n°30 – 29/7/23 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Sen. Francesca La Marca(PD)*:la senatrice La Marca incontra l’ambasciatore dominicano in Italia.
02 – Alfiero Grandi *:”L’ingannevole unità del governo”. (su autonomia differenziata e presidenzialismo) .
03 – Andrea Biondo*: Riforma del canone Rai: presto incluso nella bolletta del cellulare?
04 – Evasione fiscale in Italia: la classifica delle tasse non pagate
05 – Il governo risponde alle interrogazioni solo quando non può farne a meno(*)
06 – Luca Zorloni*: Il braccio di ferro per la legge europea sull’intelligenza artificiale
Ai negoziati per l’approvazione finale dell’Ai Act Parlamento e Consiglio europeo si scontrano su tutela dei diritti fondamentali, test degli algoritmi e divieti.

 

01 – Sen. Francesca La Marca(PD)*:LA SENATRICE LA MARCA INCONTRA L’AMBASCIATORE DOMINICANO IN ITALIA
Si è tenuto giovedì 27 luglio presso l’Ambasciata della Repubblica Dominicana in Italia, un incontro tra la Senatrice Francesca La Marca e l’Ambasciatore dominicano in Italia, Tony Raful Tejada.
«Ringrazio l’Ambasciatore e i suoi consiglieri per avermi accolta presso l’ambasciata dominicana a Roma. È stato un incontro proficuo che ci ha visto scambiare alcune idee su questioni che stanno a cuore alla comunità italiana presente in Repubblica Dominicana, che conta oltre 10.000 iscritti AIRE e altri migliaia non iscritti, per non parlare dei tantissimi turisti italiani che scelgono la Repubblica Dominicana come meta caraibica preferita. » ha dichiarato la senatrice La Marca.
Fra i vari argomenti trattati, si è parlato anche di rapporti commerciali tra i due paesi che sono in piena espansione e che portano la Repubblica Dominicana ad essere il settimo mercato di sbocco in America Latina.
« Le relazioni bilaterali fra l’Italia e la Repubblica Dominicana sono sempre state ottime e improntate alla piena collaborazione, soprattutto nei fori multilaterali, con numerosi casi di sostegno reciproco alle rispettive candidature internazionali. Ciò si è rispecchiato anche nei rapporti commerciali tra i due paesi che sono solidi e in piena crescita. Ho voluto discutere anche di tematiche di rilievo come il riconoscimento delle patenti di guida nei due Paesi, infatti ad oggi se un italiano o un dominicano si reca in uno dei due paesi non può guidare con la propria patente se non per un periodo massimo di 6 mesi.»
Inoltre, nel corso del 2023 Italia e Repubblica Dominicana hanno festeggiato 125 anni di relazione diplomatiche che hanno permesso di creare dei ponti fra i due paesi in diversi ambiti.
« I 125 anni di relazioni diplomatiche tra i due paesi sono un bellissimo traguardo. Uno scambio reciproco in diversi ambienti storico, culturale e scientifico e che abbiamo discusso all’incontro parlando dei gemellaggi in corso fra le varie università italiane e dominicane. Ho voluto porre l’accento anche sulla possibilità di un accordo in materia di sicurezza sociale, che attualmente non esiste, e che sta chiaramente a cuore ai migliaia di italiani lavoratori in Repubblica Dominicana ma anche agli oltre 30.000 dominicani che vivono e lavorano in Italia. » ha concluso la senatrice La Marca.
*(Sen. Francesca La Marca – Ripartizione Nord e Centro America/Electoral College – North and Central America)

 

02 – Alfiero Grandi *:”L’INGANNEVOLE UNITÀ DEL GOVERNO”. (SU AUTONOMIA DIFFERENZIATA E PRESIDENZIALISMO) . A COSA SERVE LA FORZATURA IN SENATO DELLA MAGGIORANZA DI GIORGIA MELONI CHE HA APPROVATO UN – IMPREVISTO – ORDINE DEL GIORNO CHE RIPETE L’IMPEGNO SU AUTONOMIA DIFFERENZIATA E PRESIDENZIALISMO/PREMIERATO ?
Obiettivi già presenti nell’accordo di maggioranza, ribaditi in modo approssimativo nell’odg senza chiarirne contenuti e tempi, basta pensare alla nebbia che avvolge il presidenzialismo/premierato. L’obiettivo non può che essere nascondere le difficoltà della maggioranza che annaspa su entrambi i fronti.
Autonomia regionale differenziata. Sembrava acquisito che almeno i Livelli Essenziali di Prestazione sarebbero stati approvati prima di procedere con l’attribuzione di nuove funzioni (non materie) alle regioni richiedenti. Del resto lo hanno chiesto anche le regioni governate dalla destra, ma la realtà dei conti si è incaricata di smentire questa impostazione.
Le previsioni di finanziamento dei Lep variano da 60 a 100 miliardi di euro. Questi soldi non ci sono, salvo modificare radicalmente il bilancio dello Stato e lanciare, ad esempio, una forte campagna di lotta all’evasione fiscale, il cui risultato potrebbe contribuire a questo finanziamento, invece si vuole procedere con ulteriori condoni. Le dimissioni di autorevoli componenti dalla commissione Cassese per i Lep ha evidenziato la crisi dell’impostazione del Governo, perchè il punto denunciato è esattamente che senza individuazione delle risorse necessarie potrebbero ricevere nuove funzioni solo le regioni più ricche.
Senza tenere conto delle modalità istituzionali prescelte da Calderoli che tagliano fuori il parlamento dalla definizione dei Lep, esaltano il patteggiamento tra Governo e Regione che di fatto metterebbe il parlamento di fronte al fatto compiuto, senza considerare i contraccolpi sulle altre regioni e sui comuni.
La questione dei quattrini è il nodo centrale, che solo la fuga solitaria delle regioni più ricche potrebbe risolvere, con il contraccolpo di lacerare l’unità nazionale, lasciando le regioni meno ricche a bocca asciutta, senza le stesse funzioni funzioni nè trasferite a loro, né in carico allo stato, quindi in attesa di futuri, improbabili tempi migliori.
Chi si dichiara convintamente nazionalista fatica ad accettare l’idea di un’Italia divisa e balcanizzata, si rende conto che sarebbe un salto all’indietro, un ritorno agli staterelli preunitari. Europa più unita e Italia più divisa ? Difficile da accettare, per tanti.
Presidenzialismo o premier eletto direttamente ? Non si sa. Unica cosa certa è che Meloni vorrebbe avere un’investitura popolare diretta, purtroppo per lei questa scelta porta alla necessità di cambiare parti decisive della Costituzione, compreso il ruolo del Presidente della Repubblica che non solo gode di grande consenso ma ha dimostrato di essere fattore di garanzia e stabilità nei momenti difficili.
Il dissenso da questa ipotesi di modifica istituzionale e costituzionale è radicale, ma ancora c’è il problema che ad oggi non si conosce la proposta del Governo, promessa per inizio estate.
Che senso ha approvare, con protervia di maggioranza, un ordine del giorno se non tentare di nascondere le proprie difficoltà e contraddizioni sotto una pennellata di finta unità con un odg, in modo da andare in ferie, poi si vedrà.
La novità è che la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare – prima firma Massimo Villone – verrà “incardinata” la settimana prossima in Commissione Affari Costituzionali del Senato, nominando il relatore e avviando il cammino parlamentare previsto dal regolamento del Senato. Entro novembre arriverà in aula.
106.000 firme hanno dato una forte spinta alla proposta di legge, che non può essere ignorata come in passato, che punta a cambiare gli articoli 116 e 117 della Costituzione, modificati in modo improvvido nel 2001 dal centro sinistra e che ora un largo schieramento riconosce debbono essere cambiati per bloccare Calderoli che prova ad usarli come un piede di porco per aiutare le pulsioni para separatiste dei presidenti di Veneto e Lombardia, l’Emilia sembra in una fase di riflessione. Il traguardo è lontano.
La novità è che il cammino previsto da Calderoli si sta rivelando pieno di ostacoli imprevisti e sempre più persone e organizzazioni – perfino Confindustria – si rendono conto dei pericoli della proposta leghista, quindi cresce l’opposizione.
Giorgia Meloni ha appoggiato (doveva evitarlo da Presidente del Consiglio) in Spagna le forze che sono contro ogni forma di autonomia ma in Italia appoggia le pulsioni para-secessioniste che puntano alla secessione dei ricchi (Viesti).
Questo è il prezzo che la maggioranza paga per ottenere una modifica della Costituzione più o meno presidenzialista che probabilmente non vedrebbe la luce prima della fine di questa legislatura, durante la quale potrebbero evaporare i poteri che Giorgia Meloni vorrebbe accentrare nelle sue mani.
(Fonte: Il Manifesto- A. Grandi. è un politico e sindacalista italiano. Deputato della Repubblica Italiana. Durata mandato, 2001 )

 

03 – Andrea Biondo*: RIFORMA DEL CANONE RAI: PRESTO INCLUSO NELLA BOLLETTA DEL CELLULARE? IL PAGAMENTO DELLA FAMOSA TASSA TELEVISIVA POTREBBE PRESTO ESSERE MODIFICATO DAL GOVERNO IN MODO DA ESTENDERLO A PIÙ CITTADINI.

Una riforma del canone Rai è sicuramente in arrivo: il governo la vuole fortemente. La direzione in cui muterà, però, non è ancora stata definita. Una delle ipotesi che il ministro dell’Economia Giorgetti sta valutando, infatti, è quella di accorpare la tassa utile a finanziare la radiotelevisione pubblica italiana alla bolletta del cellulare.
Quando si ricaricherà il credito del proprio telefono, quindi, verranno scalati anche i soldi del canone. La Lega, partito di appartenenza di Giorgetti, aveva promesso di abolire o azzerare la tassa nel giro di cinque anni ma ora tutto sembra proseguire spedito verso una sua rivoluzione.
Le parole di Giorgetti
“L’ipotesi – aveva detto Giorgetti – potrebbe essere scorporare dal pagamento del canone una quota relativa agli investimenti sostenuti dalla Rai, a sostegno per esempio della capacità trasmissiva“. Una somma di circa 300 milioni l’anno che potrebbe contribuire a ridurre il costo pro capite della tassa.
“Nel medio periodo va aperta una riflessione sul pagamento del canone, attualmente legato al presunto possesso di un apparecchio televisivo – spiega il ministro dell’Economia –. Ma le nuove modalità di sviluppo e di fruizione, come dimostra Raiplay, consentono di fruire dei contenuti Rai usando vari device“.
“Qualora il presupposto diventasse il possesso di un’utenza telefonica mobile – ha concluso Giorgetti – si avrebbe un aumento della platea e quindi una riduzione del costo pro capite del canone. Oggi sono 21 milioni i cittadini che lo pagano, mentre le utenze telefoniche attive sono 107 milioni
*(Fonte: News Mondo – Andrea Biondi. Vice caposervizio al Sole 24 Ore e da gennaio 2013 si occupo principalmente di Tlc e Industria dei media con scrittura articoli, inchieste giornalistiche)

 

04 – EVASIONE FISCALE IN ITALIA: LA CLASSIFICA DELLE TASSE NON PAGATE(*)
IRPEF, IVA MA ANCHE IMU E CANONE RAI: ECCO QUALI SONO LE TASSE PIÙ EVASE IN ITALIA SECONDO IL MEF, TRA QUALI CONTRIBUENTI E QUALI ZONE DELLA PENISOLA.
L’evasione fiscale in Italia coinvolge quasi tutti i settori e i territori, un fenomeno che appare in calo solo se si tiene conto del versamento dell’IVA, mentre risulta in aumento analizzando l’IRPEF sui redditi da lavoro autonomo.
A fornire cifre precise e aggiornate è la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva 2022 pubblicata dal MEF.
L’evasione in Italia è oggi pari a 1.672 euro pro-capite, un quinto degli evasori fiscali dichiara i propri redditi ma poi non versa le tasse, mentre dipendenti e pensionati sono i più ligi dal momento che sono tassati alla fonte. Fanno peggio di autonomi, che evadono soprattutto l’IRPEF.
Ma a trionfare è sempre l’IVA, con un buco da 25 miliardi pari ad 1/5 dell’intero mancato gettito dell’Unione Europea (93 miliardi).
E poi ci sono i debitori cronici: sono 7 milioni i contribuenti che ogni anno ricevono una nuova cartella esattoriale senza aver ancora pagato le precedenti.
QUALI SONO LE TASSE PIÙ EVASE
Oltre ad IVA e IRPEF, il rapporto mostra come a crescere sia soprattutto l’evasione contributiva (12,7 miliardi di contributi previdenziali in un anno, a danno dei lavoratori), che riguarda complessivamente 3 milioni e 586 mila unità di lavoro a tempo pieno.
Il mancato versamento delle tasse riguarda anche l’IMU e il canone RAI, sebbene venga applicato direttamente in bolletta.
EVASIONE: CRESCE AL SUD E TRA GLI AUTONOMI
Stando ai dati, a evadere l’IRPF è il 70% degli autonomi per quanto concerne l’IRPEF (per 32,5 miliardi). Dal punto di vista della distribuzione territoriale, il documento segnala alcune disparità tra le varie zone della Penisola: L’incidenza dell’economia non osservata è molto alta nel Mezzogiorno, dove rappresenta il 18,2% del complesso del valore aggiunto, seguita dal Centro dove il peso si attesta al 13,0%.
Più contenute, e inferiori alla media nazionale, sono le quote raggiunte nel Nord-est e nel Nord-ovest, pari rispettivamente al 10,4% e 10,0%.
*(Fonte: PMI.it)

 

05 – IL GOVERNO RISPONDE ALLE INTERROGAZIONI SOLO QUANDO NON PUÒ FARNE A MENO(*)
GOVERNO E PARLAMENTO
L’attuale esecutivo fa registrare il dato più alto delle ultime legislature per quanto riguarda la risposte agli atti di sindacato ispettivo presentati dal parlamento. Se però escludiamo le interpellanze urgenti e le interrogazioni a risposta immediata lo scenario muta notevolmente.
• Il governo Meloni ha risposto al 34,2% degli atti di sindacato ispettivo presentati dal parlamento. È il dato più alto considerando gli esecutivi delle ultime 3 legislature.
• Considerando esclusivamente gli atti che non comportano una risposta immediata però l’attuale esecutivo scivola all’ultimo posto (14%).
• Gli atti ispettivi non urgenti presentati dall’inizio della legislatura sono 1.867. Il governo ha risposto a 261. Tra i ministeri più “efficienti” giustizia, famiglie ed esteri.
• Ci sono 4 ministeri, tra cui quello dell’economia, che non hanno risposto a nessun atto ispettivo non urgente.
Discutere e approvare le leggi è – almeno sulla carta – la principale attività del parlamento. Ma la produzione normativa non è l’unica prerogativa delle camere. Tra le funzioni non legislative svolte da deputati e senatori rientra infatti anche la presentazione dei cosiddetti atti di sindacato ispettivo. Come interrogazioni e interpellanze, che servono a indagare l’operato del governo.
L’esecutivo infatti deve sempre rendere conto al parlamento del proprio operato, in virtù del rapporto fiduciario che lo lega a quest’ultimo e senza il quale sarebbe costretto alle dimissioni. Questi atti hanno un importante valore politico, dato che permettono ai parlamentari di portare all’attenzione del governo ma anche dell’opinione pubblica fatti ritenuti importanti, anche per il proprio elettorato.
Nel corso del loro mandato, deputati e senatori presentano moltissimi atti di questo tipo. Con la conseguenza che spesso i governi non riescono a dare seguito a tutte le richieste di chiarimento. Considerando complessivamente tutti i tipi di atti ispettivi possiamo osservare che l’attuale esecutivo presenta il tasso di risposta più alto tra quelli delle ultime 3 legislature. In netto aumento, peraltro, rispetto all’ultima volta che ci siamo occupati di questo tema.
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34,2% le risposte fornite dal governo Meloni agli atti di sindacato ispettivo del parlamento.
Oltre al fatto che si tratta comunque di un valore relativamente basso, tale indicatore deve essere interpretato. Infatti la situazione cambia molto se dal conteggio escludiamo le interpellanze urgenti e le interrogazioni a risposta immediata. Quelle situazioni cioè in cui l’esecutivo non può sottrarsi dal rendere conto del proprio operato. Se analizziamo le risposte ad atti ispettivi non urgenti infatti il governo Meloni scivola agli ultimi posti nel confronto con i suoi predecessori.
Le risposte degli esecutivi alle domande del parlamento
Negli ultimi anni ci siamo abituati a vedere esponenti del governo presentarsi alle camere per rendere comunicazioni e informative. Si tratta di atti dovuti da parte del governo che si svolgono in particolari occasioni. Solo per fare un esempio, lo scorso 5 luglio la ministra per il turismo Daniela Santanché si è recata in aula per chiarire la sua posizione a seguito del servizio della trasmissione tv “Report” che la riguardava.
32 le comunicazioni, informative e relazioni rese dal governo Meloni alle camere dal suo insediamento.
Si tratta però di un numero estremamente limitato di interventi rispetto a tutti gli atti di sindacato ispettivo presentati dal parlamento. Camera e senato infatti hanno a disposizione diversi strumenti che, in teoria, dovrebbero servire per ottenere informazioni dal governo su fatti di particolare interesse pubblico. Si tratta delle interrogazioni e delle interpellanze. Questi atti possono essere suddivisi in ulteriori categorie. Ci sono quelli a risposta scritta, quelli a risposta orale, quelli presentati e svolti in commissione e quelli svolti invece in assemblea. Ci sono poi quelli che prevedono un’interlocuzione diretta tra governo e parlamento (come le interrogazioni a risposta immediata e le interpellanze urgenti) e altri invece in cui la replica dell’esecutivo può essere differita nel tempo (come le interrogazioni a risposta scritta).
Per quanto riguarda l’attuale esecutivo, gli atti di sindacato ispettivo prodotti fino al 31 maggio sono stati 2.478 di cui 848 hanno ricevuto una risposta. Come abbiamo già anticipato questo dato rappresenta il valore più elevato nel confronto fra i governi delle ultime 3 legislature, anche se le differenze tra un esecutivo e l’altro non sono particolarmente marcate. Il governo Renzi infatti aveva risposto al 33,2% degli atti ispettivi, il governo Conte I al 33%, il governo Draghi al 32,9%.
Il governo Meloni ha risposto al 34% degli atti ispettivi presentati
Le risposte dei governi agli atti di sindacato ispettivo presentati dal parlamento (2013-2023)
DA SAPERE
La percentuale riportata nel primo grafico tiene conto delle risposte fornite a tutte le tipologie di atto di sindacato ispettivo possibili. Nella seconda rappresentazione invece sono riportati i dati disaggregati. In questo caso sono stati esclusi i dati relativi agli atti a risposta immediata e alle interpellanze urgenti perché, prevedendo una risposta istantanea, l’esecutivo non può sottrarsi al confronto. Di conseguenza questi atti fanno registrare un tasso di risposta sempre superiore al 90%.
Il dato relativamente elevato del governo Meloni è dovuto al fatto che sono stati presentati finora pochi atti che non prevedano una risposta immediata. Se infatti consideriamo esclusivamente le interrogazioni a risposta orale e scritta, quelle a risposta in commissione e le interpellanze non urgenti possiamo osservare che gli atti ispettivi sottoposti all’attuale governo sono stati solamente 1.867. Ovviamente su questa differenza influisce il fatto che il governo Meloni è in carica solamente da 8 mesi. Peraltro considerando il tasso di risposta a questo tipo di interrogazioni l’attuale esecutivo scivola all’ultimo posto (14% circa). Mentre i valori più alti sono dei governi Renzi (21,9%), Letta (18,9%) e Gentiloni (17,7%).
Interrogazioni a risposta immediata e interpellanze urgenti sembrano essere l’unico modo per i parlamentari per farsi rispondere dal governo.
Il fatto che gli atti a risposta non immediata rappresentino generalmente la maggioranza di quelli presentati ha diverse spiegazioni. Innanzitutto non c’è un limite massimo di questioni che un parlamentare può sottoporre al governo e non ci sono tempi contingentati, come avviene invece ad esempio per i cosiddetti question time in cui l’esecutivo risponde immediatamente ma a pochi quesiti. Il tasso di risposta in questi casi infatti è sempre superiore al 90%. Sottoponendo al governo atti non urgenti quindi, in teoria, potrebbero esserci maggiori possibilità per i singoli parlamentari di ottenere una risposta al proprio quesito anche se magari più avanti nel tempo. Il rovescio della medaglia però è che il grande numero di atti presentati fa sì che l’esecutivo non riesca replicare a tutti. Anzi, solitamente il tasso di risposta in questi casi risulta essere molto basso.
Disaggregando i dati in base al tipo di atto di sindacato ispettivo, possiamo osservare che l’attuale esecutivo si trova all’ultimo posto per quanto riguarda le risposte a interrogazioni a risposta in commissione (11,5%). Al penultimo posto per quanto riguarda le interpellanze non urgenti (4,2%). Al terzultimo relativamente alle interrogazioni a risposta orale (19,1%) e quelle a risposta scritta (15,1%). Queste ultime sono di gran lunga l’atto di sindacato ispettivo più utilizzato.

LE RISPOSTE DEI MINISTRI DEL GOVERNO MELONI
Per valutare compiutamente la capacità di risposta dell’attuale governo è quindi molto interessante concentrarsi sugli atti di sindacato ispettivo a risposta non immediata. Non solo perché questi rappresentano la stragrande maggioranza ma anche perché vi è una significativa componente di volontà politica nella scelta di rendere conto del proprio operato o meno.
Complessivamente il governo Meloni ha risposto a 261 atti di sindacato ispettivo che non prevedessero una risposta immediata sui 1.867 presentati in totale. In valori assoluti il ministero maggiormente “attenzionato” è quello dell’interno con 244 atti ispettivi presentati. Seguono il ministero dell’ambiente (208) e quello della salute (177). Il maggior numero di risposte, sempre in termini assoluti, è stato fornito dal ministero della giustizia (91). Seguono quello dell’ambiente (31) e quello degli esteri (25).

QUATTRO MINISTERI DEL GOVERNO MELONI NON HANNO MAI RISPOSTO AD ATTI ISPETTIVI NON URGENTI
Il dettaglio delle risposte agli atti di sindacato ispettivo a risposta non immediata del governo Meloni, ministero per ministero
DA SAPERE
Nel grafico sono conteggiati solamente gli atti di sindacato ispettivo con risposta non immediata. Ciò perché in questi casi l’esecutivo non può sottrarsi al confronto, di conseguenza questi atti fanno registrare un tasso di risposta sempre superiore al 90%. Nel grafico non sono rappresentati i dati relativi al ministro per i rapporti con il parlamento e quella per le riforme perché a loro non sono stati sottoposti atti rientranti nelle categorie oggetto dell’analisi.
Il ministero della giustizia si conferma al primo posto considerando anche il tasso di risposte fornite rispetto agli atti ispettivi sottoposti ed è anche l’unico a riportare un dato superiore al 50% (54,5%). Seguono il ministero della famiglia (36,4%) e quello degli esteri (36,2%). Da notare che 4 ministeri non hanno fornito nessuna risposta dall’inizio della legislatura. Si tratta dei dicasteri dell’economia (139 atti di sindacato ispettivo presentati), della pubblica amministrazione (26), dello sport (16) e degli affari regionali (7).
*( FONTE: elaborazione open polis su dati camera dei deputati – ultimo aggiornamento: mercoledì 31 Maggio 2023)

 

06 – Luca Zorloni*: IL BRACCIO DI FERRO PER LA LEGGE EUROPEA SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE – AI NEGOZIATI PER L’APPROVAZIONE FINALE DELL’AI ACT PARLAMENTO E CONSIGLIO EUROPEO SI SCONTRANO SU TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI, TEST DEGLI ALGORITMI E DIVIETI. MA IL TEMPO STRINGE

RICONOSCIMENTO FACCIALE
Il primo round dei negoziati per l’approvazione finale dell’Ai Act, il pacchetto di regole europee sull’intelligenza artificiale, è andato. E già sono emerse alcune fratture. Specie tra Consiglio e Parlamento europeo. Il primo, voce dei 27 Stati dell’Unione, accarezza l’idea di usare l’intelligenza artificiale per un maggior controllo della società, come già fatto in passato per altri strumenti digitali, dalle grandi banche dati di identità all’uso di droni e tecnologie alle frontiere. Il Parlamento, invece, sull’Ai Act ha alzato, fin dove il compromesso tra le parti politiche lo ha concesso, l’asticella del rigore. Mettendo al bando, per esempio, il riconoscimento facciale o l’uso di algoritmi di polizia predittiva.

I punti di scontro:
• La valutazione dei diritti fondamentali
• Sandbox e test degli algoritmi
• I divieti dell’Ai
• Riconoscimento facciale

L’Unione europea è sempre più vicina a una legge sull’intelligenza artificiale
Il Parlamento approva il regolamento Ai act e adotta un blocco contro la sorveglianza biometrica. Ora si passa ai negoziati con Commissione e Stati
La valutazione dei diritti fondamentali
Com’era inevitabile, ora che dalle proposte di Commissione, Consiglio e Parlamento occorre tirare fuori una sintesi, le posizioni degli ultimi due cozzano. Al primo incontro del trilogo (la trattativa a tre), in programma il 18 luglio, la discussione dell’Ai Act è finita in un muro contro muro quando si è arrivati al dibattito sulla valutazione sui diritti fondamentali. Il Parlamento lo vuole. Il Consiglio no. E per ora i negoziati sul punto sono in stallo.
Il nodo del contendere, la valutazione sui diritti fondamentali (fundamental rights assessment) consiste nel “verificare l’impatto su contesti concreti dei sistemi e prevenire ulteriormente dei rischi”, spiega a Wired Brando Benifei, capodelegazione del Partito democratico al Parlamento europeo e relatore dell’Ai Act. E aggiunge: “L’obiettivo della certificazione di conformità, che sta al cuore del regolamento, e di questa valutazione di impatto rivolta agli utilizzatori è costruire fiducia e ridurre i rischi”. Per questo l’europarlamentare annuncia che non intendono rinunciarvi: “Si tratta di un procedura essenziale, possiamo discutere su come migliorarla e renderla più utile”. Di diverso avviso il Consiglio, che al trilogo ha bollato la misura come troppo impegnativa per chi utilizza l’intelligenza artificiale e un costo per le aziende. Spingendo per depennarla dal testo finale.
Altro punto delicato riguarda i test dell’intelligenza artificiale. L’Ai Act prevede il ricorso alle sandbox. Quindi ambienti sicuri entro cui sperimentare le applicazioni degli algoritmi con deroghe al rispetto di tutte le regole del settore, in modo da non rallentare innovazione e ricerca. Il modello della sandbox è già in uso in molti settori della tecnologia, come il fintech. E fin qui c’è concordia tra le parti. Al trilogo, tuttavia, Consiglio e Parlamento si sono scontrati su due proposte collaterali.
La prima è la possibilità di fare test nel mondo reale, uscendo dal perimetro della sandbox. A proporla i governi seduti in Consiglio, che ha trovato un “Parlamento prudente”, dice Benifei, perché “c’è il rischio di violare i diritti delle persone. Se ne può parlare solo con molte salvaguardie”. Secondo punto è adottare le sandbox in tutti gli Stati dell’Unione, senza disparità. La cancellerie, al contrario, vorrebbero mano libera. Il rischio, però, è di muoversi in ordine sparso, creando “squilibri competitivi”, dice Benifei.
I DIVIETI DELL’AI
Se sulle sandbox trovare una mediazione sarà possibile, più duro appare lo scontro sui divieti, oggetto del prossimo trilogo a ottobre. Perché gli Stati spingono per usare l’intelligenza artificiale per meccanismi di sicurezza e di controllo, per l’identificazione biometrica negli spazi pubblici, per forme di polizia predittiva. “È un’idea di sicurezza sbagliata e falsa, per nulla utile a contrastare la criminalità e i problemi sociali e non suffragata dai dati – dice Benifei -. Siamo disponibili a ragionare ma non ad arretrare sul principio”. Peraltro proprio in Parlamento il Partito popolare europeo aveva cercato di proporre emendamenti per annacquare i divieti, poi bocciati. Sono comunque rimaste escluse dalle tutele del pacchetto le persone migranti, che organizzazioni non governative e associazioni per i diritti umani premono perché siano inserite nella versione del trilogo, nonostante il chiaro ostacolo del Consiglio.
La scommessa dell’Ai Act è ambiziosa. L’Unione europea vuole dotarsi per prima al mondo di un pacchetto di regole che fissi uno standard mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale, come è stato con il Gdpr in campo privacy, e incanali innovazioni sotto gli occhi di tutti. Al tempo stesso, Bruxelles deve definire paletti di un’industria in cui non brilla, anzi, evitare di tagliare fuori i 27 dai benefici del settore, così come non ritrovarsi a consegnare agli Stati un potere sproporzionato. La tentazione di usare l’Ai per la sorveglianza è sempre dietro l’angolo, anche nella democraticissima Europa, come dimostra la scelta della Francia di installare a Parigi telecamere con riconoscimento facciale in occasione delle prossime Olimpiadi.
Nemico dei negoziati è il tempo. L’obiettivo dichiarato è giungere entro fine anno a una versione finale dell’Ai Act, in modo da avviare con il 2024 la messa a terra. Sono in particolare Commissione e Consiglio a premere sull’acceleratore. “Ci vorrà maggiore flessibilità da parte del Consiglio – avverte Benifei -. Anziché approvare un compromesso troppo sbilanciato, noi preferiamo prendere un mese o due in più e non ci facciamo schiacciare dalla fretta”. Certo, la sabbia nella clessidra scorre anche per gli europarlamentari: a giugno 2024 si vota per la nuova legislatura.
*(Fonte: Wired. Luca Zurloni. È responsabile delle sezioni economia e internet di Wired. Si occupa di telecomunicazioni, ambiente, Cina, sicurezza informatica, privacy, politiche europee)

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