n°11 – 16/03/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – La Marca *(PD):
A – Presentata ulteriore interrogazione su partecipazione al voto alle Elezioni europee.
B – Risposta del Ministero del Lavoro all’interrogazione sulle pensioni.

02 – Federico M. Butera*: Capitalismo e transizione ecologica: il lupo e l’agnello – La crescita economica illimitata capitalistica si sostiene sulla crescita illimitata della estrazione di risorse dall’ambiente, che però ha una capacità finita di fornirle.

03 – Alberto Negri*: Quanto tempo rimane all’Ucraina? E alla Russia? IL LIMITE IGNOTO. Il tempo dell’Ucraina si sta esaurendo? Non lo dice qualche pericoloso sovversivo, oppure Papa Francesco, ma un saggio di Foreign Affairs di Dara Massicot esperta del Carnegie Endowment for International […]

04 – Anna Lisa Bonfranceschi*: Cosa accadrà al fotovoltaico con l’eclissi totale di Sole? La radiazione solare si riduce, e così la produzione dell’energia rinnovabile (anche quella eolica). Gli scenari previsti per il prossimo 8 aprile – Eclissi totale di sole cosa accadrà al fotovoltaico

05 – Alfiero Grandi*: Solo con il proporzionale c’è il diritto di scegliere, Alfiero Grandi su Il Fatto Quotidiano 16.3.24

06 – Laura Carrer *: Siamo in guerra: le nuove superpotenze si chiamano Google, Facebook, Amazon, Apple e sono sempre più pronte a prendere il posto dei vecchi stati. Cina, basta email e chat dopo l’orario di lavoro

07 – Stefano Ungaro*: la riforma fiscale è il trionfo dello stato minimo – ideologia di governo. Si tratta del lento compimento di quella «rivoluzione liberale» di cui parlava Berlusconi, almeno per quanto riguarda la sempre maggiore privatizzazione dello stato: MENO TASSE E AL TEMPO STESSO MENO SERVIZI.

08 – Claudio Tognonato*: Argentina, dure condanne ai massacratori dell’Esma – DESAPARECIDOS E VOLI DELLA MORTE. Il processo a 40 anni dalla dittatura Videla ha portato a 48 condanne, 29 sono ergastoli. La sentenza di ieri è anche un lascito dell’era Kichner in un paese che teme ritorno al passato

09 – Marina Catucci, AUSTIN*: «Biden è parte del problema, permette il genocidio. Io da dem non lo voterò» Questione arabo-americana, parla Hatem Natsheh – «Avrebbe potuto fermare la guerra fin dal primo giorno, se avesse voluto, è il presidente degli Stati Uniti. Ma continuano a disumanizzarci come comunità»

10 – Andrea Cegna*: BUENOS AIRES – C’è Milei, la marea viola e verde invade le strade di Buenos

 

 

01 – La Marca* (PD).
A – PRESENTATA ULTERIORE INTERROGAZIONE SU PARTECIPAZIONE AL VOTO ALLE ELEZIONI EUROPEE
Nei giorni scorsi, la Senatrice La Marca ha depositato un’ulteriore interrogazione, sottoscritta da numerosi Senatori e Senatrici del PD, sul voto alle Elezioni europee per i cittadini italiani residenti fuori dall’Unione Europea. A un anno di distanza da un’interrogazione sullo stesso tema, alla quale il Governo rispose in modo del tutto insufficiente (https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Sindispr&leg=19&id=1375631 ), la Senatrice ha posto nuovamente la questione in vista del prossimo appuntamento elettorale della primavera.
“Dopo la risposta alla mia interrogazione di circa un anno fa, mi aspettavo passi in avanti in questi mesi ma purtroppo non è successo nulla e il Governo non ha dato seguito a quanto indicato nella risposta. Alcune settimane fa, ho avuto modo di ribadire in Commissione Esteri il mio dispiacere riguardo una situazione del tutto ingiusta – i tanti giovani professionisti, cittadini del mondo che risiedono in Paesi fuori dall’Europa, non possono esercitare il loro diritto di voto alle Elezioni europee se non recandosi presso il loro Comune di iscrizione in Italia con l’aggravio dei relativi costi e disagi. Perciò ho voluto presentare nuovamente un’interrogazione ai Ministri competenti alla quale mi auguro che il Governo dia un riscontro rapido e concreto.” Così la Senatrice La Marca depositando l’interrogazione.
In attesa della risposta, chi volesse votare alle prossime Elezioni europee, trova di seguito le indicazioni – i cittadini italiani che risiedono fuori dall’Unione Europea riceveranno entro venti giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali un avviso dal Comune di iscrizione AIRE in Italia. Per poter partecipare a questa tornata elettorale, sarà necessario recarsi in Italia nei giorni definiti dal suddetto avviso.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America – Senato della Repubblica XIX Legislatura ).

B – La Marca (PD) – Risposta del Ministero del Lavoro all’interrogazione sulle pensioni
Roma, 14.03.2024
“In questi giorni è arrivata la risposta alla mia interrogazione sulla mancata erogazione di alcuni ratei della pensione INPS a numerosi connazionali residenti in Nord e Centro America che mi avevano precedentemente riportato le loro frustrazioni per la spiacevole situazione”. Così esordisce la Senatrice La Marca, commentando la risposta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali arrivata alla sua interrogazione presentata in data 23 gennaio 2024 (Link all’interrogazione: https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=19&id=1383392)
“Nei mesi scorsi, il mio ufficio ha ricevuto numerose segnalazioni da parte di patronati e anziani in Nord e Centro America che lamentavano la mancata erogazione. Ci siamo attivati immediatamente, inviando segnalazioni agli uffici di INPS e contestualmente abbiamo depositato una interrogazione alla Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Elvira Calderone”.
“Nella risposta fornitaci – continua la Senatrice – il Ministero ci comunica che ha avviato un’istruttoria coinvolgendo le strutture tecniche dell’INPS per verificare eventuali malfunzionamenti. Sono parzialmente soddisfatta della risposta perché sia INPS, sia il Ministero del Lavoro, hanno preso l’impegno a monitorare questa situazione e ad attivarsi prontamente verso le ambasciate, gli uffici consolari e i patronati con sedi all’estero, al fine di aggiornare i dati ed erogare tempestivamente le relative prestazioni.”

“Mi auguro, alla luce di questi impegni assunti dagli Enti responsabili – conclude la Senatrice – che queste spiacevoli situazioni, che hanno colpito tanti concittadini nei mesi scorsi, non si verifichino nuovamente in futuro”.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America – Senato della Repubblica XIX Legislatura )

 

02 – Federico M. Butera*: CAPITALISMO E TRANSIZIONE ECOLOGICA: IL LUPO E L’AGNELLO – LA CRESCITA ECONOMICA ILLIMITATA CAPITALISTICA SI SOSTIENE SULLA CRESCITA ILLIMITATA DELLA ESTRAZIONE DI RISORSE DALL’AMBIENTE, CHE PERÒ HA UNA CAPACITÀ FINITA DI FORNIRLE.

Fino a quando sarà il mercato a decidere sulla transizione ecologica, non ce la faremo mai. Il mercato è cieco, non ha morale, valori. Il capitalismo, che sul libero mercato si basa, conosce un solo imperativo, la massimizzazione del profitto, e subito. Secondo le leggi del mercato, se la transizione ecologica non fa ammassare più ricchezze che il non farla, non la si fa. Non importa che sia in gioco il futuro dell’umanità.

Questo imperativo è legato a un altro: la crescita senza limite, che deriva da una spirale perversa innescata dal fatto che nella logica dell’accumulo di ricchezza il profitto deve sempre aumentare, e per aumentarlo si aumenta la produttività attraverso la riduzione della forza lavoro, diminuendo così i costi. Ma ciò genera disoccupazione, e il lavoratore disoccupato non consuma, e quindi parte della produzione resterebbe invenduta, e addio profitto. Occorre allora che l’economia continui a espandersi indefinitamente per mantenere il tasso di occupazione. Questa è la trappola della produttività, così qualcuno l’ha chiamata, che spiega perché il PIL debba crescere sempre, e perché il successo di un governo si misuri da quanto è cresciuto, poco importa se intanto la sanità e la scuola sono andate in malora, la disuguaglianza è aumentata e l’ambiente è danneggiato.
Ma c’è un problema: la crescita economica illimitata, postulata dal capitalismo, si sostiene sulla crescita illimitata della estrazione di risorse dall’ambiente, che però ha una capacità finita di fornirle. Scriveva l’economista Kenneth Boulding, già nel 1966: «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista”. Lo aveva capito il popolo indiano americano Cree, con la profezia: “Quando tutti gli alberi sono stati tagliati, quando tutte le acque sono inquinate, quando l’aria è dannosa da respirare, solo allora scopri che non puoi mangiare il denaro»
Osserva Umberto Galimberti, nel suo ‘L’etica del viandante’, che «il capitalismo si trova nella contraddizione di poter realizzare i propri scopi solo attraverso una progressiva distruzione della terra, in cui sono le risorse di cui il capitalismo ha bisogno per realizzare i suoi fini». Quindi o si autodistrugge perché distrugge la sua base vitale oppure, come dice Emanuele Severino, citato da Galimberti: «si convince del proprio carattere distruttivo, e finisce con l’assumere come scopo non più il semplice profitto, ma la sintesi tra profitto e salvezza della Terra–e anche in questo caso il capitalismo perviene alla propria distruzione, perché assume uno scopo diverso per cui il capitalismo è capitalismo».

IL CAPITALE DEVE SFRUTTARE NON SOLO IL LAVORO MA ANCHE L’AMBIENTE PER PROSPERARE. L’AVEVA GIÀ SCOPERTO MARX, COME CI RIVELA KOHEI SAITO NEL SUO “L’ECOSOCIALISMO DI CARLO MARX”.
Ma intanto, impermeabili a queste considerazioni, ci sono quelli che puntano alla crescita “verde”, confidando nella infinita capacità creativa dell’uomo, contando su nuove miracolose tecnologie, quali la riduzione della temperatura della Terra riducendo l’energia solare che arriva mediante particelle riflettenti iniettate nella troposfera, con effetti indiretti che possono essere catastrofici; oppure l’estrazione e il sotterramento della CO2 estratta dalle ciminiere e dall’aria, con tutti i rischi che comporta, così non c’è più ragione di ridurre la produzione di energia da fonti fossili; oppure ancora il fantomatico nucleare di IV generazione che ci fornirebbe tutta l’energia che vogliamo senza emettere CO2.
Tutto ciò per poter aumentare produzione e consumi energetici senza limite, marginalizzando le rinnovabili, perché è difficile fare diventare merce il sole e il vento, come si è fatto con l’acqua. Ma per farne che, di questa energia? Per estrarre sempre più risorse, evidentemente. E da dove? Da un pianeta finito estraiamo risorse infinite?
Una civiltà in armonia con la natura si basa su valori radicalmente diversi da quelli che governano il capitalismo. L’avidità deve tornare ad essere un vizio, non una virtù, come è ora; la competizione deve cedere il passo alla cooperazione; la sobrietà deve tornare ad essere una virtù, e il consumismo un vizio da estirpare; l’equità deve sempre essere un principio guida. Già Aristotele, nel suo Politica, condannava l’accumulo «senza limite alcuno di ricchezza e proprietà», e tra le massime che erano scritte nel pronao del tempio di Apollo, a Delfi, ce n’era una che diceva: «Niente eccessivamente».
Alla luce di tutto questo, affidarci adesso al capitalismo per salvarci dalla crisi ambientale che ha causato, seguendo il miraggio della crescita “verde”, è come dare l’agnello in custodia al lupo, perché è un sistema economico e culturale geneticamente incompatibile con la natura e le sue leggi.
*( Federico Maria Butera (Mezzojuso, 1943) è un ingegnere italiano, professore emerito di fisica tecnica ambientale al Politecnico di Milano)

 

03 – Alberto Negri*: QUANTO TEMPO RIMANE ALL’UCRAINA? E ALLA RUSSIA? IL LIMITE IGNOTO. IL TEMPO DELL’UCRAINA SI STA ESAURENDO? NON LO DICE QUALCHE PERICOLOSO SOVVERSIVO, OPPURE PAPA FRANCESCO, MA UN SAGGIO DI FOREIGN AFFAIRS DI DARA MASSICOT ESPERTA DEL CARNEGIE ENDOWMENT FOR INTERNATIONAL […]

Il tempo dell’Ucraina si sta esaurendo? Non lo dice qualche pericoloso sovversivo, oppure Papa Francesco, ma un saggio di Foreign Affairs di Dara Massicot esperta del Carnegie Endowment for International Peace. Kiev e i suoi alleati fronteggiano un questione fondamentale: come fermare l’avanzata russa e invertire la tendenza. Dopo la conquista di Avdiika, Mosca si sta rafforzando lungo tutto il fronte e la sua industria bellica produce a pieno ritmo mentre l’Ucraina aspetta ancora gli aiuti militari americani bloccati dall’impasse il Congresso. E se gli e europei hanno approvato un pacchetto di aiuti Ue, a Kiev manca ancora la consegna di armi pesanti come i missili tedeschi Taurus: come hanno rivelato le intercettazioni i generali tedeschi sono favorevoli ma non il cancelliere Scholtz che teme un’altra escalation del conflitto.

La realtà è che l’Ucraina deve razionare sia le munizioni che gli uomini da inviare al fronte. Quello cui assistiamo oggi è dovuto essenzialmente al fatto che mentre la Russia ha mobilitato la sua economia di guerra l’Occidente non l’ha fatto e l’Ucraina non è in grado di farlo perché la sua base industriale, dopo due anni di conflitto e distruzioni, è ridotta al minimo. La Russia è riuscita a produrre o importare milioni di proiettili di artiglieria e si è procurata migliaia di droni dai suoi partner (Iran e Corea del Nord) mentre le forniture occidentali non hanno tenuto il passo e si sta raschiando il fondo del barile degli arsenali militari.

Non solo. E qui viene il punto più importante. Nonostante i conflitti siano sempre più tecnologici, la guerra, anche questa, divora la carne da cannone, ovvero i soldati. La Russia ha quindi reclutato militari in tutte le sue provincie mentre Kiev ha fallito la mobilitazione generale: molti uomini in età da combattimento – si parla di circa 300mila – si sono dati alla fuga dal Paese. I soldati al fronte non hanno possibilità di avvicendamento, le truppe migliori sono tenute nelle retrovie e il presidente Zelensky non ha avuto idea migliore di far fuori i vertici militari che erano diventati anche concorrenti politici. Secondo Foreign Affairs se non ci sarà un’inversione a breve di questa tendenza la situazione è destinata peggiorare e raggiungere il punto più basso entro l’estate.

Sia chiaro, neppure i russi stanno benissimo e presentano diverse vulnerabilità, come dimostrano alcuni successi ucraini nel Mar Nero. In generale c’è stata un certa sottovalutazione della capacità della Russia di rispondere alle sfide belliche. Questo giudizio è stato fortemente influenzato dalle sconfitte della Russia a Kharkiv e Kherson ma da allora Mosca si è messa nelle condizioni di affrontare un conflitto prolungato dove il fattore tempo e quello del logoramento dell’avversario giocano un ruolo fondamentale.
Quanto tempo può resistere la Russia? I russi hanno dovuto ricondizionare migliaia di carri armati e blindati che giacevano nei magazzini e anche per loro le riserve non sono infinite: si stima che Mosca abbia ormai bruciato dal 30 al 40% delle sue riserve strategiche migliori. Eppure gli strateghi occidentali stimano che Mosca può resistere altri due anni e due anni per l’Ucraina sono un tempo infinito.
Se è vero che il fronte ci appare in gran parte bloccato ci sono segnali preoccupanti per Kiev: nel Donetsk, occupato dai russi, i due nemici nel 2023 schieravano più o meno lo stesso numero di soldati, da febbraio la Russia ha un vantaggio di due a uno. Certo anche la Russia non può reclutare all’infinito ed evita una mobilitazione generale che possa incidere sulla stabilità interna e la sicurezza del regime.
Ma oggi, come si è visto, il Cremlino è in grado di programmare nuove offensive contro le roccaforti ucraine. L’offensiva ucraina dei mesi scorsi invece è clamorosamente fallita, al punto che neppure i più ottimisti (o creduloni) oggi prestano la minima attenzione alla propaganda bellica di Zelensky. E questo è un altro nodo della questione: il potere del dittatore Putin, che usa tutti i mezzi a sua disposizione, anche i più crudeli, è incontrastato, la cerchia intorno al presidente ucraino si sta sfaldando. Per lui e per l’Ucraina il tempo non è finito ma si sta esaurendo assai rapidamente.
*( Alberto Negri (Milano, 1956) è un giornalista e reporter di guerra. Per «Il Sole 24 Ore» ha seguito dal 1987 al 2017 i principali eventi politici e bellici)

 

04 – Anna Lisa Bonfranceschi*: COSA ACCADRÀ AL FOTOVOLTAICO CON L’ECLISSI TOTALE DI SOLE? LA RADIAZIONE SOLARE SI RIDUCE, E COSÌ LA PRODUZIONE DELL’ENERGIA RINNOVABILE (ANCHE QUELLA EOLICA). GLI SCENARI PREVISTI PER IL PROSSIMO 8 APRILE – ECLISSI TOTALE DI SOLE COSA ACCADRÀ AL FOTOVOLTAICO

Non saremo tra i fortunati testimoni della prossima eclissi totale di Sole: il prossimo 8 aprile infatti solo gli abitanti di Messico, Stati Uniti e Canada avranno l’opportunità di vedere la Luna spegnere il Sole. Un’occasione d’oro per appassionati, semplici cittadini, e di certo scienziati: come vi raccontavamo le eclissi totali di Sole sono occasioni speciali per lo studio della corona solare, così come degli effetti che l’oscuramento della nostra stella produce su temperatura dell’atmosfera e venti. Se da un lato dunque c’è chi aspetta l’evento per godersi lo spettacolo e studiarlo, dall’altro c’è chi si prepara a correre ai ripari per cercare di contenere i danni o quanto meno di tamponare eventuali mancanze. Difatti, con la prossima eclissi totale di Sole a spegnersi non sarà solo la nostra stella ma anche la rete di impianti fotovoltaici alimentata grazie al Sole. Che si fa in questi casi? Si studia quanto successo in passato e si fanno una marea di calcoli sulla base del percorso dell’eclissi, per capire quanta energia mancherà e dove andare a prenderla.

OSCURAMENTO ENERGETICO: UN FENOMENO RELATIVAMENTE NUOVO
Se si riduce la quantità di luce che proviene dal Sole, logica conseguenza è infatti la riduzione della quantità di energia prodotta in risposta alla radiazione solare. L’oscuramento prodotto durante l’eclissi varia a seconda di dove ci si trovi. C’è una bellissima animazione della Nasa che mostra cosa accadrà durante l’evento – eccezionale in modo particolare per gli Stati Uniti, che per osservare qualcosa di simile dovranno aspettare il 2044 – offrendo diversi punti di vista all’osservatore. Nelle zone attraversate direttamente nel cono d’ombra proiettato dalla Luna sulla Terra sarà possibile ammirare la totalità per pochissimi minuti, mentre nelle cosiddette zone di penombra l’eclissi sarà solo parziale. Totalità o meno, spettacolo più o meno, le ripercussioni si sentiranno sulla rete fotovoltaica. E’ così almeno dal 2015, ovvero dalla prima eclissi che avvenne in un mondo con una cospicua rete fotovoltaica, ricordano dalla Nasa. E’ successo poi nel 2017 (sempre per un’eclissi totale di sole) poi di nuovo alla fine dello scorso anno (con l’eclissi anulare) e oggi sta per accadere di nuovo, con un interessamento sempre maggiore, senza che questo significhi necessariamente ripercussioni tangibili.
Quello che è certo infatti è che è aumentata la quota di energia proveniente dal fotovoltaico rispetto al passato: negli Stati Uniti, che saranno i principali interessati dal fenomeno, la capacità di produzione oggi si stima tre volte tanto quella del 2017. Nel panorama attuale il solare fornisce circa il 4% del totale di energia: più del doppio arrivano dall’idroelettrico e dieci volte tanto dal gas.

MENO LUCE, MENO ENERGIA
Sette anni fa, le analisi stimarono perdite ritenute minime dagli esperti (comprese tra 5.5 GWh e 11 GWh per l’area occidentale al picco dell’eclissi), attese e di per sé e non tali da influenzare la stabilità della rete elettrica nordamericana. Non solo: quel crollo della produzione di energia elettrica da fotovoltaico osservato durante l’eclissi mostrava un andamento che poteva ricordare la caduta di produttività che si osserva nei giorni particolarmente nuvolosi, notavano gli esperti. Senza considerare che terminato l’evento la produttività tornava normale e che, ovviamente, quella solare non è certo l’unica fonte di energia, anzi. Quella da gas naturale e centrali idroelettriche sostenne i cali di produzione durante l’eclissi, facendo filare tutto liscio.

COSA SUCCEDERÀ CON L’ECLISSI DELL’8 APRILE
Lo stesso potrebbe accadere il prossimo aprile, come racconta Vahe Peroomian, professore di fisica e astronomia alla USC Dornsife College of Letters, Arts and Sciences sulle pagine di The Conversation. Ma il ribilanciamento in risposta alle variazioni di input – e quindi di output – è più complesso, spiega Peroomian, e chiama in causa anche l’uso di batterie per immagazzinare l’energia e gli accordi per gli scambi di energia tra i diversi operatori di rete. E volendo anche i conteggi per l’energia eolica: quando va via il sole, le temperature scendono, e così anche i venti.
I precedenti dunque raccontano di cali reali, sebbene ben gestiti grazie alle previsioni, e non ci sono motivi per credere che questa volta dovrebbe andare diversamente, malgrado esistano più impianti fotovoltaici. Come di consueto – a prescindere o meno dall’eclissi – i diversi operatori per la gestione dell’energia elettrica stanno conducendo previsioni per stimare l’impatto dell’eclissi sui vari impianti afferenti alle diverse reti in funzione del percorso dell’eclissi stessa. Alcuni hanno condiviso piani dettagliati su quello che ci si aspetta e su come intendono rispondere alle ore di buio e semibuio (in totale l’eclissi durerà circa 5 ore, ma solo pochi minuti per le zone interessate dalla totalità), ricorrendo a fonti alternative e batterie. Altri si limitano ad assicurare la stabilità della fornitura durante e dopo l’eclissi, quando la luce (meteo) permettendo tornerà ad alimentare i pannelli.

E IN FUTURO?
Sebbene il calo di produttività in occasioni delle eclissi ad oggi non possa considerarsi un problema importante in tema di energia solare, quello dell’affidabilità del fotovoltaico, soprattutto per questioni meteorologiche, tutt’altro. Per questo si continua a parlare anche seriamente di impianti solari spaziali, così da assicurare una produzione più costante di energia – da trasferire wireless attraverso le microonde, non senza problemi – senza affollare al tempo stesso i terreni sul nostro pianeta.
*(Anna Lisa Bonfranceschi è una giornalista scientifica. Dopo una laurea in Biologia Molecolare e Cellulare, dal 2010 è a Galileo, giornale di scienza; collabora principalmente con Wired e La Repubblica sui temi di scienza e salute)

 

05 – Alfiero Grandi*: SOLO CON IL PROPORZIONALE C’È IL DIRITTO DI SCEGLIERE, ALFIERO GRANDI SU IL FATTO QUOTIDIANO 16 3 24

LA PRIMA EMERGENZA NEL FUNZIONAMENTO DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA È LA CRESCITA DELL’ASTENSIONISMO. QUESTO È IL SEGNALE CHE ACCOMUNA SARDEGNA E ABRUZZO.
Ci sono stati episodi di partecipazione massiccia al voto che confermano che quando si è chiamati a decidere su argomenti di grande rilievo in modo chiaro la situazione cambia, come in occasione del referendum del 2016 che bocciò la deformazione costituzionale proposta da Renzi.
Da anni sono in vigore leggi elettorali che hanno creato una frattura tra eletti ed elettori. Di fatto l’elezione di deputati e senatori non dipende dalla scelta dell’elettore ma dai capi dei partiti. In pratica si tratta di cooptazione dall’alto. L’unica vera incognita è quanti voti prende la lista di partito, chi sarà eletto è deciso a tavolino dai capi partito.
Per questo è stupefacente l’ineffabile affermazione di Giorgia Meloni che chiede agli elettori se preferiscono eleggere direttamente il Presidente del Consiglio, fingendo di dimenticare che lei è anche il capo di Fratelli d’Italia (e del suo partito europeo) e che la proposta è legata ad una legge elettorale che toglierà per sempre l’autonomia decisionale dei singoli parlamentari (in barba all’articolo 67) che verranno nominati dall’alto, cioè da lei, al solo scopo di sostenere il governo del Presidente del Consiglio, con in più il ricatto di elezioni anticipate se sgarrano.
Il veleno del maggioritario è stato portato nel sistema politico dimenticando che la nostra Costituzione delinea un sistema di pesi e contrappesi, di garanzie per evitare di tornare al governo del capo come nel ventennio, basato su un sistema elettorale proporzionale.
Oggi non è più così, il rosatellum in vigore ha regalato nel 2022 alle destre un premio di maggioranza del 15%, trasformando il 44 % di voti ottenuti nel 59 % di deputati e senatori. Questa maggioranza parlamentare spropositata, che altera la parità nel voto in modo inaccettabile, viene ora usata per imporre l’autonomia regionale differenziata, versione Calderoli, che porterà l’Italia verso 20 staterelli.

Il Covid ha dimostrato che occorrerebbe tornare ad un vero sistema sanitario nazionale, superando laderiva attuale in 20 sistemi regionali, ma il patto scellerato tra Lega e FdI porterà a rompere l’unità su diritti fondamentali come sanità, istruzione, lavoro e alla creazione di barriere tra le regioni sulle scelte economiche. Un disastro per l’unità nazionale, che a FdI non sta a cuore come afferma.

L’altro corno del patto scellerato è l’elezione diretta del Presidente del Consiglio che taglia i poteri al Presidente della Repubblica e riduce il parlamento ad appendice del governo, per di più insistendo con la menzogna che i poteri altrui non verrebbero toccati.

Giorgia Meloni vuole uscire dalla Costituzione democratica ed antifascista del 1948 e ottenere una diversa legittimazione, iniziando un percorso di modifiche costituzionali. Immaginare che La Russa potrebbe essere il successore di Mattarella, un incubo con cui è bene fare i conti.

Occorre respingere le modifiche proposte dal governo alla Costituzione e la creazione di un’Autonomia regionale differenziata che fa a pugni con i suoi principi fondamentali. Anche ricorrendo ai referendum se necessario, purtroppo è in corso un lavorio per impedire il referendum sulle modifiche della Costituzione, che può riuscire solo se una parte dell’opposizione vota con la destra.

E’ importante che si apra una seria discussione sulla legge elettorale che la destra vuole maggioritaria e legata a filo doppio con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Il maggioritario ha fallito i suoi obiettivi, ha spinto metà degli elettori nell’astensione e questo mina la stessa democrazia, che è ben più che votare ogni 5 anni.

Le opposizioni debbono riflettere sul ritorno al proporzionale e dando la possibilità a chi vota di scegliere la persona che lo deve rappresentare, questo ristabilirebbe un rapporto di fiducia tra eletto ed elettore, che il maggioritario ha interrotto.

Dopo il voto si formeranno maggioranze parlamentari sulla base di un programma concordato, sul modello tedesco. Condivido Travaglio: “la politica è fatica, mediazione, compromesso tra istanze e interessi diversi”. Dopo il voto occorre decidere programma e obiettivi. Ci può essere la preferenza unica o collegi uninominali con eletti in proporzione su base circoscrizionale e nazionale, l’importante è che l’elettore sappia chi sceglie.

Costringere gli elettori a scegliere in un bipolarismo forzato può solo allontanare ancora di più gli elettori dal voto, restringendo le basi della rappresentanza e della democrazia. Oggi questa consapevolezza non c’è, ma l’impegno a respingere il premierato e il maggioritario al suo servizio è occasione per fare questa discussione e decidere le scelte migliori.
*(Alfiero Grandi)

 

06 – Laura Carrer *: SIAMO IN GUERRA: LE NUOVE SUPERPOTENZE SI CHIAMANO GOOGLE, FACEBOOK, AMAZON, APPLE E SONO SEMPRE PIÙ PRONTE A PRENDERE IL POSTO DEI VECCHI STATI. CINA, BASTA EMAIL E CHAT DOPO L’ORARIO DI LAVORO

LA SCORSA SETTIMANA, NELLA CORNICE DELLA CONFERENZA CONSULTIVA POLITICA DEL POPOLO CINESE (CPCC) SVOLTASI A PECHINO, IL DIRETTORE DELL’UFFICIO GENERALE DELLA FEDERAZIONE SINDACALE CINESE, LYU GUOQUAN, HA CHIESTO CHE IL GOVERNO PRENDA IN CONSIDERAZIONE UN ITER NORMATIVO PER L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DEGLI STRAORDINARI ONLINE.
Negli ultimi tempi la Cina sta attraversando un periodo particolarmente problematico per quanto riguarda il mondo del lavoro. Il governo è infatti alle prese con un’elevata disoccupazione giovanile. Al contempo però, come in molti altri paesi del mondo, è diventato sempre più comune per i lavoratori cinesi rispondere a messaggi di richieste o email (inviate anche attraverso WeChat) al di fuori dell’orario lavorativo o durante i giorni festivi.
Con questa proposta di intervento normativo si chiederebbe dunque una garanzia sugli straordinari effettuati “online”, che potrebbe portare al pagamento di una somma e al riconoscimento anche di un diritto al riposo. Una sorta di “diritto alla disconnessione” di cui si è parlato spesso anche in Europa durante e dopo la pandemia da Covid-19. Secondo quanto riportato dal quotidiano Workers’ Daily, il direttore Guoquan ha parlato esplicitamente di “straordinari invisibili sempre più normalizzati come straordinari non retribuiti”. Un fenomeno che porterebbe anche a possibili impatti negativi per il benessere fisico e mentale dei lavoratori.
Tutto è nato da alcuni casi di lavoratori che si sono rivolti a tribunali cinesi lamentando situazioni di lavoro al limite. Uno di questi, come riportato dal giornale South China Morning Post, è il caso di un dipendente che ha citato in giudizio il proprio capo per straordinari non retribuiti dopo essere stato licenziato nel 2020. Stando alla legge sul lavoro cinese, i dipendenti non dovrebbero lavorare più di 8 ore al giorno per 40 ore a settimana, anche se alcune inchieste giornalistiche hanno nel tempo smentito l’applicazione della legge soprattutto nel mercato tessile e in quello del fast fashion.
La proposta del sindacato è orientata infatti ai lavoratori che prestano la loro professionalità all’interno delle compagnie tecnologiche, il settore di mercato più competitivo nel paese e che attira decine di milioni di persone in cerca di lavoro in un contesto occupazionale particolarmente incerto. Lou Yu, direttore del Social Law Institute dell’Università cinese di scienze politiche e diritto, ha dichiarato che la regolamentazione ha una probabilità di essere introdotta molto alta.
Nella pratica però ci vorranno almeno due anni, dice il South China Morning Post, per una norma a livello ministeriale, e ancor di più se l’intenzione sarà quella di introdurre una legge governativa. In caso positivo, rimane però un punto cruciale da risolvere. Come per tutte le leggi, la trasposizione degli obblighi che introduce nei confronti dei datori di lavoro (e dei diritti dei lavoratori) è complessa. E in questo caso l’impresa è ancor più ardua poichè al momento non ci sono esempi di normative simili nel resto del mondo che possiamo considerare di successo.
*( a cura di: Laura Carrer, giornalista freelance e ricercatrice. Scrive di sorveglianza di stato, tecnologia all’intersezione con i diritti umani, piattaforme tecnologiche e spazi)

 

07 – Stefano Ungaro*: LA RIFORMA FISCALE È IL TRIONFO DELLO STATO MINIMO – IDEOLOGIA DI GOVERNO. SI TRATTA DEL LENTO COMPIMENTO DI QUELLA «RIVOLUZIONE LIBERALE» DI CUI PARLAVA BERLUSCONI, ALMENO PER QUANTO RIGUARDA LA SEMPRE MAGGIORE PRIVATIZZAZIONE DELLO STATO: MENO TASSE E AL TEMPO STESSO MENO SERVIZI.

Il «Fisco amico» presentato dal governo come una riforma epocale attesa da anni e dai suoi avversari come un regalo agli evasori, altro non è che la piena realizzazione di un’egemonia, culturale e politica costruita nel tempo che attraversa classi sociali e schieramenti partitici.
Si tratta del lento compimento di quella «rivoluzione liberale» di cui parlava Berlusconi, almeno per quanto riguarda la sempre maggiore privatizzazione dello Stato: meno tasse e al tempo stesso meno servizi.
Gli ultimi dati Istat relativi alla disuguaglianza e i decreti attuativi sulla riforma fiscale indicano infatti un’unica tendenza. Un’unica direzione che non nasce con questo governo ma è da questo stata confermata, sulla scorta di quello precedente e di un’ideologia ormai più che trentennale che vede il pubblico come sempre inefficiente e corrotto e il privato come efficace e positivo in ogni caso e situazione.
È in questo quadro che bisogna analizzare la – pur molto contenuta – riduzione delle disuguaglianze testimoniata dal rapporto Istat, nonché le politiche fiscali del governo di Giorgia Meloni.

CAPITALISMO E TRANSIZIONE ECOLOGICA: IL LUPO E L’AGNELLO
Il taglio del cuneo fiscale attuato dal governo Draghi e voluto dalla sua larghissima maggioranza ha fatto guadagnare un piccolo aumento in busta paga ai lavoratori dipendenti, anche di reddito medio-basso. La riforma fiscale di Meloni favorisce invece gli autonomi, categoria molto variegata nel nostro Paese, poiché dietro a questa etichetta si nascondono tipi di lavoro e livelli di reddito molto diversi tra loro, dai precari della conoscenza ai liberi professionisti.

Il punto, come spesso avviene in economia, è il seguente. Di fronte a qualche categoria che ci guadagna, perlomeno sul breve periodo – e che fa guadagnare politicamente il governo e i partiti che lo sostengono, e in particolare Fratelli d’Italia – c’è chi ci perde. Ecco, chi paga? Innanzitutto i più poveri: il taglio del cuneo è stato finanziato anche con l’abolizione del reddito di cittadinanza. Una redistribuzione al contrario, non dall’alto verso il basso, ma dai più poveri verso i leggermente meno poveri.
In secondo luogo, e in modo più strutturale e quindi estremamente inquietante, queste misure sono e saranno finanziate tramite la riduzione della spesa. Dove riduzione della spesa pubblica significa riduzione dei servizi.
Non potendo aumentare il debito pubblico, già elevatissimo, l’unico modo per Meloni di finanziare la riduzione delle tasse è quello di tagliare i servizi. Il nostro debito è sottoposto infatti a un doppio vincolo: da un lato, l’aderenza ai trattati europei, che non ci permette di indebitarci ulteriormente, se non per effettuare riforme strutturali dirette verso la transizione digitale ed energetica.
Dall’altro, abbiamo un prodotto interno lordo che stagna, complice l’assenza totale di politica industriale, la struttura di un Paese fondato sulle piccole e medie imprese – le quali non hanno abbastanza massa critica per investire, innovare e quindi aumentare la produttività – nonché lo scarso desiderio politico, da parte della maggioranza di governo, di impegnarsi verso la transizione energetica.
Il passaggio verso l’economia privatizzata e la riduzione dello stato sociale non è però frutto del caso. Si tratta di una strategia pensata, voluta e cercata dalle destre fin dai tempi di Berlusconi, ed è ormai egemonica culturalmente ed elettoralmente nel paese. E l’attuazione della cosiddetta autonomia differenziata, ovvero la delega di responsabilità amministrative e di scelte politiche alle regioni, è perfettamente funzionale della messa in opera di questa strategia. Lo Stato centrale non dovrà direttamente tagliare la spesa. Basterà delegare alle regioni sempre più servizi – dalla sanità ai trasporti all’istruzione.
Le regioni, da canto loro, seguiranno l’esempio dei trent’anni di governo di centrodestra in Lombardia e altrove: privatizzare i servizi sanitari, le scuole, i trasporti, o perlomeno le parti più redditizie di questi servizi. Al pubblico resteranno solo i servizi meno remunerativi, la cui efficienza e qualità continueranno a declinare come hanno fatto negli ultimi decenni. Con buona pace di chi non potrà permettersi scuole, trasporti e sanità privata.

08 – Claudio Tognonato*: ARGENTINA, DURE CONDANNE AI MASSACRATORI DELL’ESMA – DESAPARECIDOS E VOLI DELLA MORTE. IL PROCESSO A 40 ANNI DALLA DITTATURA VIDELA HA PORTATO A 48 CONDANNE, 29 SONO ERGASTOLI. LA SENTENZA DI IERI È ANCHE UN LASCITO DELL’ERA KICHNER IN UN PAESE CHE TEME RITORNO AL PASSATO

IERI SI È CONCLUSO IL PROCESSO PIÙ IMPORTANTE E PIÙ LUNGO DI TUTTA LA STORIA DELL’ARGENTINA. DOPO 5 ANNI DI UDIENZE CHE HANNO COINVOLTO 54 IMPUTATI E 789 VITTIME LA CAUSA È ARRIVATA A SENTENZA CON 48 CONDANNE: 29 ERGASTOLI, 19 COLPEVOLI CON PENE DA 8 A 25 ANNI E 6 ASSOLTI. IL PROCESSO HA GIUDICATO LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEL PRINCIPALE CAMPO DI CONCENTRAMENTO DELLA DITTATURA MILITARE (1976-1983), LA FAMIGERATA ESMA, LA SCUOLA DI MECCANICA NAVALE IN CUI VENIVANO PORTATE LE PERSONE SEQUESTRATE DAL REGIME.

Le vittime dell’Esma sono migliaia, il processo ha riguardato solo i casi di alcuni superstiti e di molti che furono uccisi durante la tortura o gettati vivi in mezzo al mare da aerei della Marina nei tristemente celebri «voli della morte». Con queste condanne all’ergastolo si è chiuso un processo esemplare in materia di diritti umani non solo per l’Argentina ma per l’intera umanità.
Sono passati ormai 40 anni dai fatti, ma il processo ai responsabili del principale centro illegale di detenzione, tortura e morte di dissidenti politici o presunti tali, vuole rappresentare un altro passo verso il consolidamento della memoria storica. I militari condannati non si sono mai pentiti, non hanno mai collaborato con la magistratura e soprattutto non hanno mai rivelato la fine di migliaia di desaparecidos.
Ora si sa che molti desaparecidos sono in fondo al mare. Si calcola che solo con «i voli della morte» dell’Esma siano state gettate in mare vive oltre 5.000 persone. Purtroppo il patto di sangue tra i militari ha funzionato e i familiari delle vittime non sapranno mai quale fine abbiano fatto i loro cari. L’impassibile silenzio degli assassini è stato una costante in tutti i processi che si sono susseguiti in questi anni. L’impunità della dittatura però è stata possibile grazie alla complicità di molti argentini.
L’arroganza militare giocava a un doppio messaggio, da una parte nascondeva centinaia di campi di concentramento disseminati in tutto il territorio, si calcola oltre 360. Dall’altra, davanti alle telecamere, si rappresentava la normalità di un governo militare affiancato dalle più alte autorità della chiesa cattolica. Si parafrasava con insolenza Bertolt Brecht dicendo «Prima uccideremo tutti i sovversivi; poi uccideremo i loro collaboratori; poi i loro simpatizzanti; poi chi rimarrà indifferente, e infine uccideremo gli indecisi». Come dichiarò, senza scomporsi, il generale Iberico Saint-Jean, governatore della provincia di Buenos Aires, parole pubblicate in Francia da Le Monde all’inizio della dittatura. Così, la complicità di un ampio settore della società e l’indifferenza internazionale hanno reso possibile un genocidio.
La riparazione storica continua, la memoria è la facoltà che dimentica e deve essere continuamente ripresa per non ritornare all’oblio. Questo lungo percorso è iniziato nel 1985 durante il governo di Raúl Alfonsín, che condannò i membri delle Giunte militari per delitti di lesa umanità. La dura sentenza non fu però definitiva: calmate le acque, i carnefici furono beneficiati dall’indulto nel 1989 durante il governo di Carlos Menem. Ma prima ancora, nel 1986, lo stesso Alfonsín aveva fatto retromarcia e sancito le norme di «Punto finale» e «Ubbidienza dovuta», per fermare la valanga di processi aperti contro i militari. S’impedì l’apertura di nuovi processi e furono scagionati gli autori materiali di torture e omicidi sostenendo che i quadri intermedi non avevano potere decisionale. I processi sono rimasti bloccati dalle leggi dell’impunità fino al 2005, anno in cui la Corte suprema dichiarò finalmente l’incostituzionalità di quelle norme.
Grazie alle pressioni del governo di Néstor Kirchner si sono riaperti in Argentina centinaia di processi e molti imputati sono stati condannati. Lo stesso generale Jorge Videla morirà in carcere nel 2013 ammettendo la necessità della «disposizione finale» che ha lasciato 30.000 desaparecidos. Nei governi di Néstor e Cristina Kirchner la promozione dei diritti umani è rimasta al centro delle loro politiche. Néstor Kirchner si era definito nella prima assemblea delle Nazione UNITE COME FIGLIO DELLE MADRI DI PIAZZA DI MAGGIO.
La sentenza ora arriva in una Argentina sconvolta dal ritorno al passato con le politiche del presidente Mauricio Macri.
La dirigente indigena Milagro Sala rimane in carcere anche se la Commissione diritti umani dell’Onu, Amnesty e l’opinione pubblica internazionale considerano arbitraria la sua detenzione. Il ritorno alle politiche neoliberiste è accompagnato da politiche repressive di ogni tipo che hanno perfino provocato la scorsa settimana la morte di Rafael Nahuel, indigeno che rivendicava l’ancestrale proprietà delle terre mapuche oggi proprietà del nostro Benetton.
Sono passati 40 anni, ma le ferite non si sono mai rimarginate e il clima che si respira con il governo Macri dimostra quanto sia difficile nella storia dei popoli considerare acquisito quell’agognato «mai più», quel Nunca más che si declamava ieri in aula ed è un impegno per un futuro che non sia un ritorno al passato.
*( Claudio Alberto Tognonato (Buenos Aires, 1954) è un sociologo e filosofo argentino.)

 

09 – Marina Catucci, AUSTIN*: «BIDEN È PARTE DEL PROBLEMA, PERMETTE IL GENOCIDIO. IO DA DEM NON LO VOTERÒ» QUESTIONE ARABO-AMERICANA, PARLA HATEM NATSHEH – «AVREBBE POTUTO FERMARE LA GUERRA FIN DAL PRIMO GIORNO, SE AVESSE VOLUTO, È IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI. MA CONTINUANO A DISUMANIZZARCI COME COMUNITÀ»

Hatem Natsheh è uno dei punti di riferimento dell’attivismo texano. Vive nella democratica Austin, è fra gli organizzatori nazionali del movimento Usa per la Palestina, presidente della sede texana di Our Revolution, organizzazione fondata da Sanders di cui è stato uno dei delegati, e fa parte del consiglio comunale dove si occupa di combattere la discriminazione degli arabo-americani.

«Sono negli Stati Uniti da quasi 40 anni – racconta – e mi occupo di giustizia sociale. In questo momento, la maggior parte del mio lavoro riguarda il fermare il genocidio a Gaza».
Sembra che gli Usa abbiano scoperto d’improvviso il problema palestinese.
Gli Usa hanno scoperto di essere parte del problema, perché stanno consentendo il genocidio con le armi e i miliardi di dollari che noi americani diamo al governo israeliano.

COME SI TRADUCE QUESTO NEL VOTO STATUNITENSE?
Sono fra quelli che alle primarie hanno spinto per la scheda bianca. In Texas non c’è come in Michigan la possibilità di votare uncommitted, qui o voti scheda bianca o scegli un candidato alternativo. Ho una piccola organizzazione chiamata Texas Arab American Democrats, e per le primarie ho chiesto alla mia comunità e a tutte le altre comunità che ci seguono, di non votare: è così che dimostriamo al presidente che siamo insoddisfatti e che non accettiamo il suo sostegno a Israele.

PENSA CHE QUESTO ACCADRÀ ANCHE A NOVEMBRE?
Cosa faremo a novembre non lo so ancora. Siamo una comunità attiva a livello nazionale, decideremo a novembre, ma dobbiamo rispettare il movimento. Non credo voteremo per Biden. Sono un attivista democratico e non voterò per un repubblicano in nessuna circostanza: sono stato un membro attivo del partito, sono stato delegato nazionale di Bernie Sanders nel 2016 e nel 2020, rimango fedele alle mie radici nel Partito democratico, ma questo non significa che devo votare per Biden.

C’È NIENTE CHE BIDEN PUÒ FARE PER FARLE CAMBIARE IDEA?
A fronte di oltre 30 mila persone massacrate a Gaza non può fare più nulla. In oltre in Michigan più di 100 mila persone hanno votato uncommitted e lui e la sua campagna hanno fatto come se nulla fosse successo. Ci danno per scontati, e sbagliano, perché forse non possiamo controllare chi vince, ma potremmo essere in grado di controllare chi perde. Biden non può vincere senza il Michigan eppure ci ignora. Continuano a disumanizzarci come comunità. Biden avrebbe potuto fermare la guerra fin dal primo giorno, se avesse voluto, è il presidente degli Stati Uniti. Come posso sostenere qualcuno che sta consentendo un genocidio? Nel 2020 ho votato per Biden e ho chiesto alla mia comunità di votare per lui contro Trump. Ora guardo il presidente che ho votato ed è lui che sta aiutando questo genocidio, non Trump. Non venite a cercare di spaventarci dicendo che Trump è peggio. Sono consapevole che ci siano molti temi importanti, come l’occupazione della Corte Suprema, e questo è il motivo per cui li ho sempre votati, ma ora non posso farlo, perché sfortunatamente il presidente e i suoi referenti intorno a lui non si preoccupano della nostra gente. Questo ha un effetto sulle persone. Io la notte mi alzo ogni poche ore, si tratta delle nostre famiglie: mia moglie ha perso 12 cugini, alcuni erano medici, erano nel loro ospedale, vivevano proprio sopra l’ospedale e i carri armati li hanno circondati e li hanno bombardati. Uno ha perso tutta la sua famiglia.
Trump aveva spostato l’ambasciata, ma ricordo che nel 2012 Biden stesso si è etichettato come «sionista». Perché si aspettava qualcosa di diverso da lui?
Non credevo che avrebbe riportato indietro l’ambasciata, e che fosse un sionista lo sapevo. Non hanno nemmeno voluto che si usasse ufficialmente il termine «occupazione» nella piattaforma e comunque, da democratico, ho votato per Biden. Quando Blinken ha incontrato i delegati membri della comunità palestinese e araba era il momento in cui Trump aveva sospeso gli aiuti all’Agenzia Onu per i rifugiati, e Blinken ci aveva promesso di ripristinarli: questo lo hanno fatto. Ci hanno promesso che avrebbero aperto l’ufficio per la Palestina a Washington: hanno ripristinato i finanziamenti, ma non l’ufficio. E questa è politica solita. Ora però le cose sono andate molto più in là di questo, si è superato un limite.

ANCHE SANDERS È STATO CRITICATO ALL’INIZIO DEL CONFLITTO
Sono uno di quelli che lo ha criticato. Speravo che si schierasse apertamente con i palestinesi fin dall’inizio, contro l’occupazione e a favore dell’umanità. Avevo molta fiducia. E sono rimasto molto deluso quando ha iniziato a parlare di un cessate il fuoco «temporaneo». Ha cambiato direzione, ma qualcuno come il senatore Sanders avrebbe dovuto fare meglio. È una persona colta e come ebreo americano sa che i governi israeliani non vogliono la pace. Sono felice di vedere che inizia a parlare di tagliare gli aiuti americani a Israele, sono felice che stia tornando in sé, ma ancora non vuole parlare di genocidio.
*( Marina Catucci, US correspondent – ilmanifesto documentarista, newyorker.)

 

10 – Andrea Cegna*: BUENOS AIRES – C’È MILEI, LA MAREA VIOLA E VERDE INVADE LE STRADE DI BUENOS AIRES – 8 MARZO . IN ARGENTINA MOBILITAZIONE RECORD PER DIFENDERE CONQUISTE SOCIALI E DIRITTI DELLE DONNE. NEL PAESE SUDAMERICANO UN FEMMINICIDI OGNI 29 ORE. LA FORZA FEMMINISTA CONTRO IL PRESIDENTE TURBO-CAPITALISTA
C’è Milei, la marea viola e verde invade le strade di Buenos Aires
Un femminicidi ogni 29 ore. Non c’è angolo della piazza che si trova tra il palazzo del Congresso e il Senato, a Buenos Aires, che non lo ricordi. Un 8 marzo segnato in modo netto dall’opposizione alle politiche che il neo governo Milei sta attuando.

La motosega promessa contro la casta è diventata, proprio come aveva vaticinato il movimento femminista, una violenta operazione oppressiva contro la parte più povera della società e contro le conquiste sociali che il movimento femminista ha strappato negli ultimi anni. E se la difesa dell’aborto è un mantra che le migliaia di donne, e uomini, in piazza ripetono, non mancano cartelli e messaggi per un cambio di politiche sociali.
Che la giornata dell’8 marzo in Argentina sia lontana da una ricorrenza svuotata di significato è risaputo da anni, ma in questo 2024 la politica e l’attualità sono state il collante per una mobilitazione moltitudinaria tra le più ampie dal 2018. Già ben prima delle 16.00 la piazza è piena, le vie attorno piene di donne e uomini di ogni età, ma anche classe sociale e provenienza.

Buenos Aires è il centro di una giornata che attraversa il paese e mette al centro la lotta femminista come pratica di costruzione di una società dove le differenze siano un valore e la solidarietà una norma. Ci sono i sindacati uniti come lo scorso 24 gennaio, e ci sono le Madri di Plaza de Mayo nelle due componenti nate nel 1985 da una spaccatura che il prossimo 24 marzo si ricomporrà con una manifestazione unitaria nel giorno in cui si ricorda il drammatico inizio della dittatura del 1976. Un momento storico che in molte e molti hanno ricordato nella disordinata adunata che ha occupato ieri il centro di Buenos Aires.

Dall’obelisco di 9 de Julio, per avenida de Mayo fino alla piazza del Congresso una marea viola e verde come i colori dei pañuelos che in piazza mostrano la forza della campagna per l’aborto libero, gratuito e sicuro e della lotta femminista. Ci sono i movimenti dell’economia popolare, c’è chi gestisce le mense popolari e i luoghi di prossimità nelle zone più povere. Ci sono docenti universitari e chi si oppone alla svendita della scuola pubblica. Ci sono lavoratrici e lavoratori dell’agenzia statale di notizie Telam, che Milei vorrebbe demolire: da giorni sono in presidio nella sede della capitale e al tempo stesso in piazza a fare il loro lavoro. Ci sono i partiti di opposizione.

Poi ci sono decine, se non centinaia di migliaia, di donne, giovani, lesbiche, trans, che vogliono essere libere senza chiedere il permesso e aver paura. C’è l’Argentina che resiste e che nuovamente trova nella forza femminista e nella prospettiva intersezionale di una società più giusta le parole per affrontare il nuovo incubo turbo capitalista chiamato Milei.

 

 

 

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