4195 Permessi di soggiorno, a Roma in piazza il popolo degli invisibili

20080109 11:42:00 redazione-IT

In migliaia hanno preso parte alla manifestazione promossa dall’associazione Bangladesh in Italia per chiedere al governo un permesso per motivi umanitari, visti i gravi problemi del loro Paese

Manifestazione dei Bangladesi a Roma
© Foto: Mariangela Paone

ROMA – Lo avevano annunciato: torneremo in piazza in migliaia per chiedere al governo italiano una risposta chiara. E sono davvero migliaia i cittadini della comunità bangladese in Italia che stanno manifestando a Roma per chiedere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. L’appuntamento era per le 9 di questa mattina a Piazza Esedra ma il vero afflusso è arrivato dopo le 10,30 quando ai bangladesi residenti a Roma hanno iniziato a unirsi decine di connazionali provenienti da Napoli, Firenze, Genova e Milano.

Poco dopo è partito il corteo e per via Cavour ha iniziato a sfilare un lungo serpentone umano come di solito capita solo nelle manifestazioni promosse dalle grande organizzazioni. La manifestazione è ancora in corso e dovrebbe terminare a piazza San Giovanni. L’associazione Bangladesh in Italia è riuscita a portare in strada una parte di quel popolo di invisibili che da anni vive e lavora clandestinamente nel nostro paese. Una comunità, quella bangladese, di circa 20mila persone, concentrate soprattutto a Roma e nelle grandi città, che chiede di vedersi riconosciuto il diritto all’esistenza provenendo da un Paese afflitto in questo momento da una doppia emergenza. Quella politica, con un governo ad interim appoggiato dai militari che da mesi rimanda la convocazione di libere elezioni. E quella ambientale, con un terzo del paese devastato due mesi fa dal passaggio del ciclone Sidr.

Da tempo i rappresentanti della comunità chiedono al governo italiano un intervento per il rilascio di permessi di soggiorno umanitari, a partire dalle persone che provengono dalle aree colpite dal ciclone e che non possono far ritorno nel paese per aiutare i propri familiari. Dopo le manifestazioni davanti al Senato e al Viminale, il 21 dicembre si era svolto un incontro con il sottosegretario all’Interno Marcella Lucidi e il sottosegretario al ministero della Solidarietà Sociale Cristina De Luca. In quell’occasione dalle istituzioni italiane era arrivata la promessa di una soluzione entro Natale e l’avvio di un tavolo di lavoro. Una promessa non mantenuta e che ha spinto la comunità a scendere di nuovo in piazza. “I politici italiani ai media e nelle conferenza stampa continuano a esprimere la loro solidarietà per il nostro popolo – grida dal camion che apre il corteo, Abu, portavoce della comunità bangladese di Napoli da cui sono arrivati otto pullman – Esprimere solidarietà vuol dire dare dignità a chi vive in questo paese. dare solidarietà è guardare in faccia le persone e vederle non come numeri ma come esseri umani. Dietro ciascuno dei 20mila bangladesi in Italia ci sono migliaia di famiglie che aspettano un aiuto da noi che lavoriamo qui ogni giorno, facendo le pulizie, lavorando nelle fabbriche, facendo gli ambulanti o lavando i vetri ai semafori. Il governo Prodi non può limitarsi a esprimere solidarietà. Deve guardare in faccia le persone”.

Dure le critiche al governo. “Se Berlusconi con la Bossi-Fini – continua il portavoce – ha rovinato la vita degli immigrati, questo governo da due anni la sta peggiorando. Il decreto flussi è una truffa. le persone per cui si richiede il permesso vivono già tutte in Italia. Come si fa a chiedere di ritornare in Bangladesh per avere il visto?”.Una domanda che per ora rimane senza risposta e che risuona nelle orecchie dei tanti tra i partecipanti al corteo che pensano al tempo, al denaro e alle sofferenze costate per entrare la prima volta in Italia per poi rimanere per anni clandestino. (mp)

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”Abbiamo pagato migliaia di euro e non è servito a niente”

Le storie dei bangladesi che vivono con il miraggio del permesso di soggiorno. Sono arrivati clandestini dopo un lungo viaggio. E clandestini continuano a vivere, lavorando in nero nei ristoranti di Roma e nelle fabbriche campane
Alcuni manifestanti Bangladesi a Roma © Mariangela Paone

ROMA – Sono arrivati in Italia clandestini dopo un viaggio che in alcuni casi è durato anni. E clandestini da anni continuano a vivere, lavorando in nero nei ristoranti di Roma e nelle fabbriche campane. le storie dei cittadini bangladesi residenti nel nostro paese sono tutte diverse e tutte uguali. Diverso è il percorso seguito per entrare in Italia, uguale è la situazione che molti vivono dopo anni dall’arrivo.

Younus, 38 anni, è arrivato in Italia nel 2003 dopo essere partito dal Bangladesh tre anni prima. Entrato in Turchia con un visto per motivi di studio all’università non c’è mai andato. Quindici giorni dopo è partito per la Grecia dopo aver pagato l’equivalente di 2mila euro. Due anni più tardi, dopo essere riuscito a raccogliere il denaro necessario, altri 1500 euro, è partito per l’Italia, nascosto in un vano appositamente ricavato sotto un camion. “Il viaggio – racconta – è durato 20 ore. Stavamo sdraiati e ogni tanto ci portavano acqua e biscotti. Quando siamo arrivati ad Ancora in treno ho raggiunto Roma dove mi aspettavano alcuni amici che avevo contattato. Poi dopo qualche mese sono partito per Lamezia terme”. Qui, Yunus, ha lavorato per due anni come cuoco. In nero. Spiega che il “padrone” era un noto uomo politico della zona. “Una brava persona”, dice anche se non ha mai presentato per lui la richiesta di permesso di soggiorno. Una richiesta che nessuno ha fatto costringendolo a vivere da clandestino da ormai più di 4 anni. Da quando è partito dal Bangladesh ne sono passati quasi il doppio. Otto anni senza vedere la propria moglie e la propria figlia, ora diciottenne. “Si è sposata due settimane fa – racconta – e io la ricordo ancora piccolina. Non posso tornare nel mio paese e qui non ho un lavoro”.

Un lavoro Kajol invece ce l’ha. In nero, in un ristorante a pochi passi da Piazza della Repubblica. Lavora tre giorni a settimana e alla fine del mese guadagna 300-350 euro. 150 servono solo a pagare il posto letto nella casa su via Prenestina che condivide con altri sette connazionali. Anche lui parlando del suo datore di lavoro lo chiama il “padrone”. “Ho chiesto al padrone – spiega – di aiutarmi ad avere il permesso di soggiorno. Gli ho detto che avrei pagato io tutto il necessario. Ma dice che non può. Che ora non può e che lo farà forse la prossima volta che il governo farà presentare le domande”. Kajol ha 24 anni ma ne dimostra molti di più. Per arrivare in Italia ha fatto un giro molto lungo. Dal Bangladesh è partito per Hong Kong. È stato un anno in Cina e poi è ripartito e in aereo ha raggiunto la Polonia. Da lì in macchina per la Germania e poi in Italia. “Tutto mi è costato in totale 15mila euro. E non è servito a niente. Non so come fare – dice – non riesco a mandare nemmeno un euro a casa. Sono disposto a pagare per ottenere il permesso ma se poi, come è successo ad alcuni miei amici 5 anni, chi ti chiede i soldi ti da’ un documento falsificato, che faccio? Butto via altri anni?”. (mp)

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I bangladesi, operai senza diritti nelle fabbriche campane

Salari miseri senza nessuna garanzia. Con lo straordinario pagato tre euro l’ora. Il racconto dei giovani bangladesi della comunità di Palma Campania. In molti hanno partecipato alla manifestazione di Roma
Banglesi a Roma Testa del corteo © Mariangela Paone

ROMA – Operai in fabbrica per salari da fame di cui nessuno chiederà l’aumento perché non sono registrati in nessun libro contabile. È la situazione di tanti dei bangladesi che stamane hanno partecipato alla manifestazione di Roma. Molti sono venuti dalla Campania da dove sono partiti otto pullman. Un nutrito gruppo è arrivato da Palma Campania. È qui che Abib, 23 anni, lavora cucendo pantaloni in una fabbrica per 3/-4 euro l’ora. È arrivato in Italia passando dalla Grecia dopo aver sborsato 3mila euro. Dopo quattro anni finalmente a dicembre ha potuto partecipare alla lotteria dei flussi. Spera che a lui vada meglio del suo amico Alam, anche lui in Italia da 4 anni. Lavora in nero per 700-800 euro al mese come saldatore in un’impresa della zona, otto ore al giorno. “Ho fatto richiesta per il permesso di soggiorno nel marzo 2006 – racconta – ma non ho ancora saputo niente. Ho riprovato anche ora. Non so che succederà”. Un’incertezza che è già una fortuna rispetto ai tanti che il tentativo non hanno potuto nemmeno farlo.

Mentre il corteo sfila per via Cavour dove riecheggia lo slogan della manifestazione “Vogliamo subito il permesso di soggiorno”, incontriamo Bursan, anche lui partito giovanissimo, e anche lui operai al nero a Palma Campania, nelle fabbriche dell’abbigliamento made in Italy. Fa il ricamatore e guadagna 170 euro a settimana, lavorando 9 ore al giorno. “Quando faccio lo straordinario – racconta – ogni ora in più me la pagano tre euro. Una parte dei soldi mi serve per l’affitto”. Circa 70 euro al mese per un posto letto in un appartamento di quattro locali con tre/quattro persone per camera. “Il costo del posto letto varia – spiega – a seconda delle disponibilità di ciascuno. Cerchiamo di aiutarci a vicenda”. Una solidarietà indispensabile e che a ciascuno richiede l’ennesimo sacrificio. (mp)

www.redattoresociale.it

 

 

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