4980 IMMIGRAZIONE: Il vero allarme sociale? ''E' la nostra paura dei Rom''

20080516 20:46:00 redazione-IT

Nel suo blog, la scrittrice Milena Magnani autrice di un reportage sulla vita nei campi rom, esprime amarezza per ”la legittimazione dell’espressione rozza e violenta dell’intolleranza, la povertà di senso civile, l’abbandono delle istituzioni”

ROMA – Nel suo blog, la scrittrice Milena Magnani autrice di un reportage sulla vita nei campi rom “Il circo capovolto” esprime tutta la sua amarezza per i fatti di Napoli e per ciò che sottendono, per “la legittimazione all’espressione rozza e violenta dell’intolleranza, la povertà di senso civile e cultura, l’abbandono delle istituzioni.

“Voglio essere semplice – si legge nell’articolo – . Perché semplice è il linguaggio che preferisco. Il vero allarme sociale non sono i rom o gli immigrati, allarmante è la paura con cui noi ne drammatizziamo la presenza. Parlo di questa paura irrazionale e imprecisata, veicolata dal linguaggio televisivo e giornalistico che fomenta le fobie, e non consente di razionalizzare e analizzare la diversità dei casi e delle situazioni. La giovane nomade che tenta di rapire il bambino, ad esempio, è un fatto che per ora ha una sua concretezza soltanto giornalistica, non è suffragato da prove e anzi mi permetto qui di riportare l’opinione di un sociologo che è Maurizio Fiasco, il quale è un esperto di sicurezza, docente presso la Scuola di polizia, e che dice quanto segue: “Non esistono casi di zingari che rubano i bambini, non esistono prove e dati ufficiali, è una leggenda metropolitana”.
Presumo che tale opinione si possa applicare perfettamente al caso del presunto tentato rapimento di Napoli rispetto al quale non esistono prove, se non le dichiarazioni della madre la quale, e subito dopo il fatto, ha cambiato versione del racconto varie volte. Molto più ragionevole è pensare che la sedicenne rom, peraltro seguita dai servizi sociali, fosse entrata nell’abitazione per commettere un furto, atto sicuramente riprovevole, ma che poco a che fare con lo scatenarsi del delirio aggressivo e il rogo appiccato contro i rom rapitori”.

”C’è nel clima generale che si è creato una legittimazione all’espressione rozza e violenta dell’intolleranza, di non lontana memoria – prosegue Magnani – . C’è qualcosa che giustifica l’andare contro chi ha colpito un delitto, colpendo un intero gruppo. La politica delle ronde ha, a mio parere, la stessa matrice, poiché si avvicina pericolosamente al Far west dentro cui squadre di cowboys possono viaggiare per la città dotati di armi e di un incallito presupposto di sospetto. Sospetto e sfiducia verso il diverso che spinti alle loro estreme conseguenze giustificano l’approdo al farsi giustizia da sé, come in ogni Far west che si rispetti”.

”Mi chiedo come sia possibile che il popolo italiano non gridi tutto unito allo scandalo, il popolo italiano che ha sperimentato solo pochi decenni fa il ruolo di popolo migrante, ma davvero ci siamo dimenticati che sono stati migranti i nostri padri, veneti, lunigiani, napoletani, salentini, e non solo, ci siamo dimenticati di aver avuto in casa nostra rom e sinti che ora sono perfettamente integrati? I rom abruzzesi, i sinti piemontesi, non ci fanno capire che con la dovuta accoglienza, si creano i presupposti per la convivenza e l’arricchimento reciproco? E come è possibile che insieme al tanto celebrato “pacchetto sicurezza” non sia in cantiere un “pacchetto per l’integrazione e l’intercultura” dimensione, questa sì, che rappresenta il vero obiettivo a cui dovrebbe tendere una società evoluta?”

”In questi giorni e dopo i fatti di Napoli molte persone mi hanno chiesto opinioni legate alla mia esperienza professionale dentro i campi nomadi. Ho dovuto chiarire con loro che la mia esperienza non è professionale, non faccio l’educatrice nei campi rom di mestiere. Sono entrata nei campi nomadi perchè volevo capire, capire per scrivere e, a parte un po’ di diffidenza iniziale, non ho trovato mai porte chiuse ma solo persone, e soprattutto donne, che avevano voglia di raccontarsi e di condividere. Sia chiaro, è lontana da me l’intenzione di voler disegnare un’immagine bucolica e romantica del rom artista che gira il mondo, i rom oggi sono costretti alla sedentarietà e sono depositari di tradizioni e di mestieri che non sono spendibili sul mercato del lavoro contemporaneo, sono tagliati fuori perchè privi di risorse competitive”.

”E rispetto al problema della criminalità che ovviamente a tutto ciò consegue, qualcuno sa dirmi quale imprenditore è disposto ad assumere un diciottenne che nella domanda di lavoro dichiara di essere residente al campo nomadi di via Casilina 900? Qualcuno di voi ne conosce uno? Siamo seri, non si può gridare al rom ladro e criminale quando non gli si consente nessun tipo di accesso nel mercato del lavoro. Non si può parlare per categorie basate solo sul pregiudizio e gli stereotipi da rotocalco. Chi ha appiccato il fuoco ai campi rom di Napoli suscita in me lo stesso dispiacere che suscitano i rom che da quel rogo sono in fuga. C’è in questo gesto una povertà di senso civile e di cultura, c’è rabbia e impotenza e abbandono istituzionale che fa male, fa male vedere in un proprio connazionale, specie se lo si sa in una zona dove imperversa la legge di camorra”.

”Chi ha appiccato il fuoco ai campi rom di Napoli e ha gridato “se n’anna ire” mi fa, ahimè, venire in mente un detto salentino che qualche volta ho sentito usare da mia suocera e calza a pennello con tale livello di abbruttimento. E il detto è questo: “lu cacatu ‘ngiura lu pisciato” (traduco come riesco: quello che si è cagato addosso offende quello che si è pisciato, o, detto altrimenti, chi sta in condizioni pessime non si accorge di essere malconcio e offende chi sta più o meno come lui). Ritorno al titolo: voglio piangere perché ne ho voglia come piangono i bambini dell’ultimo banco, perché non sono né un uomo né un poeta né una foglia, ma un polso ferito che tocca le cose dall’altro lato (e questo invece è Garcia Lorca “Poeta a New York”).

Questo uno dei commenti lasciati sul blog: “Ti scrivo dalla Campania, non troppo distante dai roghi, ma neanche troppo vicino. E’ evidente che il racconto della madre della bambina contiene numerose falle narrative. Qualcosa è vero, qualcosa è falso. Qui la convivenza è sempre stata pacifica. Non c’è incultura, non c’è povertà (e ovviamente non c’è solo camorra). Camminiamo e incrociamo forse ventri trenta volte al giorno zingari, passeggini, donne che sono sedute sugli scalini, anziani che cercano nella spazzatura, carrelli della spesa pieni di roba recuperata. Le nostre città offrono scenari da terzo mondo, quotidianamente. entrano ed escono dallo sguardo. forse è disattenzione, ma non intolleranza. I roghi sono il segno che qualcos’altro sta bruciando. e si deve capire cosa”.

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EmiNews 2008

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