5358 RIFUGIATI: Bari, reportage dal centro di accoglienza per richiedenti asilo

20080807 18:52:00 redazione-IT

– Al Cara di Bari uno dei superstiti del terribile naufragio di Teboulbah.

Sorge in una base dell’Aeronautica militare. Inaugurato il 28 aprile con una capienza di 744 posti, ospita già 978 richiedenti asilo. Solo 70 all’anno saranno accolte nello Sprar. Gli altri torneranno in strada, con o senza documenti
Esterno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari Palese

BARI – Sulla vecchia pista dell’aeroporto militare di Bari Palese è cresciuta l’erba. Le 250 roulotte che dal 1991 ogni estate erano destinate alla prima accoglienza dei migranti che sbarcavano in Puglia, Calabria e Sicilia, non ci sono più. Al loro posto sorge un nuovo centro. Sempre all’interno della base dell’aeronautica militare. Un piccolo villaggio di 124 moduli prefabbricati montati su un grande piazzale di cemento, intorno ad una grande cupola di tela, usata come mensa e sala comune.

Ci sono campi da calcio e da pallavolo. C’è l’ufficio immigrazione della polizia. Ogni modulo ha l’aria condizionata, c’è un infermeria, i bagni sono puliti e gli spazi comuni ben curati. C’è una ludoteca, una scuola di italiano. E tuttavia si respira una certa tensione.

Il centro è stato inaugurato il 28 aprile 2008. Inizialmente i posti disponibili erano 744, che vuol dire 6 persone per ogni modulo, ovvero due letti in ognuna delle tre piccole stanze. Gli ospiti presenti alla data del sei agosto sono 928. Quasi 200 in più. In alcune stanze sono stati montati letti a castello. Ai 20 nuclei familiari presenti è comunque garantita la possibilità di condividere la stessa stanza. Ci sono 109 donne (due su tre sono somale) e 14 minori, tutti con meno di 14 anni. Due bambini sono nati qui a Bari. Una donna sta per terminare la gravidanza. La maggior parte degli ospiti arrivano da Lampedusa e sono stati portati a Bari con un ponte aereo. La prima nazionalità è quella somala con 380 presenze, tra cui 69 donne. Segue quella nigeriana (163, di cui 34 donne) e poi quella eritrea (134) e ghanese (82). Gli afgani sono solo 18. Dall’inizio dell’anno sono transitati dal Cara 1.247 ospiti, tra cui 171 donne e 24 minori. Dei 319 ospiti che hanno lasciato il centro, in molti casi si tratta di allontanamenti non autorizzati. Così hanno fatto 64 tunisini, 6 algerini, ma anche 31 eritrei. Dal centro si può uscire dalle 8:00 alle 22:00. Così chi sa di non avere le carte per chiedere asilo abbandona la struttura. E lo stesso fa chi invece l’asilo non lo vuole chiedere in Italia, ma in Inghilterra o in Nord Europa. I pochi che hanno avuto i documenti invece sono accompagnati alla stazione con un biglietto per le città del nord. Lo Sprar (Servizio di protezione nazionale per richiedenti asilo) ha infatti affidato al Cara di Bari soltanto 70 posti all’anno, su 978 richiedenti asilo attualmente ospitati. In pratica vengono usati solo per nuclei familiari e casi vulnerabili. Per adesso una trentina di persone sono state accolte. Per gli altri c’è la strada, il ritorno al via. Arrivati da soli in terra straniera, saranno di nuovo abbandonati a se stessi. Con o senza un documenti. Con la differenza che nel frattempo lo Stato avrà speso migliaia di euro per ognuno di loro. L’ente gestore del Cara di Bari, la cooperativa sociale Auxilium – che tra operatori sociali, mediatori, personale sanitario e amministrativo, impiega 160 persone nella struttura – riceve un’indennità di 49 euro al giorno per ogni ospite. Che fanno 45.000 euro al giorno; un milione trecento mila euro al mese, 16 milioni all’anno. Una montagna di denaro che, nonostante la buona volontà degli operatori e la qualità della struttura, rischia di essere speso inutilmente, visto il giro di vite sulla seconda accoglienza.

Tuttavia la maggior parte degli ospiti di Bari Palese sta ancora aspettando di essere intervistato dalla Commissione per il riconoscimento per lo status di rifugiato. I lavori vanno a rilento. Molti sono qui da oltre tre mesi. E intanto iniziano ad arrivare i primi dinieghi. Nigeriani, ghanesi, maliani, nigerini, difficilmente saranno riconosciuti come rifugiati politici. Vengono da paesi che non sono in guerra. E salvo rari casi, non hanno prove che dimostrino la loro persecuzione personale. E spesso non lo sono affatto. Dire che i loro paesi sono in mano a governi corrotti, che mafie, corruzione e impunità li hanno costretti a partire per garantire un futuro libero ai propri figli non li aiuterà a strappare un permesso di soggiorno alla Commissione. Le prime risposte negative hanno diffuso la paura. E adesso tutti temono un decreto di espulsione. Per questo hanno protestato, lunedì scorso, bloccando l’auto blu del sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, in visita al Cara, e esponendo cartelli contro il razzismo. E hanno presentato le stesse richieste al sindaco di Bari, Michele Emiliano, che ha visitato il centro martedì scorso. Nessuno si lamenta delle condizioni del centro. "Very good!” dicono, molto buone. Sono i tempi di attesa e la paura di un diniego a far montare la protesta. I somali, che sono la comunità più numerosa, chiedono tempi più celeri per le interviste, che ad oggi procedono ad un ritmo di 10 al giorno. Ghanesi e nigeriani chiedono invece di riconoscere il loro bisogno di protezione, anche se i loro paesi non sono in guerra. Ma le loro richieste difficilmente saranno accettate. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati è chiara, e parla di persecuzioni personali. Usciranno dal centro senza documenti e andranno ad alimentare le fila del lavoro nero. Entrati nei Cara come richiedenti asilo, usciranno come clandestini. E intanto lo stesso governo che ne ordina l’espulsione ha già annunciato che chiederà l’ingresso di 170.000 lavoratori stranieri non comunitari entro la fine dell’anno.

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Al Cara di Bari uno dei superstiti del terribile naufragio di Teboulbah

L’11 maggio 2008 le autorità tunisine trassero in salvo 16 migranti alla deriva da una settimana, i morti furono 47. Godpower è uno di loro. Ha chiesto asilo politico, ma come gli altri nigeriani, rischia l’espulsione
Il cortile del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari Palese

BARI – Era la notte dell’undici maggio del 2008, e una motovedetta della guardia costiera tunisina intercettava un gommone di migranti finiti alla deriva al largo delle coste di Teboulbah, vicino Monastir. A bordo c’erano 16 uomini sfiniti e disidratati, unici superstiti di una settimana passata in balia delle onde, senza acqua né viveri. Una settimana di stenti che aveva visto morire 47 dei passeggeri. Godpower non conosceva nessuna delle vittime, ma ricorda tutti i dettagli di quella traversata. Viene da Benin City, in Nigeria, ed è uno dei superstiti. È ospite del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari Palese. La sua versione dei fatti coincide con l’articolo pubblicato il 12 maggio 2008 dall’agenzia stampa Reuters. "A bordo eravamo una sessantina. C’erano donne e bambini. Eravamo partiti da Zuwarah, ma non avevamo la bussola, né il navigatore e nemmeno un telefono satellitare. Dopo poco il capitano ha perso la rotta, il carburante non era sufficiente e siamo rimasti a secco”. Godpower ha visto morire i suoi compagni di viaggio uno a uno. “Non posso trovare le parole. Sono morti sotto i miei occhi. Siamo rimasti una settimana in mare. Eravamo ustionati. Bevevamo le nostre urine. Io dalla fame mangiavo pezzi di plastica delle mie ciabatte”. Poi finalmente i soccorsi dei tunisini e il ricovero in ospedale, a Monastir. Godpower non ricorda la visita di nessun funzionario dell’Unhcr. Dopo una settimana di ricovero la polizia li ha espulsi, riaccompagnandoli alla frontiera libica a Ras Jdayr.

“Non ci hanno consegnato alle autorità libiche – ricorda Godpower –, ci hanno mostrato un passaggio non pattugliato e abbiamo proseguito a piedi”. Dieci giorni dopo Godpower partiva di nuovo. Con un gesto di ambigua generosità i loro connection men li avevano piazzati gratuitamente su un altro gommone. Il 26 maggio Godpower sbarcava a Lampedusa, dopo tre giorni in mare. Oggi, a tre mesi di distanza, Godpower ha paura. Paura che essere sopravvissuto a quel naufragio non sia servito a niente. La commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato ha iniziato a rilasciare i primi dinieghi alle richieste d’asilo politico dei cittadini nigeriani ospiti del Cara barese. Godpower ha paura di essere rimpatriato. “Non è facile rischiare la tua vita per arrivare in Europa e poi vedersi rispedire a casa”.

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EmiNews 2008

 

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