4775 MANGIONE (CGIE USA): Ora difendiamo il voto all'estero

20080411 09:07:00 redazione-IT

A volte gli italiani all’estero sono i peggiori nemici di se stessi. Agiscono – o reagiscono – per proteggere l’immediato interesse personale e non si rendono conto che, così facendo, distruggono prima di tutto proprio il loro privato orticello. La battaglia per l’esercizio del diritto di voto in loco per gli italiani all’estero è stata lunghissima e faticosa. Lo sappiamo tutti, ma è bene ricordarlo a chi, appena arrivato all’abbeveratoio riempito dagli altri, con l’arroganza tipica di chi non sa, crede che questa conquista sia ormai scolpita nella pietra, a prova di secoli. Non è così, anzi.

Le prime proposte di legge al Senato e alla Camera sono state presentate nella II legislatura (1953 – 1958) rispettivamente da Ferretti (MSI) e da Del Fante (PDIUM). Il primo progetto di creazione della circoscrizione estera è avanzato da Pella (DC), nella V legislatura (1968 – 1972), ma è privo di una proposta di revisione costituzionale. I primi disegni di legge di modifica costituzionale sono stati presentati nella VI legislatura (1972 – 1976) rispettivamente, in ordine cronologico, ad opera di Vedovato (DC); Almirante (MSI); Marchetti (DC). Legislatura dopo legislatura le proposte si moltiplicano, ma non arrivano in aula. Nel 1986 nascono i Co.Em.It. – Comitati dell’Emigrazione Italiana, nel 1988 c’è la II Conferenza Nazionale dell’Emigrazione, nel 1991 nasce il CGIE – Consiglio Generale degli Italiani all’Estero. Il documento finale della II CNE, l’istituzione degli organismi di rappresentanza diretta, il colpo d’ala di Tremaglia, che nel ‘93 riesce a far votare la circoscrizione estero alla Camera, (ma il Senato la boccia pochi giorni dopo), il successivo martellamento a tappeto esercitato dal CGIE, la fortunata congiuntura d’astri che ha portato ad unirsi Tremaglia, Fassino e Bianchi sono gli elementi che, dopo una serie di bocciature sul filo di lana, rinvii, cardiopalmi e quant’altro, hanno portato alla modifica costituzionale del 2000 e alla legge di attuazione nel 2001. E allora, direte voi? Ce l’abbiamo e nessuno ce la tocca. Allora, dico io, le cose bisogna gestirle con intelligenza, perché al contrario delle credenze collettive, nulla è eterno su questa terra e men che meno nella legislazione italiana. Abbiamo eletto i primi rappresentanti diretti nel 2006, alcuni senza infamia e senza lode, pochi – in verità – degni dello scranno sul quale erano stati catapultati da una consultazione circondata d’ombre, denunce, controdenunce, insinuazioni di brogli elettorali, spoglio dei voti che ha rivelato aspetti di superficialità nell’organizzazione dei seggi, tutte cose di cui paghiamo ancora le conseguenze. Ma più di tutto la nostra “colpa” o il nostro “merito” – secondo i punti di vista – sono stati quelli di aver consegnato la maggioranza al Senato ad una delle due coalizioni. Ed è possibile che anche in questa tornata, con l’orrenda legge elettorale ancora vigente, gli eletti degli italiani all’estero possano consegnare la maggioranza ad uno o ad altro dei due nuovi partiti maggiori. Vi pare possibile che noi, dopo aver commesso il reato punibile con la dannazione all’inferno, di aver portato via sei scranni al Senato e dodici alla Camera possiamo anche diventare l’elemento determinante? Per l’amor di Dio! Non avete sentito il coro di ululati, guaiti, interpretazioni a dir poco ridicole, se non del tutto ignoranti – alla latina: che ignorano – che si è levato da tutti i “saggi”, gli “opinionisti”, gli autonominatisi “soloni”, i “trinciatori di giudizi”, gli “orecchianti” che ci danno addosso, questi ultimi, rovesciando il detto su cui si è costruita la Rivoluzione americana e questa grande democrazia? “No representation without taxation” (niente rappresentanza perché non pagano le tasse) strillano costoro, senza rendersi conto di due cose, primo: i cittadini italiani all’estero pagano le tasse su tutto quello che possiedono e guadagnano in Italia, pur senza avvalersi dei servizi che l’Italia fornisce ai contribuenti residenti nella nostra Repubblica; secondo: lo slogan dei patrioti americani era esattamente il contrario “no taxation without representation”, vale a dire “non puoi tassarmi se non mi dai una rappresentanza all’interno degli organi legislativi della patria d’origine”. Loro ci hanno costruito gli Stati Uniti d’America. Noi rischiamo di vederci negare il primo diritto politico dei cittadini. Bisogna però avere il coraggio di dire: “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”. L’aumento progressivo di decibel del coro dei denigratori, oppositori, gente con limitato senso di quanto globale sia diventato questo mondo, è alimentato non solo dall’egoismo degli italiani d’Italia, ma anche dai comportamenti di alcuni improbabili candidati in questa consultazione elettorale, inseriti più o meno in ogni lista presente all’estero. Chi sa che non ce la farà denuncia preventivamente i brogli dell’altro, ma contemporaneamente si rende colpevole – a seconda dei casi – di pinzillacchere, porcheriole, porcate, quando non addirittura reati contro la legge italiana. Si parla di voti comprati, di migliaia di schede in più, di raccolta di plichi a pagamento, di riunioni alle quali vengono invitati i più sprovveduti con la formula: “venite a cena per incontrare il candidato, ma portate le vostre schede”, di assegni falsi inviati a chi era stato ingaggiato per fare un piano di pubblicità elettorale ed ha comprato gli spazi a nome proprio, di minacce più o meno velate di stampo più o meno “profumato”. Le incongruenze non finiscono qui: chi ha sempre sparato contro i patronati – fonti di tutti i mali e peccaminosi sostenitori dei candidati di altri partiti – arruola a sua volta proprio il direttore di un patronato per fargli campagna elettorale. Tutte voci, fino a quando non ci sono denunce documentate – e qualcuna, lo sappiamo bene, è già partita. Tutte leggende urbane, dunque, ma le coalizioni perdenti, i non eletti, i tetragoni commentatori, che non riescono a sprovincializzarsi, ci inzupperanno il panino e forniranno carburante alla “vendetta, tremenda vendetta” delle coalizioni perdenti che, come minimo, vorranno aprire le candidature all’estero a tutti coloro che in Italia non trovano un posto al sole e, al massimo, ci negheranno il diritto di eleggere i nostri rappresentanti diretti e ci costringeranno a votare per l’Italia. Senza capire che l’improvvisa immissione di quasi quattro milioni di voti, diventerà determinante nella maggior parte nei collegi e delle circoscrizioni del Mezzogiorno. Ci perderà l’Italia, ma più di tutto ci perderemo noi, che non ce lo meritiamo per colpa di pochi “personaggi” la cui ambizione è di solito inversamente proporzionale alle capacità, l’onestà, il rispetto delle leggi e la garanzia dei diritti degli altri. Esponiamoli al ludibrio di tutti, ma prepariamoci fin da ora a proteggere con tutte le nostre forze la nostra conquista più importante, quella ad essere rappresentati da uno di noi, che vive qui e sa di che cosa parla quando dice “gli italiani all’estero”.

 

 

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EmiNews 2008

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