COVID-19: RIPENSARE L’ECONOMIA. SE NON ORA, QUANDO?

L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DI UN VIRUS METTE A NUDO L’INCONSISTENZA, IL FAI DA TE, DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA REGIONALE.

L’EMERGENZA SANITARIA E SOCIALE IMPONE A LAVORATORI E SINDACATI DI PRETENDERE UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO. PER CONTRIBUIRE A SALVAGUARDARE IL BENESSERE DELLA COLLETTIVITÀ E L’AMBIENTE. E METTERE IN SOFFITTA, UNA VOLTA PER TUTTE, LE “RICETTE” LIBERISTE E LE DISCRIMINAZIONE.

di Maurizio Brotini e Giacinto Botti

 

Siamo in una vera emergenza sanitaria globale che investe il nostro Paese e il mondo intero. Uno shock che investe le popolazioni, che disorienta e spaventa le persone mettendo a nudo fragilità personali e collettive, che colpisce sistemi economici internazionalizzati accelerando tendenze già in atto. Pandemia di corona virus e scontro sul prezzo del petrolio ridisegneranno un mondo dove la Cina avrà un ruolo sempre più decisivo. Dell’Europa e dell’Italia il rischio è che se ne perdano anche le tracce.

Occorre cambiare in profondità il modello di sviluppo economico e sociale, preparare e costruire modelli alternativi, indicare strumenti che orientino la futura ripresa nella direzione della salvaguardia del pianeta e del benessere sociale della collettività. Trasformando il nostro sistema economico in senso ecologico, mettendo al centro delle politiche la prevenzione e la riduzione dei rischi sanitari, rispondendo alle conseguenze derivanti dalla crisi climatica e di un sistema capitalistico rapace e distruttivo.

Rompendo i demenziali trattati europei dell’austerità, recuperando tutte le risorse economiche necessarie. Non in maniera occasionale ma in modo strutturale: non come elargizione ma come premessa per politiche economiche e sociali altre ed alternative.

Allargando il perimetro pubblico, a partire dalla sanità: più risorse, più personale, più ridondanza dei sistemi in modo da poter far fronte alle emergenze.

Con misure drastiche di prelievo sulla rendita fondiaria e finanziaria, che senza provvedimenti efficaci cresceranno ancora nel nostro Paese, con un ulteriore restringimento della base produttiva e allargamento delle già grandi diseguaglianze.

Nuovi e rinnovati interventi e proprietà pubbliche nell’economia si impongono per riconquistare una sovranità popolare solidale: non con le frontiere blindate a chi fugge guerra e miseria, ma con la possibilità di decidere della propria politica economica e sociale nell’ambito di un mondo ormai interdipendente. Non con la comunità di sangue invocata dai nazionalisti xenofobi, ma con la solidarietà di classe, interloquendo con quel poco che resta di borghesia manifatturiera, nel rispetto del dialogo e del conflitto sociale.

Il sindacato non deve annichilirsi in un presunto patto dei produttori a perdere. Non ne usciremo come ci siamo entrati: molto dipenderà dalla nostra capacità di iniziativa e di proposta. Per costruire un sistema nuovo e alternativo dal punto di vista economico, sociale e ambientale, senza asservimento alle multinazionali, alla finanza e al mercato. Smettendo di affossare il bene comune e lo Stato sociale. Smettendo di ridurre il cittadino-lavoratore a mero consumatore. Cosi come dovremmo ripensare al ruolo e alla divisione delle competenze tra Stato centrale e Regioni, tra Nazione e Unione europea, tra Europa e istituzioni globali. L’internazionalizzazione di un virus mette a nudo l’inconsistenza, il fai da te del regionalismo, dell’autonomia differenziata. Non c’è adeguata difesa e prevenzione dinanzi a un’epidemia globale se non si hanno politiche sanitarie e protocolli universali.

Questa emergenza esalta le nostre eccellenze sanitarie, la conquista della sanità pubblica universale, ma mette a nudo anche la nostra impreparazione a questa epidemia. Ci mette davanti alla gravità dei tagli imposti dalle spending review negli ultimi decenni, il blocco del turn over, la carenza dei medici e degli infermieri che, come aveva previsto l’Oms, ha reso debole la resistenza delle nostre società agli eventi come epidemie e disastri naturali.

La protezione civile per settimane ha avuto difficoltà a trovare e fornire a medici e infermieri mascherine, guanti e camici adeguati. Un Paese di 60 milioni di abitanti ha solo poco più di 5 mila posti di terapia intensiva, mancano 50mila medici e altrettanti infermieri, sono stati tagliati ospedali e posti letto, la ricerca è stata mortificata e ora la popolazione ne paga le conseguenze.

Non il mercato finanziario ma il finanziamento della salute pubblica garantisce crescita economica, benessere e prosperità sociale.

L’epidemia di coronavirus ci impone un’assunzione di responsabilità individuale e collettiva per bloccare l’espandersi del virus. Occorre difendersi individualmente e collettivamente seguendo le indicazioni della scienza e del governo per interrompere la propagazione del virus e non far saltare il sistema sanitario messo a dura prova, e che per ora regge grazie al lavoro e all’abnegazione dei medici, degli infermieri, del personale non sanitario, dei lavoratori degli appalti e delle cooperative.

Stare tutte e tutti a casa significa sostanzialmente stare nella propria abitazione se non si è impegnati in servizi essenziali per la salute pubblica e cambiare abitudini e comportamenti che permettano di non far collassare il sistema sanitario per il numero di pazienti che avranno bisogno di cure lunghe e importanti.

Tali misure devono andare di pari passo con il blocco degli sfratti e dei licenziamenti, la immediata soluzione dell’annoso problema del sovraffollamento delle carceri, la garanzia di sicurezza e continuità di reddito a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori indipendentemente dalla tipologia contrattuale, dipendente o autonoma, ma economicamente dipendente.

Occorre infatti prendersi cura di tutti i cittadini, dei lavoratori e delle lavoratrici a partire dai luoghi di lavoro, rispetto ai quali è necessario garantire le più strette norme di sicurezza, arrivando anche alla sospensione programmata delle attività produttive, garantendo salari e stipendi dei lavoratori.

 

PRIMO VIVERE, DOPO PRODURRE.

Non ci si salva affidandosi a Confindustria: noi stiamo con i lavoratori e le lavoratrici che scioperano perché impegnati in produzioni non essenziali per la salute e sicurezza della collettività in condizioni nelle quali non viene garantita la loro, di sicurezza ed incolumità.

Tutto ciò senza distogliere lo sguardo dalle emergenze umanitarie che non sono altra cosa da quella sanitaria. Alle nostre porte oltre un milione di persone fuggono dalla guerra siriana, molti stanno morendo tra stenti e gelo. Una disumanità intollerabile. Non siamo i soli a soffrire, ad affrontare gravi difficoltà: non ci salveremo da soli.

RISPETTIAMO LE DISTANZE FISICHE MA RIMANIAMO SOCIALMENTE E CULTURALMENTE UNITI E UMANI.

 

*) – Gli autori. Maurizio Brotini e Giacinto Botti sono membri del direttivo nazionale della Cgil

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