4636 Addio al partigiano Donè El italiano del Granma

20080325 16:55:00 redazione-IT

È morto all’età di 83 anni Gino Donè Paro, il partigiano veneto che dopo aver combattuto nella Resistenza partecipò alla Rivoluzione cubana a fianco di Che Guevara. Fu l’unico europeo a salire sul Granma, la nave che sbarcò a Cuba con gli 81 ribelli di Fidel Castro alla fine del 1956. E a Cuba, nell’archivio storico delle Far (Forze armate rivoluzionarie) è conservato ancora il suo dossier.

Partigiano con la Missione Nelson, dopo la guerra emigrò a Cuba passando per il Canada. Dopo l’incontro con Olga Norma Turino Guerra, giovane rivoluzionaria di ricca famiglia cubana che nel ’54 diventerà sua moglie, Gino Donè entrò nel "Movimento 26 luglio" di cui divenne anche tesoriere. "El Italiano" partì così il 25 novembre del 1956 dal porto Messicano di Tuxpan con i patrioti del battello Granma, ma nel gennaio del ’57 ricevette l’ordine di andare all’estero.

Dopo mezzo secolo Gino aveva detto che «dopo il Desembarco del Granma, abbiamo fatto quello che abbiamo potuto chi un una forma chi un’altra. Io che ero straniero ero il più indicato a strare lontano e fare ciò che nella Sierra non avrei potuto fare».
Il partigiano trevigiano, che viveva con la nipote Silvana a Noventa di Piave (Venezia), si è spento sabato sera in una Casa di cura di S.Donà dove era ricoverato per alcuni esami. I funerali si svolgeranno giovedì. Al cimitero di Spinea, poi la salma verrà cremata. Alle esequie di Gino Donè parteciperà una delegazione dell’Anpi con la bandiera dei partigiani italiani. La nipote Silvana ha annunciato anche la partecipazione di una delegazione dell’ambasciata di Cuba a Roma. Cordoglio e dolore per la morte di «un grande partigiano e grande rivoluzionario» sono stati subito espressi dal consigliere regionale della Sinistra Arcobaleno Nicola Atalmi: «Il suo impegno per la libertà e contro le ingiustizie lo hanno portato a lottare in una vita avventurosa – ricorda Atalmi – prima partigiano in Veneto contro il fascismo, poi al fianco di Che Guevara nella rivoluzione cubana. La sua testimonianza di impegno contro le ingiustizie e per la libertà ci consegna una eredità ideale che vivrà nelle nostre lotte».

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Quell´italiano sul Granma
Maurizio Chierici – Gino Doné

La malinconia dell´addio di Gino Doné. È morto a San Donà del Piave. Le ultime immagini mostrano un signore a passeggio sull´argine della città veneta beato come quando frugava la sabbia delle spiagge della Florida alla ricerca di denti di pescecane. Quei denti che gli ami dei cacciatori strappavano alla preda. Stivali, cappello con visiera, barba alla Hemingway e una maglietta segnata dal nome «Granma». Proprio la barca di Fidel e del Che, traversata avventurosa dal Messico con la speranza di rovesciare la dittatura di Battista. Impresa alla quale 82 utopisti si erano associati, impresa incredibilmente riuscita.

Ma il Doné che aveva salvato il Che folgorato dall´asma nelle ore dello sbarco ritrascinandolo nel plotone di comando, 2 dicembre 1956; quel Gino Doné sorridente e sicuro non ce l´ha fatta ad entrare all´Avana accanto all´amico del cuore: Ernesto. Lo ha sempre chiamato Ernesto nei primi incontri che ci hanno riunito in Florida quando l´ho ripescato, nove anni fa, assieme al fotografo Pigi Cipelli. «Il Che è venuto dopo. Lo hanno inventato gli altri», si arrabbiava. «L´uomo che mi incantava a Città del Messico era solo Ernesto. Il Che è stata una bella invenzione dei cubani e dei giornalisti accorsi ad osservare come avrebbero cambiato la storia i ragazzi al potere all´Avana; ma io ricordo l´Ernesto che saltava la cena per sfamare una madre e tre bambini gelati dall´inverno. Allungavano la mano sulla porta della posada dove i pochi soldi consolavano malamente la nostra pancia vuota. Ernesto spariva per riapparire trionfante: "stasera non ho fame". Allora sono uscito: la donna e i bambini mangiavano. Allora sono rientrato e ho preso Ernesto per il bavero inchiodandolo al muro: giusto sfamare chi ha fame, ma il tuo impegno riguarda tutti noi e la gente che a Cuba aspetta di vedere crollare Battista. Non rifarlo più…».

Ma Ernesto lo ha rifatto. Ernesto malinconico per il matrimoni fallito con la moglie peruviana; per Hildita, la figlia piccola scomparsa a Lima assieme alla madre. Insomma l´Ernesto che con Gino Doné e un volontario domenicano costituivano l´intera legione straniera della spedizione del Granma. All´impresa del Granma Gino aveva preso parte con la qualifica di «tenente della retroguardia» comandata da Raul. Perché proprio a un italiano di 32 anni, il più vecchio della spedizione, era stato affidato l´incarico di contenere l´inseguimento dei militari di Battista? Ecco la prima parte di una vita irripetibile.

La seconda guerra mondiale sorprende Doné a Pola, nel tutti a casa dell´8 settembre. Scappa. Torna a piedi a San Donà del Piave. A piedi, sfuggendo i posti di blocco dei tedeschi. Ma i fascisti del suo Veneto lo vanno a prendere in casa. Disertore da spedire in Germani a meno che non accetti la divisa tedesca per dimostrare il pentimento. Donè indossa i panni di Hitler e subito riscappa. Lo riprendono: diventa carne da cannone da schierare ad Anzio per fronteggiare lo sbarco alleato. Primissima linea per venti giorni così vicino agli americani che dovrebbe uccidere e ai quali non spara, da ascoltarne i discorsi ed innamorarsi della loro lingua. Terza fuga: sempre a piedi attraversa l´Italia per tornare a San Donà. La campagna attorno era una palude: i tedeschi l´avevano riallagata temendo uno sbarco americano. Viene contattato dall´intelligence inglese e fino alla fine raccoglie e imbarca su un sottomarino alleato che affiora a Caorle, piloti britannici e australiani abbatuti nella pianura veneta e nascosti dai contadini. Centro strategico la fattoria Argentin, padre di Moreno Argentin, campione del pedale. Londra lo decora con una croce di guerra, ma nel dopoguerra tornano le tasche vuote. Clandestino in Francia, clandestino ad Amburgo, clandestino su una nave della Lauro diretta all´Avana. Dove comincia a lavorare manovrando scavatrici per aprire una strada verso Santiago de Cuba. Incontra la bella figlia di un tabaquero, la sposa. Il tabaquero appartiene ai radicali ortodossi che finanziano il Fidel in esilio a Città del Messico. Gino va e viene con i dollari cuciti sotto la fodera della giacca. Nasce l´amicizia con Castro il quale gli cucina perfino un piatto di spaghetti, ma è Ernesto l´amico che ammira: comincia l´avventura. Finisce poco dopo lo sbarco. Un´imboscata e Gino si salva a Santa Clara dove viene incaricato di addestrare militarmente giovanissime maestre rurali. La prima allieva si chiama Aleida March futura moglie del Che o di Ernesto, come ricordava Gino. La prepara ad un attentato che non si farà. Poi un´imboscata della polizia. Clandestino su una nave danese,sbarca a New York dove comincia la terza vita. Imbianchino, ma anche Papillon. Va in Colombia a cercare smeraldi, prova a scavar l´oro in Venezuela, si tuffa fra i galeoni delle flotte tesoriere dell´impero spagno nella speranza di pescare un tesoro.

Gli anni passano, sposa una signora di 14 anni più matura. Diventa un pensionato squattrinato con problemi quotidiani che annebbiano ogni passato. Un giorno rivede un amico cubano che lo riporta all´Avana accolto dal tappeto rosso che Fidel riserva agli ospiti speciali. Ma Fidel e Raul non hanno tempo per riceverlo. Ne ascolto l´amarezza nella registrazione dei primi giorni d´intervista. Lo accoglie Jesus Montané, barba rossa potentissimo nell´anticamera di Fidel. Montané lo ascolta, si commuove e l´invita a tornare quando gli impegni di stato lasceranno respirare i fratelli Castro. Per Pigi Cipelli e per me che primi abbiamo ascoltato il racconto delle sue tre vite è stata un´esperienza giornalistica insolita: dovevamo ravvivare una memoria affogata nel tempo. Non c´era mai capitato. Gino ricordava lentamente e quando un episodio usciva dall´oscurità della memoria telefonava al nostro albergo, due passi dalla sua casetta: «Sono le tre di notte, ma devo raccontarvi…». Qualche minuto e si piegava sul registratore.

L´Italia ne ha scoperto l´avventura (più avventura che impresa politica) attraverso i nostri servizi del Corriere della Sera e del magazine Sette. È subito diventato un protagonista molto amato, testimone di tante storie vissute con l´impegno di chi non sopportava le ingiustizie: «Ernesto mi ha fatto capire tante cose…». In Italia ci siamo parlati qualche volta, solo al telefono. Ogni volta ripetevo il dubbio: «Hai ricordato proprio tutto?». Gino rideva: «Se vieni ti dico il resto». Adesso, l´ultimo viaggio.

http://www.unita.it/

 

 

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