5152 Stranieri della porta accanto: poco consumismo, molto lavoro

20080701 20:09:00 redazione-IT

– Immigrati fannulloni? Un cliché: lavorano, ma spesso senza contratto
– Consumatori sì, ma attenti: gli immigrati sognano casa e auto
– Don Nozza: ”I datori di lavoro paghino per l’integrazione”
– Zingaretti: ”Un testo che aiuta a conoscere l’altro”
– Roma verso un Albo delle professionalità straniere

E’ il profilo che emerge dalla ricerca Caritas sulla vita quotidiana e il lavoro degli stranieri a Roma. Revelli (Commissione sull’esclusione sociale): ”Quadro senza toni allarmistici, piuttosto di sofferta e dignitosa normalità”

Roma – “Istruiti, laboriosi, poco inclini al consumo, economicamente autosufficienti, aperti alla solidarietà, sempre più attaccati all’Italia”. E’ questo l’identikit degli immigrati che emerge dalla ricerca “Le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nell’area romana”, che viene presentata oggi a Roma da Caritas di Roma e Caritas italiana, insieme alla provincia. Lo studio, commissionato dalla Commissione d’indagine sull’esclusione sociale al Centro Studi e Ricerche Idos – in collaborazione con la Fondazione Ismu e con numerose associazioni di immigrati – non intende negare gli aspetti problematici di un fenomeno sociale dalle dimensioni così ampie, ma vuole superare un approccio che tende a inquadrare l’immigrazione come un “unico grande problema”, dando visibilità ai benefici che questa apporta alla nostra vita quotidiana, sia demograficamente che economicamente.

Dallo studio si delinea l’immagine di una popolazione diversificata al suo interno, in cui permangono sacche di emarginazione e indigenza e, parallelamente, emergono situazioni di relativo benessere e agio. Insomma, un’immigrazione né ricca, né depressa, assolutamente “normale”. "Si potrebbe dire l”immigrato della porta accanto’, che lavora con noi o nella nostra casa, che manda i suoi figli a scuola insieme ai nostri, non può continuare a essere additato come il capro espiatorio di un’economia che va a rilento o di una sicurezza pubblica che preoccupa". Per Marco Revelli, presidente della Commissione d’indagine sull’esclusione sociale, il quadro che emerge è “decisamente diverso da quello consueto della rappresentazione prevalente, spesso orientata a toni allarmistici e all’emergenza’: un quadro di sofferta e dignitosa normalità. Di non facile, ma laboriosa integrazione”.

Per fare questo, la ricerca considera una molteplicità di aspetti, da quelli economico-lavorativi a quelli di socio-culturali e giuridici, riconoscendo il valore che l’esperienza romana ricopre anche sul piano nazionale. L’area metropolitana di Roma, infatti, insieme ai comuni della Provincia – dove gli immigrati tendono sempre di più a trasferirsi per il costo ridotto delle abitazioni – costituisce in Italia il polo territoriale di maggiore concentrazione della popolazione immigrata regolarmente soggiornante. Secondo il Dossier Caritas/Migrantes erano 430 mila all’inizio del 2007. Qui l’immigrazione presenta una grande vivacità, innanzitutto per il policentrismo delle presenze: le nazionalità rappresentate sono oltre 180, in prevalenza euroasiatiche e con un primato di romeni (22,3%), filippini (9,1%) e polacchi (6%).

La sola selezione del campione (916 immigrati di 69 nazionalità) ha richiesto un anno di tempo. Il questionario è stato somministrato telefonicamente tra i mesi di maggio e giugno 2007. Quasi un settimo del campione vive fuori dall’area urbana, in una cinquantina di comuni sparsi sul territorio provinciale o, in casi residuali, nelle sue immediate vicinanze e, d’altra parte, ben 4 su 10 ritengono più conveniente vivere in un comune della provincia piuttosto che nella capitale. Quasi i tre quarti sono arrivati in Italia tra il 1990 e il 2003, periodo segnato in tutta Italia da una notevole intensità dei flussi in entrata. Ma sono meno della metà (47,6%) quelli che hanno ricevuto il permesso di soggiorno entro la stessa data. Circa la metà (50,6%) ha fruito di un provvedimento di regolarizzazione (un 25% fino al 1998 e un 25% nel 2002). Ciò significa che molti sono stati di fatto costretti a iniziare da irregolari la loro storia migratoria. E poi le traversie non finiscono con l’emersione ed evidenziano la complessità e la lentezza delle procedure burocratiche per ottenere un titolo di soggiorno valido. Oltre un sesto degli intervistati (18%) è in attesa di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno. Aneta Carreri

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Immigrati fannulloni? Un cliché: lavorano, ma spesso senza contratto

Secondo i risultati della ricerca Caritas sulle condizioni di vita degli stranieri a Roma il 79,9% lavora, il 12% è disoccupato. Ma per chi lavora, in un sesto dei casi non ci sono tutele. Quasi la metà sono collaboratori delle famiglie

Roma – Sempre più spesso gli italiani invocano una “immigrazione buona”, ma secondo i risultati della ricerca “Le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nell’area romana” che viene presentata oggi a Roma da Caritas Italiana e Caritas di Roma, insieme alla provincia, questa esiste già. Non c’è infatti una massa di fannulloni, ci sono invece lavoratori poco tutelati. Nell’area romana la larghissima maggioranza degli intervistati ha un impiego (79,9%), mentre solo poco più di un decimo è disoccupato (12%); la quota restante è composta da studenti (6,4%) e da persone in altra condizione non professionale (1,7%). Gli occupati, nell’87,2% dei casi, sono alle dipendenze di uno o più datori di lavoro, mentre il restante 2,8% svolge un’attività autonoma. Il 15,3% dei lavoratori dipendenti è senza contratto.

L’occupazione non è stata trovata grazie agli uffici pubblici (solo 1 caso su 70), ma autonomamente o attraverso le reti parentali, amicali e associative. Riguardo le mansioni svolte, collaboratori domestici e assistenti domiciliari rappresentano,da soli, quasi la metà del totale (43,6%). Uno ogni nove è manovale nell’ edilizia o addetto ad alberghi e ristoranti (11,8%), ma tanti (13,5%) sono anche dediti a occupazioni intellettuali (traduttori e interpreti, mediatori culturali, formatori e insegnanti, informatici) o professionisti nell’ambito socio-sanitario (medici, paramedici e assistenti socio-assistenziali), mentre il 5,2% si trova in posizione impiegatizia.

Quindi non solo posizioni di basso profilo e scarso prestigio sociale e retributivo: l’area romana inizia a offrire anche ruoli più qualificati, specialmente a chi ha maturato una certa anzianità di soggiorno. A lavorare come operai edili, assistenti domiciliari, addetti a ristorazione e alberghi, ma anche come operai agricoli, sono soprattutto gli immigrati arrivati in Italia a partire dal 2004, mentre tra chi è arrivato fino al 1989 è più alta la quota di domestici a ore, impiegati esecutivi e di concetto, intellettuali, titolari di attività commerciali e operai specializzati. La metà degli intervistati percepisce delle retribuzioni piuttosto basse (tra i 500 e i 1.000 euro mensili) e il reddito medio da lavoro dichiarato è di 916 euro al mese. Oltre la metà degli intervistati (54,8%) però si ritiene soddisfatta dell’attuale occupazione. Il 50,4% degli intervistati ha dichiarato che appena arrivato in Italia è stato costretto a ricorrere all’aiuto economico di parenti, amici (connazionali e italiani) e organizzazioni di solidarietà, e solo dopo qualche tempo è riuscito a sostenersi autonomamente. Aneta Carreri

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Consumatori sì, ma attenti: gli immigrati sognano casa e auto

Ricerca Caritas sugli stranieri a Roma. Uno su 10 è proprietario della casa in cui vive. 7 su 10 in affitto: la media è 622 euro. Tutti hanno il telefono cellulare. Il 47,7% fa spesa nei supermercati. Inclusi anche nei circuiti dello svago

ROMA – Gli immigrati risultano dei consumatori attenti secondo il quadro che emerge dalla ricerca “Le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nell’area romana” presentata a Roma da Caritas di Roma e Caritas Italiana, insieme alla Provincia di Roma. In cima alla lista dei beni che vorrebbero acquistare, prima dell’automobile, c’è la casa, principale ambizione di oltre la metà degli intervistati (53,1%). È interessante sottolineare che si tratta di una casa da acquistare nell’area romana, ormai principale centro di interesse, e non nel paese d’origine. Uno su dieci (si tratta in prevalenza della quota di popolazione insediata da più lungo tempo) è proprietario della casa in cui vive (e nel 69% dei casi sta ancora pagando il mutuo), quasi 7 su 10 sono in affitto, in qualche caso come ospiti non paganti (5,8%), e quasi un sesto (15,1%) vive sul posto di lavoro, mentre appena 24 persone tra gli intervistati (1 ogni 42, 2,6%) sono ospitate in una struttura di prima o di seconda accoglienza. La larga maggioranza, in altri termini, vive a casa sua e non in strutture assistenziali: con i propri familiari (61% del campione), con amici e parenti (32,2%) e appena il 6,8% da solo. I costi medi per un alloggio in affitto sono 622 euro mensili per un appartamento, 329 per una stanza, 212 per un posto letto.

Questi dati di sintesi nascondono situazioni anche molto diverse tra loro, ma danno conto della “pressione” esercitata dai canoni d’affitto su una fascia di popolazione che è largamente riconducibile alla categoria dei lavoratori a basso reddito. Mediamente, in ogni caso, gli intervistati dividono un’abitazione di circa 70 metri quadrati con altre 3 persone (identificabili, tendenzialmente, in 2 familiari e 1 non familiare). Si delinea, dunque, una situazione distante dalle situazioni emergenziali e di fortuna alle quali si è abituati a ricondurre l’intera popolazione immigrata. L’immagine che ne risulta vede gli immigrati confrontarsi con le stesse problematiche abitative che coinvolgono il resto delle “fasce svantaggiate” della popolazione locale.

Praticamente tutti gli intervistati possiedono un telefono cellulare (98,6%), mentre solo un quinto (19,9%) è titolare di un abbonamento per telefono fisso. La larga maggioranza è in possesso di un televisore (70%), spesso associato alla parabola o al decoder (24,3%), che permettono di seguire i programmi trasmessi dai paesi di provenienza. Piuttosto diffuso è anche il computer (40,4%), meno l’automobile (31,8%), mentre è consistente l’utilizzo dei mezzi pubblici: oltre la metà degli intervistati è titolare dell’apposito abbonamento (54,4%). Solo il 2,6% fa gli acquisti in piccoli negozi e il 9,4% nei mercati, mentre la larga maggioranza si rivolge abitualmente alla rete dei supermercati (47,7%) o dei discount (40,2%) ed è residuale la quota di chi ricorre ai servizi della rete Caritas e Sant’Egidio (0,1%). Anche rispetto alla gestione del tempo libero e, più in particolare, alla frequentazione di cinema e ristoranti, gli intervistati appaiono caratterizzati da attitudini sempre più simili a quelle del resto della popolazione: né frequentatori abitudinari né tagliati fuori da questi circuiti “di svago. Poco più della metà afferma di frequentare i ristoranti (51,7%), anche se molto raramente (15,8%), spendendo mediamente per pasto non più di 25 euro (80,4%). Più contenuta, ma comunque vicina alla metà del totale, è la quota di chi frequenta i cinema (42,9%).

Più di 7 su 10 leggono i giornali italiani e nella metà dei casi li acquistano anche, più di 2 su 10 leggono i giornali redatti nella lingua del paese d’origine, in più della metà dei casi editi in patria. Solo 1 su 24 non legge i giornali, mentre a non acquistarli, vista la diffusione della free-press, è più di 1 ogni 6.

Oltre i due terzi degli intervistati (68,4%) si concedono periodi di ferie, in prevalenza per più di due settimane: più di 6 su 10 tornano in patria, quasi 2 su 10 rimangono nel Comune di residenza e una quota di poco inferiore in un luogo di vacanza in Italia, una tendenza, quest’ultima, che tende ad affermarsi man mano che cresce l’anzianità di soggiorno, suggerendo di superare anche l’immagine di un immigrato con la mente sempre rivolta al paese di nascita, soppiantata da una pluralità di atteggiamenti e propensioni. Aneta Carreri

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Don Nozza: ”I datori di lavoro paghino per l’integrazione”

Il direttore di Caritas Italiana sostiene la proposta di alcune associazioni di immigrati: ”Del resto loro pagano per il permesso di soggiorno”. E boccia ancora il pacchetto sicurezza: "Misure penali non siano al centro”

ROMA – Lavoro regolare, alloggi, scuola, mediazione culturale, corsi di lingua, pari opportunità: su tutto questo bisogna investire per evitare che la presenza degli immigrati diventi sempre di più una realtà periferica. Lo sostiene il direttore di Caritas Italiana, analizzando i risultati della ricerca sulle condizioni di vita e lavoro degli stranieri a Roma di Caritas italiana e Caritas di Roma, in collaborazione con la provincia. Sono tanti i fattori che emarginano gli stranieri in Italia: la macchinosa burocrazia per il permesso di soggiorno e la cittadinanza, il lavoro nero, il sottoutilizzo rispetto alle qualifiche, l’esposizione al rischio di infortuni, l’abbandono scolastico, il disagio abitativo. A questo la Caritas risponde con quella che don Nozza chiama strategia della solidarietà: “Non si deve pensare l’immigrazione slegandola da accoglienza, solidarietà e giustizia”. Per contro, “contenimento, repressione e misure penali non devono essere proposte come l’essenza della politica migratoria”. Per tutto questo servono risorse. Don Nozza allora sostiene: “Non ci sembra infondata l’ipotesi emersa nell’ambito dell’associazionismo degli immigrati di far pagare una quota per l’integrazione ai datori di lavoro, come del resto gli stessi immigrati pagano per ottenere il permesso di soggiorno”.

“La strategia della solidarietà – spiega Nozza, entrando nel dettaglio della questione – esclude che l’immigrazione si riduca a essere una realtà periferica e cioè marginale. Questo aggettivo connota le realtà che contano poco, ottengono poco dai centri decisionali e incidono poco sulla società. Le migrazioni non sono una realtà periferica dal punto di vista statistico. A livello mondiale sono circa 200 milioni i migranti, tutti i continenti e tutti i paesi sono coinvolti in questo fenomeno, come area di partenza o come area di arrivo, e non di rado sotto entrambi gli aspetti, come è il caso dell’Italia. Il 2007 è stato l’anno dell’equilibrio tra emigranti italiani all’estero e immigrati stranieri in Italia, con valori di poco al di sopra dei 3,5 milioni. Nel futuro gli immigrati presenti in Italia arriveranno a livelli più elevati. Voglio dire, a commento di una recente proiezione fatta dall’Istat sulla crescita dell’immigrazione, che alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi anni e dell’andamento demografico, è realistica una quota di crescita di 300.000 unità l’anno. Se così stanno le cose, basteranno 20 anni, senza più attendere la metà del secolo, per superare i 10 milioni di cittadini stranieri, con un’incidenza sulla popolazione residente superiore al 16% e una strutturalizzazione ancora più elevata del fenomeno rispetto a quella che già ora riscontriamo”.

Ma a fronte di questi dati, la presenza degli immigrati rischia di configurarsi come una “realtà periferica anche a livello giuridico. Ad esempio, il permesso di soggiorno della Comunità Europea per lungosoggiornanti (ex carta di soggiorno), assicura di per sé la garanzia del soggiorno e una più ampia equiparazione ai cittadini italiani, senza tuttavia contemplare, almeno in Italia, la partecipazione alle elezioni amministrative e l’accesso al pubblico impiego. È auspicabile che si compiano dei passi in avanti attraverso un confronto più costruttivo tra gli schieramenti, ma purtroppo pare che l’orientamento preso vada nel senso contrario”.

Anche a livello lavorativo, “gli immigrati vengono in qualche modo costretti a essere una periferia”. Questi i motivi: la prassi quasi generalizzata del collocamento in nero anche degli immigrati regolari e l’evasione contributiva nei loro confronti, un diffuso ‘fenomeno carsico’ che colpisce maggiormente determinate categorie come le collaboratrici familiari e gli operai edili; l’eccessiva ‘canalizzazione’ verso determinati settori; il sottoutilizzo di questi lavoratori rispetto alle qualifiche maturate (spesso difficili da riconoscere per la complessità delle procedure) e, più in generale, lo scarso potere contrattuale di cui questi lavoratori godono, visti i larghi spazi di ricattabilità legati alla precarietà del soggiorno. Non può non destare impressione il divario tra preparazione ricevuta e inserimento lavorativo, che vede gli immigrati prevalere per percentuale di laureati e diplomati (39,5% rispetto al 33,4% degli italiani, con uno scarto di 6,5 punti percentuali – Censimento 2001) e per l’altissima percentuale di impieghi non specializzati (83,7% rispetto al 54,7% degli italiani, con uno scarto di 29 punti percentuali – Inps, 2004).

Inoltre, un quarto degli occupati stranieri lavora in orari disagiati: il 19% la sera (dalle 20 alle 23), il 12% la notte (dopo le 23) e il 15% la domenica (Istat, 2006). A ciò si aggiunge la loro più elevata esposizione al rischio infortunistico (il rischio per loro cresce del 50%, come rilevato dall’Inail”. Questa connotazione periferica, oltre che a livello normativo-burocratico e lavorativo, si riscontra anche sotto diversi aspetti a livello sociale: emblematico è il differenziale tra quanti, a conclusione della terza media, non vengono ammessi all’esame di licenza: tra gli italiani si tratta di 1 iscritto ogni 50, tra i figli degli immigrati di 1 ogni 10 (anno scolastico 2005-06). Altro ambito emblematico è quello relativo alle condizioni abitative. Il disagio abitativo non è certo una prerogativa della popolazione immigrata, ma nel caso degli stranieri non comunitari le problematiche legate all’alloggio tendono ad amplificarsi. In particolare, nonostante il rifiuto di fornire un alloggio agli immigrati regolari rientri tra le forme di discriminazione sanzionate da un risarcimento e da una reclusione fino a 3 anni, nei giornali di annunci economici le inserzioni di questo tipo sono ricorrenti. All’indisponibilità ad affittare agli stranieri (e segnatamente agli extracomunitari) si associa poi la tendenza ad applicare loro un canone ‘speciale’, che porta ad un incremento del 10-20% rispetto agli affitti pagati dagli italiani, nonché, più raramente, la richiesta di garanzie ‘aggiuntive’ come una fideiussione bancaria e, nonostante questo, il più delle volte la locazione è transitoria o in nero”.

“ll ‘pacchetto sicurezza’ ha generato in Caritas, e più in generale in tutto l’ambito sociale, diffuse perplessità per i suoi contenuti ed ancora maggiore perplessità è stata manifestata per il fatto che l’attenzione venga dedicata in esclusiva all’immigrazione irregolare, quasi che per tutti gli altri immigrati, che sono ben più numerosi, tutto vada bene. Noi riteniamo invece che il contenimento, la repressione, le misure penali non debbano essere proposte come l’essenza della politica migratoria: nel buon ordine delle cose, esse sono solo una parte residuale, da utilizzare in presenza di comportamenti devianti rispetto alla norma, che non riguardano però la stragrande maggioranza degli immigrati”. Ma “il collante di cui necessita una società multiculturale sono le disposizioni in grado di accogliere i nuovi venuti, sostenendoli con l’offerta di pari opportunità e incentivando la convivenza e la coesione sociale. Infine un appello a politici e amministratori pubblici: “Essi hanno la possibilità di operare in maniera differenziata, incidendo significativamente sulle situazioni locali, ponendo un rimedio alle attuali carenze, eliminando progressivamente le varie linee di distinzione che pongono gli immigrati in una situazione di svantaggio”.

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Zingaretti: ”Un testo che aiuta a conoscere l’altro”

Il presidente della provincia di Roma commenta il rapporto della Caritas. ”Conoscere l’altro infatti è condizione basilare per non avere paura”

ROMA – Non è possibile creare sicurezza solo attraverso la repressione. Le forze dell’ordine vanno aiuate a colpire il crimine, ma gli enti locali hanno il compito di dare sicurezza mettendosi in prima fila per la legalità e la prevenzione: è questo, in sintesi, il messaggio che il presidente della provincia di Romna, Nicola Zingaretti, ha lanciato oggi in corso della presentazione della ricerca sulla condizione degli immigrati nell"area romana, presentata oggi nella Capitale da Caritas di Roma e Caritas Italiana, insieme alla provincia. "Grazie per la produzione di un testo che aiuta a conoscere l’altro”, ha detto Zingaretti nel suo intervento. “Conoscere l’altro infatti è condizione basilare per non avere paura”. Zingaretti ha poi aggiunto che la paura nasce dalla mancanza di conoscenza. “Si parla molto di sicurezza e di percezione di insicurezza, che cresce e che non va banailzzata ma deve cambiare l’approccio: non si può combattere la paura fomentando la paura”. Inoltre, ha aggiunto, non cresce solo la percezione di insicurezza ma anche la povertà, soprattutte tra le fascee sociali che vivono una precarietà permanente. “Per sconfiggere queste paure dovremmo mettere in campo strategie contro la povertà dei cittadini e campagne di conscenza nei confrontri dell’altro”. “So che se ci si limitasse a un problema di ordine pubblico non daremo sicurezza ai cittadini”.

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Roma verso un Albo delle professionalità straniere

Lo ha annunciato l’assessore alle Politiche sociali, Sveva Belviso. ”Ci sono tante professionalità che non vengono stimolate né utilizzate. Per i prossimi progetti del comune ho intenzione di utilizzare proprio gli iscritti a questo albo”

ROMA – “Stiamo lavorando al progetto di un Albo per l’iscrizione di immigrati con alte professionalità”. Lo ha annunciato l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Roma, Sveva Belviso, nel corso della presentazione della ricerca “Le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nell’area romana”, organizzata da Caritas di Roma e Caritas Italiana, insieme alla provincia di Roma, e svoltasi questo pomeriggio.

Per l’assessore alle Politiche sociali, l’Albo ha la duplice funzione di aiutare l’amministrazione e le comunità straniere. “Ci sono infatti – ha precisato la Belviso – tante professionalità che non vengono stimolate né utilizzate. Per i prossimi progetti del comune ho intenzione di utilizzare proprio gli stranieri iscritti a questo albo”.

Il progetto rientra nell’idea dell’amministrazione capitolina di coniugare i valori della solidarietà e della legalità. Nel senso che tanto maggiore è l’irrigidimento dell’amministrazione verso comportamenti illegali, tanto più corrisponde un’apertura e una disponibilità verso coloro che restano nell’ambito della correttezza. (ap)

www.redattoresociale.it

 

 

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EmiNews 2008

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