5303 E ora, Rifondazione?

20080729 10:42:00 redazione-IT

di Pierluigi Sullo

I quotidiani di lunedì hanno scelto all’unanimità – non essendoci il manifesto e Liberazione – la via più facile per giudicare la conclusione del congresso di Rifondazione comunista: con Paolo Ferrero segretario si è scelta la via della nostalgia, del comunismo «puro e duro» e del partitino marxista-leninista inevitabilmente avviato verso «il deserto». Del resto, questa è l’interpretazione suggerita, in tv, dallo sconfitto Nichi Vendola: i vincitori hanno gli occhi girati verso il passato. Può darsi che andrà così. L’«innovazione», oggetto polemico in tutto il congresso, era il marchio di fabbrica della ex maggioranza bertinottiana, da quando, dopo la rottura con Prodi nel ’98 e la scissione dei «cossuttiani», il Prc si era lanciato per le vie sconosciute dello zapatismo [ciò che procurò a Bertinotti il soprannome di «subcomandante»], dell’altermondialismo di Porto Alegre e del movimento di Genova, del pacifismo [e della non violenza], della critica dello sviluppo [o decrescita].

E perfino di una critica dello stalinismo, avviata da Bertinotti, che pareva inattuale e invece era un inizio di critica del senso ultimo della politica di sinistra nel Novecento: la conquista del potere.
Chi dice che ora il Prc vuole tornare al passato infila come ultimo anello della catena dell’«innovazione» anche la decisione di andare al governo, con il congresso di Venezia, abbandonando l’opposizione «a prescindere». E qui sta l’errore. Associarsi con il centrosinistra, delegare alla figura del «leader» [con le primarie dell’Ulivo e Bertinotti alternativo a Prodi], tralasciare ogni consapevolezza sulla sovranità limitata dei governi nazionali, dimenticare ogni analisi sulla crisi della democrazia e della rappresentanza, stare al governo [Ferrero compreso, come ha onestamente ammesso] accettandone le compatibilità, dalla Tav alla base di Vicenza, per tentare di giocare un ruolo nel flipper di quell’impasto tra media e «leader» politici che è diventata l’agenda politica [da cui ad esempio uno «stato d’emergenza» del tutto surreale sui migranti], tutto questo non è stato «innovazione». E’ stato l’opposto: accettare la riduzione della politica a una buccia senza più la polpa della società.

La ragione per cui Vendola ha perso, mi è parso stando qualche ora a Chianciano e parlando con molti amici, non è tanto nel fatto che gli altri rifiutavano l’«innovazione», ma il sospetto che si volesse, come nulla fosse, ricominciare a «far politica» in quella maniera, per di più senza Bertinotti, che l’esperienza come presidente della camera e come candidato della Sinistra arcobaleno aveva nel frattempo consumato: anche se la stima di cui gode in tutto il partito, come dimostrano i dieci minuti di applausi che ha avuto al congresso, resta grande.
E’ per questa ragione che, da neo-segretario, Ferrero dice: bisogna «tornare nella società». Sembra semplice, ma non lo è affatto. E non solo perché, come tutti dicono, la creazione di un’«area politica» denominata «Rifondazione per la sinistra», che, ha annunciato Vendola, si doterà di suoi mezzi d’informazione e perfino di un tesseramento proprio, dice che l’attuale partito in realtà sono due. Ma anche perché il modo in cui si è combattuto [e il termine appropriato] il congresso, e la deriva che ne seguirà, renderanno sospette ai più proprio le «innovazioni», cioè il cercare di stare nella società come essa è oggi e non come era l’altroieri. L’enfasi sul «comunismo» e la «classe», sulla necessità di preservare Rifondazione come partito che «c’è per l’oggi e per il domani», come ha detto Ferrero per spiegare come sia stata sconfitta l’idea di sciogliere il Prc, tutto questo ha molto più a che fare con la società fordista, della grande classe operaia e della borghesia nazionali, che non con il panorama sociale [produttivo, naturale, dello sviluppo, dei poteri transnazionali…] del nuovo secolo. E la maggioranza con cui Ferrero è stato eletto è fatta in larga misura di persone che hanno una cultura comunista antica e, in versione più utilitaria, pensano che la falce-e-il-martello sia una buona dote elettorale, ossia hanno un’idea consunta della rappresentanza.

Sarebbe bene che Rifondazione, la maggioranza e la minoranza, uscissero dall’ordine chiuso del loro conflitto, e anche dalla necessità di stare insieme per potersi presentare alle elezioni europee del prossimo anno. Per fare cosa? Per cercare di rendersi utili ai conflitti che effettivamente esistono, che hanno connotati talvolta irriconoscibile a una lente «comunista», e sui quali il governo, senza alcuna opposizione in parlamento, sta esercitando una politica che sembra per molti versi fascista [ma è un fascismo postfordista, dalle caratteristiche totalmente nuove e che dovremmo cercare di capire]. Comunità ribelli alle grandi opere e comunità migranti perseguitate [i rom, prima di tutto, ma non solo], minoranze di ogni tipo [gay e lesbiche, prima di tutto, ma non solo], lavoratori precari e non [figure nuove, cioè, e antiche], compongono un mosaico che forma una figura nuova: la società del terzo millennio. La sinistra ritroverà un senso se si metterà al suo servizio, per ricucire e difendere, per aiutare la costruzione di esperienze democratiche nuove e per fermare i cingoli dello «sviluppo», non se tornerà a proporre militanze e visioni del mondo tramontate e, in fin dei conti, autoritarie.

www.carta.org

 

 

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EmiNews 2008

 

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