4212 Su Gente d’Italia, in esclusiva, parla un figlio di desaparecidos affidato a genitori collusi

20080112 22:45:00 redazione-IT

Montevideo – “Non è tutto bianco o tutto nero. La vita, la storia, le persone hanno ognuna delle sfumature diverse. Alcune riesco a vederle solo ora”. Nessuno di noi puo’ davvero capire cosa prova Carlos D’Elia De Luccia, figlio di una coppia di desaparecidos uruguayani strappato a sua madre quando aveva poche ore di vita e cresciuto nella convinzione che i suoi genitori fossero quella coppia di ex collaboratori della dittatura argentina che lo hanno avuto per figlio fino ai suoi 17 anni.
Carlos ha deciso di raccontare la sua storia a Gente d’Italia, quotidiano delle americhe diretto da Mimmo Porpiglia. E’ la prima volta che un figlio di desaparecidos affidato a genitori collusi col la dittatura parla con i media.

“Mi hanno cresciuto con amore” ripete, sferrando un colpo deciso al nostro sguardo europeo che non ammette altro che condanna e aberrazione per il crimine di “adozione forzata”. Carlos è un hijo, uno dei tanti bambini fatti nascere nei centri di detenzione clandestini dai regimi sudamericani, e che le organizzazioni delle Abuelas – la più celebre è quella argentina di Plaza de Mayo- stanno cercando di “recuperare” alla verità. Hanno tutti più o meno la stessa età di Carlos, 30 anni, e più o meno la stessa storia, incomprensibile, allucinante per noi. Hanno la vita divisa a metà tra prima, quando credevano di essere qualcuno, e dopo quando hanno scoperto di essere qualcun’altro. Una realta’ raccontata in Italia dal film di Marco Bechis “Figli-Hijos” con Stefania Sandrelli vincitore di un premio al Festival di Venezia.
Si stima che 200 bambini siano nati in prigionia, e più di 50 sono stati ritrovati. Di questi molti stati riuniti alle loro famiglie biologiche con l’aiuto delle Nonne di Plaza de Mayo. "Le forze armate provavano un orgoglio perverso nell’uccidere i sovversivi e risparmiare i loro figli per affidarli a famiglie di militari"’ dice Estela Barnes de Carlotto, presidentessa dell’Associazione argentina. Nel 1983, il presidente Raul Alfonsin istitui’ una Banca Nazionale di Dati Genetici per raccogliere i campioni di sangue dei parenti delle vittime della "guerra sporca". E da lì si riaprtiti per cercare la verità degli hijos.
La vera mamma di Carlos, Yolanda Casco venne sequestrata insieme al marito, Julio Cesar d’Elia il 22 dicembre del 1977. Il loro caso è tra quelli per cui è stata aperta un’inchiesta a Roma dal procuratore Giancarlo Capaldo sul Plan Condor che ha portato all’arresto di un ex miliatre uruguayano alla vigilia di Natale in provincia di Salerno. La giovane mamma aveva 31 anni quando il 26 gennaio del 1978 ha dato alla luce il piccolo. Si trovava nel Pozo di Banfield, il centro di detenzione argentino tristemente noto da cui sono uscite vive solo poche persone. Una di loro e una delle poche che ha avuto la forza di parlare è stata Adriana Chamorro, colei che ha permesso con la sua testimonianza di recuperare più di un hijo, oltre che di rendere pubbliche le atrocità compiute nel centro di tortura. Il parto venne assistito dal medico legale Jorge Bergés che in tribunale ha poi ammesso di aver firmato un atto di nascita falso e di aver aiutato la coppia argentina Leiro-De Luccia ad avere il neonato come figlio proprio. Carlos, secondo alcune testimonianze, era ancora sporco del sangue di sua madre quando fu consegnato nelle mani della sua madre illecita Martha. La nonna uruguayana del ragazzo lo ha individuato nel 1995. I test del DNA lo hanno dato come figlio della coppia Casco-D’Elia al 99,9 percento. Ma il processo e’ arrivato solo nel 1998. Sul banco degli imputati c’era Martha, quella che lo aveva cresciuto con amore, “e che mi ha dato un’infanzia ed un’adolescenza uguale a quella dei miei coetanei”, aggiunge il ragazzo che per la prima volta in vita sua, con noi, ha accettato di parlare alla stampa. Il marito di Martha, l’ex tenente di vascello della Marina argentina, Carlos De Luccia era già morto. Il dottor Berges che ha testimoniato, ha potuto beneficiare della legge argentina di obbedienza dovuta ed è stato assolto.Ora è in prigione per altri crimini. Marta De Luccia è stata invece condannata a 3 anni di reclusione. “Per me è stato uno shock molto forte. Soprattutto nei primi mesi quando mia madre, Martha, era in prigione ed io ho dovuto affrontare la realta’ da solo. A quel tempo alcune organizzazioni delle Abuelas e degli Hijos hanno tentato di avvicinarmi, di offrirmi il loro aiuto, ma io avevo dei pregiudizi nei loro confronti. Credevo fossero tutti molto ideologici e li ho tenuti a distanza”. La prima volta che ha incontrato la sua vera nonna, nel 1995 è stato nello studio di un giudice. La seconda in un’associazione per minori. Poi è cominciato un lungo, lento cammino di avvicinamento alla sua famiglia biologica durato 10 anni. Solo nel 2005 con un viaggio a Montevideo è scattato qualcosa. “Ho cominciato a percepire i vuoti della mia vita. Da anni mi raccontavano cose che mi sarebbero dovute appartenere, ma che non potevo sentire mie. Solo durante quel viaggio ho sentito il bisogno di colmare quel vuoto. Al mio ritorno a Buenos Aires mi sono messo anche io a cercare la verita’ sui miei genitori”. In nome di quello stesso diritto di sapere Carlos D’Elia lancia, attraverso il nostro giornale, un appello alla giustizia italiana e all’informazione “So pochissimo dell’inchiesta italiana. Non riesco ad avere informazioni e vorrei sapere chi sono le altre persone coinvolte. Ho appreso dell’inchiesta del pm Capaldo guardando la televisione argentina. Vorrei sapere come si comportera’ il Tribunale di Roma. Se ci sono margini per l’estradizione. Cosa dobbiamo aspettarci. Ma soprattutto vorrei sapere cosa posso fare io per sapere la verita’ e fare in modo che anche gli altri la sappiano”. La Procura Roma è più che restia a parlare, la stampa italiana sta occupandosi saltuariamente della vicenda. Carlos è un giovane realista. Si rende conto che l’attenzione sull’argomento dei desaparecidos è esposta come altri agli indici di gradimento, ai trend, alle volontà politiche.
Dalla sua casa di Buenos Aires guarda le telenovelas che oggi finalmente fanno qualche meno timido riferimento ai crimini della dittatura. Guarda i programmi di prima serata che come in una specie di “Carramba che sorpresa” rimettono insieme amicizie e famiglie sventrate negli anni Settanta. E non se ne amereggia. Dice che bisogna vederne il lato positivo, che se servono a diffondere notizie, a mantenere la memoria vanno accettate, anche se per chi è stato toccato in prima persona non è bello vedere il proprio dolore sulla passerella. “E’ molto importante sapere che alcuni dei responsabili oggi sono in carcere. Penso ai militari argentini. Allo stesso Jorge Bergés, il medico che mi ha fatto nascere. Agli uruguayni condannati poco fa. A Jorge Troccoli arrestato in Italia. E’ importante che siano detenuti, che paghino. Ma sul piano della conoscenza della verità gli arresti non hanno portato nulla. Io piu’ della giustizia, voglio la verità”.
Oggi sua nonna Renee ha 85 anni. E’ ancora combattiva. Ha lo stesso coraggio che l’ha portata fino a riprendersi suo nipote. Le avevano detto che suo figlio aveva avuto una bambina e che era morta con tutta la famiglia. Non ci ha creduto. L’hanno minacciata. Non si è mai tirata indietro. Oggi come allora vive a Montevideo. "Sto pensando di farmi avanti in prima persona", racconta Carlos, “fino ad oggi è stata lei a lottare per la verità. E’ stata lei ha trovarmi. Lei a costituirsi insieme ad altri genitori di desaparecidos di fronte alla giustizia italiana. Vorrei raccogliere il suo testimone”. E Carlos d’Elia, impugnando il suo passaporto italiano, forse cominciare proprio dall’Italia.

Si stima che 200 bambini siano nati in prigionia, e 55 sono stati ritrovati. Di questi, 30 sono stati riuniti alle loro famiglie biologiche con l’aiuto delle Nonne di Plaza de Mayo, un gruppo per i diritti umani formato da persone i cui figli e nipoti sono scomparsi durante la repressione.
"Le forze armate provavano un orgoglio perverso nell’uccidere i sovversivi e risparmiare i loro figli per affidarli a famiglie di militari che insegnassero loro le malvagità del terrorismo" dice Estela Barnes de Carlotto, presidentessa delle Nonne di Plaza de Mayo.
Nel 1983, il presidente civile Raul Alfonsin ha istituito una Banca Nazionale di Dati Genetici per raccogliere i campioni di sangue dei parenti delle vittime della "guerra sporca".
Le Nonne hanno depositato in questa banca campioni di sangue nella speranza che ragazzi curiosi che sospettano di essere stati adottati illegalmente possano fare i test.
"I bambini che vennero rapiti hanno ora mediamente 27 anni" dice la signora Carlotto. "e così ci auguriamo che si presentino spontaneamente"
"Abbiamo già appurato 55 casi, e Carlos sta per diventare il 56esimo" continua "ogni caso rappresenta un trionfo della verità sulle bugie, sull’orrore e sull’inganno".

Gente d’Italia/Eminotizie

 

 

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