4813 SICILIA, IL CROLLO

20080416 14:45:00 redazione-IT

di Agostino Spataro

Anche in Sicilia il doppio voto (politiche e regionali) premia ampiamente lo schieramento capeggiato dal PdL.
Ma se in Italia Berlusconi vince, in Sicilia il centro-destra trionfa, soprattutto Lombardo nella corsa per la presidenza della regione. Un crollo inatteso per il centro-sinistra, e della sinistra in particolare, sulle cui macerie abbiamo visto aleggiare lo spettro beffardo del 61 a 0. Se si fosse votato con la precedente legge elettorale probabilmente si sarebbe di nuovo materializzato. Segnalo la cosa a futura memoria, in vista della discussione sull’annunciata riforma elettorale.

Il dato che più colpisce è la strepitosa affermazione del leader del Movimento per l’Autonomia.
Fin dal suo sorgere siamo stati (e restiamo) critici severi del “progetto autonomista” di Lombardo, tuttavia di fronte al suo 65% bisogna prendere atto che la sua candidatura è riuscita a polarizzare un consenso così ampio e variegato.
I confronti, certo, sono sgradevoli, tuttavia necessari per capire ciò che è accaduto.
Vediamo di sintetizzare. Nella precedente consultazione regionale la differenza fra Cuffaro e la Borsellino è stata di circa 12% , oggi quella fra Lombardo e la Finocchiaro si attesta al 35% .
Ossia uno scarto che supera il risultato conseguito dalla candidata del centro-sinistra (30%).
Si potrebbe obiettare che, nel 2006, a Cuffaro è venuto meno il 5% conquistato dal candidato di destra Musumeci, ma anche sommando i due risultati si giunge al 58%, ovvero 7 punti in meno del dato attribuito, oggi, a Lombardo.
Insomma, da questo voto riemerge con forza, drammaticamente direi, la “questione siciliana” che non è un problema nominalistico, ma è prima di tutto di carenza di strategia politica, di alleanze sociali, di progettualità per il cambiamento. Requisiti che vanno programmati e perseguiti per tempo e da un personale politico nuovo, in sintonia con la realtà complessa e dura che stiamo vivendo.
Perciò, desidero subito chiarire che in questa sconfitta Anna Finocchiaro c’entra fino ad un certo punto. Come ho già scritto in precedenza, il suo nome è stato tirato in ballo strumentalmente per aggirare una difficoltà interna al centro-sinistra, per bloccare la ri-candidatura della Borsellino.
La sconfitta del centro-sinistra e dello stesso Pd è davvero grave tanto da far dire all’on. Cracolici, capogruppo pd all’Ars, che “in Sicilia non c’è più la speranza”.
Esagerato. Quasi che la valanga di voti riversati su Lombardo abbia del tutto annullato quel sentimento innato che lascia sempre all’uomo una nuova possibilità.
Più che abbandonarsi a questi sfoghi, il tema di oggi è di vedere come trarre una proficua lezione da questa “bruciante sconfitta”, cercando di capire come e perché, in soli due anni, il candidato del centro-destra è riuscito ad innalzare del 12% il plafond dei consensi, a danno del centro-sinistra.
E dire che la Finocchiaro avrebbe dovuto avvantaggiarsi dell’interruzione traumatica della legislatura provocata dalle dimissioni di Cuffaro.
Siamo, dunque, in presenza di un dato allarmante che dovrebbe scuotere la base e i dirigenti del centro-sinistra che, questa volta, non hanno attenuanti.
Si può discutere sulla qualità del consenso dato a Lombardo e sulle modalità della raccolta, ma non sulla forza eloquente dei numeri.
Insomma, ci si chiede: ci sarà pure una ragione politica se, in meno di 24 mesi,
300 .000 elettori siciliani sono traslocati dal centro-sinistra al centro-destra?
Penso che di ragioni ve ne saranno più d’una. Perciò, si ha il dovere di ricercarle e di rimuoverle se si vogliono riconquistare la fiducia degli elettori e ricostruire la speranza dei siciliani.
Parlando chiaro e agendo di conseguenza.
Nessuno ha la ricetta pronta, proverò con qualche domanda e alcune considerazioni.
La maggioranza dei siciliani desiderano un vero cambiamento della politica e del ruolo della regione? Stando ai risultati, parrebbe di no; quasi se n’avesse timore o che ci fosse una certa resistenza. In realtà, non hanno intravisto un vero rinnovamento nelle pratiche e nei programmi del centro-sinistra, perciò hanno preferito lasciarsi incantare dalle sirene autonomistiche del MpA.
Lo spostamento di 300 mila elettori più che di attrazione è sintomo evidente di delusione.
Tutti sanno che il cambiamento promesso dal centro destra è solo di facciata, anzi di faccia, giacché il neo presidente potrà innovare qualcosa, ma non potrà cambiare il sistema di potere dominante che lo ha espresso.
C’è poi un problema molto concreto e sempre rinviato. Da tempo, il centro-sinistra isolano vive con i proventi di una discreta eredità, ancorato alle forze residuali di un blocco sociale e politico in disfacimento. Nonostante le sconfitte subite, non si è preoccupato di aggregarne uno nuovo, alternativo a quello dominante il cui collante è il controllo della spesa pubblica in chiave affaristica e clientelare.
Una condizione aleatoria, precaria che induce chi la vive, da protagonista o da comprimario, a ritagliarsi uno spazio individuale nell’ambito di un sistema di gestione sostanzialmente consociativo che ha fatto degli enti locali e della stessa Assemblea luoghi d’innaturale scambio e di paralizzante amalgama.
Sembra che gli esponenti politici, i parlamentari quasi non avessero obblighi di corrispondenza rispetto alle attese dell’elettorato, al dramma sociale che da tempo attanaglia la Sicilia.
Nel centro-destra, invece, notiamo più slancio, più competitività e una più spiccata propensione alla conquista. A modo loro sono presenti, con un attivismo che lascia di stucco.
Basta guardare- in queste elezioni- la serie di doppie candidature fra liste nazionali e regionali dove figurano i loro più quotati esponenti. Per pesarli, si è detto. Pratica disdicevole, certo, che però consente una verifica vera, sul campo. I candidati-sicuri del centrosinistra non si sono voluti “pesare” e nemmeno tanto impegnare nella campagna elettorale.
Se nel centro-destra contano i pacchetti di voti, nel centro sinistra non si capisce quali siano i criteri di promozione.
In altre parti d’Europa si usa che chi perde si dimette e se ne torna alla vita privata. Qui invece accade esattamente il contrario: chi perde non lascia, anzi si ripropone.
Il risultato non conta. Una logica incomprensibile in altri ambienti: un generale perdente viene rimosso, così un manager d’azienda o un allenatore di una squadra di calcio.
E’ chiaro che così è difficile recuperare la fiducia e le speranze perdute strada facendo.

Agostino Spataro

 

 

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EmiNews 2008

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