5281 Radovan Karadzic «era coperto dagli Stati Uniti»

20080724 11:40:00 redazione-IT

I TANTI PUNTI OSCURI DELLA LATITANZA

I 13 anni di latitanza di Radovan Karadzic, il leader ultranazionalista serbo bosniaco ricercato per crimini di guerra e arrestato a Belgrado solo lunedì, sarebbero stati resa possibile anche da una sorta di salvacondotto concessogli a suo tempo dagli Usa. E firmato addirittura su carta dall’ex vicesegretario di Stato e plenipotenziario dell’amministrazione Clinton nei Balcani, Richard Holbrooke. L’accusa viene dall’ex "ministro degli esteri" della Repubblica serba di Bosnia (Rs) Aleksa Buha, all’epoca uno dei più stretti sodali di Karadzic.

«Era coperto dagli Stati Uniti» Accuse sui 13 anni di Karadzic. Ex ministro: accordo con Holbrooke

La lunga latitanza di Radovan Karadzic, il leader ultranazionalista serbo bosniaco ricercato per crimini di guerra fin dalla metà degli anni ’90 e arrestato nei dintorni di Belgrado solo lunedì, sarebbe stata resa possibile anche da una sorta di salvacondotto concessogli a suo tempo dagli Usa. E firmato addirittura su carta dall’ex vicesegretario di Stato e plenipotenziario dell’amministrazione Clinton nei Balcani, Richard Holbrooke.

Lo ribadisce in una intervista all’agenzia Tanjug l’ex "ministro degli esteri" della Repubblica serba di Bosnia (Rs) Aleksa Buha, all’epoca uno dei più stretti sodali di Karadzic.

Secondo lui, le ripetute smentite di Holbrooke e l’orrore da lui manifestato ancora di recente nei confronti della personalità di Karadzic non devono ingannare.

«Io ero presente quando l’accordo con Holbrooke (sulla presunta immunità di Karadzic) fu concluso», dice Buha sostenendo che l’intesa fu raggiunta nel 1996 a margine degli accordi di pace di Dayton mediati da Washington (con la partecipazione di Slobodan Milosevic) per mettere fine alla sanguinosa guerra di Bosnia. Si sarebbe trattato d’un baratto: il ritiro di Karadzic dalla vita politica in cambio dell’immunità di fatto dinanzi alle accuse del Tribunale internazionale dell’Aja sulla ex Jugoslavia (Tpi).

Non solo: Buha parla anche di un secondo «accordo», questa volta verbale, suggellato nel 1997 a Banja Luka dall’allora segretario di Stato, Madeleine Albright. La quale avrebbe ribadito a Biljana Plavsic, succeduta a Karadzic, che quest’ultimo «non sarebbe stato arrestato a condizione che fosse sparito non solo dalla vita pubblica, ma dalla stessa Rs». «Un patto – conclude Buha – che lui ha rispettato».

Gli interessati hanno smentito che esistesse un accordo.

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I tanti punti oscuri della lunga latitanza

Ci sono cinque milioni di dollari, che il Dipartimento di Stato Usa aveva stanziato per chi avrebbe dato informazioni necessarie a catturare Radovan Karadzic, arrestato lunedì sera a Belgrado, e nessuno li reclama. La taglia è lì, ha spiegato Gonzalo Gallegos del dipartimento. Il funzionario ha però precisato che esponenti delle forze di sicurezza e del governo non possono richiederla. E questo collimerebbe con la versione ufficiale, che vuole l’ex leader dei serbi di Bosnia, accusato dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpi) di genocidio e crimini contro l’umanità, assicurato alla giustizia dai servizi di sicurezza serbi.

Eppure permangono forti ombre sia sulla cattura di Karadzic, sia sui motivi per i quali la sua latitanza ha potuto protrarsi per ben 13 anni, nonostante il super-ricercato non paia aver fatto troppo per passare inosservato. La sua vita da braccato tutto era, meno che riservata.

Karadzic, che si faceva chiamare Dragan David Dabic, girava con lunga barba bianca, capelli fluenti, un ciuffo nero al centro della testa candida. Teneva conferenze, spesso riprese dalla televisione, e si presentava in siti internet. Si raccontava come un esperto di medicina alternativa, versato nell’uso delle erbe mediche cinesi, dello yoga, e fautore dell’«energia del quantum umano». La maschera del guru, insomma, per celare uno degli uomini più ricercati dei Balcani.

«Aveva una vita affascinante. Si nascondeva a cielo aperto», sostiene la criminologa Leposava Kron. Radovan Karadzic, accusato col suo braccio destro militare Ratko Mladic di essersi macchiato di crimini contro l’umanità durante la guerra di Bosnia del 1992-95 e in particolare del massacro di Srebrenica, era un latitante d’un tipo diverso rispetto a Osama Bin Laden. Per lui, niente nascondigli impenetrabili. Anzi, piena visibilità e qualche sfizio.

Dabic/Karadzic aveva una fidanzata, Mila, che presentava come una collega nella sua attività di medico alternativo. Frequentava un pub, Lud Kuca (Casa pazza), dove lo soprannominavano «Babbo Natale», secondo quanto racconta oggi il Guardian. Strano che in quel locale nessuno si sia accorto della somiglianza: è frequentato da una clientela sensibile alla sirena ultranazionalista e le sue pareti sono tappezzate di foto di Slobodan Milosevic, Vojislav Seselj, Ratko Mladic. Non manca, ovviamente la sua stessa foto.

«Voi giovani siete il più grande tesoro del popolo serbo», aveva detto una volta a Raso Vucinic, un giovane avventore. «Cantiamo usando il ‘guslè (strumento tradizionale serbo monocorde, ndr.), parliamo delle tradizioni serbe. Teniamo la bandiera della nostra gloria alta», aveva continuato. Discorsi non proprio da santone «new age», che avrebbe trascorso – secondo il suo curriculum pubblicato alla pagina web www.dragandabic.com – gli anni in cui si combatteva la sanguinosa guerra bosniaca in Cina, India e Giappone.

Tutti quelli che l’hanno frequentato in questi anni dicono di essere rimasti sconvolti dalla scoperta. «Sono rimasta scioccata quando l’ho aputo», dice la donna che gestisce un negozio vicino alla casa di via Gagarin, a Nuova Belgrado, dove Dabic abitava. Altrenttato sconvolto Goran Kojic, direttore del giornale «Vita sana», sul quale Karadzic/Dabic scriveva. E che aveva avuto solo qualche dubbio, quando il suo editorialista aveva messo scuse inverosimili per giustificare il fatto di non poter esibire documenti sulla sua identità, pare rubata a un uomo morto a Sarajevo durante la guerra.

La Serbia, che punta ad accelerare il suo processo d’adesione all’Unione europea consegnando Karadzic, si trova a dover fare i conti anche con le probabili connivenze diffuse che hanno protetto il ricercato. E anche sulla sua cattura, nei giorni scorsi, si sono susseguite indiscrezioni. D’altronde, la versione dell’imputato non collima con quella ufficiale. Karadzic, attraverso i suoi avvocati, ha detto di ritenere «una farsa» la ricostruzione di Belgrado. L’ex latitante afferma di essere stato arrestato venerdì scorso su un autobus.

C’è, poi, l’incertezza sul ruolo che avrebbero avuto i servizi segreti stranieri. Ieri il Financial Times scriveva di aver saputo da una fonte d’intelligence occidentale che i servizi stranieri avevano individuato Karadzic da alcune settimane e l’avevano segnalato a quelli serbi. Il Telegraph ieri sosteneva che si tratterebbe dell’MI6 britannico e d’un servizio Usa. Tuttavia, fonti dei servizi britannici negano.

Tanti punti oscuri, insomma, in una vicenda che non pare essere destinata a essere chiarita in tempi brevi. C’è ancora da catturare gli altri due super-ricercati – Mladic e l’ex leader dei serbi di Krajina Goran Hadzic – e c’è da celebrare un lungo processo, nel quale Karadzic ha chiarito che intende difendersi da solo come fece l’ex presidente serbo Slobodan Milosevic, morto nel 2006, a sentenza non ancora emessa.

Karadzic dovrebbe essere trasferito all’Aia nei prossimi giorni. La difesa punta a tirarla per le lunghe, presentando appello all’ultimo giorno possibile, venerdì, mentre Belgrado spera di consegnare il detenuto il prima possibile. Diplomatici Onu ritengono che la situazione dell’estradizione dovrebbe essere sbloccata entro la prossima settimana.

http://www.unita.it/

 

 

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EmiNews 2008

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