofana di formare un nuovo governo, che avrà come priorità la lotta alla povertà.

SUDAFRICA
II 23 gennaio sono ripresi gli scioperi nelle miniere di platino gestite dai tre principali produttori mondiali (Lonmin, Anglo American e Implats). Sud Sudan II 18 gennaio l’esercito ha riconquistato la città di Bor. L’offensiva contro i ribelli guidati dall’ex vicepresidente Riek Machar è ancora in corso

ASIA & PACIFICO
CINA
PARADISI FISCALI PER L’ELITE
I figli dell’ex premier Wen Jiabao e il cognato del presidente Xi Jinping sono tra gli esponenti dell’elite cinese che nasconde i suoi patrimoni in paradisi fiscali. I nomi emergono dall’inchiesta del l’International consortium of investigative journalists sulle società offshore create da 22mila cittadini cinesi nelle Isole Vergini britanniche, a Samoa e in altri paradisi. Si sti-ma che dal 2000 a oggi siano stati portati fuori dalla Cina tra i mille e i quattromila miliardi di dollari. Le rivelazioni arrivano nel mezzo della campagna anticorruzione lanciata da Xi e nei giorni in cui si è aperto il processo contro Xu Zhiyog, attivista che si batteva per rendere pubblici i redditi dei funzionari.

COREA DEL SUD
DATI RUBATI
I nomi, i codici assicurativi e i dati delle carte di credito di ven¬ti milioni di cittadini sudcorea¬ni, quasi la metà della popolazione, sono stati rubati e venduti ad aziende di marketing, scrive il Korea Herald. Un impiegato di un’azienda d’informatica, ar-restato insieme ai titolari delle tre aziende che avevano com-prato i dati rubati, è riuscito ad accedere ai database di tre gran-di società di carte di credito, la cui attività è stata sospesa per tre mesi.
COREA DEL SUD
I GIOVANI COREANI CHE RINUMCANO AL LAVORO. / SO PO-MI, HANKYOREH 21, Sempre più ragazzi, inseguendo un ideale d’impiego ormai irraggiungibile, smettono di cercare lavoro. Il mercato è troppo competitivo e offre solo posti precari e mal pagati.
Nel marzo del 2013 KimSuhyon, 23 anni, ha smesso di cercare lavoro. Finita l’università ha il mandato una decina di curriculum vitae, poi le è passata la voglia di proseguire. Adesso passa le sue giornate chiusa in camera. Prima, come per tutti, il suo obiettivo principale era trovare un la-voro. Si era iscritta a un corso professionale di due anni e poi era riuscita a entrare all’università di Seoul, perché le avevano detto che così sarebbe stato più facile tro-vare un posto. Aveva scelto di studiare informatica – un settore in piena espansione, si diceva – e durante le vacanze cercava di imparare l’inglese. Prima di lanciarsi nella caccia all’impiego aveva anche seguito un corso per imparare come si fa. Ma quando è arrivata al dunque, l’ha presa il panico e si è chiesta: "Ho davvero voglia di lavorare? Come potrò competere con quelli più bravi di me? Così ha rinunciato. Sono sempre di più i giovani sudcoreani che rinunciano a cercare l’autonomia economica. La realtà è troppo dura e il loro percorso si annuncia molto diverso da quello intrapreso dai genitori all’epoca in cui il lavoro abbondava grazie alla rapida industrializzazione ed era facile entrare a far parte della classe media. "L’ascesa sociale ormai è una favola", dice Pak Kwonil, autore di Generazione
88.000 won (600 euro), che nel 2007 aveva portato al centro del dibattito le sorti dei giovani condannati a lavori precari e mal pagati.
Trovare un’occupazione è sempre più difficile, e obbliga i giovani a fare un investimento nella formazione che non sempre è garanzia di successo. Ma i vizi del mercato del lavoro da soli non spiegano la nascita di una generazione refrattaria alla lotta per l’impiego. Anche la paura del fallimento porta i ragazzi a rimandare le decisioni o a rinunciare del tutto. Si tratta di una sorta di riflesso di autodifesa. "I ventenni e i trentenni provano a vivere secondo il modello che la società gli ha imposto. Ma si trovano davanti un muro", spiega la sociologa Sin Chinuk.
RETI DI SOLIDARIETÀ
E la loro rinuncia ha un prezzo. Nella società sudcoreana chi non fa parte del mercato del lavoro fatica a essere riconosciuto come individuo completo. Il Giappone, che negli anni novanta ha avuto i neet (ragazzi che non studiano, non lavorano e non fanno stage), ha visto in questi fenomeni un desiderio di regressione sociale da parte dei giovani. "Sanno che il fatto di non lavorare è socialmente condannabile, ma sono disposti a subirne le conseguenze", commenta il filosofo Tatsuru Uchida, che li-pubblicato un libro sul tema. Senza dubbi è esagerato dire che i giovani sud corea cerchino di proposito la regressione socia le, ma probabilmente è quello che otterranno. L’impatto di questo fenomeno sulla società è notevole. Da qui l’insistenza d governo che vuole portare la forza lavoro 70 per cento della popolazione (oggi 64,2), puntando sulla partecipazione dell donne e dei giovani all’economia. Chi refrattario rischia quindi l’emarginazione Secondo Choi Taesop, autore di La società superflua, il mondo del lavoro e la c tura della competizione devono cambiar "Bisogna ripensare la struttura che esclusi ventenni e i trentenni dal mercato e dal società". Sin Chinuk aggiunge che è necessario ricostruire le reti di solidarie sociale. "In Giappone, dopo lo scoppio d la bolla economica degli anni novanta, modello di vita simbolizzato da un impiego stabile e un appartamento in una metropoli è decaduto", spiega il sociologo. "Così è diffusa l’idea che anche chi non rientra ‘ questo ideale deve poter vivere degnamente.

THAILANDIA
II 21 gennaio il go-verno ha proclamato lo stato d’emergenza a Bangkok per cercare di fermare il movimento di protesta che da due mesi chiede le dimissioni del governo. Il giorno dopo un leader delle camicie rosse, filo govemative, è rimasto ferito in un attentato. Il 17 gennaio un uomo era morto nell’esplosione di una bomba durante una protesta dell’opposizione.
THAILANDIA
PROCLAMATO LO STATO DI EMERGENZA
Il governo thailandese ha annunciato lo stato d’emergenza a seguito delle proteste che sono in corso ormai da mesi, e che hanno bloccato la vita politica del paese. «Il Consiglio dei ministri ha deciso di proclamare lo stato di emergenza per far fronte alla situazione e far applicare la legge», ha detto il vice-premier Surapong Tovichakchaikul. Il provvedimento garantisce maggiori poteri alle agenzie di sicurezza, come quello di imporre i coprifuoco, censurare i media o impedire gli assembramenti di più di cinque persone. La crisi thailandese ha causato finora un totale di 9 morti e oltre 500 feriti. Il 2 febbraio in teoria sono previste le elezioni, anticipate dal governo della primo ministro Yingluck Shinawatra, proprio per far fronte alla crisi politica, ma gli osservatori del paese ritengono che una conseguenza dei disordini potrebbe essere proprio il posticipo dell’ap-puntamento elettorale.

INDIA/ ITALIA
IMPUTAZIONE PER I MARÒ IL 3 FEBBRAIO
Secondo quanto scritto da un’agenzia indiana verranno presentati i capi di imputazione «invocando la legge anti pirateria» (che prevede la pena di morte) dopo che il governo avrà riferito alla Corte Suprema. Nei giorni scorsi il governo indiano aveva escluso l’applicazione della pena di morte nel caso dei due marò, dando ampie garanzie al governo italiano.

AFGHANISTAN
KABUL
OLTRE LA LINEA ROSSA
"L’attacco alla Taverna du Liban a Kabul è stato uno dei più sanguinosi e spietati messi a segno nella capitale afgana dai taliban negli ultimi anni e ha segnato il superamento di un’altra linea rossa nella guerra: l’attacco a civili stranieri solo perché stranieri", scrive Afghanistan Analyst Network (Aan), un’associazione di esperti di Afghansitan. Il 17 gennaio un commando di attentatori suicidi ha fatto irruzione in un ristorante molto frequentato dagli stranieri e dalla classe media afgana a Kabul, nel quartiere di Wazir Akbar Khan, dove si trovano diverse ambasciate e sedi delle agenzie delle Nazioni Unite. Nell’attacco sono morte 21 persone, tra cui diversi diplomatici, operatori umanitari e impiegati delle Nazioni Unite. Fa parte di una serie di attacchi, ancora rari ma in aumento, contro obiettivi civili, continua l’Aan. I taliban hanno rivendicato l’attentato spiegando anche il motivo: la vendetta per gli attacchi aerei statunitensi del 15 gennaio nella regione di Parwan dove, secondo fonti afgane, sarebbero stati uccisi 13 civili, tra cui quattro bambini e tre donne. Ma, spiega l’Aan, è difficile credere che un attentato simile, in una zona con sistemi di sicurezza straordinari, possa essere stato deciso e organizzato nel giro di due giorni. Invece, dato che è avvenuto nel mezzo dell’acceso dibattito sulla presenza delle truppe straniere nel paese dopo il 2014, potrebbe essere stato architettato per far traballare la determinazione degli Stati Uniti e di altri paesi, che insistono perché il presidente Hamid Karzai firmi l’accordo bilaterale sulla sicurezza. Ma le ricadute di questo attentato potrebbero condizionare la qualità dell’intervento delle organizzazioni civili internazionali. Costrette a misure di sicurezza più rigide, queste potrebbero limitare la loro collaborazione con ong e ministeri locali e restringere il campo d’azione a discapito delle zone lontane dalle città.

PAKISTAN
NEL MIRINO DEI TALIBAN
I medici che combattono la poliomielite in Pakistan, dove la malattia non è ancora stata de-bellata, continuano a essere pre-si di mira dai militanti islamisti.
II 22 gennaio sei poliziotti che scortavano una squadra di operatori sanitari in giro per il paese per somministrare il vaccino e un bambino sono morti in un attentato. Il giorno prima tre operatori erano stati uccisi nel sud di Karachi. Secondo i taliban, la campagna antipolio è una copertura usata dalle spie statunitensi. La violenza dei taliban dilaga nel paese e il 19 gennaio a Rawalpindi ha colpito venti soldati dell’esercito. Due giorni dopo i militari hanno risposto con un raid aereo sul Nord Waziri-stan uccidendo quaranta miliziani.

VIETNAM
II 20 gennaio trenta trafficanti di droga sono stati condannati a morte al termine di un maxiprocessso con 89 imputati.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
IN AMERICA LATINA LA FAME SCENDE DI QUASI LA METÀ
L’attuazione di politiche di intervento pubblico in America Latina e Caraibi, come programmi di trasferimento di reddito e azioni volte a facilitare sistemi di agricoltura familiare e per un lavoro dignitoso, ha contribuito a ridurre la fame e la malnutrizione infantile cronica del continente.
Secondo uno studio, il Panorama di nutrizione e sicurezza alimentare 2013, principale pubblicazione continentale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO), diffuso il 3 dicembre scorso a Santiago del Cile, la percentuale della popolazione che soffre la fame è caduta dal 14,7% del biennio 1990-91 al 7,9% del periodo 2011-2013. L’Organizzazione stima che attualmente la fame affligge 47 milioni di persone nel continente latinoamericano, tre milioni in meno rispetto al 2008-2010.
Il testo sottolinea come manchino due anni alla fine del termine fissato dalle Nazioni Unite (ONU) per la realizzazione degli Obbiettivi del Millennio, in cui 16 dei 38 paesi del continente, tra cui il Brasile, possono raggiungere l’obbiettivo di dimezzare la percentuale della popolazione che soffre la fame, considerando il periodo compreso tra il 1990 e il 2015. L’impegno è stato firmato da 189 paesi nel 2000. I risultati ottenuti, secondo la FAO, costituiscono buone ragioni per queste nazioni, per sperare di vedere la fame e la malnutrizione sradicata.
Oltre al Brasile, hanno raggiunto questo importante livello anche Argentina, Cile, Guiana, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Peru, Uruguay, Venezuela e altri paesi. Sempre secondo il documento, il blocco dell’America Latina e Caribe è quello che ha raggiunto i più importanti progressi nella riduzione della fame del mondo negli ultimi due decenni, il tutto coniugato con crescita economica, impegno politico e un’azione di interventi pubblici che incontrano pienamente le esigenze sociali. Oggi, In tutto, 842 milioni di persone soffrono la fame nel mondo, dati riguardanti il triennio 2011-2013, un numero minore degli 878 milioni stimati per i tre anni precedenti (2008-2010).
Secondo la relazione, tra i paesi con maggior percentuale di denutrizione FIGURANO HAITI (49,8%), GUATEMALA(30,5%) E PARAGUAY(22,3%). In relazione alla battaglia contro la denutrizione cronica infantile (bassa statura nei bambini fino a 5 anni d’età), sono stati compiuti progressi, poiché l’indicatore regionale è passato da 13,8 milioni nel 1990, a circa 6,9 milioni di bambini nel 2012, che equivale a un 12,8% di bambini di tutta l’America Latina e Caribe. Scendendo nei particolari sub-regionali, il Centro-America è la zona in cui si rileva il più alto indice di bambini soggetti a malnutrizione cronica (18,6%), seguita dall’America del Sud (11,5%) e dal Caribe (6,7%). Il Guatemala è il paese che registra la percentuale più alta di denutrizione cronica infantile, con il 48%, seguito da Haiti e Honduras, ambedue con il 30%. Dall’altro lato, Cile e Giamaica sono i paesi con la percentuale più bassa dei casi, rispettivamente con il 2% e il 5%.
Nonostante i casi di malnutrizione in America Latina e Caribe, il documento sottolinea come il blocco sopracitato contribuisce in modo significativo alla sicurezza alimentare nel mondo, producendo più alimenti del necessario per il consumo della popolazione, sia in termini di produzione che di disponibilità, dimostrando che la fame nella regione è più legata all’accesso al cibo delle popolazioni più vulnerabili. Il testo sottolinea anche che nel periodo compreso descritto dallo studio, il continente sud-americano ha raggiunto una relativa stabilità dei prezzi alimentari nel corso del 2012, ma evidenzia che nel primo semestre del 2013 sono state registrate maggiori fluttuazioni. “I prezzi del cibo, insieme con reddito familiare, sono fattori chiave per le possibilità di accesso delle popolazioni vulnerabili ai requisiti minimi di una dieta sana,” si legge.
Dall’altro lato, l’insorgenza di fenomeni come obesità e sovrappeso progredisce come una pandemia, ed affligge il 23% degli adulti ed il 7% dei bambini in età prescolare. Nello studio si afferma inoltre che in tutto il continente 3,8 milioni di bambini minori di cinque anni soffrono di obesità.
“Un grave problema di salute pubblica, considerata peraltro strettamente legata a altre malattie croniche non trasmissibili come quelle cardiovascolari, diabete, cancro e malattie respiratorie croniche, che sono responsabili per il 63% della mortalità globale” si legge nella nota. I paesi del continente più colpiti da obesità negli adulti si trovano nei Caraibi. Il sovrappeso infantile invece è aumentato in 13 paesi, principalmente in ARGENTINA (9,9%), Perù (9,8%) e Cile (9,5%).
Fonte: Agência Brasil -Traduzione di Erman Dovis per Marx21.it

COLOMBIA
SINISTRA NEL MIRINO
"Marcha patriótica, il movimento colombiano di sinistra fondato nel 2012, non ha compiuto due anni e ha già registrato 29 persone assassinate e tre scomparse", scrive Semana. Anche se i numeri non ricordano lo sterminio di Unión patriótica, il partito fondato negli anni ottanta da vari gruppi guerriglieri, la situazione è grave, soprattutto perché all’Avana le Fare e il governo colombiano stanno negoziando le garanzie per l’esercizio dell’opposizione una volta raggiunta la pace. "La maggior parte degli omicidi è avvenuta nel 2013, quando nel paese si sono diffuse le proteste contadine, sostenute da Marcha patriótica". Intanto il 18 gennaio quattordici guerriglieri sono morti in un bombardamento dell’esercito nel dipartimento di Arauca.

PANAMA
II 20 gennaio il consorzio incaricato dei lavori di allargamento del canale di Pana-ma ha prorogato un ultimatum che aveva fissato per chiedere al governo un finanziamento aggiuntivo di 1,6 miliardi di dollari, evitando di sospendere l’attività. Le trattative sono ancora in corso.

VENEZUELA
II 15 gennaio il presidente Nicolas Maduro ha an-nunciato un cambio al governo. Rodolfo Torres sarà nominato ministro delle finanze al posto di Nelson Merentes, che diventerà presidente della banca centrale.

PERU
PARLA OLLANTA HUMALA
"Un capo di stato deve fare il suo dovere e non vincere il concorso di miss simpatia. E nel mio caso ha il compito di garantire la solidità delle istituzioni in un paese dove è molto debole". Così ha risposto il presidente del Perù, l’ex militare Ollanta Humala, al giornalista di Caretas che gli ha chiesto come mai la sua popolarità, a metà del mandato, è in calo. Humala ha parlato del suo passato militare, ha spiegato di essere contrario alla concentrazione dei mezzi d’informazione del paese nelle mani del gruppo El Comercio e ha sottolineato quelli che, secondo lui, sono i risultati ottenuti finora dal suo governo: "A differenza dei governi precedenti, non puntiamo sulla crescita economica, ma sulla distribuzione della ricchezza. Abbiamo il merito di aver creato per la prima volta una politica sociale che era inesistente e di aver portato lo stato nelle zone interne del Perù". E la situazione nel Vraem, la zona tra i fiumi Apurimac, Ene e Mantaro che per i peruviani è sinonimo solo di droga e Sendero

BRASILE
SCOPPIA LA PROTESTA DEI ROLEZINHOS / DA DICEMBRE GRUPPI DI RAGAZZI, IN MAGGIOR PARTE POVERI E DELLA PERIFERIA, SI RITROVANO NEI CENTRI COMMERCIALI DELLA CLASSE MEDIA PER SOCIALIZZARE. E CHIEDONO DI NON ESSERE DISCRIMINATI
Le manifestazioni di giugno, che sono proseguite per alcuni mesi, sono state l’avvenimento più importante del 2013 in Brasile. Da un angolo all’altro del paese i giovani hanno occupato le strade rivendicando il diritto alla mobilità e alla partecipazione politica, chiedendo servizi pubblici migliori e mettendo in discussione il modello democratico nazionale. Se da una parte i progressi sociali raggiunti nell’ultimo decennio hanno avuto effetti sulle nuove generazioni, dall’altra è risultata evidente la necessità di approfondire e accelerare le trasformazioni in corso, perché i brasiliani vogliono molto di più.
L’alto costo dei trasporti è stato il punto di partenza delle manifestazioni nel 2013, ma il combustibile è stata la violenza della polizia, una reazione tipica dei governi che hanno difficoltà a costruire canali di dialogo e a elaborare alternative congiunte con i giovani. Il 2014 è cominciato con le terribili scene di violenza nel carcere di Pedrinhas, nello stato settentrionale di Maranhão, un chiaro affronto ai diritti umani, ma soprattutto l’espressione evidente del fallimento del sistema penale e carcerario brasiliano. Violenza contro i giovani, incarceramenti di massa, condizioni disumane nei penitenziari, criminalizzazione delle manifestazioni e violazione dei diritti umani sono pratiche istituzionalizzate nella nostra polizia e denotano l’esistenza di un’apartheid sociale.
Oggi il fenomeno dei rolezinhos (letteralmente giretti), comparso per la prima volta a Sào Paulo il 7 dicembre 2013, si è al-largato ad altre città ed è diventato una metafora del paese. Migliaia di giovani, soprattutto minorenni che vivono in peri-feria, usano i centri commerciali di lusso come spazio d’incontro. Attraverso Facebook si danno appuntamento per socializzare ed essere considerati persone che desiderano e rivendicano il loro posto nella società. Questi ragazzi, senza molte opportunità di divertimento né accesso alla cultura nei loro quartieri e con difficoltà a spostarsi per godere della vita notturna di Sào Paulo, fanno festa dove e come posso-no. Aprono i portabagagli delle auto, mettono lo stereo al massimo volume e organizzano delle feste. È un’alternativa ad altre serate considerate "legittime", dove spesso ci sono ugualmente droga e sesso.
RIFORMARE LA POLIZIA
È necessaria una riflessione: perché alcune manifestazioni giovanili sono autorizzate e altre no? I rolezinhos sono discriminati perché i partecipanti sono ragazzi neri e poveri. L’ordinanza di un giudice di Sào Paulo, che ha proibito lo svolgimento di un rolezinho in un centro commerciale, ha legittimato l’uso della forza pubblica e della violenza.
È discriminatorio e indifendibile che alcuni centri siano chiusi al pubblico 0 che il personale di sicurezza selezioni all’ingresso chi può entrare e chi no. Come si può stabilire in base all’età, al colore della pelle e al modo di vestire chi può entrare in un centro commerciale? Con che diritto i poliziotti identificano giovani potenzialmente pericolosi, come se fossimo ancora ai tempi della dittatura militare? Finche non cambierà il modo di guardare, percepire e parlare con i giovani, le risposte delle autorità saranno solo misure palliative che evitano una discussione di fondo. I giovani devono essere considerati portatori di diritti e, soprattutto, avere accesso ai beni culturali e sociali della loro città. È necessario costruire un modello di sviluppo che superi i limiti della società dei consumi, recuperi la dimensione pubblica dell’esistenza, sottragga alla mercificazione le forme di convivialità e contribuisca alla] formazione di cittadini critici e attivi. È urgente anche una riforma del modello poi ziesco creato ai tempi della dittatura mi’ tare e un nuovo progetto di sicurezza pubblica, che rispetti i diritti dei cittadini. Fi che le forze dell’ordine useranno gli idra ti e le botte con i giovani, continueremo costruire una società basata sulla violenza sull’intolleranza e sui pregiudizi. Gabriel Medina, Carta Capital, Brasile

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI
Christie nega
Il governatore del New Jersey Chris Christie respinge le accuse di aver provocato un ingorgo per vendicarsi di un avversario politico e di aver usato i fondi per i soccorsi dopo il passaggio dell’uragano Sandy per promuovere il turismo nel suo stato. Nuove accuse arrivano dal sindaco di Hoboken: Christie avrebbe preteso l’approvazione di un progetto edilizio nella sua città in cambio dei fondi per l’uragano. "Perii governatore, un repubblicano che punta a conquistare i voti dei democratici e del nordest alle presidenziali del 2016, le cose si mettono male", scrive l’Atlantìc.
STATI UNITI
LA SORVEGLIANZA SECONDO OBAMA
Il 17 gennaio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato una riforma dei programmi di sorveglianza della National security agency (Nsa) che prevede maggiori controlli e nuovi limiti. Dopo le rivelazioni di Edward Snowden, l’ex collaboratore dell’Nsa che negli ultimi sette mesi ha denunciato le violazioni della privacy da parte dell’agenzia statunitense, Obama ha rivendicato l’efficacia dei metodi usati dall’intelligence per combattere il terrorismo. Ha chiesto però che le informazioni raccolte siano custodite non dall’Nsa ma da una terza parte ancora da definire, e che sia un tribunale a dare il via libera all’accesso ai dati. Inoltre ha an-nunciato la creazione di una commissione che sorvegli le decisioni dei tribunali segreti sulle attività dell’Nsa e ha rassicurato i cittadini stranieri, compresi i capi di stato, che saranno sorvegliati solo se sarà necessario per difendere la sicurezza nazionale. Il New York Times è deluso: le proposte di Obama "sono vaghe e non mettono in discussione la legittimità della raccolta dei dati". Il quotidiano sottolinea un’altra "grave mancanza": il rifiuto di ammettere che "tutto il suo discorso, e i cambiamenti di cui ora si fa sostenitore, non sarebbero mai avvenuti senza le rivelazioni di Edward Snowden, che continua a vivere in esilio e non può tornare nel suo paese perché rischia il carcere
USA
L’AGONIA DI MCGUÌRE
Ha rantolato e respirato affannosamente per circa 15 minuti prima di morire. "L’esecuzione di Dennis McGuire il 16 gennaio a Lucasville, in Ohio, solleva nuove preoccupazioni sulla gestione delle condanne capitali nello stato ed è un argomento in più a favore dell’abolizione della pena di morte", scrive il Cleveland Plain Dealer. Condannato per lo stupro e l’assassinio di una donna incinta, McGuire, 53 anni, è stato ucciso con un’inie¬zione di un nuovo cocktail letale dopo che un produttore danese si è rifiutato di fornire il farmaco usato in passato.
Luminoso? "Lì la minaccia principale è il narcotraffico. Solo migliorando le infrastrutture, recupereremo la fiducia delle comunità".

(articoli da: NYC Time, Atlantic. Time, Carta Capital, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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