8374 India, il microcredito rischia grosso

20101123 12:31:00 redazione-IT

Il sistema di aiuti ai poveri reso celebre da Muhammad Yunus è in difficoltà. Le banche indiane sono esposte per 4 miliardi di dollari. E solo il 10 per cento dei debitori ha estinto i mutui. Il New York Times la paragona alla crisi dei subprime
[b]di Davide Orecchio[/b]

Cosa succede al microcredito indiano? Il sistema di microfinanziamenti che dovrebbe (o avrebbe dovuto) aiutare milioni di persone, in particolare donne, a uscire dalla povertà sovvenzionando piccoli progetti d’impresa spesso agricola o artigianale, sta collassando perché i debitori non riescono più a pagare i loro mutui.
Lo scorso 17 novembre il New York Times ha pubblicato un servizio sulla crisi del microcredito nello stato dell’Andhra Pradesh, uno dei più vasti dell’India, paragonandola apertamente allo scoppio della bolla dei mutui subprime che ha messo in ginocchio prima l’economia americana, e poi quella mondiale.

Il Nyt scrive che le banche indiane hanno investito quasi 4 miliardi di dollari nel microcredito. Solo nell’Andra Pradesh sono stati concessi 2 miliardi di prestiti, e nelle ultime settimane appena il 10% dei debitori ha estinto le somme dovute.

All’origine della crisi – questa la lettura del Nyt – c’è la speculazione che ha portato società di microcredito non solo indiane a concedere prestiti con tassi d’interesse molto alti e senza valutare la solvibilità dei poveri (perlopiù contadini) cui le somme venivano concesse. Un meccanismo che ha permesso alle società di raddoppiare i profitti, ma che ora rischia di mettere in ginocchio il sistema bancario indiano.

Come ci ricorda Peacereporter, il microcredito è nato in Bangladesh a metà degli anni Settanta "dalla mente del premio Nobel per la pace Muhammad Yunus (2006, ndr)", per poi diffondersi "in tutto il mondo all’inizio del nuovo secolo" e vivere "un momento di massima espansione in seguito alla crisi economica".

Le notizie sulla crisi del sistema circolano in realtà da quasi un mese. A fine ottobre il Washington Post ha evidenziato la pericolosa mutazione di molte società di microcredito, che da qualche anno a questa parte si sono trasformate in compagnie for-profit.

"Ogni agente ha un obiettivo da realizzare e bussa alla porta delle persone offrendo credito facile senza la necessaria due diligence", ha dichiarato al Post R. Subramaniam , segretario del ministero per lo Sviluppo rurale dell’Andra Pradesh.

Secondo il funzionario ascoltato dal Post, bisogna essere molto prudenti con i contadini dei villaggi: "Se ti presenti alla loro porta con un prestito facile, loro accettano. Perché pensano: ‘Il denaro è arrivato sulla mia soglia, perché cacciarlo via?’". Ed è sempre il quotidiano di Washington a scrivere di oltre 50 suicidi per debito nelle ultime settimane.

"La metodologia impiegata per accertare il nesso tra le morti e i prestiti resta tutt’oggi piena di ombre – ha commentato Il Sole 24 Ore (leggi qui l’analisi) -, ma l’accusa è stata talmente clamorosa e infamante da aver trovato rapidamente due sparuti quanto vocianti gruppi di proseliti, uno a destra e l’altro a sinistra. Per i primi è stata come un’illuminazione: la creazione valsa il premio Nobel per la pace a Muhammad Yunus non è che una forma politicamente corretta di strozzinaggio. Per i secondi è stata una conferma: chiunque si arricchisca creando prodotti, in questo caso finanziari, per i poveri è uno sfruttatore".

Secondo il Sole, dietro la crisi del microcredito ci sarebbe una "guerra tra banchieri dei poveri, pubblici contro privati", innescata probabilmente dall’invidia dei primi per i successi e la capillarità raggiunta negli ultimi anni dal microcredito privato.

Un banchiere – Sunand K. Mitra, senior executive dell’Axis Bank – ha invece confidato al Nyt di essere molto preoccupato per ‘l’esposizione nel settore della microfinanza’ del suo istituto di credito.

Ma la chiave di lettura più intelligente la fornisce Ela Bhatt, la presidente di SEWA (Self-Employed Women’s Association), il sindacato che organizza le donne occupate nell’economia informale. Bhatt ha spiegato al Nyt che i poveri non hanno bisogno solo di prestiti per mettere in piedi un’impresa che funzioni. Hanno bisogno anche di consulenza finanziaria ed economica. Insomma, hanno bisogno di non essere lasciati soli.

Articolo riproducibile citando autore e fonte (www.rassegna.it)

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