4315 Silvana Mangione (CGIE-USA): Gli italiani all’estero e la crisi di governo

20080206 11:47:00 redazione-IT

“A Modo Mio” di Silvana Mangione su “ Gente d’Italia”

NEW YORK – E noi? Noi, gli italiani all’estero? Dove siamo noi in questa crisi di governo? Chi si sta occupando di noi, da una parte o dall’altra? Spero che qualcuno si stia ponendo queste domande, che la polarizzazione esistente ovunque in maniera sempre più cruda e dura non ci abbia fatto dimenticare la questione fondamentale.
Noi siamo gli italiani all’estero, gli emigrati, i pensionati e le madri di famiglia, i cervelli in fuga, i manager rampanti, gli artisti all’assalto, gli intellettuali, i pensatori e i poeti, gli imprenditori e gli artigiani – chiamiamoci come siamo e come vogliamo – ma sempre e comunque italiani che vivono fuori d’Italia.

Quali leggi che ci interessano davvero sono state approvate negli ultimi dieci anni? Una, importantissima, con il suo corollario: nel 2000 la modifica costituzionale che istituisce la circoscrizione estero con i dodici deputati e i sei senatori ed il suo corollario nel 2001, la legge ordinaria che dice come vanno eletti i magnifici diciotto.

In dieci anni e tre parlamenti di segno diverso e alternato non si è riusciti a fare una legge che dia senza scadenze la possibilità di riacquistare la cittadinanza a chi l’ha perduta in virtù della normativa del 1912.

Una legge che tolga un peso dal cuore a migliaia di italiani costretti ad essere stranieri in tutto il mondo ed a sentire che “mamma Italia” li ha rinnegati come figli. Una legge che tolga la mostruosità per cui i figli di madre italiana nati prima del 1948 sono stranieri, mentre i nati dopo il 1948 sono italiani. Questa volta sembrava che fosse arrivata in dirittura d’arrivo. Dopo tutto un riassetto della cittadinanza, che tenga conto sia degli e–migrati sia degli im–migrati, è assolutamente necessario e poteva mettere d’accordo le due anime del Parlamento: quelle ferme al quadro di chi sta in Italia e quelle sensibili alle realtà dei cittadini all’estero.

Ormai, lo sappiamo bene, in qualunque modo si risolva questa crisi, la “nostra” legge non passerà, perché anche se si andasse ad un governo di salute pubblica l’unico ed esclusivo tema dibattuto a sangue sarà quello della nuova legge elettorale, che ogni partitone, partito, partitino e partituscolo vuole disegnata a sua immagine e somiglianza, per la vittoria alle urne e la conseguente perpetuazione degli scranni, i poteri, le presenze, i “sound bites” televisivi della durata di tre secondi, i “distinguo”, gli “oppongo”, i veti incrociati, la paralisi della “res publica”.

Per fortuna la splendida Italia, che c’è ed è viva e vitale, continua a produrre e scintillare, malgrado questi e quelli, malgrado tutto e tutti. Parlavamo pochi giorni fa con un deputato italiano che ha un fratello a New York.

Gli abbiamo chiesto se la presenza dei senatori eletti all’estero, che ha consentito la breve vita del governo uscente, abbia avuto l’effetto positivo di aprire il dialogo sull’”Italia fuori d’Italia”, un dialogo né cuoristico né trionfalistico né opportunistico.

Ci ha detto di no. Dichiariamolo ad altissima voce: siamo stanchi delle moine e delle carezze, nelle infinite versioni linguistiche che vanno da “importanti risorse economiche”, ad “ambasciatori d’Italia” all’estero e consimili zuccherini, che tradotti in termini pratici significano: “come possiamo continuare a spremere il limone?”. Il limone è pronto ad accettare la spremitura, ma – come abbiamo sempre detto – su basi paritarie. Neppure la logica consente che da una parte si esaltino le doti e le caratteristiche di un’intera categoria di persone e dall’altra le si tenga – per così dire – “a tutela”, come se fossero incapaci di intendere e di volere, come se non avessero le capacità intellettuali e civili di contribuire alla crescita morale e civile di un’Italia che mai come in questo momento ne ha avuto un enorme bisogno.

L’abbiamo detto mille volte. “Repetita juvant”, dicevano loro, i latini. “Tutto è già stato detto”, scriveva André Gide, e concludeva: “ma poiché nessuno ascolta, bisogna sempre ricominciare da capo”.

Ricominciamo pure da capo. Quale logica irragionevole condiziona la coscienza collettiva italiana a credere che la vita dei connazionali all’estero sia piena di storie di successo che vanno sfruttate fino all’osso, ma, contemporaneamente, che gli italiani all’estero non siano portatori di pensiero, prima di tutto politico, che possa contribuire a far uscire questa nostra povera Italia dal provincialismo consolante, soffocante, schiacciante, paralizzante nel quale giace?

In realtà, con nostra buona pace, dobbiamo convincerci di essere diventati “il diverso”, come “il diverso” sono gli immigrati in Italia e di fare la stessa paura che “il diverso” fa ad una società arroccata e chiusa su piccoli tornaconti egoistici e violentemente contraria al concetto che “il diverso” possa offrire un arricchimento di idee e di cultura. Il nuovo “mantra”, ripetuto ossessivamente per raggiungere il “nirvana” dell’obliterazione dell’emigrazione tradizionale, è quello dell’esaltazione dei cervelli in fuga e dei giovani.

Ci va benissimo. Ci andrebbe meglio se anche su questi due temi si facesse qualcosa di più della retorica. In realtà, pochissimi ricercatori, che hanno trovato ambienti favorevoli all’estero, rientrano in Italia e, di questi, pochissimi rimangono, perché non sono state cambiate davvero le leggi che ne consentirebbero il recupero, ad esempio, eliminando i baronati universitari e lo sfruttamento senza compartecipazione agli utili derivanti dalle loro scoperte.

Quanto all’altra basilare componente del futuro delle nostre collettività, chiediamo dal 1993 una Conferenza nazionale dei giovani, ma ne abbiamo atteso invano l’indizione, malgrado ci sia stato un laboratorio intitolato: “Le nuove generazioni: tendenze, aspettative, richiami, opportunità”, realizzato a Campobasso in occasione della Prima Conferenza degli Italiani nel Mondo, nel 2000, ed una serie di iniziative da parte del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.

Il temibile risultato prossimo è che l’Italia perderà il patrimonio irripetibile, costituito dai suoi figli e discendenti all’estero se non riconoscerà al più presto che il nostro mondo, fuori dalle barriere territoriali del Bel paese, è portatore di un’enorme ricchezza culturale, che è assolutamente necessario mettere in gioco nel quadro sia della mondializzazione dei rapporti fra i popoli sia della globalizzazione delle economie. (Silvana Mangione*-Gente d’Italia/Inform)

*Consigliere CGIE Usa e componente del CdP

 

 

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