4323 Se il Pd va da solo

20080207 14:42:00 redazione-IT

Gianfranco Pasquino

Qualche volta il coraggio, anche quello politico, sconfina nella temerarietà, e rischia di sprofondarvi. Esprimere «vocazione maggioritaria» per un partito di medio-grandi dimensioni è sicuramente comprensibile, in qualsiasi situazione politico-istituzionale quel partito si trovi ad operare. Naturalmente, quando si sa di avere bisogno di alleati, la vocazione maggioritaria non dovrebbe essere esibita come un’arma per ridurre tutti gli alleati, a prescindere dai loro comportamenti, a mitissimi consigli. «Correre da soli» è un nobile proposito, addirittura, qualche volta, ad esempio, laddove vengono utilizzati sistemi elettorali maggioritari, un imperativo politico.

Sappiamo, però, che, purtroppo, non si è pervenuti in Italia ad un sistema elettorale maggioritario (ad un solo oppure a due turni) a favore del quale non era possibile trovare una maggioranza né fuori né dentro il centro-sinistra.

Del tutto improprio e fuorviante, quindi, è qualsiasi eventuale paragone fra il Partito Laburista inglese e il Partito Democratico che, incidentalmente, ha respinto proprio le caratterizzazioni laburiste e socialdemocratiche.

Il problema da affrontare come «correre da soli» e come affermare la propria «vocazione maggioritaria» deve tenere conto dei vincoli sistemici, politici e istituzionali vigenti. È nell’ambito di questi vincoli che deve essere trovata la soluzione, se non ottimale, almeno soddisfacente. È probabile che «correre da soli» sia un’affermazione che contiene tre elementi: un segnale mandato ai riottosi alleati governativi, l’indicazione che si sarebbe cercata una formula elettorale in grado di valorizzare le corse da soli, la sfida rivolta a Forza Italia-Partito del Popolo nella ipotesi che Berlusconi l’accettasse volendo ridurre le pretese dei suoi punzecchianti alleati. Era, fin dall’inizio, la premessa più vacillante.

Adesso che la campagna elettorale sta cominciando sembra opportuno procedere ad un ripensamento di tutt’e tre gli elementi. In un batter d’occhio, la Casa delle Libertà si è ricomposta sotto la guida del Cavaliere che non ritiene affatto di dovere correre da solo: primum vincere. Quanto ad alcuni degli alleati riottosi del centro-sinistra che hanno dato il loro decisivo contributo alla caduta del governo, per loro, né come singoli né come partitini, non può più esserci nessuna disponibilità ad accettarli come partner. Per altri, invece, non soltanto alleati leali, ma anche già intenzionati, quando si presentò l’occasione, a convergere nel Partito Democratico, questa disponibilità deve esserci. Includere l’Italia dei Valori e i Radicali nel Partito Democratico non sarebbe affatto un cedimento e neppure una violazione alla coerenza delle precedenti affermazioni. Sarebbe, invece, un’azione logica e proficua.

Se si fosse fatta, senza troppe giravolte, una legge elettorale di tipo spagnolo o tedesco, «correre da soli» avrebbe significato contare i propri voti e avrebbe permesso di fare, dopo il voto, come avviene nella maggioranza delle democrazie parlamentari, alleanze numericamente possibili e politicamente, e programmaticamente plausibili. Il Porcellum rende qualsiasi propensione alla corsa da soli non soltanto rischiosissima, ma, al limite, deleteria. Veltroni potrebbe pensare, ma sicuramente non dovrebbe dichiararlo, che esistono sconfitte onorevoli, persino accompagnate da una confortante percentuale di voti, che consentirebbero di semplificare lo schieramento partitico, di rafforzare il Partito Democratico, di prepararsi alla rivincita ottimamente attrezzati. Il ragionamento è comprensibile e non sarebbe difficile trovare qualche esempio, anche, seppure un po’ improprio, nel contesto inglese, a sostegno di una strategia di lungo periodo.

Ma non siamo inglesi e non abbiamo né, come ho sottolineato, il loro sistema elettorale né il fair play che ne caratterizza la politica. Cinque anni all’opposizione di un governo guidato da Berlusconi, sostenuto dai partiti di Fini e Bossi e da quel che resta dell’UDC di Casini, sembrano a molti nel centro-sinistra, anche a quelli che non hanno mai demonizzato il Cavaliere, di insostenibile pesantezza dal punto di vista dei programmi del centro-destra, delle sue concrete politiche, delle sue posizioni internazionali.

Ricordiamo tutti l’importante distinzione formulata da Max Weber fra l’etica della convinzione e l’etica della responsabilità. Ciascuno di noi può rimanere coerente con le proprie idee fino a pagarne, con convinzione, un prezzo personalmente elevato. Ma il politico ha il dovere di attenersi all’etica della responsabilità. Non conta soltanto il fatto che il Partito Democratico perda, per coerenza (e per ostinazione, il difetto con il quale molti hanno bollato il comportamento finale di Romano Prodi), in maniera cospicua, le prossime elezioni. Piuttosto, conta per molti di noi che numerosi ceti sociali già svantaggiati non otterranno adeguata rappresentanza in Parlamento e non godranno più di sufficiente protezione.

Insomma, è possibile, applicando l’etica della responsabilità, ovvero tenendo in massimo conto le conseguenze prevedibili della propria strategia, ripensare alle modalità (che, è mio fermo convincimento, dovrebbero includere anche primarie che consentano la partecipazione attiva dei «democratici» alla selezione delle candidature parlamentari) con le quali presentarsi alle elezioni, non per testimoniare la propria coerenza, ma per offrire rappresentanza e, se possibile, governo ad un sistema politico e ad una società che continuano ad averne davvero bisogno.

www.unita.it

 

 

4323-se-il-pd-va-da-solo

5076

2008-3

Views: 6

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.