2327 Inas: Dar vita ad un "servizio attivo" verso gli italiani che vivono il mondo

20061019 13:15:00 webmaster

Ogni tanto fa bene ricordarlo. Perché poi i numeri e le quantità costituiscono il fondamento di ogni corretto ragionamento. Sono 3 milioni e mezzo gli italiani che vivono fuori confini e 60 milioni gli oriundi.
Lo spunto per riflettere ce lo offre il "Rapporto sugli italiani nel mondo" redatto da un pool di organismi sociali (di cui fa parte anche il nostro patronato Inas) guidato da Caritas/Migrantes.

Tra le tante sollecitazioni emerse durante la presentazione del dossier ai
primi di questo mese, scegliamo però una filiera di considerazioni che
privilegia la nuova emigrazione che è poi l’emigrazione nel futuro
italiano e di molti consimili paesi del "primo mondo".
Abbiamo ricordato tante volte la vecchia emigrazione, quella "avventurosa"
e "ideologica" della prima metà dell’800 simbolicamente rappresentata
dall’epopea garibaldina nell’America latina, ma anche da correnti
libertarie e poi anarchiche nel Nord America. Abbiamo tante volte
ricordato l’emigrazione degli Italiani del Settentrione, incastonatasi
nella memoria collettiva attraverso le pagine deamicisiane sulla rotta che
portava dagli Appennini alle Ande (ma anche verso la Francia o la Svizzera
e nell’Est europa). E infine torniamo continuamente sull’emigrazione dei
meridionali, nelle due tappe del primo 900 e del secondo dopoguerra, una
storia non sempre piena di successi e di fortuna (che pur tuttavia non
mancano e sono talvolta perfino esemplari). Molti degli ultimi
rappresentanti di questa fase migratoria in verità, vecchi, malati e
poveri, sopravvivono nell’indigenza con una delle 58 mila pensioni
maturate con gli avari contributi pagati dalle imprese italiane a cavallo
tra gli anni 40 e 50 e con le ancora più problematiche prestazioni
previdenziali di paesi economicamente e finanziariamente travagliati. E
ciò dopo aver contribuito al benessere della madrepatria con le loro
rimesse che negli ultimi 30 anni del secolo scorso toccavano un totale di
quasi 30 miliardi di dollari.
E’ questa la gente cui viene lesinato qualche piccolo sollievo di assegni
di assistenza sociale. E’ questa la gente che bussa alle porte dei nostri
patronati all’estero.
Ma dicevamo della nuova emigrazione italiana. Il Rapporto Migrantes
sottolinea che ogni anno partono dal nostro Paese 3.300 laureati, in
maggioranza maschi. Negli ultimi anni, attratti da università, centri di
ricerca, grandi imprese e banche, questa emigrazione qualificata ha avuto
un incremento del 53,2 per cento. Il totale di 39 mila unità nel 2001,
adesso sfiora quota 60 mila. Il flusso si dirige innanzitutto verso gli
Usa ma anche Londra e la Gran Bretagna sono tra le mete preferite oltre la
Svizzera dove insegnano 267 accademici connazionali. Consistenti nuclei di
laureati italiani si concentrano poi in Brasile e Argentina. Insomma:
nuova e prestigiosa linfa si aggiunge a quella formata da "italiani di
successo" che innerva le elites dirigenti di tanti paesi amici. E
ricordiamo innanzitutto i 359 parlamentari oriundi italiani. E ricordiamo
che nei due più grandi paesi sud americani, più del 20 per cento degli
italiani residenti sono imprenditori e molti altri sono lavoratori
autonomi e professionisti.
Il nostro patronato Inas ha in cantiere un ambizioso progetto di
assistenza, consulenza, rappresentanza, tutela e "servizio attivo" verso
questi connazionali che già vivono il mondo e che progettano di
"conquistarlo" con la loro generosità, intelligenza e intraprendenza. Non
siamo infatti ( e non lo è il sindacato nel quale siamo organizzati) tra
quelli che piangono passivamente sulla "fuga dei cervelli", limitandosi a
denunciare il fenomeno e a invocare provvidenze e incentivi che magari si
fermano ai piani alti delle istituzioni accademiche e della ricerca, senza
arrivare ai famosi "giovani capaci e meritevoli" di cui ci si riempie
demagogicamente la bocca. Vogliamo invece portare il nostro contributo
alla costruzione e al pregresso di un mondo aperto nel quale la custodia,
la cura e l’amore per la propria identità culturale, nazionale,
spirituale, siano lievito di una universalità integrata, capace di
reciproco interesse (e non soltanto rispetto e tolleranza) per la
diversità degli apporti di ciascuna persona umana. Al di là di ogni ghetto
e di ogni artificiosa separatezza, dietro le cui mura può soltanto
allignare la mala pianta dei diritti negati e dalla dignità umiliata

 

 

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