5192 Rino Giuliani: "Partiti, sindacati, patronati e associazioni"

20080708 18:57:00 redazione-IT

Recentemente, all’indomani della messa a punto delle regole di funzionamento dell’organizzazione del P.D. , stando ai testi di agenzia, un parlamentare di quel partito ha detto:
"Adesso occorre riprendere e in alcuni casi avviare una grande discussione ed un vero confronto dentro al Partito, coinvolgendo senza indugi quanti – singoli cittadini, associazioni, rappresentanti di Consulte Regionali per
l’Emigrazione, sindacalisti o esponenti di patronati – hanno in questi anni creduto e lavorato perché i valori ispiratori delle forze politiche del centro-sinistra italiano trovassero anche all’estero una loro adeguata rappresentanza."

Quel parlamentare, si è limitato ad esprimere l’auspicio che , una volta decise le regole interne, si potesse avviare dentro al partito “una grande discussione”, un confronto ritenuto vero, reale, se ad esserne protagonisti fossero stati non i soli aderenti al partito ma altri, persone singole: cittadini, sindacalisti, esponenti di patronato, rappresentanti delle Consulte Regionali per l’Emigrazione e le associazioni.

Quest’ultime, in quanto tali chiamate al confronto interno, gli altri soggetti invece (sindacati, patronati, Consulte regionali dell’emigrazione) con l’implicito riconoscimento della loro autonomia formale deducibile dalla distinzione fatta fra persone fisiche , invitate, e soggetti collettivi d’appartenenza

Per quel che è dato sapere molti fra i diversi soggetti operanti nel sociale, associazioni, sindacati, patronati hanno auspicato, più che il successo di una coalizione di governo o addirittura di un solo partito, un quadro di rinnovamento della nostra società italiana fondato sulla democrazia rappresentativa, pluralistica, derivata dalla Costituzione italiana, sull’affermarsi di una maggiore giustizia sociale, sulla esigibilità dei diritti di libertà uniti a quelli sociali per la cui attuazione è compito dello stato svolgere un ruolo attivo.

Ognuno dei soggetti collettivi che ha condiviso tale traiettoria si è mosso a partire dalla sua rappresentanza sociale, dai diritti e dalle aspettative dei quali si è fatto interprete.

Personalmente non credo che ci siano sindacati dei lavoratori o patronati sindacali che in tutti questi anni abbiano “creduto e lavorato” perché i valori ispiratori delle forze politiche del centro-sinistra italiano trovassero anche all’estero una loro adeguata rappresentanza .

Non lo credo e non vedo identificazione, compenetrazione con schieramenti politici o singoli partiti. A maggior ragione in realtà composite come le Consulte regionali dell’emigrazione.

Non è stato e non è questo il fine dell’azione dei sindacati abituati a valutare ed a rispondere ai governi sulla base delle proprie autonome rivendicazioni e delle risposte ricevute.

Non è questo il fine di strutture di servizio quali sono i patronati che in modo encomiabile dalla loro istituzione ad oggi, in modo impegnativo, spesso surrogatorio dei pubblici servizi, si organizzano, anche all’estero, per dare sostegno ai lavoratori in un welfare continuamente in evoluzione.

Neanche presuntivamente c’è da credere che esistono governi amici e governi nemici.

L’orizzonte dell’immediato non può essere delimitato da una falsa antinomia.

Non è un caso che anche prima della recente campagna elettorale la CGIL abbia di nuovo riaffermato, come scelta dell’organizzazione, il vincolo di un impegno esclusivamente sindacale.

Come non altrimenti se si vuole tenere anche il filo imprescindibile dei rapporti unitari fra tutte le centrali sindacali e se si vuol prendere atto che ormai da molto tempo la libera adesione al sindacato avviene in autonomia dalle personali decisioni di voto o dalla adesione ai partiti politici e che al sindacato si richiede di rappresentare il mondo del lavoro.

Quanto alle associazioni, il superamento dell’eventuale collateralismo ed una grande, articolata unità al loro interno ne esalta il ruolo di rappresentanza e la capacità di direttamente confrontarsi senza mediazioni interessate.

Spazi e ruoli distinti non annullano tuttavia la necessità di confronti fra tutti, non “dentro” ma in sedi liberamente scelte, trasparenti in cui le identità non si confondono ed i diversi ruoli restano distinti. Se così non fosse le affermazioni ultimamente numerose sull’interesse ad avere un associazionismo libero, autonomo e propositivo mostrerebbero un carattere strumentale che è meglio far cadere.

Ci resta difficile equiparare le citate affermazioni ai soliti piccoli innocenti “mantra“ del politichese sopravvissuto a tutto. Aldilà delle personali buone intenzioni le affermazioni citate riflettono un modo di pensare diffuso nei partiti difficilmente condivisibile e non utile ai cittadini.

Con molto rispetto, sommessamente inviterei a riflettere sugli effetti derivanti da un modello di relazioni quale quello prefigurato.

Il dirigente del PD Eugenio Marino che si occupa degli italiani all’estero, a sua volta, in maggio ad un seminario sullo statuto svoltosi in Parigi, dice di più e parla di “coinvolgimento della società civile” che” trova ancora delle resistenze a farsi coinvolgere nell’attività politica”. Di questa una parte è individuata con il “mondo dell’associazionismo, del sindacato e dei patronati”.

Si tratta di un universo vasto – aggiunge Marino – che “sicuramente è fisiologicamente in esaurimento, ma che partecipa al voto, e spesso in maniera compatta”.

“Con quest’associazionismo, a mio avviso,prosegue Marino, dobbiamo cercare un rapporto stretto e possibilmente codificato. Così come dobbiamo cercarlo con i giovani restii alla politica. Il tutto dovrebbe prevedere, in qualche modo, oltre al dialogo anche forme di rappresentanza di queste realtà all’interno del partito”.

Sopravvive, come si vede, nel lessico di partiti deideologizzati una terminologia che riflette l’idea cara al partito totalizzante di un tempo, al “principe collettivo” il quale, nella sua intrinseca diversità/superiorità, nella sua storica funzione salvifica era pronto a tutti i tatticismi, a tutte le logiche di assimilazione di quanto a sé esterno in una incessante dialettica di doppie verità funzionali ai propri fini istitutivi. Il verbo coinvolgere non solo non è divenuto desueto come altre espressioni quali “il campo socialista” “partito di lotta e di governo”, “il fronte antimperialista” ecc. ma seguita ad essere presente, a tutto campo, per segnalare la stessa aspirazione , per significare cioè la realizzazione di qualcosa che serva a coinvolgere nella vita del partito tutto quello che, esterno, non è direttamente governato ma che è utile al raggiungimento dei fini del partito stesso.

Quello che si vuole indicare come metodo, strumento e fine intermedio è un processo che è in grado di cum-in-volvere , di rendere partecipi, di avvolgere in profondità, di trascinare assieme, di travolgere e di assorbire al proprio interno.

La strategia che è sottesa, nei fatti, è all’opposto di quel pluralismo rispettoso delle diverse forme di rappresentanza presenti all’estero tra gli italiani e che anche nella bozza del recente documento del CGIE sull’associazionismo viene esaltata e difesa.

Partiti che dibattono sulla idoneità di un modello “liquido” di partito, che al contempo sembrano presi da una ebbrezza organizzativistica, partiti che ritengono (si presume pensando all’estero) sindacati, patronati e associazioni in esaurimento, trovano più facile pensare, forse, tali realtà come stanchi spezzoni, arcipelaghi alla deriva con i quali, con modalità da definire di volta in volta, si acquisiscano storia e rappresentanza.

Per quel che è dato leggere i sindacati,( limitandoci a qualche esempio) non sono intenzionati all’estero a rinunziare al loro protagonismo. Al riguardo può essere illuminante la lettura dei documenti della conferenza d’organizzazione dello SPI CGIL che punta, con una sua organizzazione diffusa, alla tutela degli italiani anziani a partire soprattutto da quelli non abbienti. Anche i patronati le cui sedi operative sono in crescita costante non sembra abbiano deciso di ritirarsi.

La relazione di fine maggio del Presidente dell’Inca Minnelli rilancia un impianto delle strutture collegate (le associazioni inca all’estero) in direzione di una maggiore qualificazione e di una sinergia funzionale con la prevedibile crescente struttura dei pensionati CGIL.

Ma poi la strada proposta, aldilà della eventuale condivisione, deve essere quella della realizzazione di “un rapporto stretto e codificato” con la previsione di “forme di rappresentanza di queste realtà all’interno del partito”?

Se poi il fine dei partiti italiani all’estero è la ricerca del consenso elettorale fra italiani la cui quotidianità si risolve e trova soluzione dentro l’orizzonte dei paesi in cui vivono o sono nati, perché non accettare il fatto che c’è un pluralismo della rappresentanza con spazi diversi e distinti, con proprie dinamiche e che non è assolutamente necessario seguitare, come nel passato a riaffermare o a riconoscere, a priori, la sovraordinazione di un soggetto, il partito, rispetto ad altri soggetti collettivi.

La cosa migliore sarebbe avere il senso della misura necessaria, rinunciare al demone della “”reductio ad unitatem”, alla spinta costante verso il coinvolgimento di soggetti collettivi, alla scrittura di codici che definiscano il livello di appartenenza e la eventuale reciprocità nel dare ed avere.

Una società che si ispiri ai valori di libertà deve poter accettare il fatto di mettere i partiti, organizzazioni private di singoli cittadini, alla pari con altre realtà, soprattutto quando ci si muove dentro ordinamenti giuridici statuali sovrani. Partiti leaderistici e plebiscitari i cui modelli organizzativi sono lontani anni-luce dall’idea dei partiti –cerniera fra società civile e istituzioni elettive assunta, a suo tempo dai Padri Costituenti possono solo utilizzare tecniche consociative che non rendono giustizia al valore che le associazioni possono mostrare nel loro libero, autonomo dispiegarsi.

La cultura democratica che ci ispira, l’autonomia culturale ed organizzativa, il pluralismo delle associazioni ma anche dei sindacati e dei patronati, in genere strutture di servizio dei sindacati, deve poter prescindere dal consociativismo anche da quello basato su rapporti stretti e codificati.

Il dibattito ormai inoltrato sul rinnovamento dell’associazionismo sta facendo emergere in modo sempre più trasparente l’indisponibilità verso forme aggiornate di nuovo collateralismo, a legame forte o a legame debole.

Le elezioni sono alle nostre spalle. Proviamo tutti ad apprezzare ed a favorire la permanenza attiva di una pluralità di soggetti autonomi, impegnati fra gli italiani all’estero. E’ la nostra Cart a Costituzionale Il filo tricolore quello che deve legare tutti noi cittadini con una comune identità e con comuni, grandi finalità.
Rino Giuliani vicepresidente dell’Istituto Fernando Santi

 

 

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EmiNews 2008

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