4389 Kosovo, Thaci: «Indipendenza» La Serbia: «È uno Stato falso»

20080218 11:58:00 redazione-IT

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Una proclamazione unilaterale nel parlamento di Pristina, l’acclamazione dei deputati, decine di migliaia di persone in piazza tra bandiere albanesi, concerti e fuochi d’artificio. È nato così iil Kosovo indipendente, settimo Stato partorito dalla dissoluzione cruenta dell’ex Jugoslavia e dalle convulsioni etniche che l’accompagnarono nei Balcani degli anni ’90.
Una realtà che si separa dalla Serbia contro la strenua opposizione di Belgrado e di ciò che resta della minoranza serbo-kosovara, innescando nuove fibrillazioni diplomatiche tra Mosca e l’Occidente e accendendo focolai di tensione nell’inquieta città divisa di Kosovska Mitrovica.

Tutto si è compiuto secondo copione. La dichiarazione d’indipendenza, la celebrazione albanese, la reazione oltraggiata della Serbia, l’incoraggiamento degli Usa e di molti Paesi europei, la vibrata protesta diplomatica della Russia.

Senza spargimento di sangue o violenze, finora, se si esclude l’esplosione di una granata a ridosso delle rappresentanze di Ue e Onu nella roccaforte serbo-kosovara di Mitrovica nord. Ma in un clima di tensione che non annuncia uno scenario facile, almeno nell’immediato. E che alimenta, in prospettiva, l’allarme di un potenziale effetto domino: nel problematico mosaico balcanico, come anche altrove.

Assorbiti dall’atmosfera di festa, di liberazione e di sollievo per un sogno a lungo coltivato, i kosovari per ora non ci pensano troppo e si godono il loro momento magico. In un’euforia che neppure le temperature glaciali di questa domenica di febbraio riescono a raffreddare.

«Urime Pavarsinu» (Congratulazioni per l’Indipendenza), ci si grida l’un l’altro per strada o magari via Sms. Almeno due neonate venute al mondo oggi si sono viste attribuire il nome di Pavaresia (Indipendenza). «Finalmente abbiamo uno Stato», si sente ripetere, «il futuro sarà migliore per tutti».

Questa è anche la promessa dei leader di Pristina: da Hashim Thaci, l’ex capo guerrigliero divenuto primo ministro, a Fatmir Sejdiu, il presidente succeduto al defunto padre nobile Ibrahim Rugova. Rivali politici in passato, ma pronti in queste ore a ripetere all’unisono lo stesso messaggio – il Kosovo (o Kosova, in versione albanese), sarà un Paese «democratico, pacifico, rispettoso delle minoranze» – e a lanciare un appello comune al mondo: «Riconosceteci».

Sono stati loro, soprattutto Thaci, a scandire il passo della giornata. Dosando con attenzione orgoglio patriottico e segnali di moderazione, umori popolari e prevenzione di possibili eccessi. E coordinando ogni cosa con Washington e Bruxelles, sponsor di una sovranità destinata a restare sotto tutela anche nei lustri a venire dopo gli otto anni di amministrazione Onu (Unmik) seguita alla guerra del 1999 e alla fine delle repressioni anti-secessioniste dell’allora regime serbo di Slobodan Milosevic. Una tutela testimoniata, se ve ne fosse bisogno, dalla permanenza del contingente militare Nato della Kfor – in allerta come non mai – oltre che dall’arrivo dei magistrati e poliziotti dell’Eulex, la nuove missione civile Ue concepita per affiancare la transizione.

Limitazioni che non cancellano d’altronde la portata del «momento storico» di questo 17 febbraio 2008: data di nascita di un nuovo Stato – per controverso che sia – sulla carta d’Europa.

Un risultato che per Thaci è frutto «del sacrificio di tante generazioni» e dei «martiri» caduti per l’indipendenza.

Ma che deve chiudere adesso la pagina delle guerre e delle vendette per lasciare spazio a una entità che a Pristina immaginano «impegnata per la pace e la stabilità», aperta alla missione dell’Ue, «in buoni rapporti con i Paesi vicini», con meno mafia e più lavoro e nella quale «i cittadini saranno uguali e le minoranze rispettate».

Un messaggio che non sfonda tra i 100.000 serbi rimasti in questa terra, da 300.000 che erano, dopo la rivincita (e talora la rappresaglia) albanese seguita al ’99. Nè cancella il pericolo di una controsecessione dell’enclave di Mitrovica Nord, l’unica confinante col resto della madrepatria, laddove domani si prevede un raduno di protesta annunciato sinistramente questa sera dall’esplosione (senza conseguenze) di una granata dinanzi alle sedi locali di Ue e Onu.

Il no più tonante al nuovo Stato – monoetnico al 95% e colorato di bandiere albanesi in attesa di un vessillo nuovo che esiste per ora solo sulla carta – è risuonato comunque da Belgrado. «Un falso Stato», figlio degli «interessi militari americani» e della subalternità europea, l’ha bollato il premier nazional-conservatore serbo, Vojislav Kostunica, mentre i revanscisti radicali alzavano la voce pur senza riuscire a portare in piazza folle oceaniche. Una terra che la Serbia reclama quale culla secolare della sua civiltà e il cui strappo «non riconoscerà nè ora nè mai», ha ammonito il presidente europeista, Boris Tadic. Abbastanza moderato da escludere ancora una volta qualsiasi velleità militare a dispetto della chiamata alle armi di un vescovo ortodosso pasdaran. Ma non fino a un cedimento che alla sua gente apparirebbe oggi più imperdonabile che mai.

La Russia chiede che la missione Onu in Kosovo, l’Unmik, dichiari «nulla e non avvenuta» la proclamazione unilaterale di indipendenza di Pristina, ha dichiarato l’ambasciatore russo presso l’Onu, Vitaly Churkin, prima di una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza, a New York.

«Insisteremo per l’applicazione della risoluzione 1244 e di altri documenti pertinenti da parte delle autorità Unimk e, secondo tali documenti, devono dichiarare nulla e non avvenuta la proclamazione unilaterale di indipendenza», ha detto Churkin. Il rappresentante di Mosca ha anche anticipato la «preoccupazione» che esprimerà a nome della Russia sulla situazione in Kosovo, in particolare nella prospettiva che «i serbi del Kosovo decidano di non rispettare la dichiarazione di indipendenza».

Come le precedenti discussioni in seno al Consiglio di Sicurezza sul Kosovo, difficilmente però stasera si andrà oltre le invettive russe e la constatazione delle divergenti posizioni tra i vari membri.

Il ministero degli Esteri italiano ha «preso atto» della dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, ma rimanda al consesso europeo «per una valutazione della situazione» e dei possibili sviluppi. Lo riferiscono fonti della Farnesina, consultate dopo la proclamazione del distacco definitivo da Belgrado.

Lunedì a Bruxelles si riuniscono i ministri degli Esteri Ue e i "big europei", Italia compresa, dovrebbero dare il via libera all’indipendenza.

Allo stesso tempo l’Italia auspica «moderazione» sia da parte kosovara che da parte serba, per evitare l’inasprimento delle tensioni.

Il ministro degli Esteri della Germania, Frank-Walter Steinmeier, chiede a «tutte le parti» di dare sfoggio di «calma a moderazione» a seguito della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. «Il mantenimento della stabilità nella regione ha la massima priorità».

Un’esplosione spresso gli edifici che ospitano le rappresentanze di Unione europea e Onu a Kosovska Mitrovica, dopo che il Kosovo ha proclamato l’indipendenza dalla Serbia, con l’appoggio della Ue.

Secondo la radio serba B-92, uno degli edifici avrebbe subito lievi danni, ma non vi sarebbero state conseguenze per le persone.

I rappresentanti europei, ha aggiunto la fonte, hanno quindi evacuato l’edificio.

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Belgrado accusa: separatismo Vertice sul Kosovo a Bruxelles
Tafferugli in Serbia con 47 feriti

Anche il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, è arrivato a Bruxelles lunedì mattina per partecipare alla riunione del Consiglio dei Ministri degli Esteri europei che discuterà della proclamazione di indipendenza del Kosovo.

C’è molta attesa per il vertice europeo e D’Alema non ha voluto fare dichiarazioni entrando. Si sa che Belgrado sta cercando in ogni modo di bloccare il riconoscimento internazionale della dichiarazione unilaterale d’indipendenza di Pristina, arrivata domenica. «La Serbia userà tutti i mezzi diplomatici che ha a disposizione per bloccare il riconoscimento del Kosovo», ha affermato il ministro serbo degli Esteri, Vuk Jeremic, lunedì stesso, sottolineando che Belgrado conta sulla Russia per impedire che il Kosovo diventi un membro dell’Onu. Il capo della diplomazia serba ha quindi osservato che la Serbia impedirà anche l’ingresso di Pristina nell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) e nel Consiglio d’Europa, ricordando che i nuovi ingressi in queste due organizzazione devono essere votati all’unanimità. «Finché la Serbia sarà membro, non lo sarà il Kosovo». Ancora non è chiaro neppure se il Kosovo potrà far parte della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale.

Il ministro francese degli esteri Bernard Kouchner entrando nella riunione dei 27 ha negato la divisione dei paesi dell’Eurozona sulla questione kosovara. «Vedo dei grossi titoli sulla grande divisione dell’Europa. Ma quale divisione?», si è chiesto il ministro francese. «Sapevamo molto bene che ci sarebbero state delle posizioni differenti ma non è per questo che non c’è unità in una situazione in cui alcuni Paesi affrontano delle difficoltà molto reali all’interno delle loro frontiere». Mentre il ministro austriaco Ursula Plassnik, ha detto che i Paesi Ue cercheranno di trovare «l’unità più larga possibile» e vogliono essere «allo stesso tempo amici di Pristina e amici di Belgrado».

I timori di un aumento della tensione, però, restano. È di 47 tra feriti e contusi il bilancio degli scontri avvenuti domenica sera e nella notte a Belgrado fra manifestanti che protestavano contro la secessione unilaterale della provincia a maggioranza albanese del Kosovo e la polizia serba. A Belgrado è stata anche attaccata l’ambasciata della Slovenia, presidente di turno dell’Unione europea. E il ministro degli esteri di Lubiana si è detto «rammaricato» per l’episodio.

«È sbagliato che alcuni politici serbi incoraggino gli incidenti, credo sia loro dovere calmare la situazione» come sta tentando di fare l’Ue, ha spiegato il capo della diplomazia slovena Dimitrij Rupel.

Un invito alla calma a entrambe le parti è venuto anche dal commissario Ue Javier Solana.

Rupel si è mantenuto prudente sulla possibilità di approvare una dichiarazione comune dei Ventisette per reagire all’indipendenza del Kosovo in giornata, preferendo sottolineare che l’Ue ha già trovato l’unità sull’invio della missione Eulex Kosovo. «Mi risulta che molti Stati membri riconosceranno», ha aggiunto però Rupel.
Intanto il leader kosovaro Hashim Thaci, il presidente Kosovo Fatmir Sejdiu e il presidente del parlamento Jakup Krasniqi sono accusati dalla polizia serba di aver «organizzato la proclamazione di uno stato fasullo in territorio serbo», ha reso noto l’agenzia serba Tanjug.

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