20060429 19:55:00 webmaster
Incriminato l’uomo della ortodossia neo-liberista in salsa brasileira e impalmato dal partito il presidente in vista delle elezioni di ottobre
di Maurizio Matteuzzi (da il Manifesto del 29.04.2006)
Fino a un mese fa la notizia sarebbe stata una bomba che avrebbe fatto saltare il banco e i mercati: il superministro dell’economia Antonio Palocci, il guru dell’ortodossia neo-liberista in salsa brasileira, indiziato dalla polizia federale di Brasilia. Quattro ipotesi di reato e tutte pesanti:
associazione a delinquere, rilavaggio di denaro sporco, peculato e spergiuro, in relazioni a presunti finanziamenti illeciti ricevuti per 30 milioni di reais (allora più o meno 10 milioni di euro) quando era sindaco di Riberão Preto, città dell’interno paulista. Elogiatissimo dal «mercato» e dagli organismi finanziari internazionali, criticatissimo dai settori di sinistra del partito suo e di Lula – il Pt – e anche dai settori produttivii (nel 2005 tassi d’interesse al 19-20%, superavit primario pari al 4.25% del Pil), Palocci ha dovuto dimettersi alla fine di marzo in seguito allo scandalo, ultima vittima di una bufera che l’anno scorso ha falcidiato gli uomini del governo e del partito più vicini a Lula se ha finora risparmiato il presidente da un possibile impeachment (anche se c’è una commissione parlamentare ancora in piedi) gli ha fatto il vuoto intorno.
Il sacrificio dei suoi uomini – José Dirceu, José Genoino e ora Palocci – però è anche servito a Lula, perché dopo un secco calo nei sondaggi è poi risalito – ora viaggia intorno al 40% contro il 20% del candidato della «socialdemocrazia» (la destra moderna) Geraldo Alkmin, ex governatore di San Paolo – pur se il Partido dos Trabalhadores pagherà lo scotto, in ottobre, del «tradimento» della fiducia che l’elettorato aveva riposto sul «partito dell’etica» nel 2002.
Alla fine di marzo Lula ha accettato le inevitabili dimissioni di Palocci – con cui diceva di essere unito «come l’unghia alla carne» – e ieri si è limitato a commentare la sua incriminazione come «un fatto normale in democrazia». Al suo posto, alle Finanze, Guido Mantega, suo consigliere economico da sempre, che nonostante avesse la fama di appartenere all’ala desenvolvimentista del Pt, si è affrettato a confermare la linea del rigore (anche se poi, a campagna ormai aperta, i cordoni della borsa statale si stanno, con prudenza, aprendo).
Lula deve ancora annunciare ufficialmente la sua (scontata) ricandidatura, ma ieri è stato già impalmato dal Pt che ha riunito il suo stato maggiore a San Paolo. La resa dei conti interna è rinviata al congresso nazionale della seconda metà del 2007, ora è il tempo del ricompattamento interno per vincere a ottobre le presidenziali e salvare il salvabile nelle parlamentari e amministative. Bisognava decidere la piattaforma elettorale, la politica di alleanze – ma, contro la sinistra interna che vorrebbe allearsi solo con «i partiti di sinistra», appariva scontato il prevalere della linea per la libertà di alleanza «con tutti i partiti» tranne i «socialdemocratici» del Psdb e i «liberali» del Pfl – e c’era attesa per l’intervento di Lula, che si prevedeva auto-elogiativo per le conquiste raggiunte in questi primi 4 anni. L’economia è stata più fumo che arrosto – 2.3% di crescita media – ma nel 2006 e 2007 (come sempre) ha garantito Mantega che andrà molto meglio – 4.5 o 5%- E poi c’è l’autosufficienza petrolifera giustamente celebrata da Lula giusto una settimana fa, che libera il Brasile, 30 anni dopo la scoperta dei primi giacimenti off-shorea, dalla dipendenza e anzi ne farà un paese esportatore di qui a qualche anno. E con il barile che punta ai 100 dollari, non è un viatico da poco.
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