4441 GIOVANNI BERLINGUER: Lavoro, idea vincente della sinistra

20080225 12:01:00 redazione-IT

di Stefano Bocconetti

Riordina le carte, prende appunti. E ogni tanto risponde al telefono, risponde ai tanti che lo invitano a mille iniziative elettorali. E risponde quasi sempre di sì. Giovanni Berlinguer, 83 anni, oggi al Parlamento europeo fra i banchi dei socialisti, ma prima una vita nel Pci e nei diesse e soprattutto uno dei più autorevoli, se non il più autorevole studioso italiano di medicina sociale, è già tutto dentro la campagna elettorale.

D. La prima cosa: sei contento di come è partita?
Ti riferisci alla manifestazione dell’Eliseo?

D. Anche, perché come ti è sembrata?
Un ottimo avvio. Anche se vorrei che smettessimo di sottovalutare la voglia di partecipazione che c’è in giro.

Lì, all’Eliseo metà della gente è dovuta restar fuori; troviamo invece posti, luoghi dove possa ritrovarsi la nostra gente. Dove magari possa venire anche chi non è convinto del tutto.

D. Tutto bene, allora?
Si, anche se…

D. Anche se?
Intendiamoci, non voglio che ci sia alcun equivoco: io sono felice che si sia raggiunto il risultato di creare la lista unitaria della sinistra. E’ importante, darò tutto quello che ho per sostenerla. Ma sono convinto che questa campagna elettorale debba diventare anche qualcos’altro.

D. Cosa esattamente?
L’occasione per costruire il nuovo partito della sinistra. Che in Italia, a differenza che nel resto d’Europa, rischia di mancare.

D. Stai parlando del nuovo soggetto unitario?
Dipende da quel che intendi con questa definizione. Io sto parlando di un soggetto, il partito della sinistra italiana; sto parlando della forma che deve assumere la sinistra nel nostro paese.

D. La "Sinistra-l’Arcobaleno" ti sembra ancora troppo poco?
Se resta solo un cartello elettorale sì, ovvio che non basta.

D. Ma per capire: pensi che sia già tardi per dar vita ad una nuova formazione della sinistra?
No, tardi no. Ma ci sono stati molti freni e ci si è preoccupati più di costruire equilibri interni ai gruppi dirigenti che ascoltare i cittadini, acquisire nuovi consensi, recuperare chi si è allontanato.

D. Scusa la franchezza: ma molti sostengono che i "freni“ sono venuti proprio dalla Sinistra democratica, dal gruppo che è uscito dai diesse e di cui fai parte.
Francamente non mi pare che sia così. E poi, davvero adesso ha poco senso mettersi col bilancino a disegnare le colpe dei contraenti. Guardiamo al futuro: oggi dobbiamo impegnarci come una sola persona. Per strappare il miglior risultato possibile alle elezioni e, contemporaneamente, per gettare le basi del nuovo partito.

D. Campagna elettorale, allora. Qualche osservatore ha fatto notare che, al di là del merito, Veltroni s’è presentato con un’idea forte. Discutibilissima, ma comunque un progetto che sembra mancare alla sinistra. Che ne dici?
Non sono d’accordo. Ho letto i materiali che hanno avviato la discussione sul programma e mi pare che lì ci sia quello di cui c’è bisogno. C’è la parola d’ordine, l’idea necessaria e vincente: il lavoro. Inteso non più solo come rivendicazione dei diritti sindacali o contrattuali. No, mi sembra che finalmente la sinistra, questa nuova sinistra, ricominci a disegnare il ruolo che il mondo del lavoro deve avere nella società. Un ruolo che gli stessi lavoratori devono riprendersi nelle loro coscienze.

D. Stai pensando a qualche proposta in particolare?
No, penso all’insieme del progetto della sinistra. C’è una linea che tende a riequilibrare quelle risorse e quei poteri che in questi ultimi 25 anni si sono spostati a vantaggio delle imprese. Sì, insomma, mi sembra importante che finalmente si ritorni a parlare di una verità semplicissima: che chi assicura la produzione della ricchezza dovrebbe poterne usufruire in una quota molto maggiore dell’attuale. E ti ripeto: dopo un quarto di secolo che si sta andando nella direzione opposta.

D. E la sinistra, tutta, non ha alcuna responsabilità per come sono andate cose in questi 25 anni?
Sicuramente questi processi sono stati poco contrastati. Non si è percepito – parlo dell’Italia ma anche dell’Europa – che, nonostante le negazioni, c’è stata davvero lotta di classe. Ma l’ha fatta una parte sola: il capitale! E a questo, negli ultimi anni, si è aggiunto, in maniera lampante, lo schiacciamento operato dall’economia finanziaria sull’economia della produzione. Determinando le distorsioni che conosciamo.

D. Parli di lotta di classe. Su questo giornale ne parlava anche un altro grande dirigente, Pietro Ingrao, pochi giorni fa. E’ una formulazione che ti convince? Nel senso che c’è necessità di una nuova stagione di lotta di classe?
Mi stai chiedendo se è una formula che si può usare? Ma sì, certo. Se serve a far capire che c’è bisogno di di impegnarsi, che c’è bisogno di conflitto. Anche se io resto convinto che c’è bisogno di lotta, ma anche di collaborazione. Per questo, se permetti, mi viene da dire una cosa sugli slogan di questa campagna elettorale…

D. Ovviamente.
Diciamo che non sono molto convinto di uno slogan che dice: vota a sinistra, fai "una scelta di parte".

D. Che vuoi dire?
Che in una società democratica, e complessa come l’attuale, non si può solo puntare su una parte, anche se rilevantissima e meritevole di ogni considerazione. Io penso che occorra tener presenti anche altri interessi, che considero legittimi, e che occorra considerare in primo luogo ciò che può migliorate la vita di tutti gli italiani

D. Stai dicendo che quella parola d’ordine mina le possibilità di alleanze?
No, però sono convinto che la nostra battaglia debba procedere senza isolarsi, debba prevedere rapporti con le altre forze politiche.

D. E siamo a parlare del piddì.
Parliamone. A me non piace uno schema per cui ci sarebbe un “nemico”, la destra, aggressivo e inquietante, e un “avversario”, il partito democratico. Al contrario penso che dovremmo incalzare il partito di Veltroni, sollecitarlo, scontrarci quando necessario, ma per costruire le ragioni di una convergenza.

D. Davvero te la immagini questa convergenza?
Me la auguro e la considero possibile (e prende fra le sue carte il Manifesto dei democratici). La parte sulla laicità dello Stato, laddove descrive il diritto degli individui, di tutti, a decidere di se stessi, la trovo abbastanza condivisibile.

D. Ma come? Proprio su questi temi, il piddì è stato attraversato da una discussione fortissima, perché tanti hanno lamentato una mancanza di laicità nel documento fondante del nuovo partito?
Io non la vedo così. Se vogliamo restare ai documenti, non alle cose che dice la Binetti o qualche altro, lì si disegna un partito con il quale è possibile convergere nelle grandi battaglie di libertà. Tutt’altra cosa, invece, per ciò che riguarda le scelte economiche e sociali…

D. In questo caso ci si contrappone?
Si discute, perchè sono scelte lontane, e spesso profondamente diverse da quelle che deve fare la sinistra.

D. Parli di possibili convergenze, eppure tanti dicono che dopo il voto piddì e Berlusconi governeranno insieme. Con la sinistra relegata ai margini.
Io non dò affatto per scontato che il risultato elettorale debba relegarci inesorabilmente all’opposizione. E penso che dipenda anche dalla forza e dalla capacità di iniziativa della sinistra la possibilità di ridare vita a nuove forme di collaborazione. L’unica cosa che darei per certa è l’impossibilità per la sinistra a partecipare a maggioranze insieme al cosiddetto partito della libertà.

D. Ma mi dai una definizione del partito di Veltroni?
Il partito di un leader che ha saputo cogliere un’esigenza diffusa. Quella di superare una lunga fase, segnata da ampie coalizioni che non riuscivano ad esprimere una politica unitaria. Sottoposte, com’è stato evidente col governo Prodi, a pressioni sgangherate, da parte dei piccoli partiti che hanno sempre guardato con più simpatia al centro destra. Ha avuto quell’intuizione e mi sembra che la stia comunicando bene.

D. Niente grande coalizione, dici. Eppure al parlamento europeo spesso, socialisti e popolari votano insieme. Come mai?
So che la “vulgata” racconta questo, almeno sui nostri giornali. Ma non è affatto così. A Bruxelles sui temi dei diritti civili e delle libertà spesso riusciamo a costruire un vasto arco di forze che comprende la sinistra “radicale”, i socialisti, i verdi, i liberaldemocratici. Quando invece si affrontano temi economici e sociali, una parte di queste forze si avvicina e vota con il partito popolare. Sto parlando anche dei liberaldemocratici italiani, compresi gli esponenti eletti nelle liste della Margherita, oggi fra i democratici. Questa è la vera situazione, altro che grande coalizione.

D. Torniamo in Italia, alla sinistra. Che ti aspetti all’indomani del voto?
Tre cose.

D. La prima?
L’avvio del passaggio da raggruppamento elettorale a partito.

D. La seconda?
Una campagna di conoscenza e di ascolto dei giovani.

D. Nuovo partito, che parli il linguaggio dei giovani: la terza cosa sembra scontata. Non è così?
Certo. E’ necessario svecchiare radicalmente i gruppi dirigenti di questa sinistra. Non per escludere chi ha lavorato fino ad ora per garantire un futuro alle forze legate al movimento operaio. Il loro ruolo c’è, è importante e deve essere valorizzato. Ma c’è bisogno di forze fresche.

E te?
Vale anche per me. Ci sono e ci saranno tante occasioni per contribuire agli impegni futuri.

http://www.sinistra-democratica.it/dalla-stampa/interviste-415

 

 

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