1788 Israele: no all’Onu. Hezbollah: no alla tregua. Annan e gli europei per i caschi blu in Libano

20060718 15:13:00 webmaster

Shit», merda: è forse questa la parola chiave della giornata di ieri nell’escalation di guerra in Libano, dal punto di vista globale e in particolare della superpotenza Usa.

Autorevolmente, l’ha fornita il presidente degli Stati Uniti d’America, George W. Bush. Non sapeva di elargirla al pubblico mondiale, ma l’ha usata con il suo amico Tony Blair, a San Pietroburgo quando durante l’ultimo pranzo del G8 il premier britannico gli ha riferito lla proposta del segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che avrebbe poi condiviso in conferenza stampa.

Bush jr non si è avveduto della presenza di microfoni funzionanti e il colloquio tra i due ex massimi alleati della “Coalizione dei Volenterosi contro il Terrore” ha fatto il giro del globo.
La considerazione fatta da Bush jr a Blair suona così: «Vedi, l’ironia è che quel che (le Nazioni Unite, ndr) dovrebbero fare davvero, è di convincere la Siria a fermare questa merda». Chiarendo ancora, quanto ad Annan: «Non vedo la logica, la sua idea è che col cessate il fuoco succede tutto il resto». E aggiungendo poi, esplicitamente: «Mi sento tanto di dire a Kofi che si attacchi al telefono con Assad». Come a dire: al diavolo la proposta Onu, bisogna esercitare la pressione internazionale sui nemici di Israele, cioè su Damasco, cioè sull’alleato dell’Iran. E’ esattamente la linea con cui l’ambasciatore statunitense al Palazzo di Vetro, il falco neocon John Bolton, si è recato nel pomeriggio (italiano) a bloccare per la seconda volta il corso del Consiglio di Sicurezza riconvocato sulla crisi, dopo il che domenica il premier libanese Fuad Siniora aveva rinnovato la richiesta d’un cessate il fuoco immediato accompagnata dall’offerta dello «stabilimento, con la cooperazione dell’Onu, dell’autorità del governo nazionale su tutto il territorio». Ossia, anche nel Sud del Libano dove sono schierate le forze dell’Hezbollah.
Era stata, quella così esibita da Siniora, la sponda offerta immediatamente ad una prospettiva ventilata proprio all’inizio del G8 dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Romano Prodi: lo schieramento di una forza multinazionale di interposizione al confine con Israele, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Quella che è diventata la proposta di Annan, affiancato significativamente proprio da Blair, ieri al termine del vertice russo degli Otto Grandi.
La proposta di una forza di “caschi blu” di interposizione, che Blair ha precisato dover essere «molto superiore a 2mila uomini» ossia il numero attuale di militari osservatori dell’Unifil in Libano e che Prodi ha precisato nella cifra di «10mila», è stata quindi esplicitata dal segretario generale dell’Onu e dal primo ministro del Regno Unito, ribadendo la richiesta di tregua immediata, malgrado il disprezzo mostrato dal grande alleato Usa. Che però ne rappresenta concretamente l’ostacolo insormontabile.
Perché per essere attuata, l’idea lanciata da Annan e Blair e sostenuta finalmente da un fronte europeo con sponda russa, ha bisogno di una deliberazione del Consiglio di Sicurezza. La cui riunione di ieri, non impegnata a decidere alcunché, ha chiarito che se ne potrà parlare solo dopo il ritorno della missione diplomatica inviata in Medio Oriente da Annan stesso. Il che sposta l’inizio della discussione effettiva a giovedì. Mentre ieri Bolton ha appunto rilanciato, in negativo: già prima di entrare nella riunione, ha dichiarato ai giornalisti che si aspettava di «discutere del nucleare iraniano» ma «i rappresentanti dell’Iran in Medio Oriente, cioè Hamas e Hezbollah, hanno ovviamente deciso altrimenti, ed ecco la ragione per cui oggi parliamo di Libano». Un messaggio che scopre le carte del confronto con la Repubblica Islamica, insieme alla Siria accusata di manovrare il “Partito di Dio” di Nasrallah. E chiamata da Bolton, «se volesse contribuire positivamente alla pace», a dimostrarlo in un solo modo: facendo «rilasciare i soldati israeliani prigionieri» di Hamas come di Hezbollah. Unica condizione per il cessate il fuoco, che così si darebbe «nello spazio di nanosecondi».
Un’eco diretta, a mostrare la solidità dell’asse Washington-Tel Aviv, delle parole usate dal premier israeliano Olmert: che ha in serata accusato la Siria di «incoraggiare» e l’Iran di «finanziare» il «terrore». Usando un tipico linguaggio bushiano, Olmert ha paralto dei due Paesi come «l’asse del male» mediorientale. Per dire in concreto, però, che Israele non fermerà le operazioni militari in Libano finché non avrà ottenuto il rilascio dei due soldati presi prigionieri dall’ala armata dell’Hezbollah, Resistenza Islamica. Questo, dopo che il suo vice aveva già commentato come «immatura» la proposta lanciata da Annan. E mentre il Jerusalem Post andava in stampa rivelando che lo stato maggiore di Tsahal ha valutato in «almeno una settimana» il tempo ancora necessario alle operazioni, con l’obiettivo di «neutralizzare la capacità offensiva» di Hezbollah. Mentre il Libano è fatto a pezzi e muoiono sotto i bombardamenti i civili in fuga.
Quel che è accaduto sul fronte politico occidentale è certamente una novità: l’allineamento di Blair alle Nazioni Unite, sotto la pressione d’una convergenza europea che ha visto silente la Germania della “Grande Coalizione” di Angela Merkel ma attivamente protagonisti i governi di Italia e Spagna, oltre la Francia tradizionalmente legata alle sorti libanesi, con Chirac a definire «aberrante» l’offensiva israeliana e a chiedere «mezzi di coercizione» per la futura interposizione. Eppure, gli Usa non cedono ancora. E gli annunci di Tel Aviv fanno intendere che il governo d’Israele conta su questa copertura per guadagnare giorni e risultati sul campo. Rendendo innocua la proposta stessa dell’invio di “caschi blu” e soprattutto separando, con una sconfitta sul terreno dell’Hezbollah, la coniugazione delle risposte internazionali alla crisi libanese con quella palestinese.
Questa tattica consegna di fatto al “Partito di Dio” – e a chi lo sostiene – l’ultima parola sulla pace, secondo lo schema esplicitato da Bolton. Se si protrarrà oltre giovedì la discussione Onu, vincolante anche per i ministri degli Esteri europei riuniti ieri ma non pronunciatisi sulla proposta-fotocopia di interposizione portata da Moratinos a nome di Zapatero, la forza di Tsahal cercherà di conseguire il fine di neutralizzare i miliziani sciiti. Occorre vedere quale sarà la loro risposta: fatta per ora di attacchi continui sulle città del Nord di Israele e di esibizione della dotazione tecnologica. Che evoca continuamente il coinvolgimento iraniano. E giustifica, insieme all’ostinazione aggressiva degli israeliani, il pessimismo radicale dell’inviato europeo Solana, tornato ieri da Beirut allattando col biberon un bimbo libanese rifugiato dai bombardamenti. Non è detto che la commozione riuscirà a sbloccare la perversa macchina di una politica mondiale bloccata dalle scelte di guerra della sua leadership in questi anni.

di Anubi D’Avossa Lussurgiu (martedì 18 luglio)

http://www.liberazione.it

 

 

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