4298 Manifesto anti-aborto, Turco: «Crudeltà insensata»

20080204 22:14:00 redazione-IT

Dopo l’attacco alla 194 del Manifesto anti-aborto dei medici cattolici romani, con il placet del Papa, interviene il ministro della Salute, Livia Turco: «Niente contro la volontà della madre».
Il documento sui prematuri della commissione voluta dalla Turco

Precisazioni e polemiche sono state al centro del dibattito politico e scientifico il giorno dopo della stesura di un documento firmato da alcuni ginecologi di università romane, secondo il quale un neonato vitale in estrema prematurità va rianimato come qualsiasi persona in condizioni di rischio. Ma anche i feti vitali esiti di aborti? Nel documento non vi è scritto ma qualche esperto l’ha suggerito e le polemiche si sono accese anche su questo aspetto.

Per il ministro della salute Livia Turco il documento dei ginecologi romani «non parla della legge 194 che è una legge importante che va difesa e ben applicata.

A fronte del problema dell’assistenza ai neonati molto pre-termine – ha ribadito – c’è una raccomandazione rivolta agli operatori che ruota attorno ad un principio: laddove c’è‚ un principio di vitalità e la possibilità di vita, deve essere fatto di tutto per rianimare il feto senza accanimento terapeutico e coinvolgendo passo dopo passo la madre e i genitori».

Un invito a dibattere su temi così delicati alla luce dei dati scientifici e non delle contrapposizioni ideologiche è venuto dal presidente della commissione sanità del senato Ignazio Marino: «Il dibattito va riportato con serietà e rigore agli elementi della nostra società rispetto all’inizio della vita e la legislazione della legge 194 che un paese laico deve avere. Una legislazione in materia sanitaria – sostiene – non può prescindere da conoscenze scientifiche sulle possibilità e gli avanzamenti della tecnologia rispetto a ciò che si poteva fare solamente 30 anni fa e considerare quel corridoio tra l’assistenza e l’accanimento terapeutico».

Si infervora la radicale Emma Bonino, ministro per le Politiche comunitarie: «Non siamo donne assassine, come lo dobbiamo dire – si arrabbia – Siamo donne che magari soffrono delle scelte: non si può – dice – vivere in un Paese dove di volta in volta siamo a metà fra assassine e screanzate». Il dibattito fa innervosire anche Barbara Pollastrini, ministro per le Pari opportunità: «L’amore per la vita non è di una parte – commenta – ed è deprimente vedere un uso tanto strumentale delle parole e del dibattito in atto nella comunità medico-scientifica».

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Il Papa ringrazia i medici romani per il manifesto anti-aborto

Giuliano Ferrara, foto Ansa
Non c’è un riferimento esplicito al manifesto dei neonatologi cattolici di Roma ma domenica all’Angelus papa Benedetto XVI rincara l’invettiva contro l’aborto. È del resto la 30° Giornata della Vita per la Chiesa Cattolica romana. E così, arriva l’appello a «tutelare e promuovere» la vita umana «sia prima della nascita che nella sua fase terminale». E diretto anche se annoverato in un richiamo generico arriva anche il ringraziamento a tutti quelli che « secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze – ammonisce il Pontefice – si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto».

A parte gli Udc Cesa a Buttiglione, ad applaudire il manifesto antiabortista arriva anche la senatrice teodem Paola Binetti, la tavola rotonda organizzata dall’abate di Montecassino, Dom Pietro Vittorelli, chiarisce il senso dell’iniziativa: «Il diritto di essere nato dà il diritto di essere rianimato si chiede al Parlamento di assumere una condizione diversa della 194». La stessa Binetti è stata contestata a Cassino insieme al Giuliano Ferrara. La contestazione è partita da una sessantina di persone che partecipavano ad un sit-in della Cgil, della Uil e delle associazioni «facciamo breccia» ed «Arcobaleno» e «Clr di Roma» a sostegno della legge 194, mentre la Binetti e Ferrara stavano entrando nella sala conferenze dell’aula Pacis di Cassino, al convegno organizzato in occasione della trentesima Giornata per la vita. Solo un assaggio delle molte manifestazioni che si stanno organizzando. La prima del movimento "No Vat" a Roma il 9 febbraio.

Ma cosa avevano detto i neonatologi antiabortisti di alcune università come La Sapienza, Tor Vergata, La Cattolica e il Campus Biomedico? Avevano detto che nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione di gravidanza, il medico neonatologo deve intervenire per rianimarlo, «anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato». A sostenerlo in particolare è Domenico Arduini, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia dell’università di Tor Vergata, uno dei firmatari del documento condiviso dalle università romane di medicina secondo cui va rianimato qualsiasi prematuro che mostri segni di vitalità.

«Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente». È quanto viene affermato in un documento approvato ieri dai direttori delle cliniche ginecologiche delle facoltà di medicina delle università romane, Tor Vergata, La Sapienza, Cattolica e Campus Biomedico.

Il documento è stato discusso nel corso del convegno al Fatebenefratelli dedicato alla giornata della vita in relazione alla prematurità estrema. «Con il momento della nascita la legge – afferma il documento – attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria. L’attività rianimatoria esercitata alla nascita dà il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e delle possibilità di sopravvivenza, e permette di discutere il caso con il personale dell’unità ed i genitori». Tuttavia, sostengono i firmatari, «se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico».

Nell’ipotesi in cui il feto sopravviva all’aborto non si ritiene necessario chiedere il consenso della madre. In questo caso- è l’interpretazione degli estensori – si esercita un’opzione di garanzia con cui si tutela un individuo fragile e vulnerabile, qual è il neonato, in un fase in cui non si hanno certezze cliniche. Una volta che però la rianimazione ha avuto inizio e la situazione clinica evolve in modo sfavorevole, «con mezzi di cura troppo onerosi rispetto ai risultati che si possono ottenere non c’è l’obbligo di cura, ma è anzi doveroso moralmente sospendere la terapia».

Nella Giornata della Vita parla anche l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi intervenendo nel «dibattito sui più diversi problemi della vita umana, sotto l’incalzare inarrestabile delle scoperte scientifiche e delle applicazioni tecnologiche e sotto il peso schiacciante delle questioni politico legislative, delle condizioni sociali precarie di vita di persone e famiglie, dei poteri forti e dei grandi interessi economici». Si tratta di elementi che rendono «più acuta, anzi fondamentale e decisiva – prosegue – la problematica etica della vita umana, soprattutto ai suoi inizi e prima della nascita come pure al suo epilogo». L’arcivescovo non parla mai esplicitamente della legge 194. Pone una sola domanda ai cristiani: «In questo campo abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, tutto quello che dovevamo fare?».

La risposta di Demetrio Neri, docente di Bioetica all’Università di Messina e membro del Comitato Nazionale di Bioetica è sì. ««Sono strumentali – dice – le posizioni dei colleghi romani per la semplice ragione che la nostra legge sull’aborto, la 194, pur avendo trent’ anni è pronta, senza che debba essere modificata, ad accogliere gli sviluppi della neonatologia. Nella legge è previsto che, in caso si manifesti vita autonoma del feto, il medico debba adoprarsi per garantirne la sopravvivenza». Secondo Demetrio Neri, però il problema è un altro. «Quando una donna in pericolo di vita, si reca ad abortire – afferma – lo fa perché la sua vita è minacciata. Quindi, non vedo come non si possa tener conto di questa circostanza e dire come, invece, hanno detto i firmatari del documento che il bambino va rianimato anche contro la volontà della donna. Sinceramente non lo capisco»

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Il Papa ringrazia i medici romani per il manifesto anti-aborto

Giuliano Ferrara, foto Ansa
Non c’è un riferimento esplicito al manifesto dei neonatologi cattolici di Roma ma domenica all’Angelus papa Benedetto XVI rincara l’invettiva contro l’aborto. È del resto la 30° Giornata della Vita per la Chiesa Cattolica romana. E così, arriva l’appello a «tutelare e promuovere» la vita umana «sia prima della nascita che nella sua fase terminale». E diretto anche se annoverato in un richiamo generico arriva anche il ringraziamento a tutti quelli che « secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze – ammonisce il Pontefice – si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto».

A parte gli Udc Cesa a Buttiglione, ad applaudire il manifesto antiabortista arriva anche la senatrice teodem Paola Binetti, la tavola rotonda organizzata dall’abate di Montecassino, Dom Pietro Vittorelli, chiarisce il senso dell’iniziativa: «Il diritto di essere nato dà il diritto di essere rianimato si chiede al Parlamento di assumere una condizione diversa della 194». La stessa Binetti è stata contestata a Cassino insieme al Giuliano Ferrara. La contestazione è partita da una sessantina di persone che partecipavano ad un sit-in della Cgil, della Uil e delle associazioni «facciamo breccia» ed «Arcobaleno» e «Clr di Roma» a sostegno della legge 194, mentre la Binetti e Ferrara stavano entrando nella sala conferenze dell’aula Pacis di Cassino, al convegno organizzato in occasione della trentesima Giornata per la vita. Solo un assaggio delle molte manifestazioni che si stanno organizzando. La prima del movimento "No Vat" a Roma il 9 febbraio.

Ma cosa avevano detto i neonatologi antiabortisti di alcune università come La Sapienza, Tor Vergata, La Cattolica e il Campus Biomedico? Avevano detto che nel caso in cui un feto nasca vivo dopo un’interruzione di gravidanza, il medico neonatologo deve intervenire per rianimarlo, «anche se la madre è contraria, perché prevale l’interesse del neonato». A sostenerlo in particolare è Domenico Arduini, direttore della clinica di ostetricia e ginecologia dell’università di Tor Vergata, uno dei firmatari del documento condiviso dalle università romane di medicina secondo cui va rianimato qualsiasi prematuro che mostri segni di vitalità.

«Un neonato vitale, in estrema prematurità, va trattato come qualsiasi persona in condizioni di rischio ed assistito adeguatamente». È quanto viene affermato in un documento approvato ieri dai direttori delle cliniche ginecologiche delle facoltà di medicina delle università romane, Tor Vergata, La Sapienza, Cattolica e Campus Biomedico.

Il documento è stato discusso nel corso del convegno al Fatebenefratelli dedicato alla giornata della vita in relazione alla prematurità estrema. «Con il momento della nascita la legge – afferma il documento – attribuisce la pienezza del diritto alla vita e quindi all’assistenza sanitaria. L’attività rianimatoria esercitata alla nascita dà il tempo necessario per una migliore valutazione delle condizioni cliniche, della risposta alla terapia intensiva e delle possibilità di sopravvivenza, e permette di discutere il caso con il personale dell’unità ed i genitori». Tuttavia, sostengono i firmatari, «se ci si rendesse conto dell’inutilità degli sforzi terapeutici, bisogna evitare ad ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico».

Nell’ipotesi in cui il feto sopravviva all’aborto non si ritiene necessario chiedere il consenso della madre. In questo caso- è l’interpretazione degli estensori – si esercita un’opzione di garanzia con cui si tutela un individuo fragile e vulnerabile, qual è il neonato, in un fase in cui non si hanno certezze cliniche. Una volta che però la rianimazione ha avuto inizio e la situazione clinica evolve in modo sfavorevole, «con mezzi di cura troppo onerosi rispetto ai risultati che si possono ottenere non c’è l’obbligo di cura, ma è anzi doveroso moralmente sospendere la terapia».

Nella Giornata della Vita parla anche l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi intervenendo nel «dibattito sui più diversi problemi della vita umana, sotto l’incalzare inarrestabile delle scoperte scientifiche e delle applicazioni tecnologiche e sotto il peso schiacciante delle questioni politico legislative, delle condizioni sociali precarie di vita di persone e famiglie, dei poteri forti e dei grandi interessi economici». Si tratta di elementi che rendono «più acuta, anzi fondamentale e decisiva – prosegue – la problematica etica della vita umana, soprattutto ai suoi inizi e prima della nascita come pure al suo epilogo». L’arcivescovo non parla mai esplicitamente della legge 194. Pone una sola domanda ai cristiani: «In questo campo abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, tutto quello che dovevamo fare?».

La risposta di Demetrio Neri, docente di Bioetica all’Università di Messina e membro del Comitato Nazionale di Bioetica è sì. ««Sono strumentali – dice – le posizioni dei colleghi romani per la semplice ragione che la nostra legge sull’aborto, la 194, pur avendo trent’ anni è pronta, senza che debba essere modificata, ad accogliere gli sviluppi della neonatologia. Nella legge è previsto che, in caso si manifesti vita autonoma del feto, il medico debba adoprarsi per garantirne la sopravvivenza». Secondo Demetrio Neri, però il problema è un altro. «Quando una donna in pericolo di vita, si reca ad abortire – afferma – lo fa perché la sua vita è minacciata. Quindi, non vedo come non si possa tener conto di questa circostanza e dire come, invece, hanno detto i firmatari del documento che il bambino va rianimato anche contro la volontà della donna. Sinceramente non lo capisco»

http://www.unita.it/

 

 

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