10342 Notizie 5 Gennaio 13

20130109 16:01:00 guglielmoz

EUROPA
MEDIO ORIENTE e AFRICA
ASIA ORIENTE e PACIFICO
AMERICHE

EUROPA.
GB – LONDRA : 225 ANNI FA DIVENTO’ / THE TIMES’, CAMBIO’ / LA STAMPA PER SEMPRE. IL NOME DELLA TESTATA TRA LE PIU’ GRANDI / INTUIZIONI NELLA STORIA DELLA COMUNICAZIONE . 1 gennaio 2012. ‘L’autorevole quotidiano londinese’. E’ così che spesso è citato il Times. E citazione non fu mai così vera, se si pensa a quella decisione, che oggi compie 225 anni, e che cambiò per sempre la stampa e i giornali, almeno quelli in lingua inglese. Il primo gennaio 1788 fu stampato per la prima volta ‘The Times’. Il giornale esisteva già dal 1785, ma si chiamava Daily Universal Register: quel giorno rinasceva con un’unica differenza, il nome della testata. Da pronunciare piu’ velocemente e da ricordare con meno sforzo. Si tratta di una delle più brillanti intuizioni di comunicazione di tutti i tempi, ad oggi pressoché impareggiabile nel pur sofisticato e tecnologico mondo dei media. Da allora, per oltre due secoli ormai, il termine ‘Times’ è nell’immaginario collettivo sinonimo di un quotidiano in lingua inglese, adottato da numerosissime testate in qualsivoglia latitudine. Viene subito in mente il New York Times. Ma ne sono esempi il Los Angeles Times o Times of India, Moscow Times, fino alle pubblicazioni in inglese in Malawi. Fu lo stesso fondatore, John Walter, che volle quel fondamentale cambiamento. Nei suoi tre anni di vita il foglio (quattro pagine) si era già imposto. Ma chiedere al ragazzo dei giornali il ‘Daily Universal Register’, era già considerato un ‘messaggio’ troppo poco immediato. Troppo lungo e che dava adito a confusione. Così Walter, nonostante non poche resistenze al giornale, fu irremovibile. Nasceva così “The Times”. ( fonte Ansa)
ITALIA
ROMA – Denaro all’estero, sequestrato mezzo mln / Operazione internazionale, Gdf controlla 2.873 persone a dogane. Una operazione internazionale di polizia per la lotta alla circolazione transfrontaliera di valuta, promossa dalla presidenza dell’Ue e condotta in Italia dalla Guardia di Finanza, ha condotto al sequestro di piu’ di mezzo milione di euro. Quasi tremila le persone controllate alle dogane italiane nell’ultimo bimestre 2012 di cui 110 in possesso di denaro oltre il limite consentito di 10 mila euro; rinvenuti piu’ di 2,4 milioni di euro, di cui poco piu’ di un milione eccedente il limite. (fonte Ansa)

Notizie Brevi
MIGRAZIONI – CRESCE IL NUMERO DI LAUREATI CHE LASCIANO L’ITALIA / Il numero degli emigranti italiani con 25 anni e più oscilla nell’ultimo decennio tra 29 e 39 mila unità. E’ quanto si legge nel report dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. E’ da rilevare come si sia modificata la distribuzione dei flussi in uscita rispetto al titolo di studio posseduto: la quota di laureati passa dall’11,9% del 2002 al 27,6% del 2011, mentre la quota di emigrati con titolo fino alla licenza media passa dal 51% al 37,9%. Nel medesimo periodo, il numero di italiani che si iscrive dall’estero diminuisce da oltre 35 mila a 22 mila unità. Anche per gli iscritti risulta in aumento la quota dei laureati, dal 13,7% al 25,9%, mentre diminuisce quella di coloro in possesso di titolo fino alla licenza media, dal 66,7% al 48%.

MIGRAZIONI – DAL 2002 400MILA ITALIANI HANNO LASCIATO IL PAESE / Tra il 2002 e il 2011 sono state complessivamente 580 mila le uscite di cittadini dall’Italia, di cui 175 mila relative a cittadini stranieri e circa 405 mila di italiani. E’ quanto si legge nel report dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. Il dato sulle cancellazioni per l’estero di fonte anagrafica rappresenta verosimilmente una fotografia parziale della realtà, stante l’attitudine da parte dei cittadini stranieri di non comunicare all’anagrafe la partenza oltre confine . A tal riguardo, è significativo osservare come nel medesimo periodo ammonti a 281 mila unità il numero di cittadini stranieri cancellati dalle anagrafi per irreperibilità.

NEL 2011 SI RILEVANO CIRCA 31 MILA 500 RIMPATRI DI CITTADINI ITALIANI CONTRO OLTRE 50 MILA ESPATRI. E’ quanto si legge nel report dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. Ne consegue un saldo migratorio con l’estero negativo (-0,3 per mille) e generalizzato su tutto il territorio, con la sola eccezione della Calabria (+0,1 per mille residenti). Nel bilancio tra ritorni e abbandoni di italiani l’area del Paese con il saldo negativo più elevato è il Nord-est (-0,4 per mille), che precede la ripartizione delle Isole (-0,3 per mille). L’area meno colpita è invece il Sud (-0,1 per mille). Le regioni che quantitativamente assorbono la maggior parte dei rimpatri sono Lombardia (circa 6 mila), Lazio (3 mila 200), Sicilia (circa 3 mila) e Campania (2 mila 400) che, prese nel loro insieme, raccolgono il 46% del totale. Tuttavia, in termini di propensione relativa, i rimpatri risultano piuttosto uniformemente distribuiti sul territorio. I tassi di immigratorietà regionali risultano, infatti, per la maggior parte compresi tra lo 0,4 e lo 0,6 per mille residenti, con le sole eccezioni del Molise (0,7 per mille) e della Calabria (0,9 per mille). Il Veneto si colloca al terzo posto per numero di espatri (4 mila 600), dietro Lombardia (9 mila 700) e Lazio (4 mila 800), precedendo di poco la Sicilia. In queste quattro regioni si concentra circa la metà (47%) delle uscite dai confini nazionali. Nel Nord, il tasso di emigratorietà è più alto in Valle d’Aosta (1,3 per mille), Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia (1,2 per mille). Nel Mezzogiorno è più elevato nel Molise (1 per mille) e nelle due Isole (0,9 per mille).

TRA IL 2002 E IL 2011 SONO STATE COMPLESSIVAMENTE 580 MILA LE USCITE DI CITTADINI DALL’ITALIA, DI CUI 175 MILA RELATIVE A CITTADINI STRANIERI E CIRCA 405 MILA DI ITALIANI. E’ quanto si legge nel report dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. Il dato sulle cancellazioni per l’estero di fonte anagrafica rappresenta verosimilmente una fotografia parziale della realtà, stante l’attitudine da parte dei cittadini stranieri di non comunicare all’anagrafe la partenza oltre confine . A tal riguardo, è significativo osservare come nel medesimo periodo ammonti a 281 mila unità il numero di cittadini stranieri cancellati dalle anagrafi per irreperibilità.

IN DIECI ANNI ARRIVATI IN ITALIA 3,5 MILIONI STRANIERI–/Tra il 2002 e il 2011 sono oltre 3,9 milioni gli iscritti alle anagrafi italiane provenienti dall’estero, di cui 3,5 milioni di cittadinanza straniera. E’ quanto si legge nel report dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. L’immigrazione, si legge nel rapporto, è da anni una componente consolidata nel quadro della dinamica sociale e demografica del Paese, tanto da rappresentare oggi il prevalente fattore di crescita della popolazione. Già nei primi anni ’70 il numero di immigrati superava costantemente quello degli emigrati, tuttavia, una marcata crescita dei flussi in ingresso, per la gran maggioranza relativi a cittadini stranieri, si è avuta soprattutto nell’ultimo decennio.

MIGRAZIONI: IN ITALIA QUASI UN MILIONE DI RUMENI IN 10 ANNI / La comunità straniera più rappresentata in Italia è quella rumena che, in termini assoluti, sfiora nell’ultimo decennio il milione di arrivi (943 mila, pari in termini relativi a un immigrato ogni quattro); seguono le comunità albanese (278 mila iscritti), marocchina (258 mila), ucraina (215 mila) e cinese (150 mila). E’ quanto si legge nel report dell’Istat sulle migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. Il rapporto rileva negli ultimi anni un notevole flusso di immigrati provenienti dalla Romania (oltre 89 mila nel 2011). Questo fenomeno è dovuto al proseguimento, dal 2007, dell’“effetto ingresso” della Romania (e della Bulgaria) nell’Unione Europea, fenomeno che ha reso possibile l’iscrizione anagrafica di un numero elevato di cittadini stranieri comunitari. Altri Paesi da cui più frequentemente provengono gli stranieri sono il Marocco (24 mila) e la Cina (20 mila). Anche per quanto riguarda le cancellazioni per l’estero, il primo Paese che, in valore assoluto, attrae gli stranieri è la Romania (oltre 7 mila cancellazioni) seguita da Cina (circa 1.600 unità) e Albania (1.500 unità). ( da Nove Colonne ATG)

MEDIO ORIENTE e AFRICA

TURCHIA – Tornano legali libri di Marx, Lenin, Stalin – Anche di Lenin e Stalin i titoli riabilitati dopo decenni di censura – Dal ‘Manifesto del partito comunista’ di Marx e Engels, ai libri del poeta turco Nazim Hikmet. Migliaia di volumi che erano stati messi al bando nel corso degli ultimi decenni in Turchia torneranno ad essere legali in virtu’ di una riforma che annulla il divieto. All’inizio di luglio, il Parlamento turco ha adottato una legge che prevede che tutte le decisioni giudiziarie o amministrative adottate prima del 2012 e relative al ”sequestro, divieto o ostacolo alla vendita e alla distribuzione di pubblicazioni, decadranno”’ se non sono confermate da un giudice entro sei mesi. Tale scadenza e’ giunta a termine oggi e nessuna decisione giudiziaria relativa al rinnovo di tale divieto e’ stata segnalata, ha detto il presidente dell’Unione degli editori in Turchia (TYB), Metin Celal Zeynioglu. Saranno cosi’ riabilitati molti autori comunisti tra cui Joseph Stalin e la sua ‘Storia del Partito Comunista bolscevico dell’URSS’ e Lenin con ‘Stato e Rivoluzione’, ma anche un fumetto, un atlante, un saggio su questione curda e un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Turchia. Si calcola che siano almeno 23mila le pubblicazioni interessate dalla riforma.

CISGIORDANIA – JENIN / Blitz delle unità speciali Ma la folla reagisce / Continua a salire la tensione in Cisgiordania dove ieri, nei pressi della città di Jenin, c’è stato un nuovo blitz di unità speciali israeliane per arrestare un palestinese ricercato dalle forze di occupazione. L’azione è fallita per l’intervento di centinaia di palestinesi che hanno reagito lanciando sassi contro i militari israeliani. Due giorni fa una simile missione aveva causato scontri con decine di feriti a Tamoun, sempre nei pressi di Jenin. mi. gio
ISRAELE – UNA PROPOSTA DA DESTRA / Soldi per incoraggiare i palestinesi ad andarsene / di michele giorgio / Israele dovrebbe versare mezzo milione di dollari per incoraggiare ogni famiglia palestinese ad abbandonare le loro case, i Territori occupati e trasferirsi all’estero. La pulizia etnica con i guanti di velluto. È questa la proposta fatta da Moshe Feiglin, candidato di Likud-Beitenu (il listone elettorale di estrema destra capeggiato dal premier Netanyahu) a tre settimane dalle elezioni. Altri tre candidati di Likud Beitenu invece chiedono l’annessione immediata delle ampie porzioni della Cisgiordania dove sono state costruite le colonie ebraiche (in violazione delle leggi internazionali). Dalle parole ai fatti sul terreno. Decine di palestinesi sono rimasti feriti nel corso di duri scontri con l’esercito di occupazione nel villaggio di Tamun (Jenin), divampati quando nel mercato ortofrutticolo sono stati smascherati militari israeliani in borghese che fingevano di essere commercianti. La loro missione era catturare un militante locale del Jihad, Murad Bani Odeh. In azione anche i coloni israeliani di Esh Kodesh e di altri insediamenti. «Un arabo buono è un arabo morto», hanno scritto in ebraico in una località palestinese, prima di tagliare decine di alberi d’olivo e impedire ai contadini di arare un campo. Due giorni fa spari sono stati indirizzati presso Hebron contro un autobus israeliano. Nessuno ferito.

PALESTINA – La barriera di separazione di 700 km che Tel Aviv ha voluto in Cisgiordania è quasi ultimata. E IL TRACCIATO COINCIDE CON I PIANI ISRAELIANI SUI CONFINI FUTURI. A COSA SONO SERVITI 10 ANNI DI LOTTE? CONTRO IL MURO DELLA DIFFERENZA DI Haggai Matar * Ma le manifestazioni hanno lanciato nuove modalità non armate e tessuto relazioni con l’altro «versante» Quale che sia la forma di protesta adottata l’esercito replica con violenza: 275 le vittime
Il 14 aprile del 2002, l’allora Primo Ministro Ariel Sharon annunciò la costruzione di una barriera di separazione in Cisgiordania. Eravamo all’apice della seconda intifada, iniziata con manifestazioni di massa brutalmente represse dall’esercito e culminata in una serie di attacchi suicidi ai danni della popolazione civile all’interno di Israele. La barriera di Sharon, annunciata nel pieno di quell’operazione, non aveva ancora né un tracciato né un budget. Ma il progetto, destinato a divenire forse il più imponente della storia d’Israele, era nato.
L’avvio dei lavori di edificazione segnò anche l’inizio dello scontro sul tracciato del muro. La società israeliana si divise soprattutto sulla quantità di terra da sottrarre alla Cisgiordania con la costruzione. I coloni erano divisi tra chi si opponeva in toto al progetto, temendo che le aree che ne sarebbe rimaste fuori sarebbero state cedute ai palestinesi, e chi appoggiava l’idea di una barriera che penetrasse il più possibile in territorio palestinese, rendendo possibili ulteriori annessioni e ostacolando il processo di pace.
A dieci anni di distanza il tracciato ufficiale è, chilometro più chilometro meno, quello autorizzato dal governo di Ehud Olmert nell’aprile 2006. Un percorso che coincide quasi alla perfezione con suoi piani in materia di confini futuri, così come presentati in sede di negoziati con l’Autorità Palestinese.
ANDAMENTO INGANNEVOLE
«Il governo israeliano ha optato consapevolmente per un tracciato che contrasta con le esigenze di sicurezza», è l’accusa del colonnello riservista Shaul Arieli, membro del Consiglio per la pace e la sicurezza e co-autore di Wall of Folly, il più importante libro uscito in Israele sul muro. «Ha scelto di mettere a repentaglio la vita dei suoi civili e soldati per raggiungere altri obiettivi, principalmente legati agli insediamenti. L’opinione pubblica è quasi del tutto ignara di questa amara verità, sebbene sancita dalla Corte suprema. Su pressione di esponenti della destra, tra cui l’allora Ministro del tesoro Benjamin Netanyahu, nella barriera sono stati lasciati varchi tuttora usati da kamikaze e lavoratori irregolari per entrare e uscire liberamente».
Sono passati dieci anni e tante cose sono cambiate. Il tracciato del muro è stato deciso, modificato e corretto tanto dai vari governi che si sono succeduti quanto dalla Corte suprema. La sua costruzione è stata avviata, fermata, ripresa e di nuovo sospesa, per ripartire solo in tempi recenti. Nell’insieme il muro si dispiegherà per 700 km (di cui 525 costruiti all’oggi): un’estensione oltre due volte superiore alla Linea Verde (i confini del ’67), grazie a un andamento tortuoso e ingannevole. Esso corre per l’85% in territorio palestinese, mentre un altro 8,5% cade sul lato israeliano e viene quindi annesso di fatto. Allo stato attuale l’opera è costatata 10 miliardi di shekel (2,6 miliardi di dollari), cui aggiungere un altro miliardo circa di shekel all’anno (260 miliardi di dollari) in manutenzione. Sebbene quasi tutti gli israeliani reputino l’opera completata, il grosso dei lavori è fermo a un paio di anni fa e non se ne intravede la fine.
Se la società israeliana si è divisa attorno alla questione del tracciato, la resistenza più accanita è arrivata dai palestinesi, sostenuti nel mondo in questa battaglia e motivati tanto dal danno arrecato dal muro alla propria economia e società quanto dallo svanire di ogni possibilità di divenire Stato sovrano nei confini precedenti al ’67.
Stando ai piani iniziali, il muro avrebbe comportato l’annessione di circa il 17% della Cisgiordania. Ma anche nell’ultima e più contenuta versione, che vede le annessioni limitate all’8,5%, la sottrazione di territorio palestinese resta significativa e comprende aree cruciali per la sostenibilità di uno Stato indipendente. Il caso più estremo è quello della Mishor Adumim, la piana di Adumin: se la costruzione di quel tratto sarà completata la Cisgiordania si ritroverà spezzata in due, senza continuità territoriale alcuna. L’area è anche nota come «E1», quella zona dove Israele ha da poco annunciato la costruzione di migliaia di case per gli insediamenti: la "vendetta" per la domanda di riconoscimento presentata dalla Palestina alle Nazioni Unite.
Nella fase successiva al deposito dei primi progetti di edificazione, la Corte suprema respinse i ricorsi che vennero presentati, dando ragione allo Stato nel definire la barriera una misura di sicurezza priva di implicazioni politiche. In un secondo momento la stessa Corte ha poi stabilito che lo Stato aveva mentito nel rispondere nel merito dei ricorsi, ma non ha annullato le precedenti sentenze.
E se per la causa palestinese il muro è stato un duro colpo politico, per i palestinesi di Cisgiordania è stato una catastrofe. Nelle principali città si vive circondati da mura alte otto metri che in alcuni casi (soprattutto a Gerusalemme e Ramallah) tagliano interi quartieri in due. Nei villaggi attraversati dalla barriera i contadini sono separati dalle proprie terre, il cui accesso è loro negato o pesantemente limitato, con esiti disastrosi per l’agricoltura e l’economia. Ci sono poi i 35mila palestinesi intrappolati dalla parte "sbagliata" del muro, in piccole enclave che Israele si è annessa di fatto. Persone rescisse dalla propria società, ma che non hanno reale accesso a Israele. Sono inoltre gravissimi gli effetti del muro sulle riserve idriche dei villaggi, sugli eco-sistemi locali e sulla vita di quelle decine di migliaia di persone che entrano ogni giorno in Israele per andare a lavorare – per metà legalmente, l’altra metà sfruttando i varchi nella barriera o arrampicandosi oltre il muro a rischio della vita.
Tutto questo ha portato all’esplosione di una nuova fase nella storia della lotta palestinese, quella delle manifestazioni popolari contro il muro. Una lotta iniziata spontaneamente. Nel settembre del 2002, nel villaggio di Jayous arrivarono i primi bulldozer israeliani per l’avvio dei lavori nelle terre circostanti. Gli abitanti di Jayous, che vivono di agricoltura, alla vista dei bulldozer si precipitarono d’istinto sui campi per proteggere gli alberi. Bloccarono i lavori, si avvinghiarono agli alberi, vennero malmenati e dispersi, qualcuno fu arrestato, ma il giorno dopo tornarono sui campi.
«Non avevamo un piano: quando la gente vide che stavano sradicando gli alberi, corse a proteggerli», racconta il contadino Sharif Khaled, uno dei leader delle proteste. «C’erano gli uomini come le donne, gente di ogni famiglia e partito, e decidemmo di restare sulle nostre terre. Fu solo dopo diverse settimane che arrivarono gli israeliani e l’International Solidarity Movement».
AZIONE DIRETTA E PROTESTE CREATIVE
E la protesta dilagò. In altre località toccate dal muro partirono manifestazioni analoghe. Le forme della protesta variavano da luogo a luogo: alcuni privilegiando l’azione diretta, altri gli slogan e gli scambi verbali diretti con i soldati, altri le forme più creative a suon di musica, performance, maschere e quant’altro.
In quasi tutti i casi israeliani e stranieri sono stati invitati a unirsi alla lotta, che sia stato per ragioni di sicurezza (costringere i soldati a essere meno violenti), per affermare politicamente la resistenza comune e la condivisione dei valori di uguaglianza e di pace, o per le due cose insieme. Ma quale che sia la tecnica adottata l’esercito risponde sempre con la stessa violenza, a gradi d’intensità variabili: sono in tutto 25 i manifestanti (dieci minori) uccisi durante le manifestazioni contro il muro e 275 le persone uccise nell’insieme delle proteste popolari. Centinaia i feriti gravi, centinaia gli arresti, per non parlare degli alberi bruciati e degli animali da allevamento uccisi dai gas lacrimogeni.
A distanza di dieci anni, viene allora da chiedersi a cosa sia servita la lotta. La prima, più scontata, risposta è che molti dei villaggi insorti, come Jayous, sono riusciti a strappare variazioni al tracciato e riprendersi parte delle terre a seguito di decisioni dirette dell’apparato di sicurezza o di sentenze giudiziarie. Ma se giriamo la domanda a noti attivisti palestinesi, la risposta che riceviamo è di natura squisitamente politica. C’è chi parla della nascita di un’alternativa non armata per la lotta palestinese nel suo insieme, chi insiste sull’importanza delle relazioni nate tra israeliani e palestinesi grazie alla lotta, relazioni che decostruiscono alla base la separazione politica cui il muro è finalizzato. Chi invece sottolinea il sostegno internazionale alla causa palestinese conquistato dalle manifestazioni. «È una lotta contro l’occupazione nel suo complesso – e l’occupazione è tutto fuorché finita», dice Muhammed Khatib, uno dei leader del comitato popolare contro il muro di Bil’in. «Non ti sembra un motivo sufficientemente valido per continuare?».
* The Wall: Ten Years On nasce come serie di 12 articoli pubblicati sulla rivista +972 Magazine (972mag.com). Per questi articoli, Haggai Matar ha ricevuto l’Anna Lindh Mediterranean Journalist Award per il 2012. Traduzione di Eva Gilmore

COSTA D’AVORIO – 60 MORTI NELLA CALCA DOPO I FUOCHI D’ARTIFICIO / Inizio tragico del nuovo anno a Abidjan, la città più importante della Costa d’Avorio, dove una folla immensa si è radunata allo stadio Felix Houphouet Boigny per io spettacolo pirotecnico che doveva dare l’addio al 2012. All’uscita, intorno alle due di notte, 60 persone sono rimaste schiacciate nella ressa. Tra le vittime ci sarebbero almeno 26 bambini o adolescenti, oltre a 28 donne e a sei uomini. Tra i feriti, una cinquantina, molti sono ragazzini. Il bilancio fornito dal ministro dell’Interno Hamed Bakayoko è ancora provvisorio.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA – I ribelli fermano L’avanzata a vanno al vertice in Gabon
I combattenti Seleka che dal 10 dicembre scorso hanno lanciato un’offensiva contro il governo della Repubblica Centrafricana hanno annunciato uno stop all’avanzata sulla capitale Bangui in attesa del vertice convocato a Libreville, in Gabon, per l’8 gennaio. «Stiamo vagliando varie proposte perché la crisi cessi – ha dichiarato un portavoce dei ribelli – e una di queste potrebbe essere una transizione politica che escluda il presidente Bozizé». Quest’ultimo è al potere dal 2003, quando con un golpe rovesciò Ange-Felix Patassé. I ribelli lo accusano del mancato rispetto degli accordi siglati nel 2007. «Quegli accordi avevano due punti essenziali – ha spiegato Jean-Paul Bagaza, portavoce dei ribelli Seleka in Francia – il disarmo e l’inserimento nell’esercito centrafricano di tutti gli ex combattenti. Noi chiediamo anche l’instaurazione della democrazia e il rispetto dei diritti umani oltre che il rispetto della nostra costituzione che il presidente ha intenzione di modificare per potersi ripresentare al potere nel 2016». Le Nazioni Unite hanno condannato l’avanzata dei ribelli, mentre Congo Brazzaville, Camerun e Gabon hanno inviato truppe a sostegno del regime di Bangui. Nel frattempo Bozizé ha sollevato suo figlio Jean-Francis Bozizé dall’incarico di ministro della Difesa.

ASIA ORIENTE e PACIFICO
INDIA – NEW DELHI / Minorenne stuprata a veglione / Polizia, arrestati i due autori della violenza
Una studentessa indiana di 17 anni e’ stata abbordata da due giovani a New Delhi che le hanno fatto ingerire di nascosto un sedativo per poi violentarla durante un veglione di fine d’anno. Lo riferiscono oggi i media nella capitale indiana. La polizia ha reso noto che gli autori dello stupro, entrambi impiegati in una nota compagnia di informatica, sono stati arrestati. ( fonte Ansa)
INDIA – Alla sbarra gli stupratori della studentessa / Un tribunale speciale giudica da oggi per direttissima gli stupratori della studentessa di New Delhi, poi morta in ospedale per le ferite. Imputati sono cinque uomini, che rischiano la pena di morte, più un 17enne che sarà giudicato dal tribunale dei minori. I difensori dovranno essere nominati d’ufficio, visto che nessuno dei 2.500 legali iscritti alla Corte Distrettuale di Saket ha accettato l’incarico. La famiglia della giovane (la cui identità non è stata ancora rivelata per la legge sulla privacy) si è detta favorevole alla proposta di intitolarle una legge anti-stupro. A cinque giorni dalla sua morte, avvenuta dopo una lunga agonia in un ospedale della capitale indiana e poi a Singapore, il caso continua a monopolizzare l’attenzione pubblica in India. Ieri a New Delhi si è svolta l’ennesima marcia pacifica verso il mausoleo del Mahatma Gandhi, a cui ha partecipato anche la governatrice Sheila Dixit, che nei giorni scorsi era stata pesantemente contestata. Sempre ieri il presidente della Corte Suprema, Altamas Kabir, lo stesso giudice che si deve pronunciare presto sul caso dei marò italiani, ha inaugurato un tribunale per direttissima nella parte meridionale della capitale, uno dei quattro previsti per processare con rito d’urgenza gli autori di abusi sessuali. Intanto il «Times of India» riporta la notiza di un nuovo stupro avvenuto in India la notte di Capodanno. Vittima una ragazza di 17 anni, violentata da due ventenni durante una festa di Capodanno a New Delhi. I due, che lavorano per una compagnia leader nel settore delle telecomunicazioni, sono stati arrestati.

PAKISTAN – ANCORA UNA STRAGE DI OPERATRICI UMANITARIE Sette vittime, sei donne e un uomo, tutte di nazionalità pakistana tutte impegnate in una comunità di sostegno per l’infanzia gestita dalla organizzazione non governativa locale Ujala (Luce). È il bilancio dell’agguato avvenuto ieri nella provincia di Swabi, circa 76 km a nord-ovest della capitale Islamabad. L’auto con cui le sei operatrici umanitarie e il loro collega rientravano a casa dopo il lavoro è stata crivellata di colpi. Non è chiaro il motivo dell’attentato, ma solo a dicembre sono stati uccisi in vari attacchi 9 operatori sanitari impegnati nella campagna di vaccinazione nazionale. I talebani sostengono di non aver nulla a che fare con le esecuzioni, ma i loro uomini hanno ripetutamente sostenuto che il programma di immunizzazione in realtà nasconde un tentativo di sterilizzare la popolazione o spiare i musulmani. La ong per cui lavoravano le sette persone uccise ieri offre tra l’altro corsi di educazione alla salute. I talebani hanno invece rivendicato l’attentato compiuto ieri a Karachi, dove una moto-bomba ha causato almeno due morti e 40 feriti fra persone legate al Muttahida Qaumi Move-ment (Mqm, Movimento nazionale unito di ispirazione liberale filo-occidentale). Il è stato fatto saltare con un comando a distanza. I militanti del MQM erano giunti da varie citta1 per partecipare ad una ma¬nifestazione politica insieme al movimen¬to religioso anti-talebano Tehreek-e- Minhajul Quran. Il portavoce del Tehrek-e- Taliban Pakistan (Ttp), Ihsanullah Ihsan, nel rivendicare l’attacco ha minacciato azioni «di gran lunga più importanti».

CINA – HONG KONG / GRANDE MANIFESTAZIONE CONTRO IL CAPO DEL GOVERNO – Decine di migliaia di persone – 130mila secondo gli organizzatori, 17mila per la polizia – hanno manifestato ieri per le strade di Hong Kong chiedendo le dimissioni del capo del governo locale Leung Chun-ying (C.Y. Leung per i suoi concittadini), invischiato in uno scandalo che riguarda una ristrutturazione della sua residenza. Alcuni dei manifestanti indossavano maschere di Pinocchio, per sottolineare l’accusa rivolta a Leung, che avrebbe mentito sui lavori – abusivi e illegali, secondo gli oppositori – che ha fatto fare alla sua abitazione. Un tema bollente a Hong Kong, dove la speculazione edilizia ha portato alle stelle i prezzi degli immobili e dove nei mesi scorsi molti funzionari sono stati accusati di ignorare le leggi che regolano il settore. Nel 2003 le proteste popolari nell’ex colonia britannica hanno costretto alle dimissioni l’allora capo del governo Tung Cheehwa. Attualmente il parlamento viene eletto con un complicato sistema che permette a Pechino di controllare la maggior parte dei deputati. Hong Kong è una Regione Amministrativa Speciale (Sar) della Cina, uno status che condivide con la vicina Macao. La manifestazione si è svolta pacificamente, controllata a vista da un massiccio schieramento di polizia e non senza momenti di forte tensione. In una dichiarazione. C.Y. Leung ha affermato che il suo governo «ascolterà umilmente» la «voce del popolo». Alcune migliaia di persone hanno partecipato ad una contromanifestazione di sostegno a Leung e al suo governo.

AMERICHE

VENZUELA – Rumors su condizioni Chavez, situazione complessa’ Vicepresidente in tv, ‘Diremo sempre la verità – Caracas, i venezuelani ‘tifano’ per Hugo Chàvez

L’AVANA – Hugo Chavez è "assolutamente cosciente" su quanto siano "complesse e delicate" le sue condizioni dopo l’operazione dello scorso 11 dicembre: lo ha detto il numero due venezuelano, Nicolas Maduro, in una lunga intervista rilasciata a Cuba, al termine di una giornata di rumors e illazioni di ogni tipo sulla salute del presidente. Il leader ‘bolivariano’ è "assolutamente cosciente su quanto siano complesse le sue condizioni post-operatorie. Ci ha chiesto di mantenere il popolo del Venezuela informato sempre con la verità, indipendentemente da quanto questa essa possa essere dura", ha detto Maduro ricordando che "in questi giorni" ha "visto e parlato" con Chavez in due occasioni, e sottolineando di avere "fede in Dio e nei medici" dell’Avana che curano il presidente. Nell’intervista registrata ore fa a Cuba, e trasmessa in Venezuela a reti unificate, Maduro ha parlato brevemente sulla salute del presidente, concentrandosi invece su temi quali i risultati e progetti della ‘revolucion bolivariana’. "Diremo sempre la verità, qualsiasi essa sia", ha assicurato, ricordando che Chavez alterna "leggeri miglioramenti con situazioni stazionarie". Dopo i mille rumors di queste ore sul destino di Chavez – anche sulla sua morte – Maduro ha quindi chiesto di credere nelle informazioni di Caracas, dicendosi fiducioso sul fatto che "la situazione del Comandante continuerà ad evolvere". Poi ha duramente attaccato "i giornalisti della destra venezuelana, al servizio dei peggiori interessi dell’impero anti-patria. Sono malati mentali. Non rispettano i sentimenti dei familiari, dei figli di Chavez e di tutto un popolo". "E’ una destra matta… pare volere un ‘bogotazo’", ha aggiunto, riferendosi ad una violenta rivolta popolare avvenuta in Colombia nel 1948. Contro le voci che circolano a Caracas e sui social network, si era pronunciato ore prima anche il leader ‘antichavista’ Henrique Capriles il quale via twitter aveva chiesto ai venezuelani di mettere da parte "i rumors e l’odio". Oggi sono tre settimane esatte dal quarto intervento contro il cancro al quale Chavez è stato sottoposto nella clinica Cimeq dell’Avana. Da allora non ci sono più state fotografie o dichiarazioni in prima persona da parte del presidente. Quanto avviene a Caracas e l’Avana viene seguito minuto per minuto a Washington e nelle diverse capitali latinoamericane. La presidente del Brasile, Dilma Rousseff, segue con "preoccupazione" l’evolvere della situazione ed è in contatto con altri capi di stato latinoamericani, afferma per esempio la stampa brasiliana, riferendosi alle incognite che potrebbero presentarsi nel caso di una transizione politica in Venezuela.

USA – ALASKA /Piattaforma incagliata. Rischio disastro ambientale / Una piattaforma per trivellazioni petrolifere, la Kulluk della Shell, con a bordo quasi 600 mila litri di carburanti e lubrificanti, ha rotto i cavi di traino e dopo alcuni giorni alla deriva si è incagliata sulle coste dell’isola di Sitkalidak, nel golfo dell’Alaska: fino a ieri le squadre di emergenza della Guardia Costiera americana non erano ancora in grado di intervenire a causa del mare in tempesta. Si teme un disastro ambientale per l’adiacente Parco Nazionale Kodiak, nonostante al momento non siano state registrate perdite

 

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