10740 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 20 luglio 2013

20130719 13:16:00 guglielmoz

ITALIA . La previdenza, 9 miliardi di rosso, ne spende 22 l’anno per gli ammortizzatori. Pensioni più povere
EUROPA. Madrid – Dopo le ultime confessioni di Bárcenas, l’opposizione chiede le dimissioni del primo ministro. Che non molla / La corruzione fa tremare Rajoy
AFRICA & MEDIO ORIENTE. Siria – Ogni mese 5 mila morti Rifugiati come in Ruanda
ASIA & PACIFICO / Pechino – La nuova ricetta: riforme, meno stimoli statali e limitare i prestiti In Cina la «crisi» è una crescita al 7% Si tenta il rilancio con la «Likonomics»
AMERICA CENTROMERIDIONALE. Panama – Un carico sospetto / Il 13 luglio una nave nordcoreana partita da Cuba è stata fermata dalle autorità panamensi nel porto di Colon
AMERICA SETTENTRIONALE. Stati uniti – Un colpo al cuore del diritto

ITALIA
ROMA – IL MINISTRELLO / Alfano sul caso Shalabayeva: «Nessuno ci ha avvertito che era la moglie di un dissidente kazako». Il ministro dell’interno recita in senato la favola dell’operazione di polizia «a sua insaputa», e assolve se stesso e Bonino. A pagare, per adesso, solo il capo di gabinetto Raffaele Procaccini «dimissionato». Il Pd acconsente
ITALIA-EUROPA
OCSE: UN GIOVANE SU DUE È DISOCCUPATO / Tra il 2013 e il 2014 la disoccupazione in Italia batterà ogni record, passando dall’attuale 12,2% al 12,6%. Lo prevede l’Ocse nel suo Employment Outlook secondo il quale sono i giovani i più colpiti dalla crisi, specie quelli con un livello di istruzione medio-basso. Un giovane su due è precario: per la precisione il 52,9% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Siamo dunque ben sopra la quota fino ad oggi conosciuta del 41,7%. L’Italia sta insidiando il «primato» di Spagna e Grecia e si conferma, anche per l’anno prossimo, in vetta alla classifica. Inoltre, tra i giovani di questa fascia di età crescono gli «inoccupati» del 6,1% contro il 4,3% dell’area Ocse tra l’ultimo trimestre del 2007 e l’ultimo trimestre del 2012. Come sempre la responsabilità di questo boom viene addebitata ai «Neet», i ragazzi che «non studiano né lavorano». L’OCSE promuove con riserva la riforma Fornero criticandone le eccessive rigidità: serve più flessibilità. Un consiglio che solletica gli appetiti di molti in Italia.
ROMA – LA PREVIDENZA, 9 MILIARDI DI ROSSO, NE SPENDE 22 L’ANNO PER GLI AMMORTIZZATORI. PENSIONI PIÙ POVERE / È un’Inps che si ritrova con i conti in rosso per effetto della fusione il Pubblico impiego, quella descritta dal Rapporto annuale dell’Istituto presentato ieri. Il saldo relativo al 2012 consegna un “buco” pari a 8,996 miliardi di euro quale differenza tra i 376,8 miliardi di entrate e i 385,8 miliardi di uscite complessive. Come spiega il Rapporto, il deficit di 9 miliardi è “da ascrivere essenzialmente alla Gestione dei lavoratori pubblici ex Inpdap” mentre l’Inps precedente, cioè la gestione privata, ma anche l’Enpals (i lavoratori dello spettacolo) “presentano da anni una gestione in attivo”.
Il buco in realtà è anche il frutto del mancato versamento dello Stato dei contributi dovuti per i suoi dipendenti. Fino al 1995 non esisteva una Cassa per i lavoratori pubblici e lo Stato pagava direttamente, dal bilancio, le pensioni. L’Inpdap viene istituito nel 1996 ma dal 2008 è stato eliminato l’apporto dello Stato alla Cassa delle pensioni statali. Il buco si è accumulato e oggi si è scaricato sui conti dell’Inps. Dal punto di vista generale sarebbe una partita di giro – sempre soldi pubblici sono – ma un conto è se a pagare il deficit saranno le pensioni dei dipendenti privati, magari con un nuovo taglio alla Fornero, un altro è se il buco si scaricherà sul bilancio dello Stato e quindi sulla fiscalità generale.
L’ALTRO aspetto negativo è il costo degli ammortizzatori sociali (disoccupazione, cassa integrazione, mobilità) che raggiungono la cifra di 22,7 miliardi. In quattro anni, ha specificato il presidente Antonio Mastrapasqua, sono stati spesi 80 miliardi; costo sociale della crisi che però viene caricato sull’ente previdenziale.
Il Nuovo Inps, frutto della fusione delle varie casse, è dunque un ente mastodontico che gestisce 385 miliardi assicurando 19,9 milioni di lavoratori privati e 3,5 milioni di pubblici. I pensionati sono 15,9 milioni ma si dividono, per effetto dei doppi pagamenti, 21,1 milioni di assegni mensili. La spesa per le sole pensioni private è stata di 198 miliardi con un incremento del-l’1,8% rispetto al 2011, un primo effetto della riforma del governo Monti. L’assegno medio mensile, però, è molto basso, almeno per le pensioni private: 881 euro contro i 1.725 euro per le pensioni pubbliche, differenza che dipende da più fattori “quali una maggiore discontinuità lavorativa nel privato rispetto al pubblico, una maggiore presenza di donne pensionate e un elevato numero di pensioni indirette liquidate nella gestione privata”. L’assegno medio precipita nel caso delle pensioni assistenziali, che sono 3,6 milioni, il 20% del totale, con un importo di 428 euro: una miseria. Resta il dato maggiormente inquietante che è dato dall’indice di vecchiaia italiana, 147,2 ogni 100 giovani, che colloca il Paese al secondo posto in Europa dietro la Germania. Un dato che si associa a quanto rende noto l’Ocse: in Italia il 53% dei giovani è precario, cioè ha un’occupazione solo temporanea. Per giovani si intende la popolazione inferiore ai 25 anni. La quota si è raddoppiata rispetto al 2000, quando era d KAZAKISTAN – Il ministro riferisce sulle conclusioni raggiunte dal capo della polizia Pansa. E affida a lui eventuali provvedimenti punitivi
ROMA – Alfano fa lo gnorri: «NESSUNO SAPEVA» – Carlo Lania / Il ministro in parlamento sul caso Ablyazov: «NESSUNO CI HA DETTO CHE ERA UN DISSIDENTE». Salta solo Procaccini, Valeri sostituito
Alla fine, com’era prevedibile, ha prevalso la linea più comoda, quella del «non sapevo». Anzi, non sapeva nessuno. Non sapeva Angelino Alfano, il ministro degli Interni che non è stato informato dai suoi funzionari. Non sapeva il ministro degli Esteri Emma Bonino e non sapeva neanche il premier Enrico Letta. Tutti all’oscuro e tutti convinti che la vicenda di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua altro non fosse che la normale espulsione di una clandestina con i documenti non in regola e non il rimpatrio forzato della moglie di uno dei principali dissidenti del presidente kazako Nursultan Nazarbaev. Neanche i funzionari di polizia che la sera del 28 maggio scorso hanno fatto irruzione in forze nella villa di Casal Palocco dove la donna viveva, sapevano con chi avevano a che fare.
Dopo una settimana passata sulla graticola è questa la strada scelta dal governo per uscire indenne dalla pasticcio che si è creato con l’espulsione della moglie e della figlia di Mukhtar Ablyazov, il banchiere e oppositore del governo kazako. Alfano la illustra nel pomeriggio al Senato dove si reca per riferire sui contenuti della relazione che in mattinata gli ha fatto avere il capo della polizia Alessandro Pansa, chiamato dallo stesso titolare del Viminale a far luce sui tanti aspetti poco chiari della vicenda. E Alfano, che parla circondato da un nutrito gruppo di ministri a dimostrazione dell’unità del governo, sta bene attento a sottolineare come quanto sta per dire è il frutto del lavoro svolto da Pansa. Lo sottolinea quando ripete «leggo il virgolettato» del capo della polizia, come a dire che se domani qualcosa dovesse risultare sbagliato la responsabilità non è sua. Ma anche per ricordare a chi chiede le sue dimissioni che se cade lui, allora potrebbe cadere anche il capo della polizia.
Ma non è l’unico atto che il ministro fa a difesa del proprio ruolo. Dopo aver infatti promesso per giorni che sarebbero «rotolate delle teste», ieri Alfano ha annunciato di aver chiesto sempre a Pansa «una riorganizzazione complessiva del dipartimento di pubblica sicurezza, a cominciare dalla Direzione centrale dell’immigrazione». Spetterà al capo della polizia dunque decidere su eventuali sanzioni e rimozioni. Decisioni che Alfano sa bene che non avrebbe mai potuto prendere senza rendere difficile, se non impossibile la sua permanenza ai vertici del ministero. A pagare per il caso Shalabayeva per adesso è quindi solo uno: il prefetto Alessandro Procaccini, capo di gabinetto di Alfano, che si è dimesso martedì sera. Il capo della segreteria del dipartimento di Ps, il prefetto Raffaele Valeri verrà invece sostituito. Entrambi, tra l’altro, sono prossimi alla pensione.
La relazione di Pansa, pubblicata sul sito del Viminale, si compone di due parti: una prima con la ricostruzione cronologica di quanto accaduto dal 27 maggio, giorno in cui l’ambasciatore kazako a Roma dopo aver cercato inutilmente di parlare con Alfano incontra Procaccini e gli presenta Ablyazov come un «latitante», «in contatto con la criminalità organizzata» e addirittura «un terrorista», fino al momento in cui Shalabayeva e Alua vengono fatte salire su un jet privato a Ciampino e rispedite in Kazakistan. Nella seconda parte ci sono invece le valutazioni del capo della polizia, a partire proprio dal «mancato coinvolgimento dei vertici del governo». «In nessuna fase della vicenda i funzionari italiani hanno avuto informazione alcuna che Ablyazov fosse un dissidente politico fuggito dal Kazakistan e non un pericolo ricercato in più paesi per reati comuni», dice il ministro, secondo il quale Shalabayeva avrebbe mai detto di essere la moglie di un dissidente né avrebbe richiesto asilo politico. Neanche quando, una volta nell’ufficio immigrazione della Questura, ha visto il cognato essere rilasciato dopo aver mostrato un permesso di soggiorno lettone, rilasciato dunque da un paese aderente al Trattato di Shengen. In realtà la donna un documento lo ha mostrato, un passaporto diplomatico che le è stato rilasciato dalla repubblica Centrafricana che viene però considerato falso.
Nessuno, a quanto apre di capire, si è preso la briga verificare le informazioni su Ablyazov fornite dall’ambasciata kazaka. Neanche quando ormai la caccia al «pericoloso latitante» era chiaramente sfumata «E’ mancata l’attenzione a una verifica puntuale e completa su tutto il rapporto innescato dalla autorità kazake» prosegue Alfano, che pure ammette come proprio l’insistenza «così evidente e tangibile» dimostrata dall’ambasciatore kazako «e l’utilizzo di un volo non di linea per il rimpatrio delle due cittadine kazake avrebbe dovuto rappresentare elemento di attenzione tale da far valutare l’opportunità di portare l’evento a conoscenza del ministro». Così però non è, o non sarebbe, stato. Il governo si è impegnato a fare di tutto perché Shalabayeva e sua figlia tornino in Italia, mentre il ministro Bonino ha fatto sapere che convocherà l’ambasciatore del Kazakistan «per ricevere chiarimenti sul caso Ablyazov». Quarantanove giorni dopo i fatti. el 26,2%. (di Salvatore Cannavò)

EUROPA
SPAGNA
MADRID – Dopo le ultime confessioni di Bárcenas, l’opposizione chiede le dimissioni del primo ministro. Che non molla / La corruzione fa tremare Rajoy – di Giuseppe Grosso
El Mundo pubblica gli sms dell’ex tesoriere del Pp. E nuove rivelazioni potrebbero essere in arrivo. Il premier: «Non accettiamo ricatti» / Le rivelazioni dell’ex tesoriere del Partido popular Luis Bárcenas solcano lo scenario politico spagnolo come colpi di cannone che rischiano di affondare il governo, da mesi alla deriva nelle paludose acque dello scandalo di finanziamenti illegali conosciuto con il nome di caso Bárcenas. Un nome ormai riduttivo, perché il fango della corruzione, a cascata, ha già sommerso tutta la cupola del Pp ed è arrivato alla gola del presidente dell’esecutivo, il cui nome figura a più riprese nel libro della contabilità nera dell’ex cassiere che El País ha pubblicato in parte già lo scorso gennaio.
Da allora per i popolari è stato un calvario scandito dalle rivelazioni di Bárcenas, finito intanto in carcere e pronto a trascinare con sé gli ex compagni di partito che, dopo averlo appoggiato almeno fino a marzo, lo hanno scaricato presagendo le disastrose conseguenze delle relazioni pericolose che il cassiere intratteneva con tutti i dirigenti popolari.
Dalla cella madrilena in cui è rinchiuso da venti giorni, Bárcenas è implacabile: pochi giorni fa ha messo nella mani del direttore de el Mundo Pedro J. Ramirez gli originali della lista nera pubblicata dal Paìs, affossando così la teoria del complotto e della falsificazione su cui il Pp aveva puntato; ma la vera bomba è esplosa domenica scorsa, quando, sempre El Mundo, ha pubblicato alcuni sms scambiati tra Bárcenas e Rajoy (e consegnati al giornale dallo stesso tesoriere), che catapulterebbero il premier al centro dello scandalo e contraddirebbero la versione del Pp, secondo cui il partito avrebbe tagliato ogni tipo di relazione con il suo ex dipendente a partire dallo scorso gennaio.
Le rivelazioni sono potenzialmente distruttive ma il Pp nega e minimizza senza dare spiegazioni, insistendo su una linea che sta logorando l’immagine del partito e denota una disarmante mancanza di strategia da parte della dirigenza. Intanto, ieri mattina, Bárcenas è comparso davanti al titolare dell’inchiesta – il giudice Pablo Ruz – e il Pp è tornato a tremare: l’ex tesoriere ha confermato l’autenticità di tutte le carte pubblicate dalla stampa e, secondo fonti dell’inchiesta, starebbe apportando nuovi documenti e ulteriori stralci della contabilità nera che punterebbero dritto a Rajoy, alla numero due del Pp María Dolores de Cospedal e al suo predecessore alla tesoreria Alvaro Lapuerta, accusato da Bárcenas di essere la mente dietro trama di finanziamenti illeciti. Nel 2010, secondo le dichiarazioni di Bárcenas, Rajoy e Cospedal avrebbero intascato bustarelle per un totale di 25mila euro a testa, ma nei libri appaiono cifre ben più consistenti sia alla voce entrate sia alla voce uscite. Le donazioni arriverebbero a superare i 300.000, mentre il tetto stabilito per legge è di 60.000 e molte di esse verrebbero dal settore delle costruzioni. Tali reati non avrebbero conseguenze penali, ma in ambito giudiziario si dice che Bárcenas avrebbe in serbo nuove rivelazioni che avrebbero a che vedere con i finanziamenti elettorali e che potrebbero aggravare la posizione di Rajoy e compagni.
Si tratta insomma di un ricatto in piena regola mediante il quale Bárcenas sta cercando di divincolarsi da ruolo di capro espiatorio e dal carcere. Rajoy non ci sta: «Lo stato di diritto non si sottomette a ricatti» ha tuonato nel corso della conferenza stampa di ieri, rompendo un silenzio che durava da più di cinque mesi. Giusto. Ma gli uomini che le rappresentano sì, e questo è quello sta succedendo in Spagna, che pone in questione l’adeguatezza di Mariano Rajoy. Su questo tasto ha insistito il leader del Psoe Alfredo Pérez Rubalcaba ,che ha definito il premier «inadatto a restare un minuto di più alla guida del governo» e, per la seconda volta in pochi mesi, ha chiesto le dimissioni del presidente: «Mi vedo obbligato ad esigere le dimissioni immediate» ha dichiarato sabato scorso con l’appoggio di tutti i partiti d’opposizione. Una richiesta che, ha aggiunto Rubalcaba, «rompe tutte le relazioni con il Pp» in periodo delicato per la Spagna-
I socialisti sono disposti a ricorrere anche alla mozione di sfiducia (formula finora pronunciata a denti stretti) pur di rovesciare Rajoy, anche se si accontenterebbero di un sostituto scelto tra le fila del Pp. Va oltre Izquierda unida che chiede, invece, elezioni anticipate e, con il Pp in caduta verticale nei consensi, fiuta il trionfo. Dalla conferenza stampa di ieri, Rajoy ha però smorzato gli entusiasmi della sinistra dichiarando che ha intenzione di terminare il mandato.

FRANCIA
PARIGI – IL RITORNO DI SARKOZY / Che Nicolas Sarkozy pensasse realmente di lasciare la politica, come aveva annunciato dopo la sconfitta alle presidenziali del 2012, l’avevano creduto in pochi. La lotta fratricida dell’autunno scorso tra l’ex premier Francois Fillon e Jean I Francois Copé – i due contendenti ana guida dell’Ump (Unione per un movimento popolare) e quindi, di fatto, per la candidatura alle presidenziali del 2017 – si era risolta con una sorta di tregua armata tra i due e la conferma di Copé. E sembrava aver definitivamente messo fuori gioco Sarkozy. L’ex presidente, invece, ha saputo sfruttare la decisione del consiglio costituzionale di bocciare i conti della sua ultima campagna elettorale, a metà giugno, e lo spettro della bancarotta dell’Ump, per presentarsi, racconta Le Nouvel Observateur, come l’unico in grado di salvare il partito e di riportarlo alla vittoria. Un’impressione confermata da un recente sondaggio, secondo il quale il 76 per cento degli elettori dell’Ump vuole che sia Sarkozy il candidato del partito alle prossime presidenziali

IRLANDA
CAMBIO DI ROTTA SULL’ABORTO L’11 luglio il parlamento ha ap-provato una legge che consente l’interruzione di gravidanza nel caso di grave pericolo per la vita della madre. La nuova legge -che è il coronamento di una mobilitazione cominciata nell’ottobre del 2012, dopo che una donna indiana era morta in ospedale per un aborto negato – ha suscitato polemiche e malumori tra i cattolici e nel Fine Gael, il partito al governo. "Un legge simile", scrive l’Irish Examiner, "solo dieci anni fa non sarebbe stata immaginabile. Ma in Irlanda l’influenza della chiesa cattolica sta diminuendo. E la società evolve rapidamente".

REGNO UNITO
LONDRA – di protestanti unionisti si sono scontrati con la polizia per tre notti consecutive a Belfast, in Irlanda del Nord, tra il 12 e il 14 luglio.
Il 16 luglio la camera dei co-muni ha approvato in via definitiva la legge che autorizza i ma-trimoni gay, accogliendo alcuni emendamenti della camera dei lord. La legge è entrata in vigore dopo il via libera della regina, il 17 luglio, ma i primi matrimoni si celebreranno solo nel 2014.

LUSSEMBURGO
Le dimissioni di un europeista Dopo diciotto anni al governo, il 10luglio il primo ministro Jean-
Claude Juncker si è dimesso per il coinvolgimento in uno scandalo di spionaggio politico, aprendo la strada a elezioni anticipate. "Juncker ha perso una battaglia ma non la guerra, che si combatterà nelle urne", scrive Le Quotidien. "E considerata la sua popolarità, il voto potrebbe premiarlo ancora". Secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung, inoltre, al leader lussemburghese, per otto anni presidente dell’eurogruppo, va riconosciuto un altro merito: "Juncker incarna l’anima cristiano- democratica che è un elemento chiave del progetto europeo, e la sua carriera è la prova del peso sempre maggiore conquistato dai paesi piccoli nell’Ue".

GRECIA
ATENE – Di nuovo in piazza / Il 16 luglio la Grecia è rimasta bloccata per uno sciopero generale di 24 ore e migliaia di persone hanno manifestato ad Atene contro i nuovi licenziamenti nel settore pubblico. Come spiega Kathimerini, il piano, che prevede 15mila esuberi entro la fine del 2014, è la principale condizione posta al governo greco dalla troika (Fmi, Bce e Commissione europea) per accedere ai 6,8 miliardi di euro della nuova tranche del prestito negoziato nel 2011.

RUSSIA
MOSCA – UNA MACABRA CONDANNA / Dopo il danno la beffa. Più di tre anni dopo la morte in carcere in circostanze almeno sospette, Sergej Magnitskij l’avvocato che aveva denunciato una truffa organizzata da poliziotti e funzionari pubblici ed era stato poi arrestato con accuse pretestuose – è stato condannato in un processo postumo per evasione fiscale, un caso unico nella storia della giustizia russa. "La condanna", commenta Ga-zeta, "non è una conferma della sua colpevolezza, ma del fatto che la classe dirigente russa non è disposta a riconoscersi colpevole. Mai e per nessun motivo

AFRICA & MEDIO ORIENTE
TURCHIA – II 10 luglio è morto un ragazzo di 19 anni rimasto ferito durante le manifestazioni anti-governative a Eskisehir.

EGITTO
IL CAIRO – Giura il governo di Beblawi / Il 16 luglio ha prestato giura-mento il nuovo governo guidato da Hazem el Beblawi, che sostituisce l’esecutivo dominato dai Fratelli musulmani sciolto dopo il colpo di stato del 3 luglio. I ministri sono una trentina, in gran parte tecnocrati e politici di orientamento progressista, tra cui tre donne e un cristiano. Al Abram scrive che non ci sono invece rappresentanti dei Fratelli musulmani, che considerano illegittime le nuove autorità. Il giuramento è avvenuto dopo una notte di violenze tra forze di sicurezza e sostenitori dell’ex : presidente Morsi, che hanno causato sette morti.

SIRA – Ogni mese 5 mila morti Rifugiati come in Ruanda / Con quasi 1,8 milioni di rifugiati siriani in fuga dalle violenze, censiti nei Paesi limitrofi, la crisi dei profughi dalla Siria è la peggiore dal genocidio ruandese. Lo ha reso noto l’Alto Commissario Onu per i rifugiati, Antonio Guterres che, insieme a Valerie Amos, la responsabile per le operazioni umanitarie delle Nazioni Unite, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza, riunito proprio per discutere della crisi, uno sforzo internazionale più intenso per alleviare le sofferenze della popolazione civile. Durante la riunione del Consiglio, il vice segretario generale per i diritti umani Ivan Simonovic ha riferito che nel conflitto siriano ogni mese muoiono circa 5 mila persone e vengono commessi sistematici crimini di guerra e violazioni dei diritti umani.
I RIBELLI DI AL QAED – Dopo la morte del comandante ribelle Kamal Hamami, ucciso l’n luglio da miliziani qaedisti, si teme l’apertura di un fronte interno all’opposizione, con l’Esercito siriano libero (Esl), da una parte, e i gruppi jihadisti, dall’altra. "Ci sono state proteste a Raqqa, ad Aleppo e nelle regioni al confine con la Turchia contro l’ingerenza di Al Qaeda", scrive Azzaman, secondo cui l’organizzazione starebbe cercando di controllare le zone liberate dai ribelli siriani. Il 16 luglio l’Onu ha fatto sapere che, con cinquemila morti al mese e 1,8 milioni di profughi, la crisi siriana è la peggiore dai tempi del genocidio in Ruanda

Da HEBRON – di Amira Hass ORDINE DI SFRATTO / Eravamo quattro israeliani in visita a una comunità remota che non si trova neanche sulle mappe. È sempre la stessa storia: una comunità di pastori e agricoltori alle prese con un ordine di sfratto, in questo caso tra le colline a sud di Hebron, in Cisgiordania. Gli anziani della comunità, delle famiglie Battat e A Tel, sono nati nelle grotte di queste colline, tra le rovine di un insediamento bizantino-musulmano. Oggi quei resti archeologici hanno convinto le autorità israeliane a chiedere alla comunità di abbandonare le loro case di pietra e le loro tende. È la legge dell’occupazione: gli esseri umani non contano niente.

Quando siamo arrivati faceva un caldo secco, e il vento entrava nelle case. "Meglio dell’aria condizionata", ha detto Abu Raed, 59 anni. Nonostante il Ramadan ci hanno offerto tè e faqqus, una specie di cetriolo che viene piantato tra marzo e aprile. Il suolo ha assorbito la neve caduta in inverno, e quest’anno il faqqus è particolarmente dolce. Siamo lì per parlare di una petizione contro lo sfratto degli abitanti del villaggio. Oltre a me e al fotografo di Ha’aretz, ci sono due impiegate dell’ong israeliana Acri. Una di loro è emi-grata dall’ex Unione Sovietica, e la sua lingua madre è il russo. Il fotografo è nato nell’attuale Azerbaigian. L’altra impiegata è un’ebrea siriana emigrata in Israele nel 1985. Siamo tre immigrati e una figlia di immigrati che si godono la libertà, il cibo e il denaro che vengono negati agli abitanti storici del luogo.

TERRITORI OCCUPATI / GERUSALEMME – Svolta storica dell’Ue sulla demarcazione del «made in Israel» – di Michele Giorgio Non sorprende l’irritazione di Israele. Potrebbero segnare un passaggio storico di eccezionale importanza le nuove linee guida dell’Unione europea verso le colonie israeliane costruite nei Territori occupati in violazione di risoluzioni e convenzioni internazionali. Si vedrà già nei prossimi giorni se Bruxelles confermerà la decisione presa ed eviterà una repentina retromarcia. Per ora si sa che, a partire dal 19 luglio, ai 28 Stati dell’Unione sarà «proibito» cooperare in qualsiasi modo con gli insediamenti colonici in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (territori palestinesi) e sulle Alture del Golan (parte della Siria).
Tel Aviv, che continuerà a godere di rapporti privilegiati con l’Ue, dovrà però garantire che qualsiasi progetto di cooperazione con l’Europa – dall’istruzione alla ricerca – riguardi solo il suo territorio e non le colonie. Centrale anche il riferimento alle Alture siriane del Golan che Israele, dopo averle occupate nel 1967, con un voto della Knesset, più di trent’anni fa, ha annesso unilateralmente al suo territorio, assieme alla zona araba di Gerusalemme. «Lo scopo delle nuove linee-guida è di fare una distinzione fra Israele e i Territori occupati», ha spiegato David Kriss, portavoce della delegazione europea in Israele. «Al momento attuale – ha aggiunto – le entità israeliane beneficiano di sostegni finanziari e di cooperazione con l’Ue e queste linee-guida sono state concepite allo scopo che ciò prosegua in futuro. Al tempo stesso è stata espressa la preoccupazione che entità israeliane nei Territori occupati possano beneficiare di sostegni europei». Da qui la necessità di definire «limitazioni territoriali», esplicite ed inequivocabili, che dovrebbero avere immediati riflessi anche commerciali. Israele infatti esporta le merci delle colonie – dall’agricoltura all’hi-tech – come se fossero prodotte nel suo territorio e non nella terra occupata, strappata a palestinesi e siriani 46 anni fa con la forza delle armi. Secondo dati diffusi sui giornali nei mesi scorsi, l’Ue importa dalle colonie beni per circa 287 milioni di dollari l’anno.
Scontata la reazione dei coloni e del governo israeliano che da sempre ricercano riconoscimenti internazionali, di fatto o espliciti, dell’occupazione e della colonizzazione. L’Unione europea, sostengono i settler, avrebbe assunto posizioni «unilaterali e discriminatorie» e, pertanto, «non può più essere considerata neutrale e obiettiva». Rabbioso il commento del premier Netanyahu che nega una differenza tra il territorio israeliano e quello palestinese occupato. «Non accettiamo ultimatum esterni circa i nostri confini», ha detto. «In quanto primo ministro di Israele – ha avvertito Netanyahu – non posso consentire che si colpiscano centinaia di migliaia di israeliani che vivono in Giudea-Samaria, nelle alture del Golan e a Gerusalemme, nostra capitale riunificata». Dopo consultazioni con i ministri Tzipi Livni e Naftali Bennett e col viceministro degli esteri Zeev Elkin, il primo ministro ha ribadito che i confini definitivi di Israele saranno stabiliti solo mediante trattative dirette fra le parti interessate. Nel frattempo, fa capire Netanyahu, il suo paese continuerà a comportarsi come meglio crede, incurante delle decisioni europee.
Soddisfatti i palestinesi. Secondo Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp, dopo le numerose dichiarazioni e condanne «l’Unione europea è passata a decisioni politiche efficaci e a passi concreti che costituiscono un cambiamento qualitativo». Cambiamento che, a suo giudizio, avrà un impatto «positivo» per una possibile ripresa del negoziato bilaterale. Come spesso accade, i palestinesi sotto troppo ottimisti nei confronti della coerenza dell’Ue in Medio Oriente.

ISRAELE/PALESTINA – IN DISCUSSIONE ALLA KNESSET UN PROGETTO PER LA DEPORTAZIONE DI 70MILA ABITANTI In Parlamento il piano per cancellare la presenza dei beduini palestinesi dal Negev – di Nicola Perugini e Neve Gordon * / Cancellati dalle mappe di Israele, gli insediamenti e i villaggi sono considerati i simboli di una «invasione» da contrastare con la forza
Il 24 giugno il «Piano Prawer per la sistemazione dei beduini palestinesi nel Negev» ha passato il suo primo scrutinio al parlamento israeliano. Se messo in atto, il piano costituirà il più grande atto di evacuazione forzata di palestinesi di Israele dagli anni Cinquanta, ed espellerà circa quarantamila beduini dalle loro attuali abitazioni.
L’obiettivo fondamentale del piano è di giudaizzare il Negev israeliano. Per raggiungere quest’obiettivo, 70mila dei duecentomila beduini che attualmente vivono in villaggi che il governo israeliano ha classificato come «non riconosciuti» verranno spostati a forza. Va sottolineato che il governo israeliano proibisce già ai palestinesi del Negev di allacciarsi all’elettricità, alla rete idrica e alle fognature. A questo si aggiunge il fatto che nel deserto del Negev le norme edilizie vengono applicate con particolare durezza contro la popolazione non ebrea. Nel solo 2011 circa mille tra case e stalle di proprietà palestinese -ciò a cui il governo di solito si riferisce con il termine «strutture» – sono state demolite. Inoltre, nel Negev non ci sono strade asfaltate e i segnali stradali tra le strade principali e i villaggi vengono regolarmente rimossi dalle autorità governative. I villaggi non compaiono sulle mappe poiché da un punto di vista geografico e amministrativo i luoghi abitati da questi cittadini poco graditi allo stato non esistono.
Visto che queste persone vivono in piccoli villaggi sparsi in un’area molto ampia, per anni il governo ha sostenuto di non poter fornire loro i servizi di base e che dunque il suo obiettivo è di concentrare la popolazione palestinese del Negev in alcune circoscrizioni. Di conseguenza, nel 2009 Netanyahu ha incaricato il suo responsabile per le politiche di pianificazione, Ehud Prawer, di liberare la «terra ebraica» del Negev. Il principale compito di Prawer era di trasferire altrove i 70mila beduini che continuano e intendono continuare a vivere nei «villaggi non riconosciuti».
La logica che guida il Piano Prawer è ancora più chiaramente espressa in «Esiste una soluzione», un report del 2010 pubblicato da una Ong coloniale che si chiama Regavim e che negli ultimi anni ha lavorato a stretto contatto con le agenzie governative. Il report sostiene che gli abitanti palestinesi del Negev «rubano» alla popolazione ebraica la terra di Israele «in maniera molto silenziosa, senza il rumore della battaglia o il clamore della guerra». «Su questo campo di battaglia», continua l’organizzazione, «le betoniere hanno sostituito i carri armati, gli aratri prendono il posto dei cannoni e apparentemente innocui civili sostituiscono i soldati in uniforme… ettaro dopo ettaro, casa dopo casa, comprando, occupando e coltivando illegalmente una terra che non è loro, a volte con furbizia, alte volte con violenza, servendosi di enormi somme di denaro e con l’aiuto di organizzazioni anti-sioniste attive in Israele e all’estero. Israele sta perdendo il controllo delle terre del popolo ebraico».
Regavim aggiunge che Israele ha sino ad ora «usato ‘carote’ con i beduini, ma mai il ‘bastone’». Secondo questa Ong, con le loro «attività criminali» i beduini stanno colonizzando la terra e minacciano di «mettere fine al futuro ebraico della regione meridionale (il Negev, ndr)».
Citando la famosa dichiarazione di David Ben Gurion secondo cui «il Negev è per Israele un test nazionale», Regavim offre una soluzione in quattro fasi contro la «minaccia beduina»: limitare «la costruzione illegale beduina», preparare la popolazione per la rimozione, evacuare tutte le «popolazioni illegali» e trasferirli in insediamenti legali. Inoltre, il governo dovrebbe prepararsi per il «day after» e fare sì che le cose non tornino al loro «stato di partenza», termine con cui Regavim indica una situazione caratterizzata dall’invasione dello spazio ebraico da parte delle «popolazioni illegali» palestinesi. Secondo questa narrazione, lo spazio è per definizione ebraico, e dunque ogni presenza non-ebraica è una forma di contaminazione e la posta in gioco reale del «test nazionale» di Ben Gurion. Questa è esattamente la logica su cui si regge il «bastone» di Prawer e questi sono i termini in cui i beduini palestinesi sono stati trattati nella sfera pubblica israeliana per anni. Ad esempio, di recente il vicesindaco della città meridionale di Arad ha affermato, in risposta a una petizione presentata alla Corte suprema contro l’evacuazione di alcuni villaggi beduini, che le rivendicazioni di questi «insolenti invasori» sono «in malafede». Numerosi articoli, anche su quotidiani come Ha’aretz hanno usato il termine «invasore» nelle loro descrizioni dei beduini che vivono in Israele.
Comprendere questa trasformazione dell’indigeno in un invasore o in un «colono palestinese» – per prendere in prestito l’espressione utilizzata recentemente dal vice Ministro della Difesa Danny Danon (del Likud)- è fondamentale per capire non solamente il Piano Prawer, ma anche la logica stessa dello stato di Israele. In un contesto in cui i palestinesi sono stati sistematicamente alienati e cancellati dalla storia e dalla geografia, la costituzione del nativo palestinese come un soggetto illegale o un invasore straniero serve come condizione di possibilità per la giudaizzazione della terra. L’ethos in cui questa pratica si radica è l’impegno etnocratico di Israele a spossessare i non-ebrei; un impegno che viene cinicamente elevato a un atto di auto-difesa, e, in ultima istanza, di giustizia.
* Institute for Advanced Study, Princeton

ALGERIA – II 16 luglio il presidente Abdelaziz Boutefìika, ricoverato da quasi tre mesi in Francia dopo un ictus, è rientrato ad Algeri.

GUINEA – II 15 e il 16 luglio almeno 16 persone sono morte negli scontri etnici tra guerzé e konianké nel sudest del paese.

SUDAN – Sette caschi blu dell’Onu sono morti e 17 sono rimasti feriti il 13 luglio in un’imboscata vicino a Manawashi, nel Darfur. Le vittime erano di nazionalità tanzaniana.

RDC
NORD KIVU – Torna la paura nel Nord Kìvu / Dal 14 luglio vicino a Goma, il capoluogo del Nord Kivu nell’est della Repubblica Democratica del Congo, sono ripresi i combattimenti tra l’esercito e i ribelli del movimento M23. Gli scontri, che hanno messo in fuga un migliaio di persone, hanno causato almeno 130 morti. Tutto questo mentre a Rampala procedono faticosamente i negoziati tra il governo di Kinsha-sa e i ribelli, scrive Congo Sia-sa. Più a nord, a Kamango, almeno 60mila congolesi sono scappati in Uganda dopo un attacco della milizia ugandese Adf-Nalu

ZIMBABWE
ALLE URNE SENZA RIFORME / Il 15 e 16 luglio 8/mila dipendenti pubblici e soldati hanno votato in anticipo alle presidenziali, previste per il 31 luglio. Sw Radio Africa scrive che ci sono stati ritardi e problemi organizzativi. Tra i candidati in lizza, Robert Mugabe, al potere dal 1980, e Morgan Tsvangirai, il suo principale oppositore, che ha duramente criticato la decisione di andare alle urne senza una riforma elettorale

ASIA & PACIFICO
KAZAKISTAN – GEOPOLITICA Il paese è il primo produttore di uranio e un immensa riserva di gas e petrolio Kazakistan «caput mundi» – di Andrea Pira / Crocevia strategico: è l’unica strada per i rifornimenti e la «ritirata» della Nato dall’Afghanistan
Quando lo scorso 30 giugno il primo ministro britannico, David Cameron, è partito alla volta del Kazakistan, numerose sono state le esortazioni affinché sollevasse il tema della tutela dei diritti con il suo ospite Nursultan Nazarbayev. Nelle stesse ore in cui il leader conservatore incontrava l’uomo al potere nell’ex repubblica sovietica da oltre vent’anni, Vladimir Kozlov, figura di spicco dell’opposizione, doveva comparire davanti alla Corte Suprema nel processo d’appello per la condanna a sette anni e mezzo di carcere con l’accusa fumosa di aver fomentato disordini sociali.
Appena un mese prima a Roma si consumava la vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua di 6 anni, costrette a un rientro forzato in Kazakistan, moglie e figlia di Mukhtar Ablyazov, oppositore di Nazarbayev in esilio proprio in Gran Bretagna, ricercato con l’accusa di appropriazione indebita e truffa. In conferenza stampa il primo ministro ha detto di aver affrontato l’argomento diritti, come chiesto tra gli altri da Human Rights Watch in un intervento sull’Independent. Per tutta risposta Nazarbayev sottolineava che il suo paese non ha bisogno di lezioni. Ma in compenso, in vista del voto del 2015, dava il proprio sostegno elettorale a Cameron, tornato a Londra assieme alla delegazioni di 33 imprenditori e uomini d’affari forte di contratti per oltre 820 milioni di euro. Il Kazakistan è considerato uno dei nuovi paesi emergenti cui guardare quando si tratta di sicurezza, energia e commercio. Cameron non è solo tra i leader mondiali a parlare di Astana partendo dal presupposto di essere nel bel mezzo di una «corsa globale per i posti di lavoro e gli investimenti». Il paese è il primo produttore al mondo di uranio. Un primato conquistato nel 2009, spiega la World Nuclear Association, quando contribuì al 28 per cento della produzione. Una percentuale in aumento nel corso degli anni, tanto da toccare il 35 per cento nel 2011. E poi c’è il petrolio. Vanta riserve per 40 miliardi di barili. Parlare di risorse naturali nella satrapia di Nazarbayev equivale in qualche modo a dire Kashagan. Proprio Cameron, ha inaugurato un impianto che servirà a lavorare il petrolio estratto dall’immenso giacimento sul Mar Caspio. A sviluppare il giacimento è un consorzio di tutti i principali colossi del settore: Eni, Total, ExxonMobil, Royal Dutch Shell. Da ultimo anche la China National Petroleum Corporation che potrebbe tenere fuori gli indiani della Videsh. Le operazioni dovrebbero partire il prossimo settembre. Ma fonti citate dalla Reuters ipotizzano possa essere tutto rinviato alla primavera del 2014. Ennesimo di una serie di ritardi che si ritiene siano dietro le dimissioni del ministro del Petrolio e del Gas, Sauat Myanbayev, sostituito dal tecnocrate Uzakbai Karabalin.
Attraverso il territorio kazako passano inoltre gli approvvigionamenti delle forze Nato in Afghanistan, lungo quelle stesse vie che il prossimo anno saranno battute dal ritiro delle truppe combattenti.
In un numero di giugno di Caci Analyst, rivista dedicata all’Asia centrale e al Caucaso, si ricordano i traguardi raggiunti dal 73enne Nazarbayev, sfruttando la rete di amicizie che va dalla Russia alla scelta di Tony Blair tra i suoi consiglieri.
Nell’analisi si elenca la presidenza dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ottenuta nel 2010 per intercessione di Mosca. Quella stessa organizzazione il cui rappresentante per i media, Dunja Mijatovic, ha recentemente criticato la nuova legge sulla stampa. C’è il successo dell’Astana Economic Forum, inaugurato nel 2008 cui partecipano premi Nobel per l’economia e leader mondiali, nella cui ultima edizione a fine maggio, oltre alle discussioni, sono stati siglati accordi per 2,7 miliardi di dollari. C’è infine l’assegnazione alla futuristica capitale dell’Expo 2017 a scapito di Liegi, merito del tema: il futuro dell’energia.
Mancano dall’analisi i rapporti di Amnesty, come quello dell’11 luglio che chiede la fine della tortura contro i prigionieri o i riferimenti alle proteste del 2011 dei lavoratori nella regione petrolifera di Mangystau, la cui repressione fece almeno 15 morti e cui seguì la stretta contro oppositori, stampa e attivisti. *Lettera 22

CINA
CHANGSHA – II 15 luglio Tang Hui, madre di una ragazza rapita e stuprata, ha ottenuto 2.641 yuan di risarcimento (circa 330 euro) dal tribunale di Changsha. Era stata rinchiusa in un campo di lavoro per aver chiesto giustizia.
PECHINO • La nuova ricetta: riforme, meno stimoli statali e limitare i prestiti In Cina la «crisi» è una crescita al 7% Si tenta il rilancio con la «Likonomics» di Simone Pieranni
In Cina una delle espressioni più usate comunemente è meiwenti; significa «non c’è problema» ed è quanto stanno cercando di ripetere i politici cinesi di fronte al rallentamento economico più importante dal 1990. Da anni si parla del potenziale hard landing cinese, ovvero il brusco atterraggio o meno dell’economia, che comincia a soffrire come altri per la crisi mondiale. L’annuale Congresso Nazionale del Popolo nel marzo scorso aveva fissato al 7,5% la crescita, ma un’analisi dei primi dati circa il prossimo quadrimestre indica che la Cina potrebbe fermarsi al 7%, con possibilità di numeri anche più bassi. A rassicurare hanno pensato i big del Partito e del governo. Lou Jiwei, il ministro delle finanze ha ribadito di avere tutto sotto controllo. Secondo Lou – che in precedenza era a capo del fondo sovrano cinese – anche se la Cina crescesse al 6,5% non ci sarebbero scossoni rilevanti. Parole confortanti sono giunte anche dal premier Li Keqiang: «Fino a quando il tasso di crescita economica, l’occupazione e altri indicatori non scivolano sotto il nostro limite più basso e l’inflazione non supera il nostro limite più alto, potremo concentrarci sulla ristrutturazione della nostra economia, spingendo per le riforme». Proprio Li Keqiang in questa fase di attenzione alle questioni economiche, è diventato il protagonista assoluto della scena. La sua ricetta economica ha trovato infatti un nuovo termine, coniato da tre esperti della Barclays: Likonomics. Si tratta di una parola che insieme a «urbanizzazione» e «banche ombra» è tra i più citati su Weibo, il Twitter cinese e negli articoli dei media nazionali. La Likonomics , in cinese Li Keqiang jin ji xue (l’economia di Li Keqiang) si baserebbe su tre principi, veri e proprio pilastri delle ricetta economica del premier cinese: no agli stimoli statali, deleveraging (ovvero una riduzione del livello di indebitamento delle istituzioni finanziarie, attraverso una riduzione dei prestiti) e le riforme strutturali. Secondo alcuni osservatori cinesi la ricetta della Likonomics sarebbe corretta, perché di fatto anziché ricercare la crescita, tenterebbe di controllare la crisi, provando a creare le condizioni per una ripartenza più pulita, di qualità. Li Keqiang e il Presidente Xi Jinping, infatti, ereditano una condizione economica particolare: il decennio di Hu Jintao e Wen Jiabao, definito dorato dai media cinesi, perché la crescita è arrivata al 14%, in realtà ha creato molti dei problemi che ora il Partito si ritrova a dover risolvere. Nel decennio appena concluso la Cina è cresciuta senza controllo, creando diseguaglianza e problematiche strutturali all’economia, proprio nel momento di crisi del mondo occidentale e conseguente capitombolo del modello basato sull’esportazione. A questo si aggiunge il fatto che i pacchetti di stimoli statali decisi durante il regno di Hu e Wen avrebbero creato una condizione pericolosa per l’economia cinese, finendo per riempire di denaro binari morti per quanto riguarda la qualità degli investimenti; tanto più grave perché si è calcolato che questa massa di prestiti interbancari – che ha fatto lanciare l’allarme di un credit crunch in Cina – pare sia ormai il 200% dell’intero Pil del paese. I soldi prestati sono finiti in bolle o potenziali bolle, come quella immobiliare, che hanno causato il non ritorno di tanti prestiti bancari. Come al solito per la Cina il problema – e le non facili soluzioni – ricorrono: trasformare la quantità, in qualità, anche decidendo di gestirsi per un certo periodo una situazione di crisi.

INDIA
BIHAR – Uccisi dal cibo a scuola / In una scuola elementare dello stato del Bihar 22 bambini sono morti a causa del cibo contami-nato servito nell’ambito del pro-gramma Mid-day meal. Nato nel 1925, il programma fornisce un pasto gratis al giorno a 120 milioni di bambini in tutta l’In-dia, per incentivare la scolarizzazione nelle zone più povere del paese. Ad avvelenare i bambini potrebbe essere stato un pesticida trovato nel cibo in grandi quantità. In un’altra scuola del Bihar 50 bambini sono stati ricoverati per intossicazione alimentare, ma sono fuori pericolo. Non è la prima volta che nel Bihar si verificano incidenti a causa del cibo avariato o contaminato. Il Times of India scrive che nello stato la gestione del programma è nelle mani di persone corrotte e che le linee guida del governo sugli standard alimentari sono ignorate. La tragedia ha scatenato dure proteste in diversi villaggi del Bihar, dove alcune macchine della polizia e un autobus sono stati incendiati.

BANGLADESH
LA CONDANNA DI GHULAM AZAM Il 15 luglio Ghulam Azam, uno dei leader del partito d’opposizione Jamaat-e-islami, è stato condannato a 90 anni per i crimini commessi durante la guerra d’indipendenza con il Pakistan, nel 1971. Azam, il quinto imputato condannato per le violenze durante la secessione, è stato giudicato colpevole di aver organizzato i gruppi armati che si sono macchiati di atrocità appoggiando l’esercito pachi-stano contro gli indipendentisti. Due sostenitori dell’opposizione sono morti negli scontri con la polizia durante le proteste scoppiate dopo la sentenza

BHUTAN
SORPRESA DALLE URNE / Il 13 giugno i cittadini sono an-dati a votare per la seconda volta nella storia del Bhutan, diventato una democrazia nel 2008. A sorpresa ha vinto il Partito democratico del popolo (Pdp), finora all’opposizione con soli due seggi in parlamento. Il Pdp ha ottenuto 32 seggi lasciandone solo 15 al Druk phuensum tshogpa (Dpt): un risultato inatteso su cui ha pesato, secondo gli osservatori, l’allentarsi dei rapporti con la vicina India. Poco prima del voto, infatti, New Delhi ha rinfacciato al governo uscente di aver privilegiato i rapporti commerciali con Pechino. L’India ha revocato quindi i sussidi per il gas per uso dome-stico, il carburante e il cherosene, e i rimborsi dei dazi di fabbricazione, scrive The Hindu.

GIAPPONE
TOKIO – Non tutti possono votare Mainichi Shimbun, Giappone / A pochi giorni dalle elezioni del 21 luglio per il rinnovo di metà della camera alta, il Partito liberaldemocratico del primo ministro Shinzò Abe è il favorito. Se ottenesse la maggioranza dei 121 seggi in palio sarebbe la prima volta in sei anni che un partito controlla entrambe le camere del parlamento e il governo ne uscirebbe rafforzato. Uno dei temi più accesi del dibattito politico è la riattivazione delle centrali nucleari che hanno superato i controlli di sicurezza. In caso di vittoria, Abe riceverebbe un’ulteriore spinta per portare avanti il suo piano energetico, che fa parte delle contestate riforme per risollevare l’economia del paese. E avrebbe più forza per modificare la costituzione in tema di difesa. Alcuni cittadini, però, non potranno andare alle urne, scrive il Mainichi Shimbun. I senza fissa dimora, infatti, non possono votare perché non hanno un indirizzo di residenza

AUSTRALIA – II 16 luglio un’imbarcazione con 150 migranti a bordo, proveniente dall’Indonesia, ha fatto naufragio al largo di Christmas Island. Le vittime so-no almeno quattro. Il 5 luglio il premier australiano Kevin Rudd aveva raggiunto Jakarta per di-scutere di immigrazione con il presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
CILE
BARRICATE A SANTIAGO / L’11 luglio decine di migliaia di persone hanno partecipato a una manifestazione a Santiago (nella foto) in occasione di uno sciopero generale per chiedere una riforma delle leggi sul lavoro e un aumento degli stipendi. I dimostranti, scrive LaTercera, hanno incendiato delle barricate e bloccato l’accesso ad alcune miniere.

MESSICO
COLPO AGLI ZETAS / Il 15 luglio la marina messicana ha arrestato a Nuevo Laredo, nello stato di Tamaulipas, Miguel Ángel Treviño (nella foto), capo degli Zetas, il più sanguinario gruppo criminale de l paese. Treviño è conosciuto per la brutalità e il sadismo con cui eliminava i nemici. La sua cattura è il primo grande successo del presidente Enrique Peña Nieto nella guerra al narcotraffico. Secondo El Universal, l’operazione è riuscita anche grazie alla collaborazione degli Stati Uniti: "Sembra che il Pentagono abbia fornito alle autorità messicane indicazioni sulla posizione di Treviño, ottenute attraverso i droni che si trovano in territorio statunitense, al confine tra i due paesi".

PANAMA
UN CARICO SOSPETTO / Il 13 luglio una nave nordcoreana partita da Cuba è stata fermata dalle autorità panamensi nel porto di Colon, nei Caraibi, con il sospetto che trasportasse un carico di droga. L’imbarcazione avrebbe dovuto attraversare il canale di Panama e poi entrare nell’oceano Pacifico. Dopo due giorni di perquisizioni, si è scoperto che la nave trasportava alcuni macchinari da guerra nascosti dentro contenitori che in teoria avrebbero dovuto trasportare 250 quintali di zucchero. Secondo il quotidiano spagnolo El Pais, il ritrovamento costituisce una violazione delle sanzioni imposte dall’Onu al regime nordcoreano. Pyongyang non ha commentato la notizia, mentre le autorità dell’Avana hanno spiegato che si tratta di vecchie armi di difesa cubane obsolete, che sarebbero tornate sull’isola dopo essere state ripa-rate da tecnici nordcoreani. Due settimane prima, il presidente cubano Raul Castro aveva ricevuto il capo di stato maggiore dell’esercito nordcoreano, Kim Kyok Sik. Il fermo della nave, spiega El Pais, potrebbe condizionare negativamente i colloqui tra Cuba e Stati Uniti sull’immigrazione, che sono ricominciati in questi giorni dopo essere stati congelati per più di due anni.

ARGENTINA.
II 15 luglio il ministro degli esteri Héctor Timerman ha consegnato agli inquirenti una lista di cento politci che sarebbero stati spiati da uno stato estero. La lista sarebbe stata consegnata al ministro da un alto funzionario al vertice del Mercosur in Uruguay.

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI – II 12 luglio la segretaria alla sicurezza interna Janet Napolitano si è dimessa per as-sumere l’incarico di presidente dell’università della California.
Il 16 luglio Edward Snowden, la talpa del Datagate, bloccato da quasi un mese all’aeroporto di Mosca, ha chiesto asilo politico provvisorio in Russia in attesa di raggiungere un paese dell’America Latina.

TEXAS – Il Texas sfida le donne / Il 12 luglio il senato del Texas ha approvato, con 19 voti a favore contro 11, una legge che vieta tutti gli aborti dopo le 20 setti-mane di gravidanza e limita l’at-tività delle cliniche e dei medici che praticano aborti. Il 26 giugno la senatrice democratica Wendy Davis aveva tentato di opporsi alla legge con l’ostruzionismo, parlando in aula per undici ore di seguito. Nel 2013,17 stati americani hanno approvato delle restrizioni al diritto di aborto. Di questo passo, scrive il Christian Science Monitor, la corte suprema rischia di dover riesaminare la sentenza con cui, nel 1973, dichiarò legale l’aborto negli Stati Uniti.
STATI UNITI – Un colpo al cuore del diritto – di Alessandro Portelli / Nella luce incerta di quella sera in Florida, il vigilante George Zimmerman non ha visto una persona, un ragazzo di nome Trayvor Martin – ha visto qualcosa che il nostro vicepresidente del Senato chiamerebbe «un orango». E naturalmente ha avuto paura, e poiché poteva farlo ha sparato. Ed è stato assolto.
Gli Stati Uniti si sono dati un presidente afroamericano, l’Italia si è data una ministra nata in Congo; ma questi segnali di progresso non indicano un’uscita dal razzismo del senso comune. Come hanno efficacemente segnalato i manifestanti di Time Square, a colori invertiti – vittima bianca, sparatore nero – il procedimento e la sentenza sarebbero stati ben altri.
Ha detto Barack Obama: siamo uno stato di diritto, la sentenza è questa, cerchiamo di capire adesso che cosa fare. Ma è proprio qui il punto: che «diritto» è quello che permette un’assoluzione del genere?
La legge della Florida riconosce la legittima difesa anche a chi abbia agito solo per la percezione del pericolo, indipendentemente dal fatto che questo pericolo fosse o meno reale. E non c’è dubbio che un ragazzo nero in un quartiere bianco nell’ora sbagliata è automaticamente percepito, almeno in certi contesti, come una minaccia: una materia fuori luogo, un’invasione (ricordiamo Henry Louis Gates Jr., luminare afroamericano di Harvard, arrestato perché di sera un poliziotto lo ha visto che cercava di aprire la porta della propria abitazione?). Ora, questa idea del rischio percepito, come stato mentale soggettivo che produce conseguenze materiali sociali, la conosciamo bene anche noi: è stata alla base di tutte le politiche securitarie che hanno cercato di fondare le politiche statuali sulla paura dell’altro (del migrante, dello «zingaro», del «clandestino», dello straniero). Questa paura non solo percepita ma attivamente alimentata ha generato da noi il fenomeno, per fortuna molto marginale ed effimero, delle ronde leghiste e paraleghiste; e anche George Zimmerman, non un poliziotto ma un volontario che si era nominato vigilante da sé, è espressione di questo impulso a «fare da sé», a prendere in mano la legge e la sicurezza – a mettersi, con consenso della legge, fuori della logica dello stato di diritto.
Su questa paura permanente, fra l’altro, si fonda anche l’altro fattore nella morte di Trayvor Martin: l’ossessione delle armi. Nella maggior parte degli Stati Uniti, l’unico elemento di moderazione sul possesso delle armi è la norma che autorizza a portarle purché siano visibili; la Florida è uno di quegli stati che invece autorizzano il possesso di armi anche nascoste. Bisogna armarsi, dice la National Rifle Association, perché solo così ci si può difendere dagli aggressori armati che stanno dappertutto: una mentalità da assedio che si traduce, dopo l’11 settembre, in quell’ossessione del terrorismo che salda le paure private alle paranoie pubbliche. Ma nel caso di Trayvor Martin, il fatto che la pistola del suo uccisore non fosse visibile ha fatto sì che l’arma non avesse neppure una funzione deterrente, ma solo una funzione omicida.
Disse Barak Obama, subito dopo l’assassinio: se avessi un figlio maschio, Trayvor Martin avrebbe potuto essere mio figlio. Non era una trovata retorica: sta a dire che la sorte di Trayvor Martin può essere la sorte di qualunque ragazzo nero, che ogni ragazzo nero costruisce i suoi percorsi nello spazio urbano città tenendo presente il pericolo che corre.
«In queste strade», dice la madre afroamericana al figlio, in una canzone di Bruce Springsteen, «devi capire le regole; se ti ferma un poliziotto promettimi che ti comporterai educatamente e non cercherai di correre via e terrai sempre le mani bene in vista». Le mani di Trayvor Martin erano bene in vista, l’arma del suo assassino nascosta. Amadou Diallo, ammazzato dalla polizia con 41 colpi, aveva in mano un portafogli che i poliziotti hanno deciso di scambiare per un’arma. Trayvor Martin non aveva in mano neanche quello. È segno che nemmeno rispettare le regole ti protegge, che il pericolo te lo porti addosso direttamente nella tua nera «American skin». Che non ti uccidono per quello che fai, ma per quello che sei. E la legge li assolve.

NYC / NAPOLI / NATO – L’ARTE DELLA GUERRA La Nato in stand by pronta all’attacco – di Manlio Dinucci / Come un dispositivo elettronico in modalità d’attesa, il Comando della forza congiunta alleata a Napoli (Jfc Naples) è tenuto ufficialmente in «standby», ossia pronto in qualsiasi momento a entrare in guerra. Ha ricevuto dal Comandante supremo alleato in Europa (che è sempre un generale statunitense nominato dal Presidente) l’incarico di mantenere in massima efficienza la Forza di risposta Nato – composta da unità terrestri, aeree e navali tecnologicamente più avanzate – in grado di effettuare entro 48 ore «qualsiasi missione in qualsiasi luogo».
Il nuovo quartier generale del Jfc Naples a Lago Patria, costruito per uno staff di oltre 2mila militari ed espandibile per «la futura crescita della Nato», è in piena attività. Stanno arrivando membri aggiuntivi dello staff da tutti i paesi Nato, per una serie di esercitazioni che permettono al Jfc Naples di essere «pronto a operazioni militari come la Unified Protector», la guerra del 2011 contro la Libia. Oggi, nel mirino del Jfc Naples, c’è la Siria. Contro cui la Nato, senza apparire ufficialmente, conduce attraverso forze infiltrate una operazione militare coperta, che da un momento all’altro può divenire scoperta imponendo una «no-fly zone», come fu fatto con la Libia. Avamposto dell’operazione militare contro la Siria è la Turchia, dove la Nato ha oltre venti basi aeree, navali e di spionaggio elettronico. A queste si aggiunge ora uno dei più importanti comandi Nato: il Landcom, responsabile di tutte le forze terrestri dei 28 paesi membri, attivato a Izmir (Smirne). Lo spostamento del comando delle forze terrestri dall’Europa alla Turchia – a ridosso del Medio Oriente (in particolare Siria e Iran) e del Caspio – indica che, nei piani Usa/Nato, si prevede l’impiego anche di forze terrestri, soprattutto europee, in quest’area di primaria importanza strategica. Lo conferma il fatto che il generale Usa Philip Breedlove, da poco nominato dal presidente Obama comandante supremo alleato in Europa, si è recato in luglio a Izmir per accelerare i tempi in cui il Landcom raggiungerà la «piena capacità operativa». Subito dopo, il generale Usa Frederick Hodges, responsabile del comando di Izmir, si è recato a Napoli per coordinare l’attività del Landcom con quella del Jfc Naples. Qui è stato accolto dall’ammiraglio Usa Bruce Clingan, che è allo stesso tempo comandante della Forza congiunta alleata a Napoli, delle Forze navali Usa in Europa e delle Forze navali del Comando Africa. Un gioco strategico delle tre carte, che permette al Pentagono di mantenere sempre il comando: ad esempio, nel 2011 esso ha diretto la guerra alla Libia prima attraverso il Comando Africa, quindi il Jfc Naples, appoggiati dalle forze navali Usa in Europa. E l’Europa? Essa è importante per gli Usa geograficamente, ha chiarito il Comandante supremo alleato a una commissione congressuale: le basi in Europa non sono residui «bastioni della guerra fredda», ma «basi operative avanzate» che permettono agli Usa di sostenere sia il Comando Africa che il Comando centrale nella cui area rientra il Medio Oriente.
Sono quindi essenziali per «la sicurezza del 21° secolo», garantita da una «potente e capace alleanza» diretta dagli Usa, che possiede «24mila aerei da combattimento, 800 navi militari oceaniche, 50 aerei radar Awacs». Una alleanza (questo non lo dice) la cui spesa militare ammonta a oltre 1000 miliardi di dollari annui. Per mantenere sempre pronti alla guerra i comandi, come quello di Napoli, città con

STATI UNITI – Le carceri della vergogna / L’11 luglio 3omila detenuti delle prigioni della California hanno cominciato uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di vita in carcere e l’isolamento a tempo indeterminato. È il terzo sciopero della fa-me nelle carceri dopo quelli del 2011, che spinsero il dipartimento dell’amministrazione carceraria ad avviare un programma per ridurre le condanne all’isolamento. "Molti dei 3.800 prigionieri in isolamento sono accusati di appartenere a gang in-terne alle carceri", spiega il Los Angeles Times. Nella prigione statale di Pelican Bay, vicino al confine con l’Oregon, almeno mille detenuti vivono in isola-mento, metà dei quali da più di dieci anni. Secondo Amnesty International è un trattamento "crudele, disumano e degradante, che viola il diritto internazionale"
( articoli da : The Hindu, Le Quotidien , Frankfurter Allgemeine Zeitung, Irish Examiner ,Le Monde, El Mundo, NYC Time, Time, Guardian, Clarin, Nuovo Paese, Il Manifesto, Internazionale, Los Angeles Time. Lettera 22, AGVNoveColonne)
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