5302 RIFONDAZIONE, la linea Ferrero: in basso, a sinistra

20080726 21:41:00 redazione-IT

in mattinata l’intervento di Fausto Bertinotti
Marco Filippetti (da l’Unità)

«Bandiera rossa» e «Bella Ciao». Con queste storiche canzoni e con una marea di applausi è stato accolto dalla platea Paolo Ferrero alla fine del suo intervento dal palco del congresso di Rifondazione Comunista. A parte il consenso riservato a Bertinotti, non c’èra stata una accoglienza così calorosa finora per un dirigente. Neanche per Nichi Vendola. E questo mischia le carte in gioco e riapre la corsa alla segreteria.
L’ex ministro della Solidarietà sociale inizia il suo discorso rispedendo al mittente (la seconda mozione, i “vendoliani”) le accuse di giustizialismo, per aver partecipato al NoCav day di Di Pietro. La partecipazione a quella piazza dice Ferrero «è stata condivisa con le altre forze della sinistra e per riaprire una questione morale nel nostro paese ormai lacerato dalle leggi ad personam e razziste del governo Berlusconi».

Ferrero continua denunciando «la gravità degli attacchi ai migranti con le leggi anti-rom e l’aggravante di clandestinità». Poi definisce la sua proposta di partito sociale: «Non significa l’autonomia del sociale, ma neanche vogliamo l’autonomia del politico, totalmente distaccata dai problemi della gente. Noi proponiamo la politica del sociale». Il passaggio piu importante è quando fa appello alla comunità politica all’unita: «dopo il congresso, dobbiamo portare una linea politica unitaria, al di là di chi sarà il segretario. Dobbiamo dare risposte concrete alla gente che non sta nei circolo o nelle segreterie di partito».

Insomma svoltare in basso a sinistra. Ricominciando dagli errori, quelli «di cui anche io sono responsabile in prima persona» dice l’ex ministro. C’è l’ammissione di aver sbagliato progetto politico, dice in sostanza Ferrero. «Pensavamo di poter portare le istanze de movimenti al governo cercando di uscire dal minoritarismo e incidere. Non ci siamo riusciti. Torniamo all’opposizione come obiettivo totale alle politiche neoliberiste compreso il Pd».

Da qui il rilancio della «lotta di classe» ma «accettando la sfida della modernità con tutte le sue contraddizioni». Perché la frattura da ricomporre, dice Ferrero, è soprattutto quella con la società: «Gli operai votano Lega perché noi non abbiamo saputo dare una risposta concreta ai loro bisogni materiali». Poi cita Marx e sostiene che «i lavoratori sono uno contro l’altro, come merci nella concorrenza». E Rifondazione deve ripartire da qui, da questa consapevolezza. Poi dalla platea partono Bella ciao e Bandiera rossa. Mentre Gennaro Migliore rimane per dieci minuti sul palco senza riuscire a parlare.

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Congresso Prc, la parola al delegato Bertinotti

Con un lungo applauso di oltre dieci minuti la platea del Palamontepaschi di Chianciano tributa gli onori al «delegato semplice» Fausto Bertinotti. Venerdì è il giorno del suo intervento dal palco. Da semplice delegato, appunto. L’ex segretario, ex presidente della Camera, parla con l’enfasi dei suoi interventi da deputato, agitando le mani, con l’eterno sigaro a fargli compagnia nel giorno più teso del congresso, quello in cui si fronteggiano il suo "delfino" Nichi Vendola e il suo unico referente diretto nel governo sostenuto da Rifondazione, Paolo Ferrero. È un discorso appassionato ma dai toni drammatici.

Bertinotti ammette la sconfitta, non solo quella elettorale. Quasi una Caporetto. Dice: «La sinistra antagonista è a rischio estinzione in Europa» e insiste su questo concetto, rinnovando l’invito a una ricerca di nuove forme, nuove idee, rivolgendo lo sguardo come lui ha fatto al laboratorio dell’America Latina e alla «tradizione degli avi»: le case del popolo, le società di mutuo soccorso, una partecipazione alla politica che non parta dalla delega ma casomai dall’autogestione e dall’autorganizzazione. Per una politica che però – continua a pensare – deve «mantenere una vocazione maggioritaria». Non un rifugio, dice, cioè non una comunità chiusa, settaria e identitaria.

L’ex candidato premier della Sinistra Arcobaleno ammette in pieno il fallimento. Qualcosa di più. «Non ho difficoltà a riconoscere che avevo pensato, davanti ad una campagna elettorale asfittica, che bisognava andare oltre. Se avessimo avuto successo, l’unità della sinistra era un’ipotesi reale ma la sconfitta elettorale dice che sono state sconfitte tutte le ipotesi di unità a sinistra». «Quella del superamento di Rifondazione così come quella della federazione», dice a chiare lettere. Ed è lì forse che ottiene di riavvicinare la posizione di Paolo Ferrero a quella di Vendola. Per l’ex ministro della Solidarieà sociale infatti l’intervento di Bertinotti è «da mozione 1», la sua, a parte il riferimento alla fase costituente. Gli è piaciuto quel chiarimento sulla partecipazione «dal basso».

E del resto Bertinotti chiarisce che il termine "costituente a sinistra" usato da Vendola non gli piace e comunque bisogna mettere in campo altri protagonisti, altre modalità organizzative. «Non un assemblaggio». La sfida è quella di «costruire un’opposizione di sinistra». Perché «oggi non c’è». Il Pd – dice -«non ha i fondamenti per essere un partito di opposizione e Di Pietro, e in generale la cultura populista, possono anche apparire ma non sono di sinistra, anzi sono una cultura di destra». «L’opposizione di sinistra – spiega – parte dalle ragioni del conflitto sociale, esplora la più classica della contraddizioni tra diritto e lavoro, sapendo che oggi la sfida tocca l’umano perchè la specie umana è messa a rischio dalla globalizzazione capitalistica».

In Italia poi «la democrazia si è fatta opaca e questo governo ogni giorno aggiunge le tessere ad un mosaico che va contro i valori della Resistenza. Quando si dice opposizione, stiamo parlando di un compito enorme contro questo governo ma anche della ricostruzione di un senso comune di appartenenza». Bertinotti evidenzia che «le disuguaglianze si stanno aggravando, le povertà si moltiplicano» e aggiunge: «Quando c’è una crisi di moralità? Non quando c’è uno scandalo ma quando uno scandalo non è vissuto come tale e oggi ad anni di distanza le torture di Genova non sono ancora vissute come uno scandalo».

Per Bertinotti bisogna ricostruire un nuovo movimento operaio, a cominciare dal sindacato. «Che è un nostro problema, è il nostro problema», dice.

L’obiettivo può essere quello di creare le condizioni per uno sciopero generale. Per Bertinotti resta questo «il banco di prova per la maturità dell’opposizione». «Lo so che a decidere è il sindacato, ma l’ambiente politico ne genera le condizioni. Non ci sono oggi le condizioni per farlo vedendo la catena di morti sul lavoro?», si chiede. «Anche l’attacco alla scuola – prosegue – è un attacco al fondamento della democrazia, stanno cancellando la lezione di don Milani. Ci sono tutti i margini eppure non è all’ordine del giorno. La domanda per noi – osserva ancora – è come si fanno a costruire le condizioni per uno sciopero generale. È difficile, ci vuole un’opposizione politica e una cultura che riconquisti la sua forza».

Ma nell’immediato, avverte nel solo passaggio in cui sfiora il tema della grande spaccatura interna, «non bisogna buttare il bambino con l’acqua sporca». Questo è il lascito, il commiato politico che lo porta a ringraziare gli applausi con voce rotta e occhi umidi.

 

 

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EmiNews 2008

 

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