COVID-19: La situazione in Africa. Effetti ancora poco evidenti, ma cresce rabbia sociale e paura in Sud Africa e Nigeria

AFRICA al tempo del corona virus

a – In Africa effetti ancora poco evidenti,

b – Catastrofe coronavirus e rabbia sociale in Sudafrica.

c – Lagos non è un posto per il distanziamento sociale – Coronavirus in Nigeria. Crescono il numero dei contagi e i timori per la parte più vulnerabile della popolazione

a – IN AFRICA EFFETTI ANCORA POCO EVIDENTI, MA L’ECONOMIA DELLA STRADA NON PUÒ RESTARE A CASA – ALTRO CHE DISTANZIAMENTO SOCIALE. L’EMERGENZA VIENE SCARSAMENTE PERCEPITA DA CHI PER MANGIARE È COSTRETTO A USCIRE. A NAIROBI, DICE IL MISSIONARIO KIZITO SESANA, «ALMENO 2,5 MILIONI DI PERSONE SONO IN QUESTA CONDIZIONE, C’È IL RISCHIO DI RIVOLTE». 294 I DECESSI REGISTRATI NEL CONTINENTE PER COVID-19. 7.246 PERSONE CONTAGIATE di Fabrizio Floris

Gli effetti del Covid-19 in Africa sono ancora poco evidenti. Tutti i Paesi hanno adottato misure restrittive, la percezione delle persone è ancora debole e la chiusura non è totale, perché come ha dichiarato Kizito Sesana, missionario in Kenya, durante un dibattito organizzato dalle riviste Africa e Africa e Affari «c’è il rischio di rivolte». La maggioranza delle persone deve uscire di casa tutti i giorni per procurarsi il reddito necessario per arrivare a fine giornata con qualcosa da mettere in tavola. A Nairobi, prosegue Kizito, «almeno 2,5 milioni di persone sono in questa condizione».

Emerge, per chi non se ne fosse ancora accorto, che nei Paesi subsahariani convivono due economie: la prima quella di una classe agiata e di tutti coloro che hanno un’entrata costante – al massimo il 30% della popolazione -, la seconda cosiddetta economia informale, capace di generare posti di lavoro, reddito e capacità di risparmio per la maggioranza degli abitanti. Sono economie che vivono su due livelli diversi, sia in senso stretto che in senso figurato. Una parte «sta in alto», legata economicamente con il resto del mondo, perché la tecnologia che sostiene la rete globale permette di lavorare e comunicare via etere. L’altra parte è attaccata alla terra, lavora in strada: mercati locali, pezzi di stoffa sui marciapiedi del centro, riciclaggio, artigianato di strada, tutte attività economiche incorporate nel sociale in antinomia con la social distancing. Chi vive della prima economia può stare a casa, tutti gli altri non possono. Al momento, almeno tra la gente, continua Kizito «non c’è la consapevolezza che qualcosa di grave sta per arrivare, si scherza». Ma il governo del Kenya appare determinato: ieri è stato arrestato il vice governatore della contea di Kilifi, Gideon Saburi, per non aver rispettato le misure di isolamento.

Al momento in Africa si segnalano 7.246 persone contagiate e 294 decessi. Il Sudafrica è il Paese con maggiori contagiati 1.505, seguito da Algeria 986, Camerun 306, la maggior parte dei Paesi è sotto i 100 contagi. In Burkina Faso vi sono 261 contagiati a partire dalla vice presidente del parlamento Rose-Marie Compaore.

«Tutti pensavano che era la malattia dei ricchi, si sono ammalati sei ministri e imprenditori che viaggiavano all’estero, ma ora scende verso le altre classi sociali – racconta l’educatore e scrittore burkinabè Adrien Cleophas Dioma – ma stiamo reagendo».

Il tema è, secondo l’immunologo Vittorio Colizzi, se le tante infezioni e malattie che hanno circolato per il continente abbiano creato una trained immunity: abbiano addestrato l’organismo a reagire con più forza al Covid-19. In questo senso la vaccinazione Bcg (vaccino contro la tbc) che fanno i bambini potrebbe favorire una reazione positiva. Sono Paesi, racconta il dottor Alessandro Campione, attivo in Mozambico e Sudafrica, «più abituati a questo tipo di emergenze e reagiscono meglio. Quello che manca sono i mezzi: ospedali, respiratori, letti».

L’economia resta l’aspetto che preoccupa di più. Secondo la Commissione economica per l’Africa dell’Onu il continente potrebbe perdere metà del suo Pil e la crescita si ridurrà dal 3,2% all’1,8%. Con il prezzo del petrolio passato da 65 a 30 dollari al barile si stima che i Paesi esportatori perderanno 100 miliardi di dollari (20 miliardi per la sola Nigeria). Poi ci sono gli effetti sul turismo, la diminuzione degli investimenti e anche la diminuzione degli aiuti allo sviluppo. Ma, afferma Massimo Zaurrini di Africa e Affari, «verrà a mancare valuta pregiata che serve ad acquistare beni fondamentali come medicine e beni alimentari. Ma potrebbe anche essere un’occasione prosegue Zaurrini, per far crescere la produzione interna e un mercato intra-africano»

 

B – CATASTROFE CORONAVIRUS E RABBIA SOCIALE IN SUDAFRICA. ESERCITO E CONTRACTOR IN AZIONE. NEL PAESE AFRICANO CON IL MAGGIOR NUMERO DI CONTAGI IL GOVERNO TEME IL PEGGIO E VARA MISURE DRACONIANE. MILITARIZZATE LE TOWNSHIP, VIETATA LA VENDITA DI ALCOLICI E SIGARETTE. MA IN 7 MILIONI LOTTANO ANCHE CONTRO LA FAME. I GUAI DI ESKOM INTANTO ACUISCONO CRISI E INQUINAMENTO di Luca Manes da JOHANNESBURG

Lo scorso 15 marzo, il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa ha dichiarato lo stato nazionale di catastrofe, cui ha fatto seguito un lockdown destinato a durare almeno 21 giorni a partire dal 26 marzo. Le ultime cifre fanno tremare i polsi dei vertici del governo: ormai siamo a oltre 100 nuovi infetti al giorno, per un totale al 4 aprile di circa 1.500 casi e cinque decessi. Per limitare la crescita esponenziale si sta puntando forte sui controlli, con 47 mila test già effettuati e l’intenzione di eseguirne 30 mila quotidianamente. Per questo sono attive 67 unità mobili in tutto il Paese, tra i più immuno-depressi del continente, con ben 7,1 milioni di sudafricani positivi all’Hiv.

UN BLOCCO SEGNATO da misure draconiane – è stato imposto il divieto di vendita di alcolici e sigarette – e da una vasta militarizzazione, in particolare delle township, dove il distanziamento sociale appare quanto mai complesso da realizzare. Non a caso Ramaphosa ha dispiegato l’esercito e contractors privati per “aiutare” le forze dell’ordine e già dal primo giorno di chiusura totale non si sono contati gli episodi di violenza e gli abusi nei confronti della popolazione, con il ricorso fin troppo frequente a pallottole di gomma e cannoni ad acqua. Mille senza tetto sarebbero stati “presi” e rinchiusi senza troppi complimenti all’interno del vecchio stadio della capitale Pretoria, dove però dormirebbero in 10 in tende che dovrebbero ospitare non più di 2-3 persone per rispettare le norme anti-contagio.

In un paese dove la disoccupazione è al 29% e su una popolazione di 58,8 milioni di persone circa 7 soffrono la fame perché in condizioni di estrema povertà e il 20% dei cittadini ha problemi a soddisfare i bisogni di base, la tensione sociale è altissima e destinata ad aumentare qualora non si riescano a limitare la diffusione del Covid-19 e i suoi impatti sulla vita economica della nazione.

Ancor prima che fossero chiuse le frontiere ai cittadini provenienti da «paesi ad alto rischio» (compresa ovviamente l’Italia), si sono registrati episodi di intolleranza nei confronti di europei e asiatici, additati come potenziali untori. Ma sul lungo periodo i timori sono soprattutto per le già agonizzanti casse dello Stato. Le statistiche ufficiali raccontano che la contrazione dell’economia nel quarto trimestre del 2019 è stata pari all’1,4%, a fronte delle previsioni degli analisti che parlavano di un probabile calo dello 0,2%. Un crollo annunciato e che nasce da lontano.

NEI NOVE ANNI DI PRESIDENZA del predecessore di Ramaphosa, Jacob Zuma, le relazioni pericolose tra lo stesso Zuma e una famiglia originaria dello stato indiano dell’Uttar Pradesh, i Gupta, hanno infatti affogato in un mare di corruzione la principale economia africana. Nel 2016 è scoppiato il bubbone plasmato da un malaffare così esteso da essere definito State Capture. Ovvero come depredare impunemente e a piene mani i forzieri del Paese e farla franca.

I Gupta si sono infiltrati in tutti i gangli dello stato, arraffando contratti per le loro società e condizionando l’operato di grandi imprese pubbliche come Transnet ed Eskom. Quest’ultima, la multi-utility energetica più importante d’Africa e per anni il fiore all’occhiello del governo di Pretoria, con 27 miliardi di euro di debiti era già sull’orlo del fallimento prima che entrasse in scena il Coronavirus. Ora lo Stato potrebbe non avere più la forza economica per salvare dalla bancarotta una compagnia che dà lavoro a oltre 40mila persone ma che per quasi due decenni è stata contraddistinta da una gestione a dir poco “inadeguata”.

Le South African National Defence Forces prendono posizione di fronte a un caseggiato di Alexandra (Ap)

Sui conti dell’Eskom pesano “errori” legati alla realizzazione delle mastodontiche centrali a carbone di Kusile e Medupi, ma anche un altro buco nero, il mega-impianto idroelettrico di Ingula, al confine tra il Free State e KwaZulu-Natal, che abbiamo avuto modo di visitare nella seconda parte del 2019. Un «prodigio ingegneristico» realizzato dalle imprese italiane Salini-Impregilo e Cmc di Ravenna, composto da due dighe collegate da tunnel sotterranei lunghi oltre due chilometri nei quali passa l’acqua che, tramite quattro mega-turbine collocate in una centrale a 400 metri di profondità, dovrebbe permettere di generare 1,2 gigawatt di energia. Peccato che per stessa ammissione del committente, l’Eskom, la produzione al momento non superi il 25% di quella stimata.

Al momento si sa che nel 2005, data di inizio lavori, l’opera sarebbe dovuta costare 8,9 miliardi di rand (554 milioni di euro), mentre a oggi siamo a oltre 36 miliardi (circa 2,3 miliardi di euro), in attesa di ulteriori lavori di adeguamento menzionati dall’Eskom nel suo annual report ufficiale.

L’INNALZAMENTO DEI COSTI si è registrato già dai primi mesi, come ci ha illustrato un ex dipendente del consorzio costruttore, Mike Hall, che abbiamo incontrato a Johannesburg nei mesi passati. «Mai vista una cosa del genere, appena si verificava un problema i costruttori si rivalevano su Eskom, che pagava senza fiatare anche quando le colpe erano del consorzio (e quindi di Cmc e Salini, ndr)». Nel novembre del 2013, si è verificato un gravissimo incidente, in cui hanno perso la vita 6 operai. Secondo Hall, una tragedia che si poteva evitare e che sarebbe da imputare al consorzio per la mancata adozione di varie misure di sicurezza. Ma per il quale Salini-Impregilo e Cmc hanno lo stesso preteso dei pagamenti dalla Eskom, il cui debito nel frattempo lievitava. Val la pena ricordare che la Cmc, indagata in Kenya per un caso di corruzione internazionale, aveva iniziato la campagna sudafricana grazie alle buone relazioni con il magnate del settore costruzioni Philani Mavundla, a sua volta “grande amico” dell’ex presidente Zuma. Mavundla si era aggiudicato l’appalto per Ingula, poi condiviso con le due imprese italiane.

Il matrimonio Cmc-Mavundla ha avuto qualche intoppo in merito a un altro progetto da centinaia di milioni di euro, quello per l’espansione del più grande terminal africano per container nella città portuale di Durban, che a inizio 2019 è stato bloccato per accuse di frode nell’ambito di una gara d’appalto che coinvolgerebbero la Cmi Emtateni, una joint venture composta proprio dalla Cmc di Ravenna e da una società denominata Cmi Infrastructures, di cui è condirettore Mavundla. Pure nel caso del porto di Durban il committente è un’impresa pubblica, la Transnet, anch’essa pesantemente indebitata.

Ma oltre ad acuire la crisi economica, il dramma coronavirus rischia di esacerbare ulteriormente la crisi ambientale.

In un Paese il cui mix energetico dipende al 77% dal carbone, si parla già di annacquare gli attuali standard di controllo delle emissioni per fare un favore alla traballante Eskom. «Così l’inquinamento non diminuirà e ci saranno almeno 3.300 morti premature in più l’anno», ha commentato la Life After Coal Campaign

 

C – LAGOS NON È UN POSTO PER IL DISTANZIAMENTO SOCIALE – CORONAVIRUS IN NIGERIA. CRESCONO IL NUMERO DEI CONTAGI E I TIMORI PER LA PARTE PIÙ VULNERABILE DELLA POPOLAZIONE di Bridget Ohabuche

Solo poche settimane fa la Nigeria pensava di essere riuscita a contenere la diffusione del coronavirus, dopo che erano stati dimessi i primi 179 casi sospetti, risultati negativi secondo il Centro nazionale per il controllo delle malattie. Oggi, sono stati confermati 209 casi positivi, 20 ricoverati e 2 decessi. Il Ministro della Sanità paventa che «forse ci sono già più di 3000 persone contagiate nel paese».

Domenica il presidente Muhammadu Buhari rivolgendosi alla nazione con un messaggio di incoraggiamento, ha anche ordinato un blocco totale di 14 giorni nella capitale Abuja, a Lagos e Ogun a causa dell’elevato numero di casi confermati. Inoltre ha assicurato che «il governo federale stanzierà 10 miliardi di naira (poco meno di 25 milioni di euro) in un fondo per aiutare le persone più bisognose, e che un numero maggiore di operatori saranno formati per rafforzare il sistema sanitario nazionale». Inoltre ha invitato i nigeriani a rispettare la distanzia sociale come responsabilità civica per la lotta contro la diffusione del virus.

Tuttavia, il distanziamento sociale potrebbe essere uno dei compiti più difficili da svolgere in una megalopoli come Lagos, che con i suoi oltre 22 milioni di abitanti è uno dei centri commerciali più popolosi e affollati dell’Africa. Dal 23 marzo, il governo locale ha chiuso scuole, chiese, moschee, mercati e altri raduni pubblici e ha ordinato l’arresto di coloro che violano la serrata.

A preoccupare particolarmente è la popolazione più vulnerabile, come a Makoko – quartiere sotto il 3° Mainland Bridge, il ponte più lungo dei tre che collegano l’isola di Lagos alla terraferma – dove più di diecimila persone vivono in baracche di legno che galleggiano in una laguna putrida. Gli abitanti sono stati comunque avvertiti dal governo e dai leader della comunità sulle buone pratiche igieniche da osservare.

Nei giorni scorsi alcuni degli uomini più ricchi della Nigeria, tra i quali l’industriale Aliko Dangote, considerato il businessman più ricco del continente – hanno donato enormi quantità di danaro per sostenere i settori privati e aiutare il governo federale nella sua lotta contro la pandemia. Ci sono stati molti anni di negligenza da parte dello Stato e delle élite politiche nei confronti del sistema sanitario nazionale. Tuttavia i nigeriani sperano che questa crisi porti se non altro a investire maggiormente nel settore della salute pubblica.

 

FONTE: Il Manifesto

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