n°27 – 2/7/2022 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – La Marca (Pd) – nuova interrogazione sull’accordo di reciproco riconoscimento delle patenti tra Italia e Québec. Disattese le aspettative dei cittadini italiani e quebecchesi
02 – The Economist, Regno Unito Quegli anni perduti lavorando.
03 – Ponte Morandi, l’ultima beffa. Ferrucci de Bartoli*: a ridosso del processo, gli avocati protestano: servono 750 mila euro per avere gli atti.
04 – S. Marchetti*: Chi ha paura della libertà?
05 – A proposito di USA ,Rossella Rasulo*: Se fosse una questione di vita….
06 – Alfiero Grandi. Il referendum del 12 giugno, dopo il fallimento dell’attacco all’indipendenza della magistratura.
07 – MAIE – Movimento Associativo Italiani all’Estero tramite sh03.musvc.com MAIE – Movimento Associativo Italiani all’Estero – Italiani all’estero, Viro (MAIE) in Messico: l’incontro con l’Ambasciatore e la visita a Chipilo
08 – Livio Vanzetto *Alessandro Santagata*: La memoria insorgente dei contadini del Veneto profondo. SAGGI. Per Cierre edizioni «Rivolte di paese», di Livio Vanzetto, esperto di Storia sociale e Resistenza

 

 

01 – LA MARCA (PD) – NUOVA INTERROGAZIONE SULL’ACCORDO DI RECIPROCO RICONOSCIMENTO DELLE PATENTI TRA ITALIA E QUEBEC. DISATTESE LE ASPETTATIVE DEI CITTADINI ITALIANI E QUEBECCHESI.
A distanza di cinque anni dall’avvio dei rapporti tra il Governo italiano e quello della Provincia del Québec per la definizione dell’Intesa tecnica per la conversione delle patenti di guida, non si registrano passi in avanti e ipotesi temporali riguardanti la conclusione delle trattative.
“Il prolungarsi dell’iter procedurale sta accrescendo il disagio e il risentimento in una platea sempre più larga di italiani residenti in Québec e di cittadini quebecchesi residenti in Italia, le cui aspettative ad oggi sono andate deluse, come testimoniano le decine di email che ricevo ogni settimana. Si tratta di cittadini costretti a cimentarsi ogni giorno con grandi difficoltà. Per molti di loro, oltretutto, prendere la patente del paese di residenza, sostenendo l’esame in una lingua diversa dalla propria, rappresenta un ostacolo insormontabile. Per queste ragioni, nonostante le numerose sollecitazioni avanzate a livello istituzionale e i diversi interventi parlamentari di questi ultimi anni, ho presentato una nuova interrogazione in Commissione Trasporti”, ha dichiarato l’on. La Marca.
Con l’interrogazione indirizzata al Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (Mims), l’on. La Marca chiede di sapere: quali siano gli ostacoli tecnici che ancora impediscono di arrivare alla conclusione dell’Intesa; se le autorità quebecchesi abbiano fornito riscontri alla richiesta di chiarimenti necessari per la prosecuzione dei negoziati avanzata dalla Direzione Generale per la Motorizzazione, per i servizi ai cittadini e alle imprese in materia di trasporti e navigazione; entro quali tempi si pensa di portare a conclusione il protocollo di intesa con il Québec. Nell’atto ispettivo, inoltre, si chiede al Ministro se ritenga di adottare iniziative volte ad avviare i contatti con altre maggiori Province del Canada, come l’Ontario e la British Columbia.
*( On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. CAMERA DEI DEPUTATI- Ripartizione Nord e Centro America -)

 

02 – THE ECONOMIST, REGNO UNITO QUEGLI ANNI PERDUTI LAVORANDO.
POCHE COSE DEPRIMONO PIÙ DELLE STIME SU QUANTO TEMPO LE PERSONE DEDICANO A UNA SPECIFICA ATTIVITÀ NEL CORSO DELLA LORO VITA. Sapete che intendo: passerete un terzo della vostra vita a dormire, quasi un decennio a fissare il vostro telefono e quattro mesi a decidere cosa guardare sui canali in streaming.
Un nuovo studio condotto dai ricercatori della Maryland and Delaware enterprise university partnership applica questo approccio al lavoro d’ufficio. Grazie a un’indagine condotta su cinquemila impiegati negli Stati Uniti e nel Regno Unito, gli studiosi hanno individuato quanti minuti vengono sprecati in attività inutili per ogni giornata lavorativa (sono escluse le riunioni, che spesso si rivelano inutili, ma non sempre e non per tutti). Gli autori hanno poi estrapolato queste cifre arrivando a valutare quanto tempo poteva essere speso meglio, la cosiddetta “futilità totale ponderata”. I risultati sono letteralmente incredibili.
Correggere gli errori di battitura occupa mediamente venti minuti nella giornata di ogni impiegato, per un totale di centottanta giorni, o sei mesi, in quarantacinque anni di professione. Alcune parole vengono digitate così di frequente che da sole possono sottrarre intere giornate all’esistenza di un dipendente. L’errore più frequente nel mondo anglosassone è “thnaks” (thanks), seguito da “teh” (the), “yuo” (you) e “remeber” (remember). Anche il tempo passato a scrivere “bets wishes” (best wishes) si conta in giorni.

LAVORARE A MAGLIA
La gestazione di una capra dura circa 145 giorni. L’equivalente di quanto trascorre in media un lavoratore nell’arco della sua carriera per entrare negli account. I problemi di sicurezza necessitano di un po’ di tempo, ma si perdono mesi a cercare di ricordare le password, a inserirle erroneamente o ad aggiornarle. Trascorriamo ore e ore fissando uno schermo in attesa che accada qualcosa.
Se aprire pagine e applicazioni fa perdere molto tempo, lo stesso vale quando bisogna chiuderle. Eliminare le finestre di aiuto e le caselle dei suggerimenti occupa giorni di lavoro. Rifiutare le continue richieste di calendarizzare gli aggiornamenti del sistema operativo è un’altra fetta di esistenza che non potrete mai recuperare. Far fuori gli annunci pop-up e cercare di mettere in pausa i video in riproduzione automatica assorbe del tempo che potreste utilizzare per imparare a lavorare a maglia o per visitare Machu Picchu.
Shakespeare ha scritto Re Lear nel tempo che un impiegato, durante la sua vita lavorativa, passa a cambiare la dimensione dei caratteri
Per le “attività di riordino” un lavoratore medio spreca più di quattro mesi di vita. Cancellare le email occupa circa sei settimane. Cliccare sui canali della chat aziendale per leggere messaggi che non sono destinati a voi, o ripulire lo schermo del telefono dalle notifiche di articoli che non guarderete mai, sono attività che risucchiano diversi giorni.
Le operazioni di formattazione comportano un altro enorme spreco. Pensate ai tentativi di modificare i margini nei documenti di Word o di Google, o alle ore trascorse cercando di capire dove si deve mettere esattamente la parentesi che manca nella formula di un foglio di calcolo. Shakespeare ha scritto Re Lear nel tempo che un impiegato, durante la sua vita lavorativa, passa a cambiare la dimensione dei caratteri.
Dover rifare il lavoro che non siete riusciti a salvare occupa una categoria a sé, per via del trauma psicologico che comporta. Ora che molti programmi salvano automaticamente le modifiche, questo problema è meno pesante, ma non è stato risolto. Le batterie si scaricano ancora nei momenti cruciali, la connessione a internet continua a cadere. Scrivere una serie di commenti molto profondi e acuti in un documento di Google, non riuscire a salvarli e chiudere tutto provoca un tipo particolare di disperazione. Tanto quanto creare un organigramma con centinaia di frecce e caselle di testo e rendersi conto di avere dimenticato qualcuno

 

03 – PONTE MORANDI, L’ULTIMA BEFFA. Ferrucci de BARTOLI*: A RIDOSSO DEL PROCESSO, GLI AVVOCATI PROTESTANO: SERVONO 750 MILA EURO PER AVERE GLI ATTI.
Quattro mesi fa una strage come quella di Kremenchuk, un missile russo che colpisce un centro commerciale – dove tanti cittadini come noi stavano facendo la spesa – ci avrebbe indignato di più. Come accadde per i morti di Bucha. Tra gli orrori della guerra c’è anche quello di renderci tutti, lentamente, più distanti e distratti. Prima si parlava molto di diritti e di libertà. Oggi quasi esclusivamente di gas e grano. Riconoscerlo non è essere insensibili o cinici. Non si può vivere in un’eterna emergenza. La solidarietà emotiva non serve a nulla.
Svanisce presto. Quella razionale, basata sul sapere ciò che si può fare e ciò che è velleitario promettere, è assai più utile a chi combatte ( anche per noi) per la propria libertà. L’aiuto occidentale a Kiev non è illimitato. A qualsiasi costo. Meglio essere chiari. E l’eroico Zelensky non deve correre, tra i tanti rischi mortali, anche quello di sentirsi tradito dai propri alleati. La ragione è a volte fredda ma aiuta di più di generosi e inconcludenti proclami di solidarietà. E così i crimini di guerra restano tali e non passano – Kremenchuk è solo l’ultimo esempio – come sanguinose casualità. Se bombardi un obiettivo in un centro abitato non puoi dare la colpa a chi ci vive di essersi avvicinato troppo a un obiettivo militare.

LA GIUSTIZIA È ANCORA SOTTO LE MACERIE
Si apre in questi giorni il processo per il crollo del ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto del 2018, che causò 43 morti. Ora si chiama San Giorgio ed è diventato l’emblema del riscatto di Genova. Un gioiello del Made in Italy. La notizia che ha più colpito è che l’accesso agli atti, indispensabile per l’esercizio dei diritti delle parti costituite, costi almeno 750 mila euro. Una follia.
COME FOLLE È STATO LIQUIDARE DA PARTE DELLO STATO I BENETTON CON 9 MILIARDI PER “PUNIRLI” DEI MANCATI INVESTIMENTI.
Ora Aspi, autostrade per l’Italia, chiede un adeguamento dei pedaggi che sarebbe giusto non concedere finché non termineranno i lavori di manutenzione straordinaria che rendono infernali tanti viaggi, specie in Liguria. Ma gli azionisti stranieri non ci sentono. Come non ci sentivano, prima, i Benetton.

LA TARTARUGA PIÙ VELOCE DELLA STORIA
Conservando gelosamente il suo uovo, una testuggine di Pompei è giunta fino a noi. Un viaggio di 2 mila anni. Gli archeologi, che ne hanno scoperto i resti, sostengono cercasse rifugio per quell’unico, prezioso, uovo. Simbolo di vita e bellezza, n ritrovamento è avvenuto nel viale dell’Abbondanza. Quasi un messaggio augurale.
*(Fonte Oggi. Ferrucci de BARTOLI, editorialista del Corriere della sera)

 

04 – S. Marchetti*: CHI HA PAURA DELLA LIBERTÀ? NON C’È MEDIAZIONE POSSIBILE, O SI DICE SÌ O SI DICE NO.
SÌ ALLA FAMIGLIA NATURALE, NO ALLA LOBBY LGBT. SÌ ALL’IDENTITÀ SESSUALE, NO ALL’IDEOLOGIA DI GENERE. SÌ ALLA CULTURA DELLA VITA, NO ALLA PROMOZIONE DELLA MORTE. SÌ ALL’UNIVERSALITÀ DELLA CROCE, NO ALLA VIOLENZA ISLAMISTA».
Con queste parole, pronunciate durante un comizio in Andalusia, Giorgia Meloni non ha messo in luce solo le sue idee (idee e opinioni che tutti possono e devono avere). Giorgia Meloni ha messo in luce la propria violenza.
Non ci sono sfumature. Né nel tono e tantomeno nelle parole. C’è solo la violenza di un pensiero che non accetta divergenze. O sei con noi, o sei contro di noi.
Eppure, quante contraddizioni in queste parole.
Cos’è una famiglia naturale? La natura, quella degli animali, è spietata e violenta. È un luogo dove il più forte vince sul più debole e la catena alimentare detta le regole. Nella nostra società, nella nostra democrazia, per fortuna non succede così. E allora cos’è una famiglia naturale?
La lobby Lgbt, poi. Ma cosa vuol dire? E soprattutto: cosa toglierebbe alla famiglia composta da un uomo e una donna? Niente. Al contrario, aggiungerebbe. Perché di questo si tratta: la famiglia immaginata da Meloni toglie ogni altra possibilità d’amare e di crescere i figli. Le altre famiglie, in-vece, aggiungono nuovi modi di amare, di crescere i figli, di volersi bene. Perché avere paura di questo amore?
L’identità sessuale. Dev’essere una? O due? E perché invece non molteplici? Ancora: perché avere paura di amare chi non ama quello che amiamo noi ma qualcos’altro? Torniamo sempre lì: togliere invece che aggiungere.
L’ideologia di genere… Perché ideologia? Perché, di nuovo, togliere quando si può aggiungere? Perché impedire ad altri di essere diversi da noi?
Sulla religione, poi: sì all’universalità della croce, no alla violenza islamista? Ah sì? Quindi tutti i musulmani sono violenti? Quindi cosa facciamo: ci deve essere una sola religione e le altre le proibiamo?
Infine: la cultura della vita contro la promozione della morte. Davvero siamo ancora qui a parlare di diritto all’aborto? E ad avere dubbi se qualcuno vuole mettere fine alla
propria vita come successo a Federico Carboni, tetraplegico da circa 10 anni per un incidente stradale, riuscito finalmente a mettere fine alla propria sofferenza, qualche settimana fa, con un farmaco e con lo strumento del suicidio assistito. «La vita è fantastica ma la sofferenza è troppa», aveva scritto Federico prima di morire, «continuate a sostenere questa lotta per essere liberi di scegliere».
Ecco, liberi di scegliere. Perché, cara Giorgia Meloni, vuoi toglierci questa libertà?
La libertà di amare chi vogliamo. La libertà di una donna di decidere del proprio corpo. La libertà di un uomo di decidere se mettere fine alla propria vita dopo una sofferenza inumana. La libertà di una persona di scegliere la religione che vuole o il vestito che vuole, o l’identità che sogna.
Settimana scorsa, il Papa ha raccomandato di non avere rapporti sessuali prima del matrimonio. E qualche giorno dopo Fedez ha suggerito di fare più sesso possibile prima del matrimonio. Chi ha ragione? Non è importante chi ha ragione. È fondamentale, invece, creare un luogo, una società, una democrazia dove puoi fare o non fare sesso prima del matrimonio, per esempio. Mentre dalle parole pronunciate in Andalusia esce un mondo dove o stai da una parte o stai dall’altra, un mondo di grida violente dove non esiste possibilità di scelta.
Davvero vogliamo vivere in un mondo così?
In questo numero di Vanity Fair e nelle iniziative sui nostri social e sul nostro sito delle prossime settimane vi racconteremo storie di amore, di accoglienza, di dialogo, di rispetto. Dalla protagonista di questa cover, una splendida Drusilla Foer, ai video racconti di nonne e nonni che narrano della bellezza, dell’affetto, dell’umanità nelle storie di diversità dei loro nipoti. Generazioni a confronto, età, provenienze, sessi, identità diversi che si parlano senza frontiere, senza paure, senza pregiudizi.
Io voglio vivere in un mondo così. Un mondo dove c’è spazio per tutti.
*(Fonte Vanity Fair, Simone Marchetti)

 

05 – A PROPOSITO DI USA , di Rossella Rasulo*: SE FOSSE UNA QUESTIONE DI VITA.
SE FOSSE UNA QUESTIONE DI VITA, IN AMERICA L’ASSISTENZA SANITARIA SAREBBE DAVVERO ACCESSIBILE A TUTTI E NON SOLTANTO A CHI PUÒ ACCEDERVI ATTRAVERSO UN’ASSICURAZIONE CHE SOLTANTO UN’OTTIMA POSIZIONE LAVORATIVA GARANTISCE.
Se fosse una questione di vita, in America le armi non potrebbero essere comprate, tantomeno usate, così facilmente.
Se fosse una questione di vita, in America nessun civile potrebbe tenere sotto il proprio letto un fucile d’assalto.
Se fosse una questione di vita, in America ci sarebbero aiuti alle famiglie, un’istruzione pubblica di buon livello, più servizi per i bambini sia a scuola che fuori.
Se fosse una questione di vita, in America non ci sarebbe bisogno di una religione a sancirne il valore, a difenderla.
Se fosse una questione di vita, in America le donne avrebbero le stesse opportunità degli uomini, verrebbero informate sulla contraccezione e indirizzate in modo che possano autodeterminarsi.
Se fosse una questione di vita, in America la Corte Suprema sarebbe rimasta neutrale, garantendo a ognuno di fare le proprie scelte in coscienza.
Se fosse una questione di vita, in America si darebbe peso anche all’esistenza di chi è a questo mondo da anni, di chi studia, lavora, ha degli affetti, degli amori, di chi si è costruito una realtà attorno, e non soltanto a quella che forse un giorno prenderà forma.
Se fosse una questione di vita, in America non ci sarebbe bisogno dei metal detector all’ingresso delle scuole e nessuna amministrazione locale proporrebbe di inserirli ad-dirittura negli asili.
Se fosse una questione di vita, in America non si mettere be a rischio quella di chi ha un figlio malato in grembo c non è comunque destinato a nascere.
Se fosse una questione di vita, in America l’educazione sessuale sarebbe una priorità.
Se fosse una questione di vita, in America non si costringerebbero le donne senza possibilità economiche a usare strumenti casalinghi per non portare avanti una gravidanza indesiderata col rischio di morire dissanguate o di sepsi.
Se fosse una questione di vita, in America le armi non avrebbero più diritti di un utero.
Se fosse una questione di vita, in America uno stupro, che segna un’esistenza per sempre, non sarebbe considerato un reato meno grave di un aborto.
Se fosse una questione di vita, in America non si cercherebbe di imporre la propria visione al prossimo, perché è tipico dell’esistenza essere diversi gli uni dagli altri.
Se fosse una questione di vita, in America non si interpreterebbe il sesso come qualcosa di cui vergognarsi costante- mente, tantomeno si proverebbe a costringere il prossimo a farlo solo ed esclusivamente per la procreazione.
Se fosse una questione di vita, in America l’aborto non di-penderebbe dalla fede, poiché a questo mondo ognuno è libero di credere in ciò che vuole o di non credere affatto.
Se fosse una questione di vita, in America nessuno festeggerebbe la cancellazione di un diritto.
Se fosse una questione di vita, in America – e anche in Italia – sarebbe tutto molto più semplice di così. E invece ne discutiamo tanto perché la questione in realtà è un’altra: il controllo delle donne e della loro libertà.
*( Fonte Gente di ROSSELLA RASULO)

 

06 – Alfiero Grandi. IL REFERENDUM DEL 12 GIUGNO, DOPO IL FALLIMENTO DELL’ATTACCO ALL’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA.
L’ESITO DEL VOTO SUI REFERENDUM ABROGATIVI SULLA GIUSTIZIA NON LASCIA DUBBI: CHI HA PROMOSSO I REFERENDUM È STATO SCONFITTO. Non è riuscito a portare a votare neppure tutto il suo elettorato. È la prima volta nella storia repubblicana che dei referendum abrogativi vedono non partecipare al voto 4 elettori/trici su 5. Una sconfitta secca dei promotori. Gli sconfitti ora dovrebbero rendersi conto dei danni che ha provocato la loro iniziativa – strumentale e improvvida – che per fortuna dell’Italia, è fallita. Questi referendum hanno recato danno all’istituto del referendum e ancora di più alla partecipazione democratica dei cittadini. Questi referendum sono stati promossi per attaccare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura – principi costituzionali – e con quesiti incomprensibili per la grande maggioranza dei cittadini.
L’istituto dei referendum è finito sotto accusa per un tentativo di scaricare le loro responsabilità da parte dei promotori dei referendum, proprio quando ci sarebbe bisogno di usarlo correttamente per favorire la partecipazione attiva dei cittadini a decisioni nazionali di rilievo. Tanto più in questa fase politica confusa, piena di ansie. Troppi referendum, confusi, illeggibili, palesemente strumentali allontanano gli elettori dalle urne. In precedenti referendum si è verificata una partecipazione straordinaria perchè gli elettori sapevano di contare nelle decisioni da prendere. Non si vede perchè non si possa ripetere questa esperienza anche in futuro, con pochi quesiti netti e ben formulati.
La Lega, per cercare di nascondere le sue responsabilità in questa avventura finita male, ha cercato scuse risibili, cercando colpevoli per il fallimento, arrivando ad affermare che ci sarebbe stato un complotto (Calderoli). Balle. Semmai tutto il centro destra ha la grave responsabilità di avere usato strumentalmente il ruolo istituzionale di 9 regioni per fare loro promuovere i referendum sulla giustizia. Si è cercata la scorciatoia di ricorrere alle decisioni prese dai consigli regionali per “comodità” ma al prezzo di un pessimo servizio al ruolo delle regioni, che hanno un loro ruolo istituzionale e che non dovrebbero essere al servizio di scelte politiche dei partiti nazionali. Purtroppo le regioni in questa occasione hanno dimostrato di avere ben poca autonomia reale e consapevolezza istituzionale.
I referendum sulla giustizia, senza il traino e la copertura dei due referendum radicali sull’eutanasia e sulla cannabis, si sono mostrati per quello che erano e cioè un attacco rancoroso e pregiudiziale verso la magistratura. I problemi da risolvere debbono essere affrontati dal parlamento nel pieno rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, scritte nella Costituzione. Elettrici ed elettori hanno compreso la posta in gioco, hanno avvertito i rischi, non si sono fidati e in larghissima maggioranza hanno deciso di non partecipare al voto.
Il coordinamento per la Democrazia Costituzionale ha avvertito per tempo il pericolo che l’elettorato venisse spinto verso l’astensione e per questo ha costituito un Comitato per il NO con l’obiettivo di affrontare la campagna referendaria puntando sulle ragioni di merito di una battaglia politica contro questi referendum. Non meravigliano gli attacchi di Berlusconi, perfino durante il voto, ai magistrati, perchè è grazie al decreto Severino che è decaduto da senatore e ha dovuto andare ai servizi sociali dopo la condanna. Meno comprensibile perchè altri lo abbiano seguito in modo subalterno in questa recriminazione sterile.
La scelta del Cdc è stata di contrastare gli argomenti dei promotori punto per punto. Il complesso dei referendum puntava a fare dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura il bersaglio da colpire, con l’obiettivo di creare le premesse per ulteriori modifiche future, anche della Costituzione. Questo obiettivo è fallito. La scelta che ha prevalso è stata l’astensione. È a questo punto che I promotori dei referendum pur di non ammettere di avere fatto una scelta sbagliata e improvvida sono caduti nel ridicolo con giustificazioni improbabili come il presunto silenzio della stampa, pur sapendo che i primi a farsi coinvolgere malvolentieri nella campagna referendaria erano proprio loro.
Di più. Si è tentata un’interpretazione consolatoria del risultato del voto all’interno del 20 % di votanti, tentando di proiettarlo sull’intera platea elettorale. Della serie, se avessero votato tutti avremmo vinto. Balle. Qualche giornalista ha provato a fargli eco, ma un silenzio assordante ha ricordato ai promotori che il “non voto” ha stravinto a livelli tali da non lasciare spazio per alcuna giustificazione di questo tipo. Dopo questo risultato disastroso la proposta concordata dalla maggioranza con la ministra Cartabia sulle nuove modalità di elezione del CSM è stata approvata, malgrado la rabbia evidente ma impotente dei referendari sconfitti.
Ora è necessaria una valutazione sulla stato della democrazia in Italia. Ci sono grandi ragioni di preoccupazione come la guerra, il ritorno della crisi economica, il senso di impotenza che finiscono con il creare un divario sempre più largo tra rappresentanti e rappresentati. Il rischio di una crescita dell’astensionismo dal voto è forte. Tanto più che anche l’elezione dei sindaci ha registrato un calo impressionante dei votanti. La crescita dell’astensionismo è un serio problema per la democrazia. Per le prossime elezioni politiche nazionali ci sono ragioni di preoccupazione in più, legate ai meccanismi di voto. L’attuale legge elettorale nazionale lascia nelle mani dei capipartito la decisione su chi verrà eletto. In pratica questo è un gigantesco meccanismo di cooptazione dall’alto. Per questo il criterio per essere prescelti è la fedeltà, non la qualità.

Questo ha portato ad una crisi sempre più grave di credibilità del parlamento, che ormai lavora a mezzo servizio, visto che le due camere esaminano i decreti del governo, la maggioranza dei provvedimenti, in modo alternato, una volta il Senato, l’altra la Camera. La Camera che non esamina per prima il decreto può solo confermare la decisione dell’altra. Il risultato è un monocameralismo di fatto, che si aggiunge ai decreti usati senza risparmio, ai voti di fiducia a gogò, ad un uso dei regolamenti parlamentari discutibile.

Il governo nei fatti è il vero dominus della situazione, in particolare lo è il Presidente del Consiglio. Una democrazia così funziona male, aprendo sempre di più una divaricazione tra Costituzione scritta e Costituzione di fatto. Bisogna chiudere questa fase e tornare alla normalità delle procedure. È vero che i partiti sono l’altro corno del problema. La loro debolezza a livelli senza precedenti è parte integrante della crisi attuale della democrazia italiana. Se la partecipazione al voto continuerà a scendere il risultato sarà che ci si muoverà tra decisioni dall’alto e rivolte, senza un tessuto democratico faticoso e complesso ma decisivo per un buon funzionamento della democrazia. Regole e valori sono le chiavi con cui affrontare questa crisi preoccupante e i referendum hanno evidenziato non solo il fallimento dell’assalto politico ad un caposaldo della democrazia come la magistratura ma anche che il non voto può diventare un serio problema. Il risultato di un astensionismo crescente può essere un grave restringimento della partecipazione.
Bene che siano falliti questi referendum, ma deve preoccupare che la via scelta del non voto possa contribuire a fare crescere l’astensione nelle prossime elezioni nazionali. Questo è un serio problema per la democrazia che va affrontato con la piena consapevolezza che in gioco non c’è solo chi vincerà ma soprattutto la capacità di fare funzionare una democrazia complessa, capace di risolvere I conflitti e di fare crescere il ruolo delle classi subalterne, prevista dalla nostra Carta Costituzionale.
Per questo è decisivo riuscire ad avere una nuova legge elettorale prima delle prossime elezioni nazionali che favorisca la partecipazione: costruita su due pilastri: proporzionale e parlamentari scelti direttamente dai cittadini.
*(Alfiero Grandi è un politico e sindacalista italiano).

 

07 – MOVIMENTO ASSOCIATIVO ITALIANI ALL’ESTERO – ITALIANI ALL’ESTERO, VIRO (MAIE) IN MESSICO: L’INCONTRO CON L’AMBASCIATORE E LA VISITA A CHIPILO
“Quella in Messico è stata una missione di enorme importanza, che mi ha arricchito umanamente e politicamente”, dichiara Viro in una nota. “Sono davvero felice e soddisfatto delle riunioni che si sono svolte. Come MAIE continueremo a garantire loro il nostro sostegno e attraverso i nostri parlamentari faremo sentire la loro voce in ogni occasione e in tutte le sedi istituzionali che contano”
Angelo Viro, vicepresidente del MAIE, dopo la missione in Guatemala, è stato nei giorni scorsi in Messico per incontrare la collettività italiana residente in quel Paese.
Venerdì 24 giugno a Città del Messico Viro ha prima di tutto incontrato l’Ambasciatore d’Italia, Luigi De Chiara, con cui si è confrontato sulla situazione che riguarda la comunità e sui rapporti bilaterali Messico-Italia, oltre che sulle grandi possibilità commerciali tra i due Paesi.
Per quanto riguarda le problematiche degli italiani ivi residenti, è stato posto l’accento sul tema della cittadinanza. C’è grande richiesta in questo senso, tanto che l’Ambasciata ha deciso di affidarsi a una agenzia esterna, in outsourcing, che si dovrà occupare di studiare e verificare tutte le pratiche di richiesta di cittadinanza. Dunque qualcosa in questo senso si sta muovendo.
All’Ambasciatore il vicepresidente MAIE ha portato i saluti del presidente del Movimento Associativo, Sen. Ricardo Merlo, molto graditi, e ricambiati, dal diplomatico.
Lo stesso giorno Viro si è riunito con la Camera di Commercio italiana in Messico, in particolare con il Presidente Lorenzo Vianello ed il vice Presidente Francesco Brocchi, oltre che con il Comites e i principali esponenti della comunità italiana locale.
Con il Comites locale, targato MAIE – presidente Giovanni Buzzurro, coordinatore nazionale MAIE Messico e vicepresidente Antonio Mariniello, coordinatore MAIE per Città del Messico – è stata scattata la fotografia attuale della comunità. Viro ha così avuto l’opportunità di conoscere tutti i consiglieri Comites – “persone capaci, con grande spirito di volontariato e forte desiderio di fare del bene alla comunità”, ha dichiarato Angelo Viro -, raccogliere spunti e suggerimenti per quanto riguarda i temi che più da vicino interessano gli italiani in Messico e gli italo-messicani.
Sabato 25 giugno tappa a Chipilo, comune in cui è residente una fortissima comunità italiana. Lì Viro si è riunito, oltre che con rappresentanti delle locali associazioni italiane, con il Presidente della giunta Municipale di Chipilo. E’ stata l’occasione, ancora una volta, per ascoltare dalla voce stessa dei connazionali quali sono le problematiche della comunità locale, in modo tale da studiare soluzioni nel minor tempo possibile.
A Chipilo tante le autorità presenti. C. Carlos Minutti Precoma, presidente de la Junta auxiliar di Chipilo, Francisco Javier Mina, San Gregorio Atxompa. C. José Avelino Mario Merlo Zanella precidente municipal de San Gregorio Atzompa. Lic. Arturo Berra Simoni coordinador MAIE Puebla.
“Quella in Messico è stata una missione di enorme importanza, che mi ha arricchito umanamente e politicamente”, dichiara Viro in una nota. “Sono davvero felice e soddisfatto delle riunioni che si sono svolte. Sono rientrato a Santo Domingo portando con me l’energia e l’entusiasmo che mi hanno trasmesso il Comites e i tanti volontari e rappresentanti delle associazioni: tutti loro hanno come obiettivo principale quello di rendere più forte e coesa la comunità italiana in Messico e di poter dare assistenza e appoggio ai nostri fratelli italiani. Come MAIE continueremo a garantire loro il nostro sostegno e attraverso i nostri parlamentari faremo sentire la loro voce in ogni occasione e in tutte le sedi istituzionali che contano”.
Nei prossimi giorni e settimane Angelo Viro ha già in programma altre missioni in Centro America: tra queste, quelle che lo porteranno a Panama e Costa Rica
Fonte: ItaliaChiamaItalia

 

08 – LIVIO VANZETTO *ALESSANDRO SANTAGATA*: LA MEMORIA INSORGENTE DEI CONTADINI DEL VENETO PROFONDO. SAGGI. PER CIERRE EDIZIONI «RIVOLTE DI PAESE», DI LIVIO VANZETTO, ESPERTO DI STORIA SOCIALE E RESISTENZA
Al centro, In un libro importante uscito pochi anni fa, Un volgo disperso (Einaudi, 2019), Adriano Prosperi ha illuminato con raffinatezza l’immagine dei contadini elaborata dalle classi dirigenti italiane nel corso dell’800 attraverso il filtro dei medici condotti.
LA CELEBRE DEFINIZIONE di «classe oggetto», inventata da Pierre Bourdieu, deve essere considerata per Prosperi più che un’evidenza «una provocazione carica di risentimento» per la perdita di memoria da parte della storiografia «di quella che è stata la maggioranza assoluta della società preindustriale». Sono considerazioni care anche a Livio Vanzetto, primo direttore dell’Istituto per la storia della Resistenza della Marca trevigiana, esperto di storia sociale e politica del «profondo Veneto» e autore di Rivolte di paese. Una nuova storia per i contadini del Veneto profondo (Cierre, pp. 304, euro 18). Le coordinate interpretative emergono già dal «glossarietto» in apertura.
«Nella lingua italiana – scrive Vanzetto – mancano talvolta le parole per parlare, in maniera non equivoca, dei ceti popolari». Da qui la necessità di inventarne delle nuove come: «cultura della sopravvivenza», categoria centrale per i «ceti subalterni che vivevano al livello di pura sussistenza»; patronage, da lui impiegata per indicare il complesso rapporto tra le comunità contadine e i loro patroni (proprietari terrieri, parroci e borghesia rurale); «Italia del 30%», rappresentata dalle minoranze nazionalizzate.

A quest’ultima corrisponde, a suo avviso, anche una storiografia che ha negato autonomia e originalità alla cultura popolare. La ricerca ribalta la tesi dell’eterodirezione delle masse per seguire i percorsi di quella «pedagogia della rivolta», con cui i subalterni avrebbero esercitato un condizionamento politico e culturale nei confronti delle élites.

SI INIZIA con «la notte di Sant’Andrea» di Cavasagra, nel trevigiano, quando nel 1907, di fronte alla minaccia di alcuni cambiamenti colturali, una rivolta spontanea ricorda alla famiglia dei Frova (provenienti dal milanese) i doveri del suo stato di protezione. La Chiesa condanna la violenza, ma di fatto si schiera con la comunità paesana, e con i suoi capifamiglia, nel gestire la mediazione. Si prosegue con la più complicata vicenda della rivolta di Badoere di Morgano nel 1920, che si sviluppa dentro il quadro delle lotte promosse dalle leghe bianche per il rinnovo dei patti agrari.

In questo caso, le violenze vengono stigmatizzate a processo attribuendone la ragione alla «follia della folla» e all’infiltrazione di elementi esterni, i «rossi». L’ideale della comunità pacifica che viene turbata dai forestieri torna anche nell’ultimo episodio analizzato: la rivolta dei «batòci», cioè i battacchi delle campane «sequestrati» nel 1957 dalla comunità di Sant’Ambrogio del Grion per protestare contro l’allontanamento del proprio cappellano.
I «BATÒCI» sono un bene comune per una società contadina che rivendica il diritto di scegliere i propri referenti con il mondo esterno. Sembra essere questa, del resto, una delle funzioni chiave del patronage: un istituto prima di tutto difensivo, talvolta con effetti progressivi, soprattutto se proviene «dal basso».
Viene da chiedersi se la borghesia rurale non abbia avuto maggiore successo di quanto pensa l’autore nel farsi portatrice di quelle ideologie assorbite e rivisitate dal cattolicesimo: dai comitati patriottici paesani, alla pedagogia dell’Azione cattolica periferica al richiamato spirito risorgimentale delle brigate partigiane durante la Resistenza. Se non altro, come bagagli di retoriche più o meno transitorie, superficiali e comunque soggette all’usura della secolarizzazione.
A RENDERE PIÙ DIFFICILE la questione contribuisce la barriera delle fonti, poche e spesso prodotte dai «protettori». Per fortuna c’è chi come Vanzetto, seguendo la scia della migliore storiografia sociale, non rinuncia ad impiegare tutti i metodi a disposizione per ritrovare la voce dei subalterni e restituire così ai ceti popolari autonomia e quindi anche dignità.

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