4338 Furio Percovich, da Fiume a Montevideo

20080209 19:05:00 redazione-IT

LE STORIE DI GENTE D’ITALIA

Qualcuno si dichiarò apolide per salvare la pelle e la famiglia e poter emigrare in America. Ma dentro di se’ si sentiva italiano due volte, per nascita e per scelta. La storia dei giuliani d’Istria di Fiume e della Dalmazia è ancora piena di ferite aperte e non più soltanto lungo la linea di confine tra l’Italia ed i paesi slavi, lo è ovunque questi italiani siano dovuti emigrare. Australia, Canada, Stati Uniti, Argentina, Uruguay per fare qualche esempio. Oggi che la crisi di governo torna a bloccare l’iter di tante riforme di legge avviate e non portate a compimento, quella ferita torna a bruciare. La nuova legge sulla cittadinanza che avrebbe sostituito la 91 del 1992 non è riuscita a vedere la luce.

Nonostante si fosse arrivati ad un disegno bipartisan grazie al lavoro della Commissione Affari Costituzionali presieduta da Luciano Violante il rischio è che con il prossimo governo si debba ricominciare daccapo, o almeno aspettare un anno o due prima che venga approvata. La cura per quella ferita che non è ancora chiusa si allontana. Ci sono tuttora centinaia di italiani originari della Venezia Giulia e Dalmazia, che avevano conservato la cittadinanza dopo la seconda guerra mondiale, ma che l’hanno persa in seguito perchè costretti ad emigrare e che ancora non ne sono rientrati in possesso. Il Trattato di Pace 1947, li obbligò a scegliere tra due opzioni: restare nelle proprie case, nei territori ceduti all’allora Jugoslavia e rinunciare alla cittadinanza italiana o viceversa mantenere il passaporto lasciando tutto quello che avevano al di là del confine italiano. Migliaia di questi però si trovarono in un paese distrutto dalla guerra abitato dalla miseria e senza un lavoro, con l’unica prospettiva di emigrare. C’era allora un’organizzazione delle Nazioni Unite, l’ I.R.O. (International Refugee Organisation), che aiutava i cittadini dell’Europa orientale a partire per l’Australia e per le Americhe. La condizione per poterne usufruire era quella di rinunciare un’altra volta alla cittadinanza italiana e dichiarasi apolidi o yugoslavi. Sono passati sessant’anni e il riacquisto della propria identità nazionale per alcuni di loro è ancora un problema. Un problema che sembrava potersi risolvere con la nuova legge e che, oltretutto, questa minoranza di italiani all’estero condivide con una parte delle comunità nel mondo di emigrati dalle altre Regioni italiane che per vari motivi non hanno potuto chiedere il riacquisto nei termini previsti dall’Art. 17 della Legge 5.2.1992 nº 91, scaduti nel 1997. Il progetto di legge accoglieva infatti le indicazioni del C.G.I.E. che da tempo parla della necessità della riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza "senza vincoli temporali e di residenza". La Commissione 1 della Camera aveva approvato in sede legislativa un PDL che contemplava qualcuno dei problemi ancora irrisolti, anche ma successivamente l’omologa Commissione del Senato ha limitato l’applicazione ai soli discendenti italiani rimasti Croazia e Slovenia e la legge 124 del 08.03.2006 é stata approvata al filo della chiusura della XV Legislatura.
E’ una storia che alcuni degli italiani in Uruguay conoscono bene perchè la hanno vissuta sulla propria pelle. Una delle prime comunità istriana, fiumana, quarnerina e dalmata che si sono installate nel paese sudamericano era costituita da un gruppo di tecnici del nascente pastificio Adria che vennero sulla sponda occidentale del Rio della Plata nel 1949. Erano i dipendenti dell’industriale Luigi Ossoinack, che a Fiume aveva dovuto lasciare la sua impresa, "La Marittima, Pastificio e Forniture Navali". Avendo per fortuna salvato i capitali, Ossoinack decise di trasferirsi in Uruguay e portare con se’ i suoi piú fidati collaboratori che erano tutti esuli, molti nei campi profughi dell’Italia del dopo guerra. Si chiamavano Berton, Biasi, Franco, Kriznar, Maganja, Penco, Percovich, Premuda. Le loro famiglie li seguirono l’anno dopo quando il Pastificio Adria in avenida 8 de Octubre aveva già cominciato a lavorare. "Mio padre era tra loro", racconta Furio Percovich, italiano di Fiume e di Uruguay, "ma probabilmente se non avessimo avuto questa opportunità avremmo dovuto chiedere aiuto al programma IRO delle Nazioni Unite e rinunciare alla cittadinanza", racconta. "Nel 1949 vivevamo nel campo per gli esuli di Fermo in Umbria, vivevamo come gli altri di lavori saltuari e dell’aiuto dello Stato. Non avevamo altra scelta che emigrare, ma non abbiamo dovuto operare una scelta dolorosa come altri per farlo". Si riferisce ai molti che hanno cercato poi di recuperate l’italianità perduta per la necessità di emigrare e non ancora recuperata con la legge del 1992. Secondo il testo tuttora in vigore all’ articolo 17, coloro che persero la cittadinanza per essersi naturalizzati stranieri, avevano due anni per chiederne il riacquisto, poi prorogato a 3 anni fino al dicembre del 1997. Il problema però è che le pratiche non si potevano fare tramite il Consolato, ma solo di persona presso i Comuni di iscrizione in Italia ed entro i termini di tempo del permesso di soggiorno rilasciato ad hoc dal Ministero dell’Interno. Un ostacolo in alcuni casi insormontabile, vista anche la pressione sulle Questure italiane per i permessi da parte di un numero sempre crescente di cittadini stranieri residenti in Italia. La nuova legge permetteva loro di inoltrare la richiesta dal paese di residenza.
Nessuno dei giuliano-dalmati che risiedono in Uruguay oggi e che sono membri di una quarantina di famiglie arrivate da Trieste, Gorizia e Fiume ha dovuto affrontare questo problema , ma anche da questo piccolo paese, in nome della solidarità, si sta cercando di fare pressione su Roma affinchè il lavoro svolto fino ad oggi non vada perso. In Uruguay esiste un Circolo Giuliano nato nel 1994 da una costola del circolo Friulano. Ha un centianaio di soci e domenica 10 febbraio si prepara a celebrare come in tutto il mondo la Giornata del Ricordo. Parteciperanno alla messa alla Chiesa della Missione cattolica in memoria delle vittime delle foibe e degli esuli morti all’estero. Per molti di coloro che si riuniranno domenica resta aperto con lo Stato italiano un contenzioso. Se non per la cittadinanza, almeno per il rimborso dei beni privati ceduti alla Jugoslavia. L’Italia, infatti, dovendo pagare i debiti di guerra al paese slavo nel 1947 aveva prima ceduto i beni pubblici e poi quelli dei privati cittadini esuli e si era impegnata a compensarli. Ma il pagamento procede a rilento e i figli di coloro che avevano qualcosa al di la della cortina di ferro oggi sono pensionati che ricevono col contagoccie quello che gli era stato promesso sessantanni fa. Paradossalmente il legame di questi italiani all’estero con l’Italia è ancora più forte che per altri italiani che hanno goduto di maggiori diritti. Vi sentite stranieri due volte? Chiediamo a Percovich "No, ci sentiamo italiani due volte. Una per nascita, l’altra per scelta, quando abbiamo deciso di lasciare le nostre case per raggiungere il nostro paese", risponde. Oggi i Giuliani in Uruguay vivono a Montevideo dove sono diventati funzionari pubblici, bancari, ingegneri, o nelle campagne dove hanno mantenuto le attività che avevano in Europa: vigneti, frutteti, produzione agricola.
"Non siamo tanti", racconta il nostro portavoce della comunità, "domenica non potremo fare una vera e propria cerimonia come invece si farà a Buenos Aires ed in altre città dell’Argentina. Ma abbiamo chiesto a Trieste, dove ha sede l’Associazione Giuliani nel Mondo, di inviarci un messaggio da leggere nel corso della giornata". Sarà l’occasione per parlare ancora della legge di cittadinanza e del riacquisto dei diritti perduti per fatalità della vita. "Temo che con la crisi dei Governo il PDL resterà un pezzo di carta senza valore. Le Camere dovranno presentare un nuovo progetto e passera’ molto tempo. Quello appena sospeso era un disegno unico che raccoglieva 17 progetti di legge di forze politiche diverse che in sede di discussione nella prima Commissione affari costituzionali della Camera sono stati unificati. Rimane così sospesa anche la questione della discriminazione "costituzionale" che penalizza la trasmissione della cittadinanza per via materna anteriore al 01.01.1948. Un problema che riguarda altre migliaia di persone, non solo noi. Credo che quella riforma fosse buona", aggiunge Percovich, "anche perchè il diritto alla cittadinanza era subordinato ad una conoscenza della lingua italiana". Si riferisce all’articolo 5 del PDL che obbligava ad una padronanza dell’italiano pari ad un livello della terza elementare.
La vita delle comunità comunque prosegue anche per chi è italiano e non è riuscito ancora a farselo riconoscere. In Argentina, a Buenos Aires, il 21 febbraio i Giuliano- Dalmati avranno un’altra occasione per ricordare e non solo le cose tristi. Approderà una mostra dell’emigrazione che già è stata in Australia e Nordamerica. Saranno esposte foto, documenti, testimonianze delle tortuose vicessitudini che ogniuno di loro ha vissuto prima di arrivare quaggiù. La mostra sarà aperta fino al primo aprile. Poi verrà in Uruguay , in data ancora da destinarsi per raggiungere infine Venezuela, Cile e Brasile.

 

 

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