8417 Fiducia per tre voti, apertura all’Udc. Berlusconi non esclude una crisi pilotata

20101214 22:30:00 redazione-IT

di Alessandro Galavotti (ANSA)

ROMA – Silvio Berlusconi ce la fa. E, dopo aver incassato la scontata fiducia del Senato, batte Gianfranco Fini anche alla Camera. A Montecitorio, la mozione di sfiducia al governo ottiene 311 si’ contro 314 no. Soltanto tre voti in piu’, ma pesanti, perche’ ad affossare la manovra anti-premier sono tre deputati di Futuro e Liberta’. ”Una vittoria numerica”, e’ il giudizio amaro di Fini. No, ”e’ anche politica”, ribatte il presidente del Consiglio che, dopo essere salito al Quirinale, ribadisce la volonta’ di ”andare avanti”. E per ”allargare la risicata maggioranza alla Camera” strizza l’occhio ai democristiani del Pd e all’Udc di Pier Ferdinando Casini, spingendosi al punto di ”non escludere a priori” la possibilita’ di una crisi pilotata. Sono quasi le due del pomeriggio quando termina la conta e, tra insulti e risse sfiorate, il presidente Fini proclama il bruciante verdetto. A pesare sul voto, piu’ che le annunciate defezioni dal centrosinistra dei vari Razzi e Scilipoti, sono la retromarcia di Silvano Moffa, che non partecipa alla votazione, e i no alla sfiducia di Maria Grazia Siliquini e Catia Polidori. Tre finiani della prima ora che cambiano idea e, all’ultimo, fanno pendere la bilancia dalla parte di Berlusconi.

”Dimissioni, dimissioni”, urlano dai banchi di Pdl e Lega alla terza carica dello Stato che si prende pure del ”coglionazzo” quando attraverso il Transatlantico per chiudersi nel suo studio circondato dai piu’ stretti collaboratori. Le divisioni tra ‘falchi’ e ‘colombe’, che gia’ nelle scorse settimane hanno creato piu’ di una tensione, finiscono cosi’ con lo spaccare i futuristi. E, oltre allo smacco, perde anche i pezzi: la Siliquini annuncia infatti il ritorno tra le fila del Pdl, mentre Moffa se ne va nel gruppo misto e denuncia l’incompatibilita’ di Fini con il ruolo istituzionale di presidente della Camera. L’ex leader di An tiene duro – ”non si dimette”, dice il suo portavoce – e affida il suo pensiero a un comunicato di poche parole. ”La vittoria numerica di Berlusconi – si legge – e’ evidente quanto la nostra sconfitta, resa ancora piu’ dolorosa dalla disinteressata folgorazione sulla via di Damasco di tre esponenti di Futuro e Liberta’. Che Berlusconi non possa dire di avere vinto, anche in termini politici, sara’ chiaro in poche settimane”. ”Non e’ cambiato niente, e’ una vittoria di Pirro”, sostiene anche il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, mentre per Antonio Di Pietro ”la maggioranza politica non c’e’ piu’ al di la’ del computo dei venduti e dei comprati”. Berlusconi, intanto, si riunisce a Palazzo Chigi con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e con l’alleato leghista Umberto Bossi. Il ‘Senatur’, che durante le concitate fasi della conta ha auspicato il voto come ”unica igiene a tutto questo casino”, apre per la prima volta all’Udc -”non c’e’ veto”, dice- ma poi il ministro del Carroccio, Roberto Maroni, precisa: ”O si allarga la maggioranza o e’ meglio andare alle elezioni”. Quando alle cinque del pomeriggio il premier si reca dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il centro di Roma e’ ancora blindato dalle forze dell’ordine, che tengono lontani i black blok dai palazzi del potere. Un incontro di quasi un’ora, nel corso dei quali il Capo dello Stato sostiene che ”una campagna elettorale non sarebbe positiva”, secondo quanto riferito da Berlusconi. Il premier partecipa alla presentazione del libro di Bruno Vespa, ‘Il cuore e la spada’, e si dice d’accordo con il Quirinale. ”Serve stabilita’, andiamo avanti”, spiega definendo ”perseguibile l’allargamento della maggioranza”. Chiusa la possibilita’ di trattare con Fini -”ero di ostacolo alla sua carriera”- Berlusconi non fa mistero di guardare a Casini. ”Non ci ascolta, vada avanti da solo”, dice il leader dell’Udc, ma in contemporanea il premier non esclude ”a priori” una crisi pilotata per farlo contento. Soltanto tattica o reale volonta’? ”Con tre voti si mangia il panettone – e’ la battuta del leghista Roberto Calderoli – ma non credo che si possa mangiare anche la colomba”

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di Francesca Chiri

ROMA – Giornata al cardiopalma per i firmatari della sfiducia al governo Berlusconi che vedono fallire il progetto antiberlusconiano grazie soprattutto a tre voti inaspettati. Il pallottoliere che per settimane aveva registrato il sali-scendi della vittoria del fronte della sfiducia, infatti, alla fine ha messo in chiaro numeri diversi da quelli previsti e gli ”indecisi” hanno fatto volgere in positivo le sorti del governo in carica. La linea dei 317 deputati che aveva apposto la firma in calce alle due mozioni di sfiducia al governo si e’ alla fine dei conti assottigliata di 6 voti e i ‘traditori’ si distribuiscono equamente tra i firmatari dei due documenti, 3 nel centrosinistra e 3 tra i finiani. Il presidente della Camera, nonostante gli estremi tentativi della vigilia, non e’ riuscito a convincere 3 delle 6 colombe futuriste: Maria Grazia Siliquini, Catia Polidori e Silvano Moffa. I tre transfughi dal centrosinistra – Razzi, Calearo e Scilipoti – si erano invece ‘dichiarati’ gia’ nei giorni scorsi, anche se ben due di loro fino questa mattina non avevano ancora sciolto le riserve. Cosi’ come non le aveva sciolte Paolo Guzzanti. Ma e’ stato proprio il voto a sorpresa dei finiani che ha cambiato le carte in tavola, dopo che questa mattina i sostenitori della linea della sfiducia avevano tirato un sospiro di sollievo alla vista delle tre deputate incinta, la cui presenza in Aula non era affatto assicurata dalle loro condizioni di salute e da una nascita imminente. Giulia Bongiorno e’ stata condotta in aula in sedia a rotelle, Giulia Cosenza e’ arrivata a Montecitorio in ambulanza e Federica Mogherini si e’ presentata nonostante sia appena scaduto il tempo per la nascita di sua figlia Marta. Grazie a loro il fronte della sfiducia riguadagna sulla carta quota 313, la differenza, si crede, la faranno gli indecisi. Tra questi, c’e’ Guzzanti che arriva a Montecitorio ma non lascia trapelare nulla: la mia posizione, annuncia, la conoscerete solo alle dichiarazioni di voto. Poco dopo, tuttavia, annuncia di voler lasciare il Pli che ieri gli aveva indicato di votare contro il governo: sembrerebbe un no alla sfiducia e invece poi vota Si’. Alle dichiarazioni di voto, intanto, confermano la loro posizione di astensione i due deputati della Svp; Nucara e Grassano la fiducia, i Libdem e Mpa la sfiducia. Il premier arriva dicendosi ”fiducioso”; in Aula Franceschini tenta in extremis di convincere Cesario e Scilipoti, sostenuto fuori dal Palazzo da un gruppo di manifestanti che gli avversari sostengono essere extracomunitari pagati per questo. Alla Camera l’ex deputato dell’Idv annuncia intanto il suo voto ”a favore del paese”, ma poi risulta assente alla prima chiamata, cosi’ come Massimo Calearo. Alla fine, pero’, i due votano per il governo, cosi’ come Bruno Cesario. Ma e’ quando inizia la chiama per la votazione che inizia il balletto: la Siliquini e’ in Aula ma Moffa no. La prima dichiara il suo, temuto, No alla sfiducia. Iniziano le votazioni: Antonio Gaglione, eletto con il Pd ma passato a Noi Sud, non risponde alle chiamate al voto. Ma il colpo di scena e’ quello di Moffa: non risponde alla prima chiama ma poi annuncia, voto sfiducia se Bocchino si dimette. La colomba Fli viene avvicinata prima dal premier poi da un drappello di deputati Pdl che cercano di convincerlo a votare la fiducia. Alla fine, pero’, Moffa esce dall’Aula senza votare. Ancora piu’ clamoroso, invece, il caso Polidori. La finiana vota no alla fiducia e si scatena la bufera: volano ingiurie contro la deputata e si scatena una rissa con i parlamentari della Lega che arrivano quasi alle mani. La parlamentare esce dall’Aula ‘scortata’ da Maurizio Lupi fino alla sala del governo dopo si trova il premier. Per Gianfranco Fini e’ il segno della sconfitta: si allontana dall’Aula e, dopo un anno di astinenza dalle bionde, si fuma una sigaretta. Dopo una manciata di minuti il verdetto: la sfiducia al governo non passa con 314 no contro i 311 Si’.

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FINI AMMETTE DOPPIA SCONFITTA: MA DA OGGI E’ OPPOSIZIONE
PREMIER NON CADE A CAUSA DI 3 FINIANI. E MOFFA GLI VOLTA SPALLE

di Milena Di Mauro

ROMA – ”E perche’ trattare? Noi da oggi siamo una forza d’opposizione”. Gianfranco Fini lascia Montecitorio in una serata gelida e a suoi spiega che, dopo lo show down di oggi, la volonta’ di girare pagina non e’ solo di Silvio Berlusconi, che ha detto di aver chiuso con lui e con Fli. Il patto con Casini per ora regge e questo rende un po’ piu’ lieve l’animo del presidente della Camera (che non intende dimettersi) dopo la doppia sconfitta di oggi. Berlusconi non e’ stato sfiduciato, tre finiani hanno determinato questo risultato: Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini e Silvano Moffa. E ad amareggiare e rendere incredulo il leader Fli e’ proprio il ‘tradimento’ di Moffa, che per ore ieri ha tenuto in piedi la mediazione con il premier e ancora stamattina si spendeva telefonando alla Polidori per convincerla a votare la sfiducia. ”Non mi spiego come sia potuto succedere, non ci posso credere. Almeno poteva dirlo ieri”, non si rassegna Fini pensando a Moffa, che fino a notte fonda aveva illustrato il suo documento ai finiani riuniti a Farefuturo e aveva portato Fini – per tenere insieme il gruppo ed evitare che le colombe se ne volassero via – ad accettare la pesante ipoteca di una esclusione di governi terzopolisti o di unita’ nazionale, in caso di caduta del premier. Le cose oggi pero’ prendono un’altra piega. E Fini ci mette poco, per l’esattezza i 35 minuti che passano dal voto alla sua nota di commento, ad ammettere la sconfitta. ”La vittoria numerica di Berlusconi e’ evidente quanto la nostra sconfitta, resa ancor piu’ dolorosa dalla disinteressata folgorazione sulla via di Damasco di tre esponenti di Futuro e Liberta’. Che Berlusconi non possa dire di aver vinto anche in termini politici sara’ chiaro in poche settimane”, e’ lo stringato commento del presidente della Camera, coperto di insulti dai deputati di Pdl e Lega (”ora dimettiti, coglionazzo”), mentre lascia l’Aula. Moffa si dilegua dunque sottobraccio all’ex An Amedeo Laboccetta, lasciando l’aula durante la seconda chiama invece di votare la sfiducia, come aveva assicurato di voler fare in un comunicato distribuito ai giornalisti nel quale chiedeva le dimissioni di Bocchino. E’ proprio salendo ai piani nobili di Montecitorio per consegnare la richiesta di dimissioni nello studio del leader Fli (non si capisce poi perche’, visto che Fini presiedeva in Aula) che Moffa fa perdere le tracce di se’. Si rimaterializza nel primo pomeriggio, quando Fini e’ nel suo appartamento insieme a tutti i suoi a riflettere sulla batosta, amareggiato ma in un certo qual modo anche sollevato, dall’idea di poter fare ora opposizione senza piu’ piombo nelle ali. Il leader Fli si fa portare due grappe, fuma ancora una sigaretta e, a chi lo avverte dell’arrivo di Moffa al piano di sotto, risponde che non e’ il momento. ”Lo chiamero’, per capire, ma senza fretta…”, aggiunge calmo. Con i suoi Fini libera la tensione mangiando tramezzini e facendo battute. Ma si ragiona anche sui rapporti con l’Udc, che Fini sente saldi, e si guarda avanti promettendo battaglia. ”Ma non e’ che ora si fara’ ostruzionismo a prescindere – frena gli animi Fini -. Le cose fatte nell’interesse del Paese vanno sostenute”. Si parla di decreto rifiuti, riforma Gelmini, voto di sfiducia a Bondi e Calderoli, preparandosi dopo la sconfitta a nuove battaglie in Parlamento. E Fini si rilegge la stampa con la frase dell’Enrico V di William Shakespeare, che proprio oggi Gianfranco Paglia gli ha donato. ”Lasciate che chi non ha voglia di combattere se ne vada. Dategli dei soldi perche’ acceleri la sua partenza, dato che non intendiamo morire in compagnia di quell’uomo. Non vogliamo morire con nessuno che abbia paura di morir con noi”. Proprio oggi, che Moffa gli volta le spalle e chiede per giunta le sue dimissioni da presidente della Camera.

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