11957 Uno Stato Ue può escludere i cittadini da alcune prestazioni sociali

20160226 19:47:00 redazione-IT

[b]di Carlo Caldarini[/b]

[i]Una sentenza emessa ieri (25 febbraio) dalla Corte di giustizia dell’Unione non ha fatto altro che confermare la precedente giurisprudenza. Meglio: ha riaffermato quanto già disposto da una Direttiva di dodici anni fa[/i]
Uno Stato membro dell’Unione europea può escludere dal beneficio di talune “prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo” i cittadini di altri Stati membri durante i primi tre mesi del loro soggiorno. La sentenza emessa ieri nella causa C-299/14 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea non ha fatto altro che confermare la precedente giurisprudenza. O meglio, non ha fatto che confermare quanto già disposto, e quindi noto, da una direttiva europea di 12 anni fa.

Secondo tale direttiva, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004), i cittadini dell’Unione hanno il diritto di soggiornare in un altro Stato membro durante i primi tre mesi, senza altre condizioni o formalità che il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità. Durante questo periodo, gli Stati membri non sono obbligati a concedere prestazioni d’assistenza sociale. È la ragione per la quale gli stessi Stati non possono esigere – durante questi primi tre mesi – che i cittadini dell’Unione possiedano una propria assicurazione malattia e mezzi di sussistenza sufficienti a non divenire “un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale [e non previdenziale!] dello Stato membro ospitante”.
La sentenza del 25 febbraio 2016 riguarda una controversia tra la famiglia spagnola Peña-García, residente in Germania, e un centro tedesco per l’impiego del distretto di Recklinghausen. Quest’ultimo ha negato le prestazioni di sussistenza tedesche a Joel Peña Cuevas e a suo figlio per i primi tre mesi del loro soggiorno in Germania. In accordo con il diritto europeo, infatti, la normativa tedesca prevede che gli stranieri siano esclusi, in linea di principio, da tali prestazioni durante i primi tre mesi del loro soggiorno. Secondo la Corte, tale rifiuto è talmente evidente in sé, da non rendere necessario neanche un esame della situazione individuale dell’interessato.
Visto quanto accaduto in precedenza, in occasione delle sentenze Dano (C‑333/13) e Alimanovic (C‑67/14), c’è da aspettarsi che anche questa recente sentenza possa mettere il vento in poppa ai discorsi populisti e xenofobi. E invece, a leggere bene, il dispositivo non offre veramente alcun sostegno giuridico alle pratiche discriminatorie tese a limitare i diritti alla previdenza sociale dei lavoratori migranti o, peggio ancora, ad escludere i cittadini stranieri da ogni prestazione sociale e persino e dal loro diritto di soggiorno, attraverso meccanismi automatici, che non tengono in alcun conto la situazione concreta e personale dei diretti interessati.
In questa sentenza, come nelle altre che l’hanno preceduta, la Corte ricorda che, ai sensi della direttiva 2004/38 sulla libera circolazione e del regolamento 883/2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, tale esclusione durante i primi tre mesi di soggiorno è solamente ammessa per prestazioni di natura “assistenziale”, e non sarebbe invece stata possibile se le prestazioni oggetto del contenzioso potessero essere qualificate come prestazioni da lavoro o anche quali “prestazioni destinate a facilitare l’accesso al mercato del lavoro”.
Questa sentenza non riguarda quindi in alcun modo il taglio di 7 anni (!) dei “benefit” per i lavoratori di altri Paesi Ue che il Consiglio europeo ha accordato per evitare il Brexit, ossia l’uscita del Regno Unito dall’UE, e non è neanche la riduzione degli assegni familiari per i figli dei lavoratori stranieri. Quanto deciso a Bruxelles il 18 e il 19 febbraio scorsi, questo sì è un fatto veramente grave, che pregiudica i diritti dei lavori migranti. Anzi, i diritti dei lavoratori tout court. Poiché se il legame tra lavoro e previdenza sociale viene negato oggi ai lavoratori “stranieri”, nulla impedirà in seguito di negarlo anche agli altri.
Ma questo, ripetiamo, non c’entra nulla con la Corte di giustizia dell’Unione europea. Anzi, come dichiarato in questi giorni da autorevoli analisti dell’Università di Essex, noi confidiamo proprio nei giudici della Corte europea, oltre che nel Parlamento europeo, certi che gli uni e gli altri rigetteranno – alla prima occasione – le orribili misure discriminatorie prese in questo mese a Bruxelles.

Carlo Caldarini, direttore dellOsservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa

osservatorio@osservatorioinca.org

Per saperne di più:
Comunicato stampa della Corte di giustizia dell’Unione europea (in italiano)
Testo integrale della sentenza (in italiano)
Conclusioni del Consiglio europeo, 18 e 19 febbraio 2016 (in italiano)

http://www.rassegna.it/articoli/uno-stato-ue-puo-escludere-i-cittadini-da-alcune-prestazioni-sociali

 

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