n°37 – 10/9/2022. RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

MENO 14 giorni al voto


01 – Ansa*: Cernobbio, Mattarella: “Su energia serve risposta Ue”. La seconda giornata dell’evento si è aperta con il messaggio del capo dello Stato, che ha definito l’Unione “il solo attore continentale che possa agire per calmierare i prezzi energetici”.
02 – Leonardo Clausi*: The Queen, l’immortale Il Regno unito perde la testa. IL SECOLO IN BREVE. Elizabeth II Windsor, dall’espansione dell’impero alla sua decadenza. Aveva 96 anni
03 – Schirò (Pd)*: 6 miliardi per l’assegno unico ma che rammarico per i nostri connazionali all’estero
04 – Simone Oggionni*: Abbassare le armi, quelle militari e quelle economiche. ECONOMIA DI GUERRA. Senza abbassare le armi di tutti, quelle militari e quelle economiche, e senza praticare una vera autonomia strategica europea, continueremo ad avere la guerra nel cuore del Continente.
05 – La povertà, cosa vogliono i fare i partiti per combatterla. Programma dei partiti per le elezioni del 2022, ndr.
06 – Alessandro Calvi*: La giustizia è la grande assente di queste elezioni La giustizia e le questioni che si potrebbero aprire dopo il voto, per quanto gravi, non paiono interessanti. Eppure questa volta la destra potrebbe fare tutto ciò che non riuscì a Silvio Berlusconi.
07 – Enrico Zanon *: Come si vota all’estero.
08 – Franco Tirelli *: Se acercan las elecciones. Aqui estan los candidatos MAIE en Sudamerica.
09 – Francesca Sibani*: Viva l’indipendenza è il nuovo numero di Internazionale storia e racconta la fine dei grandi imperi coloniali attraverso commenti, reportage, analisi e cronache dalla stampa internazionale dell’epoca. Si può comprare in edicola, in libreria, su Amazon, Ibs, Feltrinelli, Hoepli e sul sito di Internazionale.
10 – I pericoli delle fake news in Africa. TikTok, Meta e Twitter non riescono ad arginare bot e disinformazione, usati per destabilizzare le elezioni e per acuire i conflitti etnici.
11 – Denise Hruby*: ELKE KAHR la sindaca MARXISTA nel 2021 ha vinto a sorpresa le elezioni amministrative a graz, in austria. Leader locale del partito comunista, vuole ridistribuire la ricchezza e ha come priorità aiutare i più poveri
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01 – Ansa*: Cernobbio, Mattarella: “SU ENERGIA SERVE RISPOSTA UE”. LA SECONDA GIORNATA DELL’EVENTO SI È APERTA CON IL MESSAGGIO DEL CAPO DELLO STATO, CHE HA DEFINITO L’UNIONE “IL SOLO ATTORE CONTINENTALE CHE POSSA AGIRE PER CALMIERARE I PREZZI ENERGETICI”. FONDAMENTALE, HA AGGIUNTO, CHE GLI STATI MEMBRI PROSEGUANO CON L’ATTUAZIONE DEI PIANI NAZIONALI DI RIPRESA E RESILIENZA, METTENDO AL CENTRO IL TEMA AMBIENTALE. IL MINISTRO DELL’ECONOMIA DANIELE FRANCO: “NEL 2022 BOLLETTA PAESE POTREBBE SALIRE A 100 MLD”
La seconda giornata del Forum Ambrosetti di Cernobbio si è aperta con il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’evento quest’anno si svolge “in un clima particolarmente gravoso”, ha sottolineato il capo dello Stato. Il contesto economico internazionale è aggravato dal “prolungarsi della guerra di aggressione in Ucraina” e dal “vertiginoso innalzamento dei prezzi dell’energia, favorito anche da meccanismi irragionevoli e da squilibri interni tra i Paesi europei”. Fondamentale, ha detto Mattarella, che intervenga l’Ue e che ogni Stato membro si muova verso “la puntuale attuazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza”, con particolare attenzione al tema dell’ambiente. Filo conduttore degli incontri di oggi, 3 settembre, sarà la cosiddetta Agenda per l’Europa: innovazione, libero commercio globale e l’assetto europeo del futuro i temi al centro del dibattito. Al Forum, tra gli altri, il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, e vari esponenti di governo italiani ed esteri, tra cui il ministro dell’Economia Daniele Franco.
Il messaggio di Mattarella
Mattarella ha sottolineato come la Russia abbia avviato la guerra in Ucraina “consapevole delle gravi ripercussioni e del drammatico impatto sulla vita dell’Europa e del mondo intero”. Il conflitto, ha aggiunto, “sta mettendo alla prova le nostre coscienze di uomini liberi e desiderosi di pace, riflettendosi sulle nostre società ed economie”. Sul dossier energetico, il capo dello Stato ha parlato di una “necessaria e urgente” risposta europea: “I singoli Paesi non possono rispondere con efficacia alla crisi”. Centrale quindi il ruolo di Bruxelles “nel liberarsi dalla dipendenza russa per le fonti di energia”, perché l’Ue “è il solo attore continentale che possa agire per calmierare i prezzi dell’energia”, agendo anche “sul terreno delle energie rinnovabili”. Mattarella ha chiamato l’Europa a continuare sul percorso “nel segno della solidarietà, della condivisione di rischi e benefici e della progettazione di interventi espansivi” intrapreso in risposta alla pandemia da Covid-19.

 

02 – Leonardo Clausi*: THE QUEEN, L’IMMORTALE IL REGNO UNITO PERDE LA TESTA. IL SECOLO IN BREVE. ELIZABETH II WINDSOR, DALL’ESPANSIONE DELL’IMPERO ALLA SUA DECADENZA. AVEVA 96 ANNI
LONDON BRIDGE IS DOWN, IL PONTE DI LONDRA È CROLLATO. È QUESTA LA FRASE IN CODICE CON CUI LA DIPARTITA DELLA MONARCA INGLESE È STATA COMUNICATA ALLA NEO-PRIMA MINISTRA LIZ TRUSS E AGLI ADDETTI AI LAVORI DELLE COLOSSALI ESEQUIE, AMPIAMENTE PREVISTE COME IL PIÙ ESTESO E SOLENNE SPETTACOLO FUNEBRE DI QUESTO INIZIO DI TERZO MILLENNIO
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Elizabeth II Windsor, nota in tutto il mondo come “The Queen” anche prima della sciropposa (e assai criticata dai lealisti) serie Tv dedicatale recentemente da Netflix e in Italia antonomasticamente come “la regina,” (anche senza “Elisabetta”), è spirata ieri nel castello scozzese di Balmoral alla veneranda età di anni novantasei. Suo marito, il principe Philip Mountbatten, sposato nel 1947, era scomparso l’anno scorso. Nel 2015 era diventata la monarca britannica più longeva, superando il record della regina Vittoria. Sì, è stata la monarca femminile che ha regnato più a lungo in assoluto.
Non era immortale “Elisabetta”, come ci si era abituati ormai a considerarla, vedendola infinite volte punteggiare rotocalchi, cine e tele giornali, e lungo tutto il passaggio dai media tradizionali a quelli digitali. Sotto la tronfia magniloquenza delle cerimonie ufficiali, era un essere umano la cui finitudine l’istituto monarchico ha sempre gestito con imbarazzo, dovendo attraversare i marosi della successione.
Era la regina del Regno Unito, ma questo titolo ne abbracciava in modo ecumenico molti altri. Al momento della dipartita erano oltre cinquanta stati, tra cui Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Pakistan e lo Sri Lanka: tutti sotto l’ombrello del cosiddetto Commonwealth, l’etichetta con cui era stato effettuato il rebranding dell’Impero, che aveva finalmente cominciato a disgregarsi subito dopo la Seconda guerra mondiale, e del quale era succeduta al padre Giorgio VI come capo di stato, un ruolo non trasmissibile a livello dinastico e che ora bisognerà trasmettere all’erede e successore Charles in qualche modo. Prima che si disgreghi del tutto, come già lasciano intendere vari membri.
La sua incoronazione, il due giugno 1953, fu la prima a essere trasmessa in diretta televisiva, introducendo in pieno gli allora nuovi media novecenteschi nella gestione dell’ancestrale rapporto fra monarchi e sudditi, una commistione abbracciata a malincuore dalla casa reale inglese nel suo complesso, visto anche la tutt’altro che edificante – secondo la buona vecchia morale borghese – condotta di molti dei suoi i figli: il primogenito e futuro re Charles con le sue vicissitudini coniugali, la figlia Anna, ma soprattutto il terzogenito Andrea, impelagato in fin troppo serie brutte storie di molestie sessuali.
Sarebbe iniziata così un’interminabile cavalcata nei privilegi inimmaginabili che i membri della monarchia costituzionale britannica conservano a tutt’oggi in barba al ridimensionamento tardivo e mai sufficiente delle altre monarchie europee. Una cavalcata punteggiata da garbati movimenti della mano e del capo in cenno di saluto che avrebbero sfinito le articolazioni di chiunque, segnata da infinite visite ufficiali e inaugurazioni, dall’avvicendarsi di capi di stato, primi ministri, papi e uomini di chiesa, da epocali sommovimenti storici, conquiste e sconfitte civili, il conflitto in Irlanda del Nord, la devoluzione di Scozia, Galles – e appunto, Irlanda del Nord – e, last but not least, l’ingresso del paese in Europa nel 1973 e la sua uscita sbattendo la porta, nel 2016. Tutto attraversato vestendo colori sgargianti e copricapi che sostentavano l’esistenza di migliaia di rotocalchi e davano da mangiare alle famiglie di milioni di giornalisti.
Il padre Giorgio VI era salto al trono nel 1936 dopo l’abdicazione di suo fratello, Edoardo VIII, facendone l’erede presunta, o presuntiva, come si dice in gergo. Nonostante certe scomode prossimità coi nazisti – un nome tedesco, Saxe-Coburg and Gotha cambiato in tutta fretta in Windsor nel 1917, un principe consorte, Philip, cognato di gerarchi nazisti, e lo stesso Edoardo che con sua moglie Wallis Simpson era un fan dichiarato di Hitler – la famiglia reale inglese, a differenza di quella italiana (ottantanove anni fa esatti ieri) non se l’era data a gambe davanti al pericolo nazista ma era “rimasta sul campo,” guadagnandosi quella fede e rispetto della popolazione con cui è riuscita ad attraversare tutto il Novecento.
Un credito unico e irripetibile nell’Europa sconfitta, occupata e da ricostruire, macchiato iconograficamente solo qualche anno fa, quando il “Sun” pubblicò la famigerata foto che la ritrae, bimba, mentre fa il saluto romano stimolata dal succitato Edoardo: la copertina punk dei sogni. Ma un credito che, tutto sommato, Elizabeth II ha saputo amministrare egregiamente nel corso del suo interminabile regno, e che ora rischia di essere dissipato in pochi anni dai suoi successori/congiunti.
Perché se la prima era elisabettiana è ricordata come un’era di espansione e potenza indiscusse per l’Inghilterra, la seconda, come ha scritto lo storico Trestram Hunt, sarà ricordata in un segno differente: come quella decadenza della potenza nazionale e soprattutto dell’impero. Tra il 1945 e il 1965 il numero delle abitanti delle colonie soggetti al monarca britannico era precipitato da settecento a cinque milioni. Poi, a tre anni dalla sua elevazione al trono, la crisi di Suez e la tracotanza di Anthony Eden seppellirono del tutto le velleità di superpotenza mondiale della Gran Bretagna, portando avanti un declino di lunga durata iniziato già con la Grande guerra.
In tutto questo, la regina Elisabetta, sempre diligentemente appassionata di cani, caccia, safari e cavalli, avrebbe assistito sorridendo, salutando e inaugurando al passaggio del paese attraverso l’era keynesiana e la sua dialettica fra politica fiscale e politica monetaria, l’imporsi del thatcherismo e lo smantellamento dell’industria nel Nord, mentre il settore finanziario cresceva a dismisura e la terziarizzazione dell’economia precedeva al galoppo, e mentre i suoi ammiratori e osservatori – sudditi, non cittadini – mai cessavano di elogiarne la capacità di non intromettersi negli affari di stato, come disposto dalla costituzione (orale) nazionale. Il paese sarebbe entrato poi nel pieno tumulto delle sue relazioni con il blocco europeo, dal suo ingresso nella Comunità economica fino al trauma del “populismo” e del referendum su Brexit nel 2016, e il travagliato processo di uscita con i suoi strascichi. E quando perfino l’Economist sostiene, come ha fatto una volta, che la monarchia “è un ideale trascorso” è evidente che una certa “modernizzazione” andasse non solo accettata, ma colta.
Per far meglio gradire l’assurdità della monarchia, casa Windsor ha dunque con riluttanza finito per abbracciare non solo l’umanizzazione dei propri membri, ha – inizialmente controvoglia – intrapreso un percorso di avvicinamento con i sudditi attraverso il capillare controllo della propria immagine: dalla riluttanza con cui accettarono il (dannoso) documentario a colori che li ritraeva nella loro non molto significativa intimità degli anni Sessanta, fino all’ingresso della monarca su Facebook, ormai già anni fa. Una colossale fiction che ha accompagnato le vite di generazioni di britannici e non solo, tappandole in una bottiglia di voyeuristico intrattenimento. E che distoglie da certi aspetti “plutocratici”.
Tanto per dire: pur essendo oggetto di misteriose speculazioni, non essendo mai apertamente rivelata e documentata, la sua ricchezza è stata recentemente stimata attorno al miliardo di sterline. “Forbes” ha valutato le sostanze della monarchia a oltre settanta miliardi complessivi, mentre la più sobria “lista dei ricchi” del “Sunday Times” la colloca intorno ai trecentocinquanta milioni (sempre di sterline).
A dirla tutta, il breviario della riservatezza nelle faccende politiche e costituzionali non è stato sempre seguito con specchiata fedeltà. In una delle sue inchieste, il “Guardian” ha rivelato come Elizabeth II abbia fatto uso delle sue prerogative per esaminare più di mille leggi prima che raggiungessero il parlamento. E i memoranda fuoriusciti dagli archivi nazionali mostrano come abbia fatto pressione sulla legislazione sulla trasparenza negli anni Settanta per garantire che la sua ricchezza privata rimanesse segreta. Nel frattempo, a fronte della intermittente ritrosia a immischiarsi in faccende che non la riguardano, arrivavano altri strappi verso la modernità. Secondo l’ex leader Tory John Major, fu una decisione sua e non del governo quella di iniziare a pagare le tasse; e secondo altri storici fu solo grazie a lei che il sistema di primogenitura nella linea di successione è stato abolita nel 2011. Passi da gigante.
La botta dura al consenso monarchico giunse con la freddezza dimostrata dalla defunta regina nei confronti della nuora Diana Spencer, la cui tragica fine nel 1997 colse il paese in un esorbitante profluvio di dolore e orsacchiotti. La percepita durezza di Elizabeth e il suo comportamento freddo anzichenò nei confronti di un lutto che aveva catturato l’immaginazione e l’empatia di milioni di soggetti costarono molto in termini di sondaggi e gradimento. Ma la rotta fu presto ristabilita grazie a un ammorbidimento della propria immagine e di quella della “ditta” (così è chiamata la famiglia reale dai suoi fautori nazionali e internazionali a riprova del fatto che nulla resiste al mercato, nemmeno i due corpi del re studiati da Kantorowicz).
Queste legioni di consenso sono popolate però di elisabettiani, non di monarchici. E resta da vedere se il regno dell’ex erede al traino, Carlo, che finalmente può ascendere al trono negatogli dalla longevità materna, si confermerà in grado di continuare la geniale non-opera della madre: traghettare l’istituto monarchico dall’istituzione feudale che è sempre stata e rimane alla liquidità sociale e culturale che caratterizza il declino dell’Occidente nel suo complesso. Adesso, quello che viene in mente è soprattutto il titolo di un formidabile album degli Smiths: The queen is dead. In questo momento, milioni di meme la ricorderanno, traghettandola in quell’universo digitale dove non si muore mai, anche se lo si vuole.
*(Fonte Il MANFESTO, Leonardo Clausi, scrittore, giornalista)

 

03 – SCHIRÒ (PD): 6 MILIARDI PER L’ASSEGNO UNICO MA CHE RAMMARICO PER I NOSTRI CONNAZIONALI ALL’ESTERO
6 miliardi di euro sono stati pagati dall’Inps nel periodo da marzo a luglio 2022 per l’Assegno unico ai residenti in Italia ma nonostante la disponibilità di questa enorme somma non è stata trovata la volontà politica e solidale di continuare ad erogare le prestazioni familiari (detrazioni e Anf per figli a carico) ai nostri connazionali residenti all’estero.

Un brutto pasticcio combinato dal nostro legislatore perché – ribadisco, come ho fatto nei miei ultimi interventi in Parlamento – non è accettabile che migliaia di italiani residenti all’estero siano stati improvvisamente “espropriati” delle agevolazioni fiscali e previdenziali di cui godevano da anni e che rappresentavano un legittimo contributo da parte dello Stato italiano al sostegno della loro famiglia.
Mi sono battuta per oltre un anno a favore del ripristino delle agevolazioni soppresse per i nostri connazionali i quali pur risiedendo all’estero hanno pagato e pagano le tasse in Italia potendo così essere considerati, a tutti gli effetti, contribuenti italiani.
Ora l’Osservatorio statistico dell’Inps sull’assegno unico universale aggiornato al 6 settembre ci informa che salgono a quota 6 miliardi di euro i pagamenti effettuati dall’INPS da marzo a luglio 2022, per una media mensile di oltre 5 milioni di beneficiari
L’importo riconosciuto varia considerando il numero di figli per i quali è riconosciuto il pagamento dell’assegno unico.
Alle oltre 2,6 milioni di famiglie con un solo figlio beneficiario spetta una somma pari in media a 128 euro. L’importo sale a 280 euro per i circa 2 milioni di nuclei con due figli, fino ad arrivare a oltre 1.500 euro per le poco più di 3.000 famiglie con 6 o più figli a carico.
Saranno forse più fortunati (io ho deciso di non candidarmi a queste elezioni) i miei colleghi che saranno eletti nella Circoscrizione estero, ai quali comunque mi permetto di consigliare di chiedere al nuovo Governo se in conformità con quanto disposto da regolamenti e direttive comunitari e da numerose sentenze della Corte di Giustizia europea, non si ritenga che l’Assegno unico universale debba essere concesso anche ai cittadini italiani residenti all’estero i quali pagano le imposte sul reddito in Italia e non sono percettori di analoghe prestazioni all’estero, o che comunque non sia opportuno ripristinare per loro il diritto, revocato dal 1° marzo 2022, alla concessione dell’assegno al nucleo familiare (ANF), e delle detrazioni per figli a carico di età inferiore ai 21 anni, e inoltre non sia legittimo e opportuno, anche a seguito di una recente sentenza della Corte di Giustizia europea, concedere le prestazioni familiari (ora negate) ai lavoratori residenti in Italia ma con nucleo familiare residente all’estero.
*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)

 

04 – Simone Oggionni*: ABBASSARE LE ARMI, QUELLE MILITARI E QUELLE ECONOMICHE. ECONOMIA DI GUERRA. SENZA ABBASSARE LE ARMI DI TUTTI, QUELLE MILITARI E QUELLE ECONOMICHE, E SENZA PRATICARE UNA VERA AUTONOMIA STRATEGICA EUROPEA, CONTINUEREMO AD AVERE LA GUERRA NEL CUORE DEL CONTINENTE. E A OTTOBRE CI TROVEREMO A FRONTEGGIARE, IN ITALIA PIÙ CHE ALTROVE, PROBLEMI DRAMMATICI IN TERMINI DI INFLAZIONE

Di fronte a questioni fondamentali per il nostro futuro occorrono lucidità e onestà intellettuale. Gazprom ha annunciato la sospensione a «tempo indefinito» delle forniture di gas all’Unione europea tramite il gasdotto Nord Stream 1.
Al contempo l’Ue, dopo mesi di imbarazzato silenzio e di fronte a nuive divisioni interne, ha posto le basi affinché la prossima riunione dei ministri dell’Energia discuta della possibilità di introdurre un tetto al prezzo di acquisto del gas. Peccato che lo farà a rubinetti chiusi. Il fattore tempo, in politica, è tutto. Ammesso che le importazioni via Ucraina compensino almeno una parte di quelle bloccate a nord, molto dipenderà dal tipo di price cap che verrà varato.

Non è un dettaglio che si tratti di un intervento sul complesso dei mercati europei (interrompendo gli acquisti e attingendo agli stoccaggi interni nella misura in cui il tetto è superato) oppure di un tetto solo al prezzo del gas russo (iniziale proposta Draghi) oppure ancora – come sostiene la Germania – di un intervento degli Stati a copertura della differenza tra prezzi all’ingrosso e prezzi al dettaglio.

Il ministro Cingolani parla di un grande e inaccettabile «ricatto» russo. Ma cosa sono state gran parte delle nostre sanzioni (dal congelamento dei beni della Banca Centrale russa all’esclusione delle principali istituzioni finanziarie russe dal sistema di scambi internazionali Swift) se non un gigantesco e calcolato «ricatto»? Cosa ci aspettavamo? Che la spirale si interrompesse per gentile concessione del destino o direttamente di quel Putin che molti leader europei descrivono come un puro e semplice criminale di guerra?

Si badi: nessuno pensa che Putin non porti responsabilità atroci e ingiustificabili nell’aggressione di febbraio e dunque nessuno pensa che l’Ue non abbia tutto il diritto di agire e reagire. Il punto vero è come lo fa.

La mia impressione è che l’Europa cammini, un po’ per inerzia e un po’ per disciplina atlantista, sulla strada perigliosa di una lunga guerra da armare, combattere e vincere sul campo (contro una potenza nucleare) a ogni costo.

Non invece sul terreno di un lavoro di ricostruzione diplomatica delle condizioni della pace e della stabilità, che consiglierebbe di rimettere al centro il presupposto dell’integrità territoriale ucraina insieme ai protocolli di Minsk e a una nuova riflessione sulla sicurezza dell’area da compiersi di concerto con Mosca.

Dimenticandosi delle proprie origini (quella CECA nata vincolando reciprocamente gli interessi produttivi dei Paesi fondatori e costruendo su questo patto di solidarietà produttiva ed economica sia il progetto politico unitario sia la garanzia di una pace duratura), oggi l’Unione europea rischia di perseguire un’ambizione ben diversa. Il discorso sull’Europa di Scholz all’Università Carolina di Praga dello scorso 29 agosto è, con la sua propensione strategicamente oppositiva a Russia e Cina, da studiare con attenzione.

Senza abbassare le armi di tutti, quelle militari e quelle economiche, e senza praticare una vera autonomia strategica europea, continueremo ad avere la guerra nel cuore del Continente. E a ottobre ci troveremo a fronteggiare, in Italia più che altrove, problemi drammatici in termini di inflazione, ulteriori rincari delle bollette, disastri nelle catene di approvvigionamento, come ci sta dicendo l’intero tessuto industriale italiano, e contraccolpi micidiali sul terreno occupazionale. Problemi ulteriori, non inediti: basti vedere gli incrementi già registrati dei tassi di interesse e gli indicatori congiunturali che già oggi accendono più di un allarme (dalla diminuzione in giugno del 2,1% in un mese della produzione industriale all’inflazione all’8,4%).
Più in generale noi paghiamo oggi l’assenza di un piano europeo – condiviso e costruito con tutti gli interlocutori economici, commerciali e industriali dei Paesi dell’Unione – che indichi chiaramente qual è la direzione della transizione energetica. Che dica chi deve farsi carico della parte più rilevante dei suoi costi e dei costi del suo rallentamento: le grandi compagnie energetiche (che stanno maturando immani extra-profitti) o i cittadini, gli utenti e i lavoratori tragicamente impoveriti?
E, infine, che metta in discussione il modello generale, che affida in buona misura ai mercati finanziari, e alla loro vocazione speculativa, la determinazione dei prezzi delle materie prime e dell’energia. È così indicibile pensare che i prezzi siano oggetto invece di una programmazione e di una pianificazione pubblica su scala europea? Mi fermo. Anche in questa campagna elettorale occorrerebbe forse, oltre al rosso e al nero, almeno un pezzo di questa analisi.
*( Fonte: Il Manifesto. Simone Oggionni (Treviglio, 1984) è responsabile nazionale Cultura di Articolo Uno, dopo avere fatto parte della segreteria nazionale di Sinistra Ecologia …)

 

05 – LA POVERTÀ, COSA VOGLIONO I FARE I PARTITI PER COMBATTERLA. PROGRAMMA DEI PARTITI PER LE ELEZIONI EL 2022, ndr.
Cosa dicono sul lavoro i programmi elettorali dei partiti Il reddito di cittadinanza compare in molti programmi, non solo in quello del Movimento 5 Stelle. Cosa vogliono i fare i partiti per combattere la povertà. Ma non solo: si menzionano anche salario minimo, tagli alle tasse, la lotta al precariato, dagli incentivi per le assunzioni al taglio del cuneo fiscale fino agli interventi sullo smart working: le idee sono spiegate, le risorse per finanziarle meno chiare. Cosa dicono su ambiente e clima i programmi elettorali dei partiti. Su tecnologia e digitale i partiti spendono poche parole. I partiti pro e quelli contrari al ritorno del nucleare in Italia. Dalla stop alla legge Fornero alle minime, sulle pensioni i partiti si muovono. Quali sono le proposte dei partiti sull’immigrazione. Nei programmi dei partiti la parola mafia non c’è mai, sui diritti civili i programmi dei partiti sono ai poli opposti, ma le strategie per raggiungere questi obiettivi non sono molto chiare, le idee sono confuse e le risorse per finanziarle meno chiare
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SECONDO L’ULTIMO RAPPORTO DELL’ISTAT, che fa riferimento al 2021, in Italia ci sono 1,9 milioni di famiglie e 5,6 milioni di individui che vivono in condizione di povertà assoluta, ovvero che non si possono permettere le spese minime per condurre una vita accettabile basandosi su un paniere di beni considerati essenziali dall’ente. Si tratta, rispettivamente, del 7,5% e del 9,4% del totale. È un leggero miglioramento rispetto al 2020, anno in cui per entrambi i dati si sono registrati i massimi storici, rispettivamente il 7,7% e il 9,4%. Evidentemente non un miglioramento sufficiente. È un dato ancora più significativo se ne si analizza la composizione. Per esempio, la povertà assoluta è relativamente più diffusa al sud (10,0%) che al nord (6,7%). Riguarda di più i minori che gli adulti, dato che il 14,2% degli individui che hanno meno di diciotto anni – per un totale di 1,4 milioni di individui – vivono in condizioni di povertà assoluta, mentre la condizione interessa “solo” il 5,3% degli over 65. Riguarda di più gli stranieri residenti (32,4%) che gli italiani (7,2%). Riguarda di più le famiglie numerose che quelle meno numerose.
La crisi economica data dalla pandemia pandemia ha indubbiamente contribuito ad accrescere questi dati, tant’è che le famiglie in condizione di povertà assoluta nel 2019 erano 1,7 milioni – ovvero il 6,4% del totale – e gli individui 4,6 milioni – il 7,7% del totale – ma a maggior ragione, in un momento di crisi come questo, il governo che si formerà in seguito alle elezioni del 25 settembre dovrà intervenire adeguatamente sul tema. Negli ultimi anni, la politica non è evidentemente stata in grado di intervenire adeguatamente. Basti pensare che nel 2005 gli individui in povertà assoluta rappresentavano circa il 3,4% del totale, ovvero tre volte in meno rispetto a oggi.
Ricordo tutti l’esultanza dell’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio nel 2018, quando all’approvazione del reddito di cittadinanza pronunciò la fatidica frase: “ABBIAMO ABOLITO LA POVERTÀ”. Quattro anni dopo, Di Maio è ministro degli Esteri e non è neanche più nel Movimento 5 Stelle che tanto aveva spinto per introdurre il sussidio e che ancora oggi ne difende l’efficacia, e la lotta alla povertà pare appena cominciata. Il reddito di cittadinanza è ancora in vigore, e nei rispettivi programmi elettorali tutti i partiti ne parlano.
Chi di rafforzarlo, chi di cambiarlo, chi di sostituirlo. È però solo una delle misure su cui un futuro governo dovrà intervenire nella lotta alla povertà.

CENTRO e SINISTRA. VEDIAMO COS’ALTRO C’È.

PARTITO DEMOCRATICO
Più esplicito il tema nel programma del Pd, che lo inserisce nel secondo pilastro della propria visione del paese, denominata “lavoro, conoscenza e giustizia sociale”. Si parla di lavoro sommerso, di lavoro discontinuo e di lavoro nero, tutte forme di lavoro che vanno a creare una disuguaglianza economica “radicata, diffusa e inaccettabile. È poi trattata la tematica della povertà tra i bambini, in maniera piuttosto diretta: “Non possiamo accettare 3,6 milioni di bambini e ragazzi in povertà su un totale di 9,2 milioni di minori. È povertà materiale ed è esclusione da diritti e opportunità che mina anche ogni futura crescita”. La fonte di questo dato non viene citata, ma è probabile si riferisca alla povertà relativa e non alla povertà assoluta, che si assesta su 1,7 milioni. Un dato comunque altissimo.
Tra le proposte, ci sono un salario minimo contrattuale legale di 9 euro lordi orari nei settori a più alta incidenza di povertà relativa, il completamento del reddito di cittadinanza con un nuovo meccanismo di integrazione pubblica alla retribuzione in favore dei lavoratori e delle lavoratrici a basso reddito, la creazione di 500mila alloggi popolari nei prossimi dieci anni tramite interventi di rigenerazione urbana. Si parla poi di miglioramento dell’assegno unico e universale – anche qui senza che la tale miglioramento sia meglio descritto – e di strumenti di sostegno che aiutino a combattere la povertà alimentare, specialmente tra i più piccoli. Tra questi, mense gratuite, filiere alimentari più efficienti e redistribuzione dei prodotti a rischio spreco. Una grossa sezione è infine dedicata alla parità salariale tra uomini e donne, che è diventata legge nel 2021 – un successo che il Pd rivendica esplicitamente – ma su cui bisogna fare ancora di più. Nel complesso, ci sono anche qui elementi che vanno sicuramente chiariti, ma si tratta di un programma che comporta un livello di spesa che non appare proibitivo. Pertanto, un programma che almeno sulla carte appare fiscalmente più sostenibili di tanti altri.

VERDI e SINISTRA ITALIANA
Più spazio è dato al tema dal programma congiunto dei movimenti guidati rispettivamente da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. La povertà è citata diverse volte in diversi punti. In primo luogo, il divario salariale e lavorativo che ancora vige tra uomini e donne. A tale proposito si parla di “adozione di un piano straordinario per l’occupazione femminile e politiche e misure efficaci per le imprese femminili”, interventi contro “la disparità economica” tra uomini e donne e un congedo di maternità obbligatorio retribuito al 100% per almeno due mesi prima la data del parto, più sei dopo. Nel capitolo 8, dedicato al lavoro, si parla di salario minimo di 10 euro lordi al mese, definito “il prezzo della dignità” e di una lotta alla precarietà condotta tramite l’incentivazione di contratti a tempo indeterminato offrendo agevolazioni. Si parla poi di pensioni minime di 1000 euro, senza spiegare come si intende arrivarci. Più avanti, nel capitolo 9, intitolato L’Italia giusta, si parla di un’imposta patrimoniale unica e progressiva che gravi sull’insieme di tutti i beni mobili e immobili, che aumenti la redistribuzione in favore dei più poveri. Nello stesso capitolo, si parla di un innalzamento a 12mila euro della quota del reddito esente da imposte. Anche in questo caso, mancano dettagli sulle coperture di queste misure.

PIÙ EUROPA
Il tema non viene praticamente mai citato esplicitamente nel programma dello schieramento guidato da Emma Bonino. Si parla di povertà solamente in relazione al fenomeno dell’immigrazione, quando si propone di operare “una più ampia e rafforzata cooperazione con i paesi del Mediterraneo” al fine di trovare un quadro condiviso di aiuto e cooperazione stanziando entro il 2030 lo 0,70% del reddito nazionale lordo a favore dei partenariati per lo sviluppo e l’eradicazione della povertà. Ci sono poi diverse altre misure che vanno a toccare il tema più o meno direttamente, ma raramente con precisione. Si parla di una riforma del reddito di cittadinanza “nella direzione indicata dal governo Draghi”, senza che venga chiarito cosa questo significhi. Si parla di salario minimo mobile, “definito in accordo tra le parti sociali e sulla base dei settori produttivi”. C’è menzione di una riforma fiscale che incentivi il lavoro femminile. Quindi, non molte idee concrete ed esplicite sul tema.

POSSIBILE
Lo schieramento di Giuseppe Civati fa del tema uno dei suoi cavalli di battaglia insieme alla crisi climatica, la discriminazione, le disuguaglianze e l’ingiustizia. A tale scopo, sono diverse le proposte messe in campo. In primo luogo, nel capitolo dedicato alla dignità al lavoro, si parla di salario minimo, che Possibile definisce “una materia da maneggiare con cura” dati i potenziali effetti avversi di un’implementazione poco attenta, chiedendo – con tono anche un po’ polemico – “possiamo parlare di salario minimo legale senza buttare la proposta nella discarica delle promesse elettorali?”. La visione del salario minimo di Possibile non ha infatti a che vedere con la cifra che andrebbe a fissare – che è poi individuata a 8,5 euro l’ora – ma è più un fatto di percezione. Secondo quanto si legge del testo, “se lavoratori e lavoratrici sapessero di essere pagati meno del minimo legale, allora sarebbe più evidente la loro condizione di sfruttamento”. Il solo fatto di avere un salario minimo, indipendentemente dalla cifra su cui si va ad assestare, sarebbe un deterrente efficace contro il lavoro nero. Si parla poi di una riduzione del cuneo fiscale per tre anni e “con criterio inversamente proporzionale al reddito”, in modo da andare a favorire le retribuzioni più basse a discapito di quelle più alte.
Si parla poi di un’elaborata riforma del reddito di cittadinanza, che allarghi il sussidio anche a chi non abbia la cittadinanza italiana ma i requisiti economici per riceverlo, coinvolga i servizi sociali comunali piuttosto che solo i centri di impiego nelle ricerche delle offerte di lavoro congrue, aggiunga un criterio di progressività al sussidio in base alla composizione numerica del nucleo familiare e riveda i criteri di congruità delle offerte di lavoro.
Infine, in una sezione indicativamente denominata Tax the rich, viene ribadito, secondo dati forniti dalla Banca d’Italia, il 50% delle famiglie più povere detiene l’8,3% del patrimonio netto, mentre il 7% più ricco detiene il 50% di tutta la ricchezza. A tale scopo, vengono proposti una serie di interventi fiscali volti ad aumentare le imposte per i più ricchi e reinvestirli a favore dei più poveri. È un programma ambizioso, ma indubbiamente dettagliato e in apparenza più curato di molti di altri.

UNIONE POPOLARE
Abbastanza presente il tema, seppure in termini piuttosto vaghi, anche nel programma del movimento guidato dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che intitola il secondo capitolo “lottare per la sicurezza economica e contro la povertà”. Si parla di tassare gli extra profitti delle aziende energetiche per aiutare le famiglie, innalzare il reddito di cittadinanza da 780 a 1.000 euro al mese, costruire 500mila alloggi popolari e aumentare le pensioni minime a 1.000 euro al mese. Nessuna di queste misure viene però approfondita.

5S. VEDIAMO COS’ALTRO C’È
MOVIMENTO 5 STELLE
Il tema non è toccato esplicitamente nel programmo del movimento guidato da Giuseppe Conte, ma è intrinseco in diverse delle misure che vengono proposte. Si parla di un salario minimo di nove euro lordi l’ora “per dire stop alle paghe da fame e dare dignità ai lavoratori che oggi percepiscono di meno” e di abolizione di stage e tirocini gratuiti, definiti “strumento di sfruttamento della manodopera”. Si parla del rafforzamento del reddito di cittadinanza – fin dagli inizi un caposaldo del movimento, che l’ha introdotto nel 2019 come una misura per “abolire la povertà” – per rendere il sistema “più efficiente”. Si parla di una cessione di crediti fiscali strutturale che metta a disposizione delle famiglie “ingente liquidità” e dia accesso a diverse agevolazioni. Viene infine dato spazio alla parità salariale tra uomini e donne; il movimento pone come obiettivo “per fare in modo che di fronte alle stesse qualifiche e alle stesse mansioni le donne abbiano una retribuzione reale non inferiore a quella degli uomini”. Si vuole quindi intervenire per ovviare alla relativa povertà delle donne rispetto agli uomini. Nessuna di queste proposte viene però approfondita, né rispetto al modo in cui verrà implementata né rispetto a eventuali costi e finanziamenti per coprirli.

ITALIA VIVA E AZIONE .VEDIAMO COS’ALTRO C’È.
Un po’ più scarno lo spazio che trova il tema invece nel programma congiunto dei partiti guidati rispettivamente da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Anche qui non c’è una sezione dedicata, ma proposte singole in sezioni diverse che vanno a toccare il tema più o meno direttamente. Nella sezione dedicata al lavoro, si parla di un salario minimo, a cui non venga data un valore monetario specifico ma che garantisca “a tutti i lavoratori una retribuzione dignitosa deve passare attraverso una serie di azioni condivise con le parti sociali”. Si propone successivamente di riformare il reddito di cittadinanza, che secondo il programma “si è dimostrato non sufficientemente incisivo nella lotta contro la povertà”, dato che – secondo fonti che il programma non va a citare – il 56 per cento delle famiglie in condizione di povertà assoluta non lo riceve, mentre il 36 per cento dei percettori risulterebbe sopra la soglia di povertà assoluta. Si propone quindi di togliere il sussidio dopo il primo di un’offerta di lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione. L’idea è di incentivare un’occupazione economicamente stabile esclusivamente a chi ne ha bisogno. Più avanti nel testo, nella sezione dedicata all’agricoltura, si parla poi di aiuti alimentari, ma in termini piuttosto vaghi. L’idea è di “potenziare e stabilizzare le risorse del fondo aiuti alimentari nato per sostenere i comparti agricoli in crisi e le attività del terzo settore impegnate sul fronte della povertà alimentare”. Non vengono forniti ulteriori dettagli.

CENTRO DESTRA. VEDIAMO COS’ALTRO C’È.
Il programma congiunto della coalizione del centrodestra non dedica al tema una sezione specifica, ma ci sono alcune proposte che vanno a contrastare la povertà. Nel quinto capitolo, dedicato al sostegno alla famiglia e alla natalità, si parla di “aumento dell’assegno unico e universale”, ovvero il sostegno economico per le famiglie con figli a carico che viene attribuito a partire dal settimo mese di gravidanza e fino al ventunesimo anno di età. Non viene detto di quanto. Nella stessa sezione si parla di agevolazioni per l’accesso al mutuo per l’acquisto della prima casa per le giovani coppie, per salvaguardare le prospettive economiche delle famiglie. Nel nono capitolo, dedicato allo stato sociale e sostegno ai bisognosi. Inoltre è prevista una “sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”, che però non vengono meglio chiarite. Si parla anche di un innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità, ma non è chiaro di quanto e come si intenda finanziarle. Si menzionano, infine, “maggiori tutele in favore dei lavoratori fragili, immunodepressi e con disabilità grave”, che anche in questo caso non vengono approfondite e con quale risorse per attuarle.

LEGA
Anche il partito guidato da Matteo Salvini – che è poi quello che finora ha presentato il programma più lungo e articolato – non dedica esplicitamente una sezione alla lotta alla povertà. Il tema è tuttavia intrinseco in diverse delle proposte. Nella sezione dedicata alla casa, si propone di “avviare una revisione della tassa sulla proprietà degli immobili al fine di abbassarne progressivamente il carico”. Nel capitolo dedicato a famiglia e natalità, si parla di diverse agevolazioni pensate per facilitare la creazione di nuclei famigliari. Tra questi, un potenziamento del supporto alla maternità tramite “prestiti agevolati per l’autonomia di famiglie sotto la soglia di povertà”. Abbassare le tasse e offrire incentivi e agevolazioni è ovviamente un buon modo per combattere la povertà, ma non è chiaro come il Carroccio intenda rientrare nei costi. Nella sezione dedicata alle politiche sociali e all’inclusione – presentata con la frase “il lavoro è la vera arma contro la povertà” – si parla di una riforma del reddito di cittadinanza che dia “maggior peso al quoziente familiare, rimodulando gli importi in funzione delle differenti soglie di povertà assoluta”.

FORZA ITALIA
Seppure non ne è la colonna portante, il tema trova spazio anche nel partito guidato da Silvio Berlusconi, perlopiù sotto forma di tagli. Si parla di taglio del cuneo fiscale per un costo totale di 16 miliardi di euro, 10,7 miliardi dei quali andrebbero nelle tasche dei lavoratori tramite una mensilità in più all’anno. Si parla di tagli delle tasse, sia sul reddito fino ai 13.000 euro che sulla successione e donazione, sulla casa, sui capitali, tagli dell’Iva sui prodotti di prima necessità. Tuttavia, se per il cuneo fiscale il programma dimostra trasparenza sulla spesa di tale misura, per questi tagli alle tasse non viene spiegato come si intenda rientrare nei costi. Nella sezione dedicata ai giovani, si parla di salario e stipendio minimo di 1.000 euro per apprendistato, praticantato e lavoro a tempo determinato e pensioni minime di 1.000 euro per 13 mensilità all’anno, di nuova senza che si parli di come arrivarci.

FRATELLI D’ITALIA
Anche se il termine “povertà” compare solamente una volta nel programma del partito guidato da Giorgia Meloni – quando nella premesso viene detto che “il tasso di povertà ha raggiunto livelli inaccettabili” – il tema viene citato indirettamente più volte. Le misure con cui si intende intervenire hanno tuttavia l’aria di essere piuttosto vaghe. Si parla di un aumento dell’assegno unico e universale fino a 300 euro al mese per il primo anno di vita di ogni figlio e fino a 260 euro dal secondo anno di vita fino ai diciott’anni. Nel sesto capitolo, denominato “Sostenere la dignità del lavoro”, vengono menzionati un ampliamento dell’applicazione del Ccnl per garantire salario etico e tutele. Nel nono capitolo, Per un vero Stato sociale che non dimentichi nessuno, si parla di una nuova indennità di disoccupazione per gli autonomi e di un nuovo strumento che vada a sostituire il reddito di cittadinanza e tuteli i soggetti privi di reddito, effettivamente fragili e impossibilitati a lavorare o difficilmente occupabili: disabili, over 60, nuclei familiari con minori a carico. Sono proposte che testimoniano attenzione al tema, ma in mancanza di approfondimenti che il partito promette arriveranno nei prossimi giorni è tutto ancora molto vago e confuso.

ITALEXIT
Il tema non viene citato esplicitamente, ma nella vera e propria rivoluzione socio-economica proposta dal partito di Gianluigi Paragone vengono menzionate alcune misure che andrebbero indirettamente a contrastare la povertà. In primo luogo, nella sezione dedicata al fisco, viene enunciato che con l’uscita dell’Italia dall’eurozona – che è la priorità assoluta del movimento – saranno applicate le aliquote fiscali in uso oggi in Irlanda e Lussemburgo, che nell’Unione europea sono note per essere paradisi fiscali. Ciò andrebbe a influire anche sugli stipendi netti dei cittadini. A tale scopo si parla anche del taglio del cuneo fiscale. Non viene specificato come tale completa rivoluzione del sistema economico sarà resa fiscalmente sostenibile. Sul reddito di cittadinanza, il programma dice che “sarà trasformato in una misura che limiti il disagio sociale ma che non si trasformi in una sorta di regalia per chi non vuole lavorare”. A tale scopo, il programma sentenzia che “chi riceve il reddito di cittadinanza dovrà sempre rendersi disponibile a lavorare appena viene chiamato, anche con 24 ore di preavviso”.

 

06 – Alessandro Calvi*: LA GIUSTIZIA È LA GRANDE ASSENTE DI QUESTE ELEZIONI LA GIUSTIZIA E LE QUESTIONI CHE SI POTREBBERO APRIRE DOPO IL VOTO, PER QUANTO GRAVI, NON PAIONO INTERESSANTI. EPPURE QUESTA VOLTA LA DESTRA POTREBBE FARE TUTTO CIÒ CHE NON RIUSCÌ A SILVIO BERLUSCONI. LA DESTRA POTREBBE RIUSCIRE A PORTARE A TERMINE IL PROGETTO AVVIATO DA SILVIO BERLUSCO

Giulia Bongiorno dice di credere nella giustizia e nell’imparzialità dei magistrati. Tuttavia spiega che “il timore di qualche azione sconsiderata da parte di magistrati politicizzati c’è sempre”. La senatrice della Lega si accoda così ai molti che in queste settimane si sono riferiti all’eventualità di un incidente giudiziario – magari l’apertura di un’inchiesta o l’invio di un avviso di garanzia – che potrebbe danneggiare la destra prima del voto.
Prima di lei, a evocare questo rischio erano stati, tra gli altri, anche Ignazio La Russa e Guido Crosetto entrambi di Fratelli d’Italia, e il direttore di Libero Alessandro Sallusti, nel corso di una campagna elettorale che, tra dossier, carte dei servizi segreti e insulti, è tra le più velenose e opache che si ricordino.

Le parole di Bongiorno colpiscono però in maniera particolare. Per la sua storia politica e professionale, certo, ma soprattutto perché, in caso di vittoria elettorale della destra, proprio lei potrebbe diventare ministra della giustizia. Questo, almeno, è il desiderio espresso dal leader della Lega Matteo Salvini. L’altro nome che sta circolando per quell’incarico è quello di Carlo Nordio, ex procuratore di Venezia ora in pensione, candidato con Fratelli d’Italia.
Quello in corso tra i due è quasi un derby, giocato anche a suon di interviste ai giornali. Soltanto nell’ultima settimana di agosto sono ben quattro quelle di Nordio: a Quotidiano Nazionale, Corriere del Veneto, Stampa e Repubblica. Un’altra l’aveva concessa al quotidiano Domani qualche giorno prima.

È LA PRIMA VOLTA CHE ACCADE DALL’EPOCA DI TANGENTOPOLI E DELLE INCHIESTE DI MANI PULITE

Dice Nordio che la politica deve riappropriarsi del proprio ruolo, legittimato dal voto popolare, e smettere di essere, “com’è da trent’anni, subalterna alla magistratura”. Ed ecco, allora, la proposta di reintrodurre l’immunità parlamentare. O quella di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, e di “una revisione totale delle funzioni e dei poteri del Pm”.
E poi molto altro ancora: dalla inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado fino all’eliminazione del reato di abuso d’ufficio. Un programma di governo, appunto. O il completamento di un “progetto berlusconiano iniziato anni fa”, come ha detto invece l’ex presidente dell’associazione nazionale magistrati Eugenio Albamonte.
E anche Bongiorno ha commentato negativamente le parole di Nordio, in particolare la proposta sull’immunità parlamentare, spiegando che “il tema non è nel programma del centrodestra, tantomeno in quello della Lega”. È “meglio pensare ai cittadini prima che ai parlamentari”, ha concluso. Politicamente somiglia a uno schiaffo.
Come è evidente, una presenza sottintesa ma incombente in molti di questi ragionamenti è quella di Silvio Berlusconi, il quale è tornato spesso sulla giustizia in queste settimane, ripescando però vecchie idee, e senza troppa convinzione, come in una stanca riproposizione di un copione messo in scena già trent’anni fa. Ma quello era un altro mondo.

UN RIEQUILIBRIO FORZATO
E il punto probabilmente è proprio questo: al di là di qualche personalismo, come pare essere il duello Nordio-Bongiorno, la giustizia finora è stata quasi del tutto assente dalla campagna elettorale, ed è la prima volta che accade dall’epoca di Tangentopoli e delle inchieste contro la corruzione passate alla storia con il nome di Mani pulite.

Da un certo punto di vista, non è necessariamente un male per il paese. Non lo è soprattutto se si considera come in questi ultimi trent’anni le questioni relative alla giustizia abbiano monopolizzato il dibattito pubblico, soffocandolo per lo più tra le cosiddette leggi ad personam inseguite dalla destra per evitare a Silvio Berlusconi qualche guaio giudiziario, e la risposta di stampo giustizialista del centrosinistra.
Per non dire di un potere giudiziario al quale, a partire dagli anni novanta del novecento, una parte del mondo politico e della società ha delegato un ruolo di moralizzazione che però non ha riscontro nelle leggi e nella costituzione. Quel ruolo si è poi dissolto tra gli scandali che recentemente hanno travolto la magistratura, riducendola a una condizione paragonabile a quella in cui si trovarono i partiti della prima repubblica coinvolti nelle inchieste giudiziarie sulla corruzione.

E forse anche questo riequilibrio forzato tra poteri, sebbene orientato al ribasso e dovuto a un forte calo di autorevolezza sia delle forze politiche sia della magistratura, ha contribuito a far uscire la giustizia dalla campagna elettorale, o quanto meno a raffreddare i toni.

È molto significativo in questo senso anche il fatto che Silvio Berlusconi in una lunga intervista rilasciata di recente al Corriere della Sera non abbia mai pronunciato la parola “giustizia”, né abbia dedicato un pensiero al tema, neppure per scagliarsi contro quella parte di magistrati che da sempre ritiene politicizzata. Perfino alla domanda sul lascito politico dei suoi governi ha risposto con un lungo elenco nel quale ha incluso gli argomenti più disparati, dalla abolizione della leva obbligatoria alla legge contro il fumo, tranne la giustizia.

È insomma come se fosse finita un’epoca. D’altra parte, perfino i magistrati sembrano condividere la stessa stanchezza. Tra i candidati alle elezioni non ci sono magistrati attualmente in attività. Un po’ perché, come scrive Liana Milella su Repubblica, “la legge Cartabia-Bonafede vieta per sempre il ritorno attivo in magistratura una volta che l’incarico è terminato”. E un po’ perché “si è dissolto il mito del magistrato che appende temporaneamente al chiodo la toga per tuffarsi nella politica”.

COLLEZIONE DI TOGHE
Nelle liste ci sono invece magistrati già in pensione. C’è Nordio, come detto. E ci sono alcuni ex magistrati con una lunga esperienza di lavoro sulla criminalità organizzata come l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, o l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, entrambi candidati dal Movimento 5 stelle. De Raho, peraltro, segue la strada già battuta dai suoi predecessori Piero Grasso e Franco Roberti, anch’essi al vertice della procura nazionale antimafia e candidati dopo essere andati in pensione.
E questa “collezione elettorale di toghe”, come l’ha definita Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, insieme alla “infornata di condannati definitivi che nel disinteresse generale sta per affollare le liste della destra”, mostra “che le urne del 25 settembre già propongono un risultato: la sostanziale irrilevanza del tema giustizia, e il suo declassamento a puro paesaggio, fondaco di dispute collaterali”.
E dire che di temi invece ce ne sarebbero. Al di là dei dibattiti sulle grandi riforme, basta ricordare l’allarme lanciato proprio in questi giorni dal vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm) David Ermini secondo cui “siamo a corto di giudici e lo saremo fino al 2024, quindi prepariamoci ad affrontare un’emergenza grave”.

IL PARTITO DEMOCRATICO SI È INCANTATO SUL PERICOLO DEL RITORNO DEL FASCISMO, NON CONSIDERANDO ALTRI TEMI
O che, per spostarsi sul piano politico, il risultato elettorale del voto del 25 settembre, se le attuali previsioni si rivelassero esatte, potrebbe consentire alla destra – come segnalato dai quotidiani Avvenire e Manifesto – una maggioranza tale da poter cambiare la costituzione senza la necessità di sottoporre a referendum le modifiche, ma anche di nominare in solitudine i membri laici del Csm e i giudici della corte costituzionale per la quota che spetta alle camere.
Si tratta di organi che occupano una posizione di estrema importanza nell’architettura istituzionale: il Csm perché governa il sistema giudiziario, la consulta perché è il massimo organo di garanzia del sistema istituzionale.
Ciò significa che questa volta la destra potrebbe fare tutto ciò che a Berlusconi non riuscì, avendo lui trovato negli anni nei quali era al governo un muro insormontabile a tutela delle istituzioni e della costituzione rappresentato proprio dalla garanzia offerta dalla corte costituzionale.
Eppure, la giustizia e le questioni aperte o che si potrebbero aprire dopo il voto, per quanto gravi, evidentemente non sembrano più così importanti. La propaganda elettorale del Partito democratico pare essersi incantata sul pericolo del ritorno del fascismo, senza considerare altri temi. La destra resta in silenzio e, se le cose andranno come dicono i sondaggi, ringrazierà.
*(fonte L’Essenziale : Alessandro Calvi, È un giornalista italiano. Ha scritto per il Riformista e il Messaggero.)

 

07 – Enrico Zanon *: COME SI VOTA ALL’ESTERO. Spero qui di fornire alcune indicazioni utili. Come si vota all’estero: Con una penna blu o nera si segna una croce sul simbolo (del PD) e si possono scrivere i cognomi di un candidato per il Senato e di 2 candidati per la Camera.
E’ vietato il voto disgiunto: non si vota un partito e il candidato di un altro.

Chi viene eletto:
Per il Senato chi prende più preferenze per il partito più votato.
Per la Camera chi prende più preferenze per i primi due partiti più votati.
Quindi il sistema elettorale all’estero è completamente diverso da quello in Italia (chiamato Rosatellum) di cui trovate molte spiegazioni su internet.

Scadenze: entro una settimana arriverà a casa il plico elettorale. La scheda votata deve pervenire al Consolato entro il 22 settembre alle ore 4pm. Quindi, votate subito, non indugiate! Se non doveste ricevere il plico entro lunedì 12, chiedete un duplicato secondo le istruzioni che trovate a questo link: https://consnewyork.esteri.it/consolato_newyork/it/la_comunicazione/dal_consolato/2022/09/elezioni-politiche-2022-rilascio.html

NOTIZIE DAI CANDIDATI
per la Camera:
Christian Di Sanzo (https://www.christiandisanzo.com/): è in visita a New York questa settimana e invita ad un aperitivo per domani, 7 settembre alle ore 6:30pm presso Treadwell Park (birreria su 1a avenue e 62nd street)
Gianluca Galletto (https://www.gianlucagalletto.com/), si è presentato con questa email: clicca qui
Michela Di Marco ha aperto questo suo sito: https://micheladimarco.com/
Vera Rosati: può essere seguita sulla sua pagina Facebook: https://www.facebook.com/vera.rosati
per il Senato:
Francesca La Marca ha il suo sito a questo link: https://francescalamarca.com/
Pasquale Nestico ha aperto il sito https://www.pasqualenestico.com/

Si segnala infine che La Voce di New York, in collaborazione con il Comites, ha invitato tutti 29 i candidati di tutte le liste ad un dibattito da tenersi venerdì 9 settembre alle ore 3pm presso il Calandra Institute all’indirizzo 25 West 43rd Street,17° piano).

Per qualsiasi richiesta, dubbio e proposta, non esitate a scriverci!
*( Enrico Zanon, Circolo PD New York)

 

08 – Franco Tirelli *: SE ACERCAN LAS ELECCIONES. AQUI ESTAN LOS CANDIDATOS MAIE EN SUDAMERICA. HOY TE PRESENTO A . Se acercan las elecciones. Aqui estan los candidatos MAIE en Sudamerica. Llego la hora de apoyar el unico Movimiento de italianos en el exterior presente en todo el planeta. Adelante MAIE‼
Juntos podemos cambiar las cosas de verdad, podemos hacer que mejoren los servicios consulares, para que renovar un pasaporte ya no sea una misión imposible, para que no sea tan difícil obtener un turno para la ciudadanía o para cualquier otro servicio.

En poco tiempo recibirás el sobre para votar por nuestros representantes en el Parlamento Italiano. Te invito a apoyar a nuestros candidatos Claudio Zin, Luis Molossi, Nello Collevecchio, Franco Tirelli para la Cámara de Diputados y Luciana Laspro y Mario Borghese para el Senado.
Hoy te presentamos a nuestro candidato para la Cámara de Diputados

Hola, soy Franco Tirelli, soy abogado y nací en Rosario. Me casé con Marisa Viviana Fanti, con quien tuvimos dos hijos: Octavio y Augusto. Desde mis inicios, mi educación estuvo vinculada a mi identidad italiana. Cursé la escuela primaria y secundaria en la Asociación Cultural “Dante Alighieri” de Rosario y luego me gradué como abogado en la Facultad de Derecho en la Universidad de Rosario. Hoy me dedico a la consultoría global para empresas e instituciones a través de diversos cursos tanto en Argentina como en el exterior. Desde 2003 que estoy fuertemente vinculado a la colectividad italiana en el voluntariado, participando en la Comisión de jóvenes del Comites Rosario o como Vicepresidente del Centro Lombardo de Rosario en el 2004.
También participe activamente en la Camara de Comercio Italiana de Rosario donde actualmente soy Vicepresidente. En el 2007 fui declarado por el Presidente de la República Italiana Cavaliere de la Solidaridad. En el 2015 junto con el MAIE ganamos las elecciones del Comites Rosario donde asumí como Presidente y renové la presidencia en el 2021. En el 2018 fui designado Coordinador nacional del MAIE Argentina y en junio 2022 Presidente del Intercomites Argentina.
Ayudanos a seguir fortaleciendo la comunidad italiana desde el MAIE, los únicos que defendemos tus derechos y tu ciudadanía italiana.

LOS 10 PUNTOS PROGRAMÁTICOS del MAIE:
El Movimiento Asociativo Italianos en el Exterior (MAIE), es un movimiento cultural, social y político, no privilegia ninguna ideología en particular, sino que representa y defiende el valor de la comunidad italiana en el exterior.

Los principios que guían el movimiento son esencialmente tres: la protección social de los inmigrantes italianos, la promoción de nuestra cultura y nuestra lengua, y la construcción del “sistema italiano” en el mundo.

Esta posición ha llevado al MAIE a oponerse a los distintos gobiernos italianos que en los últimos años han destruido la red consular italiana en el mundo, han violado los derechos de los italianos residentes en el extranjero (introduciendo el impuesto de ciudadanía y el IMU), han abandonado la nueva emigración a su destino, han recortado fondos para la promoción de la lengua y la cultura italiana y para las Cámaras de Comercio en el exterior.

EL PROGRAMA DEL MAIE SE RESUME EN DIEZ PUNTOS:

1) RED CONSULAR: MÁS RECURSOS, MENOS DEMORAS.

La red consular es la carta de presentación de Italia en el mundo. Es necesario encontrar una solución al estado de catástrofe de la red consular, garantizando a cada consulado un número adecuado de empleados para asegurar su eficiencia. Los que han gobernado los últimos años nos han dejado en una situación caótica e insoportable. Actualmente, para la emisión de un pasaporte o el reconocimiento de una ciudadanía se requieren años de espera e incluso la imposibilidad de obtener un turno. Es necesario un aumento gradual hasta los 97 millones de euros al año en los fondos que el Estado destina para pagar a las personas que trabajan en los consulados.

Esta cantidad representa solo el 0,0019% del gasto público italiano, es decir, es perfectamente factible. Con más parlamentarios del MAIE, el único partido de los italianos en el exterior, tendremos más fuerza para imponer este objetivo fundamental.

2)Ciudadanía italiana: no al impuesto, sí a la igualdad de género en la transmisión de la ciudadanía.

Eliminar el impuesto a la ciudadanía: la ley italiana establece que el hijo de un ciudadano italiano es ciudadano por nacimiento. El pago de una tasa de 300 euros, para obtener el reconocimiento de un derecho, es totalmente inconstitucional. En un estado de derecho se exige un canon por la prestación de un servicio, no por el reconocimiento de un derecho; hacerlo significa transformar nuestro estado en un sistema plutocrático, porque sólo quien tiene dinero puede ver reconocido su derecho. El Estado italiano, como tal, debe garantizar los servicios consulares.

Igualdad de género: eliminar la injusta discriminación que aún pesa sobre las mujeres. Muchos hijos de madres italianas, nacidos antes de 1948 (y por lo tanto todos sus descendientes) no pueden acceder hoy a la ciudadanía italiana, debido a una ley anticuada y discriminatoria de las mujeres que debe ser modificada.

3)Lengua y cultura italiana.

La difusión de la lengua y la cultura italiana es una de las herramientas más eficaces para fortalecer y promover la presencia de Italia en el mundo. Asignar más fondos a este sector, lejos de ser un costo, es una inversión que se traducirá en beneficios concretos para Italia. La promoción de la lengua debe ser completa, no sólo para los niños y jóvenes en edad escolar, sino también para los adultos que, por su origen o por el atractivo cultural de nuestro país, quieran estrechar lazos con Italia.

Es necesario lograr una mayor coordinación entre los distintos actores del sistema, a través de un organismo oficial de promoción de la lengua y a través de la formación de docentes en el exterior, y el establecimiento en los principales consulados de la figura del Promotor Cultural, que interactúa con asociaciones y organizaciones voluntarias de la comunidad italiana en el extranjero. También es fundamental promover el estudio de la lengua italiana incluso en las escuelas públicas extranjeras.

4)Cámaras de Comercio.

Valorizar y fortalecer las Cámaras de Comercio italianas en el exterior, a través del aumento de fondos y la reforma de las normas que rigen el sistema, debe ser una de las prioridades del gobierno italiano para promover la presencia económica de Italia en el mundo.

5)Eliminar el IMU.

Los italianos que viven en el extranjero pagan el impuesto IMU de su casa en Italia, debido a que no se considera una “primera casa”, una discriminación injusta que debe remediarse.

6)Promover el intercambio universitario y científico.

En un mundo globalizado, Italia debe promover aún más su excelente oferta universitaria, promover un sistema de becas para jóvenes de origen italiano para formarse en Italia y promover la cooperación científica con investigadores de origen italiano.

7)Controlar la inmigración ilegal y facilitar el retorno de las familias italianas.

La política migratoria italiana debe dar prioridad a la entrada de familias italianas o personas de origen italiano desde el extranjero y, por otro lado, contrariamente a lo que se ha hecho en los últimos años, controlar y rechazar la inmigración ilegal.

8)Asistencia médica en Italia.

Garantizar la atención médica a los italianos residentes en el extranjero cuando regresen temporalmente a Italia. Los ciudadanos italianos deben tener libre acceso al sistema de salud en Italia incluso si su residencia es en el extranjero.
9)Reapertura de los Consulados y reasignación de personal.
En cuanto a la necesidad de fortalecer la red consular, es necesario reabrir los consulados que se han cerrado en los últimos años y abrir nuevos consulados en territorios con una gran comunidad italiana.
10)Protección de la nueva movilidad.
La globalización implica movilidad: trabajadores, investigadores, estudiantes, profesionales en busca de oportunidades de trabajo en otros países, que no siempre son de carácter definitivo, por lo que muchos jóvenes italianos se van al extranjero, o los italianos nacidos en el extranjero se trasladan temporalmente de su residencia hacia otros países. A esto se suman las migraciones producto de crisis políticas o económicas (ej. Venezuela). Es necesario reformar el AIRE (Registro de Italianos Residentes en el Exterior), para combatir este fenómeno de manera más efectiva y proteger los derechos de los ciudadanos inmigrantes italianos.
*( Franco Tirelli, Candidato MAIE)

 

09 – Francesca Sibani*: VIVA L’INDIPENDENZA È IL NUOVO NUMERO DI INTERNAZIONALE STORIA E RACCONTA LA FINE DEI GRANDI IMPERI COLONIALI ATTRAVERSO COMMENTI, REPORTAGE, ANALISI E CRONACHE DALLA STAMPA INTERNAZIONALE DELL’EPOCA. SI PUÒ COMPRARE IN EDICOLA, IN LIBRERIA, SU AMAZON, IBS, FELTRINELLI, HOEPLI E SUL SITO DI INTERNAZIONALE.

“DECOLONIZZARE” È UNA PAROLA CHE RICORRE SPESSO DI QUESTI TEMPI. La s’invoca nei contesti più vari, dall’università ai musei alla toponomastica, in occasione di proteste e iniziative che promuovono i valori dell’antirazzismo, della giustizia sociale e della parità di genere. Per “decolonizzare” i leader dei paesi europei presentano scuse tardive, commissionano studi storici o decidono di restituire le opere d’arte trafugate nelle ex colonie.

In tutto questo non stupisce che possa risultare poco chiaro cos’è stata, in origine, la “decolonizzazione”, un termine usato nei libri di storia per descrivere uno dei processi più importanti del novecento, un processo così ampio e profondo da cambiare in maniera irreversibile l’assetto mondiale.

Nei quarant’anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale i grandi imperi coloniali fondati dalle potenze europee – Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Belgio, Portogallo – si sono sgretolati, in alcuni casi sono esplosi, e al loro posto sono nati nuovi stati indipendenti in Asia, in Africa e in America Centrale. Nel 1945 le Nazioni Unite erano formate da 51 paesi, nel 1960 ne contavano 99 e oggi sono 193 (e il comitato per la decolonizzazione dell’Onu ha ancora diciassette dossier da chiudere). In quei decenni alcuni paesi di nuova indipendenza e quelli dove i movimenti di liberazione erano impegnati in dure lotte per scacciare i colonialisti hanno sviluppato la consapevolezza di appartenere a un nuovo schieramento, quello che il demografo francese Alfred Sauvy chiamò “terzo mondo”.

L’IMMAGINAZIONE AL POTERE
Gli articoli raccolti in questo volume – che sono stati selezionati per rappresentare una pluralità di voci, in un periodo compreso tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1990 (l’anno in cui fu scarcerato Nelson Mandela in Sudafrica) – raccontano una serie di processi molto diversi, dall’indipendenza negoziata di India e Pakistan alla lotta armata contro le truppe francesi in Algeria alla metodica preparazione all’autogoverno in Guinea-Bissau. Allo stesso tempo, mostrano che l’indipendenza e la liberazione furono sì frutto di grandi imprese diplomatiche e militari dei popoli colonizzati, ma anche di un immenso sforzo d’immaginazione, sul piano politico e su quello culturale.
Se da un lato l’abitante del mondo colonizzato, come lamentava lo scrittore tunisino Albert Memmi, non era “un soggetto della storia” ma ne subiva il peso “spesso più crudelmente degli altri”, dall’altro nelle colonie grandi pensatori e politici carismatici (Gandhi, Kwame Nkrumah, Frantz Fanon, Patrice Lumumba, Amílcar Cabral) riflettevano sui modelli di stato e di società da adottare per creare un’alternativa a quello imperialista, basato sullo sfruttamento e sulle gerarchie razziali. Modelli che non sempre hanno dato i risultati sperati, ma che sono la testimonianza di una grande vitalità intellettuale, che oggi è giusto riscoprire.
*(Fonte: Internazionale. Francesca Sibani, giornalista di Internazionale)

 

10 – I PERICOLI DELLE FAKE NEWS IN AFRICA. TIKTOK, META E TWITTER NON RIESCONO AD ARGINARE BOT E DISINFORMAZIONE, USATI PER DESTABILIZZARE LE ELEZIONI E PER ACUIRE I CONFLITTI ETNICI.
L’aumento dell’uso degli smartphone e una maggiore disponibilità di connessioni a Internet sta causando una pericolosa diffusione di fake news in Africa. Nella prima metà del 2022 decine di campagne sui social media hanno divulgato milioni di post intenzionalmente falsi e fuorvianti che stanno provocando rivolte e omicidi negli stati africani. L’assenza di una moderazione dei contenuti, costante e dettagliata come quella presente in Occidente, ha fatto sì che applicazioni come Facebook, Twitter, YouTube, WhatsApp e TikTok siano diventate strumenti di propaganda. Influencer e politici malintenzionati sfruttano le piattaforme per istigare violenze nel mondo reale. Senza un rigido controllo, stanno riuscendo nel loro intento
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TIKTOK E LE ELEZIONI IN KENYA
Il 9 agosto 2022 in Kenya si sono svolte delle importanti elezioni politiche per la nomina del presidente e dei parlamentari delle due camere nazionali. In vista del voto, le piattaforme di social media nel paese sono state popolate soprattutto da disinformazione politica secondo un recente report dell’organizzazione non-profit Mozilla Foundation. Mentre le piattaforme più mature come Facebook e Twitter operano un maggior controllo sulle fake news, a preoccupare è TikTok: la sua influenza è stata ampiamente sottovalutata secondo i ricercatori e i post presenti sulla piattaforma hanno favorito l’inizio di scontri violenti fra diverse fazioni politiche. Oltre il 60% degli utenti keniani di età compresa tra 16 e 64 anni utilizza TikTok ogni mese.

Un’analisi di circa 130 video, che sono stati visti collettivamente oltre 4 milioni di volte, indica che TikTok è diventato un mezzo di comunicazione rilevante per la disinformazione relativa alle elezioni keniane. Le clip analizzate da Mozilla Foundation sono state complici nei tentativi di alimentare tensioni etniche e manifestazioni aggressive. In risposta al rapporto, TikTok ha rimosso i video segnalati da Mozilla Foundation che l’azienda proprietaria ByteDance ha ritenuto in violazione delle sue linee guida, ma molti keniani temono l’incremento di violenze e ripercussioni prima e dopo il voto. “Le fazioni opposte si concentreranno sulla creazione di un’immagine dell’avversario come minaccia esistenziale alla stabilità e alla sicurezza”, si legge nel documento, intitolato Da app per ballare alla politica mercenaria: come la disinformazione su TikTok accende le tensioni politiche in Kenya.

La piattaforma social ha affermato di avere rafforzato la moderazione dei contenuti in lingua swahili, ma non ha fornito dettagli sul numero di moderatori in altre lingue ampiamente parlate in Kenya, come il kikuyu e il dholuo. Gli autori di fake news e i blogger che postano video incitanti alla violenza utilizzano lo stratagemma di alternare le lingue, parlando con i dialetti solo per le minacce così da non correre il rischio di essere scovati dai moderatori e bannati. I problemi non sono terminati con l’arrivo dei risultati: la Corte Suprema del Kenya deve decidere sul risultato controverso delle elezioni presidenziali di questo mese, durante il quale il sito web della commissione è stato probabilmente violato.

LE FAKE NEWS DALL’ITALIA
Anche in Nigeria la disinformazione sta provocando proteste e rivolte sanguinose. Un’indagine della Bbc ha scoperto una rete di separatisti nigeriani che vivono fuori dal paese e che usa i social media per invocare la violenza e incitare all’odio etnico contro gli oppositori dell’indipendenza del Biafra. In particolare un’utente nota come Omote Biafra è al centro delle campagne di disinformazione che stanno provocando scontri nella nazione africana. La donna, il cui vero nome è Efe Uwanogho, afferma di essere residente in Italia. Sul suo account Facebook l’indirizzo è indicato come Noventa Padovana, in provincia di Padova. Dal suo profilo pubblica video in cui chiede ai connazionali residenti in Nigeria di “attaccare e decapitare chi si oppone all’indipendenza del Biafra”, come riporta il sito inglese. Gli scontri nella regione a sud del paese hanno provocato almeno dodici morti nelle ultime settimane.

Uwanogho si definisce una guerriera sui social media per conto del gruppo separatista noto come Indigenous People of Biafra (Ipob). L’articolo della Bbc spiega che la donna opererebbe dall’Italia per restare al di fuori dalla portata delle autorità nigeriane. In Nigeria Ipob è stato bandito e indicato un gruppo terroristico. In seguito a una fake news diffusa sui gruppi Whatsapp nigeriani, due poliziotti, accusati falsamente di essere gli assassini di alcuni cittadini del Biafra, sono stati uccisi nel giorno del loro matrimonio.

IN ITALIA ABBIAMO UN PROBLEMA CON LA PROPAGANDA RUSSA
Da un lato c’è l’ingerenza di Mosca nel dibattito pubblico. Dall’altro una caccia alla strega che bolla come filo-Putin qualsiasi voce che non sia conforme alla narrazione mainstream
Oltre a un numero limitato di moderatori capaci di conoscere i dialetti africani, i social media in Africa devono fare i conti anche con bot e deepfake, usati per manipolare l’opinione pubblica. I bot di Twitter rappresentano oltre il 20% degli influencer in paesi come il Lesotho e il Kenya: per questo motivo, gli esperti politici a conoscenza della particolare situazione africana suggeriscono alle aziende tecnologiche di rafforzare al più presto il percorso verso un’efficace moderazione. In caso contrario, le fake news alimentate dai social media e dalle app di messaggistica rischiano di diventare un problema letale nel continente.

11 – Denise Hruby*: ELKE KAHR LA SINDACA MARXISTA NEL 2021 HA VINTO A SORPRESA LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE A GRAZ, IN AUSTRIA. LEADER LOCALE DEL PARTITO COMUNISTA, VUOLE RIDISTRIBUIRE LA RICCHEZZA E HA COME PRIORITÀ AIUTARE I PIÙ POVERI.
La rielezione del sindaco conservatore a Graz era data per scontata. La seconda città più grande dell’Austria è un posto in cui non è raro incontrare gli abitanti con i lederhosen, i tradizionali pantaloni con le bretelle, e il dirndl, l’abito con il grembiule. Anche Elke Kahr, leader del locale Partito comunista d’Austria (Kpö), era convinta che avrebbe perso contro l’elegante erede di una dinastia di commercianti. Così quando ha scoperto il risultato del voto, a settembre, era altrettanto sorpresa del giornalista che le ha dato la notizia: i comunisti avevano vinto e lei sarebbe stata la nuova sindaca. “Era senza parole e io pensavo che fosse uno scherzo”, racconta Kahr. I giornali di tutta Europa hanno cominciato a chiamare la città Leningraz, un nome che la fa sorridere.
“Sì, sono una marxista convinta”, dice Kahr nel suo ufficio, pieno di scaffali usati dell’Ikea, messi al posto dell’imponente mobilio del suo predecessore, Siegfried Nagl, del Partito popolare austriaco (Övp). Kahr, sessant’anni, sta cercando di “ridistribuire la ricchezza” , dice. Ma questo non significa che il Kpö vuole espropriare i beni della borghesia o abolire il libero mercato. La sindaca ha dichiarato che il suo obiettivo è “alleviare il più possibile i problemi delle persone”. Per un osservatore esterno, i problemi della città potrebbero non essere evidenti. Quando Arnold Schwarzenegger visita Graz, la città dov’è nato, che oggi conta circa trecentomila abitanti, passeggia per strade pulite e passa davanti a condomini moderni e a buon mercato. Ma i poveri e le persone che lottano contro l’aumento dei prezzi e la riduzione dei salari sono molti.
Per quasi vent’anni Kahr ha aiutato di tasca sua le persone a pagare le bollette o la lavatrice. Si faceva spiegare qual era il problema, chiedeva il numero di un conto in banca e trasferiva del denaro, di solito qualche centinaio di euro. Nel corso della sua carriera politica ha sempre usato così circa tre quarti del suo stipendio. Da quando nel 2005 è diventata consigliera comunale Kahr ha dato più di un milione di euro a chi ne aveva bisogno. Gli avversari politici l’hanno accusata di comprare voti. “In realtà sono liberi di farlo anche loro, se vogliono”, ha commentato Kahr. “Tra l’altro non si tratta di beneficenza. Sono semplicemente convinta che i politici guadagnino troppo”, ha aggiunto. Il suo stipendio di sindaca è di circa 120mila euro, più di quattro volte la media nazionale, e i 32mila euro che tiene per sé le bastano. Si muove con l’autobus e il tram, fa acquisti in negozi economici e vive in affitto in un appartamento modesto, pieno di libri e dischi, insieme al compagno, un funzionario del Partito comunista d’Austria in pensione.

L’ANOMALIA
L’Austria ha una lunga tradizione socialista e ha creato un grande sistema di sussidi pubblici. L’assistenza sanitaria è gratuita e l’università non si paga. Ma gli elettori hanno voltato le spalle al Partito comunista da quando nel 1956 gli austriaci assistettero in prima fila alla violenza con cui l’Unione Sovietica represse una rivolta popolare nella vicina Ungheria. Da quel momento il Kpö non ha mai ottenuto seggi al parlamento in nessuna elezione nazionale.
Graz è un’anomalia rispetto al resto del paese: l’attenzione data dal Partito comunista alla questione abitativa ha portato dagli anni novanta alcuni carismatici comunisti nel consiglio comunale. Nessuno di loro è mai stato più popolare di Kahr. Sia i sostenitori sia gli avversari la descrivono come una persona alla mano, gentile e diretta. Gli elettori le fanno spesso i complimenti perché “non sembra una politica”, somiglia più a un’assistente sociale.
Da piccola fu rimproverata per aver “parlato come una comunista”. A diciott’anni decise di scoprire perché
Nel ruolo di sindaca alla guida di una coalizione con socialdemocratici e verdi, ha la forza di orientare le politiche cittadine. Questo significa, tra le altre cose, abbassare le tasse per le fognature e i rifiuti, nonché gli affitti degli alloggi di proprietà del comune. Kahr ha fatto in modo che migliaia di residenti avessero diritto ad abbonamenti scontati per i trasporti pubblici. Inoltre ha tagliato le spese dedicate alla pubblicità della città e i sussidi ai partiti.

LINEA D’EMERGENZA
Kurt Hohensinner, il nuovo capo dell’Övp di Graz, ha definito questi sforzi più simbolici che concreti. Ha previsto che sotto la guida di Kahr “Graz non soffrirà di comunismo, ma d’immobilismo”. La sindaca ha anche cancellato diversi progetti ambiziosi, tra cui la costruzione di una linea della metropolitana, proposta dall’Övp. La città avrà invece presto un nuovo ufficio per i servizi sociali e abitativi, e più appartamenti sovvenzionati dal comune.
Kahr dice che la questione abitativa le interessa particolarmente. Alla fine della guerra fredda i comunisti di Graz avevano aperto una linea telefonica d’emergenza per chi viveva in affitto, fornendo consulenza legale gratuita in caso di contratti d’affitto irregolari, sfratti incombenti e mancata restituzione dei depositi cauzionali versati ai proprietari. Chiamavano poveri e ricchi, di destra e di sinistra, e il passaparola diffuse un messaggio: i comunisti hanno a cuore i cittadini. Spesso a rispondere al telefono c’era la stessa Kahr. Ora che è sindaca, cerca di essere una presenza familiare nelle strade.
Quando scende dall’autobus a Triestersiedlung, uno dei quartieri più poveri della città, sede di 1.200 appartamenti di edilizia popolare, Kahr si complimenta con la proprietaria di una rara auto Lada di fabbricazione sovietica e poi si dirige nel cortile di alcune case popolari. Le facciate sono state appena dipinte e, in un pomeriggio di sole, i residenti si affacciano sui balconi costruiti di recente. È un lusso che manca alla maggior parte degli appartamenti di Graz e per la cui costruzione Kahr ha fatto pressione quando era consigliera comunale. Mentre distribuisce delle aiuole prefabbricate per permettere ai residenti di coltivare pomodori ed erbe aromatiche, una donna si avvicina e loda “Elke” perché “viene ancora a trovarci, ora che è sindaca”. Kahr le ricorda che anche lei è cresciuta lì.
Data in adozione alla nascita, Kahr trascorse i primi anni della sua vita in un istituto per l’infanzia. Poco prima del suo quarto compleanno fu accolta da una famiglia. Pare che avesse chiesto a una coppia in visita all’istituto una banana che usciva dalla busta della spesa; colpita dalla scarsa timidezza della bambina, la coppia la prese con sé. Lui era un saldatore e lei una cameriera diventata casalinga. I due affittarono una baracca a Triestersiedlung, in cui portavano l’acqua da un pozzo e allevavano galline, anatre e conigli. Il bagno era all’aria aperta. “Se cresci in questo ambiente, non puoi che lottare per un mondo più giusto”, dice Kahr.
Eppure non le è mai mancato niente: ricorda che divorava i libri della biblioteca delle case popolari. Da grande è andata a concerti rock in tutta Europa (le piace la maggior parte della musica, dice, anche il rap impegnato) e ha rintracciato la sua madre naturale, una contadina. Il padre era uno studente iraniano. Con quell’incontro non voleva far nascere un legame, ma solo “dirle che, a prescindere dai motivi della sua decisione, per me andava bene”, dice.
Da piccola fu rimproverata per aver “parlato come una comunista”. A diciott’anni decise di scoprire perché: cercò l’indirizzo del partito sull’elenco telefonico e andò alla sede locale.“È stata una manna dal cielo”, dice Ernest Kaltenegger, suo mentore e predecessore come segretario locale del partito. “Non era come gli altri giovani la cui stella brilla un po’ e poi si spegne. Lei era seria”.
Quando a 24 anni la filiale della banca in cui Kahr lavorava chiuse, Kaltenegger la convinse a diventare la seconda dipendente del Kpö di Graz. Nel 1989, durante un soggiorno di sei mesi a Mosca, in Russia, seguì gli appassionati dibattiti sulle riforme nel paese, credendo che “avrebbe voltato pagina”. Due anni dopo, l’Unione Sovietica si dissolse. Kahr consolò i suoi compagni più anziani e si concentrò sul suo giovane figlio, Franz.

Biografia
◆ 1961 Nasce a Graz, in Austria.
◆ 1964 È adottata da una famiglia che vive nel quartiere popolare di Triestersiedlung.
◆ 1979 Comincia a fare politica con il Partito comunista d’Austria (Kpö).
◆ 2005 È eletta consigliera comunale a Graz.◆ 2016 Diventa vicesindaca di Graz dopo le dimissioni della socialdemocratica Martina Schröck.
◆ settembre 2021 Vince a sorpresa le elezioni con il 29 per cento dei voti e diventa sindaca della città.

Negli anni novanta Kaltenegger si è impegnato per far costruire bagni in tutti gli appartamenti di edilizia popolare di Graz e ha trasformato i comunisti in un pilastro della politica locale. In seguito ha spostato la sua azione a livello nazionale, ma a condizione che Kahr assumesse la direzione dei comunisti a Graz. Lei ha accettato, ma all’inizio è stato difficile.
Come segretaria del partito alle elezioni locali del 2008 ha perso la metà degli elettori. Ma nel giro di cinque anni ha trasformato i comunisti nel secondo partito più forte della città. Uno dei probabili motivi della vittoria nel 2021 è stato il crescente malcontento di Graz per il boom edilizio. In un referendum organizzato dal Kpö nel 2018, un’affluenza alle urne insolitamente alta ha bloccato la cementificazione dei terreni di una scuola di agricoltura, una vittoria memorabile per il partito.

INDICE DI GRADIMENTO
Spesso le critiche a Kahr non riguardano le cose che fa, ma la sua ideologia. L’ammirazione per la vecchia Jugoslavia, uno stato multietnico e non allineato gestito da un dittatore, per esempio, dimostra tutta la sua “testardaggine storica”, secondo Christian Fleck, professore di sociologia all’università di Graz.
Ma agli elettori queste cose non importano: a giugno del 2022 il suo indice di gradimento era del 65 per cento. Kahr continua a incontrare regolarmente persone che hanno bisogno di aiuto, come faceva quando era consigliera comunale e riceveva più di tremila visite all’anno di madri single, disoccupati o persone senza casa.
Mentre fuma una sigaretta, un vizio a cui non riesce a rinunciare, Kahr riflette su perché il comunismo ha fallito in altri paesi. “Dipende solo da quanto i politici lo mettono in pratica”, dice.
(Fonte INTERNAZIONALE, Denise Hruby, The New York Times, Stati Uniti)

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