5004 Quell’umanità spazzatura

20080519 22:40:00 redazione-IT

di Maurizio Chierici (da l’Unità del 19.05.08)

«Nomadi, realtà orribile dell’Italia»: è la notizia di prima pagina di ogni giornale d’Europa. Tutti ci guardano; vorrebbero non fosse vero. «Incredibile che in un Paese democratico vi siano persone che vivono senza diritti e senza documenti anche se nati in famiglie “italiane” da 40 anni». Parole che stanno facendo il giro del mondo; parole del rapporto che sta per essere depositato alla Commissione UE dall’europarlamentare ungherese Victoria Monacai.

E la cronaca dei testimoni (Pais, Guardian, Pagina 12 e altri sette giornali stranieri) che hanno accompagnato la signora nella visita al Casilino, campo nomadi di Roma o nel cimitero napoletano delle ceneri di Ponticelli, baracche bruciate dalle molotov di una folla inferocita, queste cronache ricordano le nostre cronache nei viaggi africani o di quando attraversiamo le favelas dell’America senza niente. Umanità spazzatura immersa nelle immondizie.

Disgusto, repulsione, per fortuna storie lontane. Invece eccole qui. Questo il made in Italy? Non è successo all’improvviso. Seduto davanti all’altare della piccola chiesa di Pratovecchio, parco del Casentino, un mattino 2003 l’Abbè Pierre compiva 91 anni ripetendo con l’ultimo fiato i versi di una sua poesia: «Ma dove siete? – C’è troppa sofferenza – C’è troppa miseria – In mezzo a tanti farabutti perbene». Il religioso che aveva dedicato la vita ai sans papiers, senza documenti, ricordava con un sorriso la definizione di Sergio Zavoli: «Chiamatemi monsignor Spazzatura perché il mio impegno continua ad essere la restituzione della dignità alla spazzatura umana».

A proposito: noi dove siamo? Per anni l’autorità morale della Chiesa ha consolato l’emarginazione dei nomadi sopravvissuti ai forni di Hitler o ancora ingabbiati nell’emarginazione del socialismo reale, paesi dell’Est. Chiesa polacca, chiesa ungherese, ma anche l’arcivescovado di Milano. Il cronista ricorda il Natale 1959. Gli zingari del campo di Porto di Mare, periferia sud, scrivono disperati al cardinale Giovanni Battista Montini. Sfumava il tepore del primo benessere e la grande città operaia soffriva «il disordine dell’emigrazione che risaliva dall’Italia del Sud»: quante Milano-Coree, ghetti per le facce diverse dal biondo Brianza. Chiusi nel ghetto dei ghetti sopravvivevano a Porto Mare nomadi impediti a trovare lavoro dalla legge che imponeva un domicilio sicuro. «In quale modo, monsignore – invocava la lettera – possiamo affittare due stanze se ci è impossibile garantire l’affitto con un lavoro che non sia in nero?». La notte di Natale il cardinale dice messa in duomo. Il mattino dopo celebra nella baraccopoli degli zingari. Non arriva da solo. Lo accompagna il sindaco Virginio Ferrari, socialdemocratico; medico dai baffi asburgici. Montini gli aveva telefonato: andiamo assieme. Al momento della predica, con la voce timida di un intellettuale che non ha mai alzato la voce, il futuro papa annuncia: «Oggi questa è la mia cattedrale. Ho portato il sindaco. Spero gli vogliate bene e che lui voglia bene a voi». E nel discorso il sindaco si impegna a distribuire 200 appartamenti: finalmente gli zingari trovano casa. E poi il lavoro: milanesi come tutti.

Cinquant’anni dopo l’Italia è cambiata, il mondo è cambiato ma la Chiesa resta il riferimento al quale i credenti affidano la speranza. Se don Luigi Ciotti chiede scusa ai Rom dalla prima pagina dell’Unità, è il quasi silenzio dei palazzi vaticani sui nomadi perseguitati da sospetti che spesso svaniscono ma che la strategia politica della paura trasforma in un odio da rafforzare per controllare l’elettorato; è questo quasi silenzio ad agitare messaggi e lettere. Continuano ad arrivare. Turbamento dei cattolici ma anche di laici che non nascondono la meraviglia. Perché tanta prudenza? Ne scelgo due. Lettera amara di Ettore Masina. È stato il primo vaticanista (la parola non gli è mai piaciuta) della Rai-TV. Due volte deputato della sinistra, fondatore di Rete Resch: solidarietà ai profughi, dalla Palestina all’America Latina. Autore di tanti libri: «L’arcivescovo deve morire», biografia di monsignor Romero pubblicata dal Gruppo Abele: «Il vinceré», edizioni san Paolo, finalista al Viareggio; e «Le nostre barche sono rotonde», da poco in vetrina. Ecco la tristezza che lo accompagna. «Non turbate il Santo Padre. Ditegli che c’è un guasto nei ripetitori di Ponte Galeria e perciò nei palazzi vaticani per qualche giorno radio e televisori sono in black out. Ditegli che c’è uno sciopero dei giornalisti di tutto il mondo, quindi non arrivano notizie. Fate che non sappia, insomma, quel che sta succedendo in Italia ai Rom, cioè che da mesi gli “zingari” vedono (non soltanto a Ponticelli ma in molte città e paesi) i loro campi assaltati da facinorosi o “rimossi”, quasi senza preavviso, dalle forze dell’ordine. È una specie di pulizia etnica, senza morti, per fortuna, ma con valanghe di odio, inasprimento di una miseria già di per sé dolorosa e terribili traumi per centinaia di bambini. La comunità europea aveva già sanzionato l’Italia come paese meno accogliente per i Rom: il nuovo governo ha deciso una soluzione radicale. Razzista. Il Papa tutto questo non lo sa. Se lo sapesse, certamente Benedetto XVI, Vicario di Gesù Cristo, Patriarca dell’Occidente e Primate d’Italia, lascerebbe i suoi preziosi paramenti per affrontare il fango dei “campi” contro cui si accaniscono le bottiglie moltov della gente bene; vi andrebbe per gridare su quelle devastazioni la parola del Cristo: “Ciò che viene fatto ai poveri è a me che viene fatto”. Papa tedesco, sicuramente non riesce a dimenticare il genocidio degli zingari compiuto dalla Germania nazista ad Auschwitz, centinaia di bambini orrendamente torturati dal dottor Mengele; e questo ricordo, se lui sapesse ciò che sta accadendo a pochi chilometri dalla sua finestra domenicale, lo spingerebbe a levare alta la voce per difendere i membri di una etnia dalle vere e proprie persecuzioni in atto. Così attento alle leggi italiane che “violano i diritti del feto”, mostrerebbe di non essere meno sensibile ai provvedimenti governativi che violano i diritti umani di migliaia di persone colpite in base alla loro nazionalità… Il Signore ha voluto che le genti “da un confine all’altro della Terra” diventassero un solo popolo, radunato dall’amore. Per questo chi odia una stirpe pecca gravemente contro Dio. Questo stanno dicendo i vescovi italiani pellegrini fra le rovine fumanti degli abituri devastati dei Rom. Come dite? Nessun vescovo è là, fra quelle roulottes sfasciate, fra le motocarrozzette caricate di poveri suppellettili e avviate verso chissà quale destino… Ahimé, i vescovi rimangono nei loro palazzi e tacciono o (vedi monsignor Bagnasco) condannano con flebili e gelide parole quelli che con bell’eufemismo definisce “estremismi”. Cristo si è fermato in Piazza San Pietro?… Non vedo una marea di indignazione levarsi contro la criminalizzazione di un popolo marcato dai segni evidenti di estrema povertà ma la cui pericolosità sociale è enormemente minore di quella dipinta dai politici della destra. La Caritas, unica e vera “esperta di umanità”, definisce “pesantemente forviante” il ritratto dei Rom disegnato da mass media. La politica della paura che ha avuto un peso tanto grande nei risultati elettorali, sventola statistiche false. L’Italia è paese più sicuro della Francia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti… Nelle statistiche del Ministero degli Interni non c’è un solo Rom condannato per aver organizzato un omicidio…

Può darsi che la storia abbia decretato la fine dei popoli nomadi: l’evoluzione culturale e il rimodellamento della Terra (quello fisico e quello politico) sembrano imporre una definitiva stanzialità. Del resto siamo tutti discendenti da antenati nomadi perché il nomadismo è stata una tappa fondamentale della vicenda umana. Ma se davvero è finito il tempo di genti sospinte a un cammino ininterrotto dalla necessità e da un’inesauribile voglia di libertà, allora, almeno, esse hanno il diritto di attendersi l’aiuto di una società dominante che ha già compiuto da secoli un trapasso di civiltà. Invece è proprio quello che non vogliamo consentire ai Rom. La stanzialità e l’integrazione…

La citazione conclusiva viene da Bertold Brecht. Raccoglie uno scritto del pastore luterano Martin Niermoller. «Prima vennero per i comunisti e non alzai la voce perché non ero comunista. Quindi vennero per gli ebrei, e non alzai la voce perché non ero ebreo. Quindi vennero per i cattolici, e non alzai la voce perché ero protestante. Poi vennero per me e a quel punto non vi era rimasto nessuno che potesse alzare la voce». Torna la domanda dell’Abbé Pierre: «Dove siete?».

mchierici2@libero.it

 

 

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EmiNews 2008

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